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7 Dicembre 2009

News

Roma, dall’acqua alla pietra

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PRESENTAZIONE DEL VOLUME
Roma, dall’acqua alla pietra
di Mario Manieri Elia
Carocci editore

Intervengono: Francesco Cellini, Giorgio Ciucci, Bruno Toscano.
Con una testimonianza di Giovanni Pugliese Carratelli
Sarà presente l’autore

Mercoledì 9 dicembre 2009, alle ore 17.30
Accademia Nazionale di San Luca

Piazza dell’Accademia di San Luca, 77 – ROMA

Il grande tema della storia di Roma, dalla sua mitica fondazione a oggi, viene affrontato da un’angolazione narrativa di rado frequentata: quella del rapporto genetico che lega la città di pietra all’acqua. Un taglio insolito senza dubbio. Ma che offre la possibilità di una selezione diacronica di momenti e di vicende di particolare significatività, ciascuno dei quali rappresenta uno snodo storico-antropologico che, concatenandosi con i precedenti e i successivi, intesse una particolarissima, e tuttavia attendibile, storia della città. Questo non è soltanto il libro di un grande storico dell’architettura. È anche il libro di un appassionato flâneur che legge la Città Eterna – la sua città – lungo il filo del tempo, in un percorso nel quale la profondità di sguardo dello storico si sposa alle suggestioni di chi la città l’ha vissuta e la vive. Luoghi, tracce, aneddoti riaffiorano così alla memoria e si mescolano alle idee di città che via via si sono succedute e sovrapposte per dar vita a un luogo unico. Di acqua e di pietra.

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3 Dicembre 2009

Opere di Architettura

3xNielsen Architects, Liverpool Museum
Liverpool 2005- 2010.

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A gennaio del 2005, a conclusione di una competizione internazionale ad inviti, il National Museums Liverpool affida al gruppo Danese 3xNielsen Architects l’incarico di progettazione del nuovo museo, coinvolgendo, localmente, per la fase esecutiva, il gruppo inglese AEW.

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Data la complessità dei regolamenti edilizi locali e la diversa organizzazione del processo edilizio inglese rispetto a quello danese, il gruppo AEW ha svolto un ruolo di consulenza e d’interfaccia con la committenza, supportando gli architetti danesi ed il general contractor (l’imprenditore danese Pihl). Secondo lo spirito tipico dell’approccio anglosassone, nella fase esecutiva il contractor fu coinvolto nella messa a punto delle soluzioni costruttive, condizione che implicitamente ha richiesto margini di flessibilità progettuali tali da accogliere possibili variazioni in corso d’opera. L’apporto del gruppo inglese AEW è stato in tal senso molto prezioso nell’indirizzare rapidamente le decisioni, verificandone le ricadute sugli aspetti architettonici, impiantistici, di costo, di tempo.

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Il Museo sorge tra l’Albert Dock e il Pier Head, uno dei moli dell’area postindustriale di Liverpool dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco, si sviluppa su un’area di circa 6600 mq e nel suo punto più altro raggiunge 26 metri di altezza. Punto focale di connessione tra passato e futuro, l’edificio è simbolo del processo di rigenerazione urbana di Liverpool, luogo dove riscoprire le tradizioni e le attività che hanno segnato la vita sociale ed economica della città. La relazioni col luogo, col tessuto urbano di Liverpool è il tema di progetto, tema che emerge anche dalle dichiarazioni di Michael Kruse, uno dei direttori di progetto: «punto focale della nostra proposta che risultò vincente fu la “visione” che proponemmo, una visione che andava oltre il solo edificio ed investiva tutta l’area di progetto, che nella nostra proposta fu assunta come punto focale della vita comunitaria e dell’identità di Liverpool».

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Il Museo agisce a scala urbana come un “faro”, è concepito come “scultura urbana”: una progressione dinamica di superfici litiche che dialoga con la città. L’involucro, una sequenza continua di piani, è sostenuto da una struttura di acciaio (2.100 tonnellate di acciaio). La scelta dell’acciaio oltre che legata alla tradizione costruttiva risponde all’esigenza di avere grandi luci strutturali e maggiore flessibilità distributiva dello spazio interno: volumi lineari di grandi dimensioni, percepibili dall’esterno attraverso una vetrata alta 8 metri e larga 28, che nel dialogo tra interno ed esterno offre una suggestiva prospettiva sul canale.
5.700 metri quadrati di pietra di Jura rivestono l’edificio, una sequenza continua di “pieghe”. La superficie-involucro è declinata come rivestimento lapideo sottile (Rainscreen Cladding): una grande scultura urbana di matrice funzionalista che propone un’ambigua sintesi tra tettonica del sistema strutturale e stereotomia della “massa litica” in facciata, che in realtà è risolta mediante rivestimento sottile a secco. L’involucro, una parete ventilata di nuova generazione, emana una possente vibrazione, è una superficie dalle infinite pieghe, una sorta di “bugnato gigante” ottenuto con lastre di pietra Jura spesse 4 cm, una pietra calcarea molto diffusa in Scozia e Germania. La tessitura è compatta e la sequenza dei piani genera una trama continua.

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La complessa geometria della facciata è “governata” da un “ordine interno”, dall’uso di sole tre diverse tipologie di lastre. Le lastre di pietra hanno forma trapezoidale è individuano tre piani, che nel sistema generale della facciata danno luogo ad una superficie tridimensionale: un origami di pietra che esalta le ombre. Un senso di ambiguità percorre tutto l’edificio, che alla ‘apparente’ struttura massiva della facciata percepita a distanza, disvela, ad una visione ravvicinata, un esile rivestimento. Geometrie elementari consentono il passaggio dalla bidimensionalità del piano alla tridimensionalità della concezione “scultorea” della superficie di facciata, esaltata dai giunti tra le lastre che “disegnano” un reticolo ordinatore.

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Il ricorso alla pietra calcare rappresenta l’esito di un lungo processo di approfondimento tecnologico. L’ipotesi iniziale prefigurava l’uso del travertino, pietra che nella concezione-visione di 3xNielsen avrebbe dovuto contribuire con la sua natura porosa ad esaltare la scala cromatica chiaroscurale, accentuando quel senso di ambigua morbidezza dell’edificio. Tuttavia, il travertino a seguito di test di verifica su prototipi in scala 1:1 si rivelò inadatto. La sua natura porosa lo rendeva particolarmente “sensibile” all’ambiente marino: entro le cavità del materiale tendevano ad accumularsi polvere e soprattutto colonie di alghe che ne alteravano le caratteristiche cromatiche. La pietra Jura si rivelò più adatta all’ambiente di Liverpool ed economicamente più vantaggiosa.

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Spingendoci oltre il dato contingente, quest’opera si rivela nella sua unicità e duplicità di dialogo tra visione alla scala urbana e fruizione ravvicinata. Da lontano l’edificio ci appare come massa scolpita, volume unitario che nel “viaggio di avvicinamento” tende a frammentarsi. Le superfici, i piani, le connessioni, i chiaroscuri, l’ordito ci rivelano progressivamente una più complessa ed articolata geografia emozionale, un “sogno agente”.

CREDIT
Nome: Museum of Liverpool
Tipologia edificio: Museo; Edificio Publico
Luogo: Mann Island, The Liverpool Docks, Liverpool, GB
Committente: National Museums Liverpool
Competizione ad inviti: 2004, 1° premio
Superficie: 12.500 m2
Costo dell’opera: € 95.000.000
Architetto: 3XN Kim Herforth Nielsen, Bo Boje Larsen, Kim Christiansen

Design Team: Kim Herforth Nielsen with Thomas Kaszner, Michael Kruse, Per Damgaard-Sorensen, Kim Christiansen, Martin Musiatowicz, Melanie Zirn, Morten Mygind, Trine Dalgaard, Malene Knudsen, Helge Arno, Carsten Olsen, Dan Hinge, Dan Thirstrup, Erik Frehr Hansen, Marianne Els, Jacob G. Nielsen, Jorgen Sondermark, Rikke Zachariasen, Pia Hallstrup

Landscape: Schønherr landscape architects

Ingegneria: Buro Happold

Contractor/s: Pihl & Son A/S
Date di inzio: 2004
Date di ultimazione prevista: 2010

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di Luigi Alini

Vai a 3xNielsen Architects

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30 Novembre 2009

Pietre d`Italia

ALBERTO CAMPO BAEZA E IL MARMO DI CARRARA
Pibamarmi e Telara a Marmomacc 2009

English version

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Il marmo apuano Bianco Lavagnina riveste l’interno del padiglione Pibamarmi, disegnato da Alberto Campo Baeza al Marmomacc 2009. (ph Giovanni De Sandre)

«Se vi ha paese in Italia degno di richiamare l’attenzione dei naturalisti, uno di questi è senza dubbio il territorio dell’Alpe Apuana, piccolo gruppo di montagne situato sull’estremità occidentale dell’Etruria. Questa Contrada […] non è niente meno singolare nella storia fisica del Globo per la struttura e formazione delle sue rocce, avendo la natura fino dalla prima età ivi depositato il più bianco marmo, e per le arti il più pregevole.
[…] I più profondi dirupi si presentano dalla parte orientale di questa catena fra i quali è rimarcabile quello del Pizzo d’Uccello, precipizio altissimo che dalla più elevata sommità quasi tagliato a picco si sprofonda verticalmente al piede della montagna nella valle del Lucido. Per farsi una giusta idea dell’azione corrosiva delle acque che cadano da quest’alpe basta osservare la strada scavata in profondo e stretto solco dal torrente di questo nome, i cui argini sono fiancheggiati da marmi bianchi levigati dall’attrito della corrente».

Con queste parole, Emanuele Repetti apre il suo celebre volume “Sopra l’Alpe Apuana ed i marmi di Carrara” (1820), introducendo il lettore con immediatezza ed efficacia alla peculiarità del paesaggio, e alla specificità geologica, di questa piccola area geografica stretta tra la dorsale dell’Appennino e il mar Tirreno. L’aspra e grandiosa orografia delle Apuane, e la bellezza dei marmi che in queste montagne trovano origine, hanno da sempre suggestionato viaggiatori, letterati e artisti: è già Rutilio Namaziano nel V secolo d.c. a scrivere «dives marmoribus tellus, quae luce coloris provocat intactas luxuriosa nives» in riferimento al candore degli affioramenti marmorei che ricordano la presenza di nevi perenni; è Dante a richiamare l’impressione delle vette delle Panie (antico nome delle Apuane) e delle loro pietre; è ancora Repetti, più oltre nella sua opera, a ricordare che «al dire di Vasari, Michelangelo, quale nel 1515 frequentò quelle cave, ebbe la gigantesca idea di ridurre quella sommità in statua colossale, idea che tornò in campo pochi anni fà, onde colpire la vista dei naviganti alle più grandi distanze».
L’immagine del biancore dei marmi Carraresi, fissata con più frequenza nella tradizione, cela in realtà una straordinaria ricchezza di varianti cromatiche e tessiturali, che contraddistingue questa famiglia di materiali a struttura saccaroide uniforme, fine e compatta. I marmi apuani, scavati nei bacini di Torano, di Fantiscritti e di Colonnata, possono infatti presentarsi di colore bianco, con sfumature più o meno intense crema o grigio-azzurre, per raggiungere in alcuni casi le tinte più forti del grigio cupo; le tessiture possono essere sottilmente venate, o più decisamente nuvolate o arabescate.

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Il tavolo Tabla Bianca disegnato da Alberto Campo Baeza per Pibamarmi e realizzato in marmo Bianco Lavagnina. (ph Giovanni De Sandre)

Simmetrica alla varietà di aspetti è la molteplicità delle denominazioni: Bianchi, Bianchi Chiari, Bianchi Venati, Statuari, Cipollini, Crema Delicati, Arabescati, Calacatta, Bardigli; a cui spesso si aggiungono le specificazioni delle località di escavazione come nel caso del Bianco Lavagnina, estratto nell’omonima cava del bacino di Colonnata sulle pendici della Cima di Gioia. Il materiale, caratterizzato da un tono omogeneo grigio chiarissimo, presenta sottili striature più scure; il sito di escavazione è coltivato da diverse generazioni dalla Carlo Telara, azienda carrarese di consolidata tradizione familiare che esporta tale materiale in tutto il mondo, continuando a rendere disponibile il marmo apuano al contributo creativo di architetti e artisti della contemporaneità.
L’incontro più recente tra il Bianco Lavagnina e uno dei principali protagonista della cultura architettonica attuale è avvenuto in occasione nell’ultima edizione della fiera scaligera Marmomacc; in tale contesto, infatti, Alberto Campo Baeza, architetto spagnolo di rilievo internazionale, ha impiegato il materiale per dare corpo al raffinato progetto de “La Idea Construida”, padiglione espositivo per il brand lapideo Pibamarmi.
L’interno della struttura, incentrato sul tema del rapporto tra pietra, luce e tempo, si è offerto ai visitatori come uno spazio vuoto, per la sosta e la meditazione, immerso nella penombra e segnato dal passaggio lento di fasci luminosi sulla superficie naturale del marmo apuano, tagliato in grandi moduli quadrati impiegati per rivestire in continuità le pareti e il pavimento dell’essenziale camera litica.
L’architetto ha poi declinato il Bianco Lavagnina nel design di un grande tavolo con piano monolitico e struttura metallica, portando l’interpretazione delle caratteristiche del marmo ad esiti di particolare raffinatezza. I motivi della scelta materica sono ben sintetizzati nelle parole dello stesso Campo Baeza: «Il Marmo di Carrara è meraviglioso e sublime, era certamente il più adatto per realizzare questa camera di pietra attraversata da una riproduzione della luce solare in movimento; un marmo bianco greco sarebbe stato troppo omogeneo, troppo artificiosamente perfetto, non sarebbe stato così vibrante nel lasciarsi accarezzare dal passaggio dei fasci luminosi; questo Marmo di Carrara, con le sue sottilissime venature, con la sua lieve e calda sfumatura grigia, con la sua grana naturale, è universale ed eterno».

di Davide Turrini

Vai a:
Intervista ad Alberto Campo Baeza
Bianco Lavagnina
Pibamarmi
Carlo Telara

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30 Novembre 2009

English

ALBERTO CAMPO BAEZA AND THE CARRARA MARBLE
Pibamarmi and Telara at 2009 Marmomacc

Versione italiana


The Apuan Bianco Lavagnina marble covers the interior surfaces of Pibamarmi’s pavilion, designed by Alberto Campo Baeza for 2009 Marmomacc (ph Giovanni De Sandre)

“If there’s places in Italy worth to gain attention from naturalists, one of these is undoubtedly the territory of the Apuan Alps, small mountain chain in the farthest extremity of Etruria. This place […] is very peculiar in the physical history of our Globe for the structure and the formation of its stones, having Nature deposited here, since the primitive age, the whitest and finest marble to be employed in arts. […] In the western part of this chain the deepest precipices can be found, among which Pizzo d’Uccello is one of the most remarkable, being a very high cliff with the form of a peak that vertically subsides to the foot of the mountains in the Lucido valley. To have a clear idea of the corrosive action of the waters that fall from this cliff it’s sufficient to look the deep and narrow bed dig by the river of the same name, the banks of which are surrounded by white marbles smoothed by the friction of the water flow.”

With these words, Emaunele Repetti starts its well-known volume “Sopra l’Alpe Apuana ed i marmi di Carrara (“On Apuan Alps and Carrara marbles”, 1820), introducing the reader with clearness and efficacy to the particular aspects of the landscape and to the specific geology of this little geographical region caught between the Apennine dorsal and the Tirrenian sea. The rough and magnificent orography of the Apuan Alps, and the beauty of the marbles which are originated in these mountains, have always impressed travellers, artists and literates: Rutilio Namaziano wrote in the V cent. A.D., “dives marmoribus tellus, quae luce coloris provocat intactas luxoriosa nives” referring to the paleness of the marble extractions that remind of perennial snows; Dante recalled the impression provoked by the peaks of the Panie (ancient name of the Alpuan Alps) and of its stones; and Repetti, in another point of its work, reported that “according to Vasari, Michelangelo, who in 1515 frequented those quarries, had the extraordinary idea of reduce that crest into a colossal statue, idea that was recalled some years ago, in order to hit the attention of the sailors from the greatest distances”.
The image of the Carrara marbles’ whiteness, very frequently fixed in the tradition, hides in reality an extraordinary richness in chromatic and textural varieties, that distinguish this kind of materials with a homogenous, delicate and compact saccaroid structure. Indeed Apuan marbles, extracted in the docks of Torano, Fantiscritti or Colonnata, can be white with more or less intense nuances coloured in cream or grey-blue, or even in some cases with darker grey colours; textures can be subtly veined, or more boldly arabesque-like or opaque.


Tabla Bianca table, designed by Antonio Campo Baeza for Pibamarmi and manufactured in Bianco Lavagnina marble (ph Giovanni De Sandre)

In parallel to such a variety of aspects there’s a high multiplicity of denominations: Bianchi, Bianchi Chiari, Bianchi Venati, Statuari, Cipollini, Crema Delicati, Arabescati, Calcatta, Bardigli; and the specifications of the place of excavation can be often added as in the case of Bianco Lavagnina, that can be found in the homonymous quarry of the Colonnata dock on the slopes of Mount Gioia. This material, characterized by a very light grey homogenous tone, presents subtle darker streaks; the excavation site is carried on generation after generation by Carlo Telara, a firm based in Carrara consolidated by a family tradition exporting materials all over the world and keeping the Apuan marble in contact with the creative contributions of contemporary architects and artists.
The meeting of the Bianco Lavagnina and one of the principal protagonists of contemporary architectural culture happened during the last edition of the Marmomacc fair in Verona: in this occasion, in fact, Alberto Campo Baeza, Spanish architect of established international fame, employed this material to give life to the refined project of “La Idea Construida”, exhibition pavilion for the stone brand PIBAMARMI.
The interior of the structure, centred on the theme of the relationship between stone, light and time, has been offered to the visitors as a void space for resting and meditation, immersed in the penumbra and animated by the slow passage of luminous rays over the natural surfaces in Apuan marble, that was cut in big squared modules employed to continuously cover the walls and the floor of this essential stone chamber.
The architect has then declined the Bianco Lavagnina in the design of a big table with a monolithical surface and a metallic structure, where the interpretation of the characteristic of the marble are brought to particularly refined solutions. Campo Baeza himself clearly explains the reason of his choice: “Carrara marble is marvellous and sublime, it was certainly the most appropriate material to create this stone chamber crossed by a reproduction of the solar light in movement; a Greek white marble would have been too homogenous, too artificially perfect, it wouldn’t have been so vibrating and it wouldn’t have allowed to be caressed by the passage of luminous flows; this Carrara marble, with its very subtle veins, with its soft and warm grey nuances, with its natural grain, is universal and eternal”.

by Davide Turrini

See also:
Intervista ad Alberto Campo Baeza
Bianco Lavagnina
Pibamarmi
Carlo Telara

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29 Novembre 2009

News

IPOSTUDIO
La concretezza della modernità

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27 Novembre 2009

Appunti di viaggio

Disappunti di Viaggio

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Striscione all’ingresso della città di Sagunto, Spagna.

Tristemente le grandi opere si trascinano le meschine vicende politiche che le hanno accompagnate, i nuovi barbari che prendono possesso del territorio, quand’anche democraticamente eletti, hanno l’estrema necessità di demolire i simulacri della precedente reggenza.

A seguito di una sentenza definitiva del Tribunale Supremo Spagnolo il Teatro Romano di Sagunto, restaurato su progetto di Giorgio Grassi e Manuel Portaceli, dovrà essere demolito entro 18 mesi.
Questi sacerdoti neo-pagani chiedono dunque il sacrificio sull’altare di quest’opera della comunità Valenciana; solo immolando la bellezza placheranno l’ira degli déi.

Dovendo forzatamente subire una perdita io proporrei un piccolo sondaggio inutile agli affezionati del Blog, vorrei sottoporre tre architetture contemporanee di Valencia per poi decidere quale delle tre avviare al sacrificio.

N. 1
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Teatro Romano di Sagunto, Giorgio Grassi e Manuel Portaceli, Sagunto 1993.

N. 2
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Palau de les Arts, Santiago Calatrava, Valencia 2005

N. 3
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Veles e Vents, David Chipperfield e B720 Arquitectos, Valencia 2006

Attendo fiducioso l’adesione al sondaggio.

Damiano Steccanella

Per informazioni sulle vicende del Teatro di Sagunto:
Ordine Architetti Milano
Appunti di vista
Fabio Pravettoni

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25 Novembre 2009

Letture

La colonna. Storia di un elemento costruttivo

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La copertina del volume curato da Roberto Gargiani

La colonne. Nouvelle histoire de la construction
a cura di Roberto Gargiani
Losanna, Presses Polytechniques et Universitaires Romandes,
2008, pp. 538, ill.
prezzo: 59,00 euro

Il libro in lingua francese raccoglie 48 saggi di illustri studiosi incentrati sul tema della colonna. Nel corso della storia tale elemento costruttivo è diventato emblematico degli archetipi e di numerosi stili dell’architettura; spesso percepito come il simbolo di una cultura accademica, esso è comunque sopravvissuto evolvendosi nell’architettura contemporanea, essenzialmente come elemento verticale sottile di strutture complesse, utilizzato per liberare lo spazio dalla presenza di murature o piedritti più imponenti. Perlopiù realizzata in pietra, ma anche metallica o concretizia, la colonna ha attraversato così, senza soluzione di continuità, la storia dell’architettura del mondo occidentale, declinata in una molteplicità di aspetti formali, tecnici e materici che il volume restituisce con efficacia e completezza di analisi.

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Spazio colonnare di Karl Friedrich Schinkel per un padiglione da caccia (1866), dagli apparati iconografici del volume.

Tra i numerosi saggi da segnalare all’interno dell’opera quelli di Jean Pierre Adam e Pierre Gros sulle colonne nell’Antichità; quelli di Jacques Heyman e Philippe Plagnieux sui pilastri compositi medievali; quelli di Bertrand Lemoine e Carol Gayle sulle colonne metalliche tra Europa e America nell’architettura ottocentesca e, infine, quelli di Anna Rossellini, Sergio Poretti e Marco Pogacnik sulle colonne nell’opera dei Grandi Maestri del Novecento.
Anche lo stesso Roberto Gargiani, curatore del volume e docente di Storia dell’architettura al Politecnico di Losanna, firma alcuni contributi sulla colonna nel Quattrocento italiano, nella regola di Serlio e nella pratica costruttiva di Giulio Romano.
Il libro fa parte di una collana che si rivolge a studiosi di storia dell’arte e dell’architettura, ma anche ad architetti e ingegneri interessati alla teoria e alla pratica delle costruzioni; altri volumi della serie riguardano l’evoluzione delle scale e la storia dei monoliti come elementi strutturali e simbolici.

di Davide Turrini

Vai a: Presses Polytechniques et Universitaires Romandes

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23 Novembre 2009

Pietre Artificiali

Auditorium e centro congressi a Fuerteventura, Menis Arquitectos

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Alcune rappresentazioni del progetto. Fernando Menis, 2009

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Posizione privilegiata quella prescelta per il futuro Auditorium di Fuerteventura: all’estremo sud dell’isola in prossimità delle spiagge chiare di Morro Jable, guarderà l’oceano ma restando saldamente innestato nei rilievi vulcanici della terra ferma.
A vincere il primo premio del concorso per la realizzazione dell’opera (da concludersi entro il 2012), è l’architetto spagnolo Fernando Menis, con un progetto che non smentisce le sue originali scelte linguistiche.
Con lo slogan “paesaggio tellurico”, il centro polifunzionale è prefigurato come un imponente complesso di volumi realizzati con intenzione “mimetica” rispetto al territorio. Come agglomerato di rocce che emergono dal sottosuolo, l’edificio sembra incluso nell’ordine naturale dell’isola, misurando lo spazio e la luce secondo le leggi di una geometria che per scala e dimensioni è la misura stessa della natura, non quella dell’uomo.
Il progetto prevede un centro congressi e auditorium, nonché altri servizi quali una scuola di musica con annessa biblioteca, tutto innestato in un edificio che come una “spugnosa” caverna si adatti alle differenti situazioni, flessibile, attrezzato acusticamente per eventi di ogni tipo, nonché pensato per un basso consumo energetico.
La fonte d’ispirazione per l’architetto spagnolo è ancora una volta la materia prima locale, la roccia e la conformazione topologica delle isole. Lavora con modelli rappresentati in scala da plasmabili crete, modella frammenti di rocce, per trovare la specifica natura formale di ciascun progetto cui si dedica. Menis non demorde nella costante e “concreta” ricerca sulla forma e sulla materia. Come nel caso del Magma Arts di Tenerife anche questo progetto cerca forza e visibilità in un materiale che sembri scavato nella roccia, come si trattasse di un fossile, di una rovina.
Forse nella mente dell’architetto è, per le Isole Canarie, un prossimo futuro dove puntuali opere di architettura concepite con l’espressività materica e formale che grazie alla professionalità maturata è in grado di realizzare, creano una costellazione di eccezionale sensibilità opponendosi allo sviluppo convenzionale dell’edilizia circostante.

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Modello plastico rappresentante i volumi del complesso

di Veronica Dal Buono

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20 Novembre 2009

Eventi

MARMOMACC
Formazione – Costruire con la Pietra
Strategie di progettazione lapidea nelle università italiane

Seconda Parte

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Uno scatto fotografico della Tavola Rotonda di Verona, 1 ottobre 2009

Politecnico di Bari, facoltà di Architettura

Giuseppe Fallacara porta con sé la ricca esperienza sui temi della pietra offerta dai corsi compresi all’interno del ciclo di studi per la laurea in Architettura presso il capoluogo pugliese. Su impulso del professor Claudio D’Amato Guerrieri, che da oltre dieci anni ha posto i temi litici al centro dei contenuti della facoltà, la progettazione in pietra è qui considerata in senso globale, come fatto culturale: le applicazioni lapidee sono connaturate al territorio pugliese, specialmente nel senso delle applicazioni di vera e propria costruzione, oltre che di mero rivestimento. L’attività di ricerca condotta all’interno della facoltà, anche contestualmente alle tesi di laurea indaganti in particolar modo gli usi costruttivi lapidei, ha permesso pure quest’anno d’affrontare sfide giunte sino alla realizzazione concreta, come già è accaduto ad esempio per l’Escalier Ridolfi, proposta a Marmomacc 2005 nelle occasioni della mostra L’Arte della Stereotomia. I Compagnons du Devoir e le meraviglie della costruzione in pietra, ed ora in produzione presso una nota azienda di lapidei.
Fallacara testimonia come la sperimentazione entro gli ambiti universitari sia ancora possibile, specialmente mediante realizzazioni concordate e condivise con le aziende; in questo senso, forse ancor più che in Italia l’interesse risulta vivo oltre confine. Ci riporta infatti l’esperienza condotta dal Politecnico di Bari con l’Ecole d’Architecture Paris Malaquais e sostenuta dalla SNBR francese, la cui nuova sede si è costruita poggiando su una teoria di archi litici a curva parabolica, secondo gli insegnamenti della stereotomia francese. Seguendo la stessa direzione, è la volta quest’anno di un arco sospeso a sbalzo, una foglia in pietra capace di autoreggersi e costituire, ancor più se moltiplicata in elementi affiancati, sostegno per strutture di copertura per spazi aperti.

Università degli Studi di Trento, Corso di Laurea in Ingegneria Edile – Architettura U.E.
Giorgio Cacciaguerra ha ripercorso rapidamente la storia di questo fortunato corso di laurea, giunto a Trento dopo Roma, Pavia, L’Aquila, quale quarta città italiana. Oggi si contano sul territorio nazionale oltre 20 proposte di questo piano di studi, che si caratterizza per l’avere una struttura di insegnamenti fissa ed immutabile per la quasi totalità delle materie: è così infatti per 27 esami su 29. In questa condizione non pare possibile, a differenza delle altre facoltà di Architettura, l’inserimento di corsi specifici diversi, ad esempio orientati al mondo lapideo. L’unica strada fino ad ora ritenuta praticabile è risultata essere quella della creazione di moduli specifici all’interno dei laboratori di sintesi esistenti, particolarmente indirizzati alle tesi di laurea. È dunque attivo secondo queste modalità un corso di progettazione in pietra. La recente prospettiva di nuove direttive ministeriali sui temi dell’organizzazione interna agli atenei e del corpo docente getta ora ombre sulla possibilità di proseguire su questa strada, da riverificare.
Il piano di studi continua comunque a riscuotere un grande successo nel numero di studenti. Inizia forse ora a segnare il passo per il vincolo di non modificabilità dei corsi; sarebbe dunque opportuno un aggiornamento nel piano di studi.

Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Corso di Laurea in Ingegneria Edile – Architettura U.E.
Marco Ferrero è professore associato di architettura tecnica. Analogamente a quanto avviene a Trento,
il corso è quinquennale a ciclo unico, anche in questo caso bloccato quanto a materie ed esami del piano di studi.
Particolarmente ora, con l’occasione contingente di un avvicendamento fra docenti alla guida di alcune cattedre, si vede la possibilità d’inserire in modo più strutturato, all’interno di un laboratorio di sintesi, un modulo incentrato sulle applicazioni lapidee, che affronti il tema sia sotto il profilo storico, sia tecnico, sia affrontando i temi dell’espressività linguistica della pietra, sia quelli derivanti dalla costruzione. Fino ad ora l’esperienza è stata condotta solo nelle opportunità offerte dagli specifici argomenti di tesi affrontati dai singoli studenti; ma in tali momenti è emersa una condivisione d’intenti fra docenti di corsi diversi che ha in certa misura supportato l’idea, che prende corpo ora, della presenza più strutturata dei temi lapidei all’interno degli insegnamenti.

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L’arco sospeso a sbalzo, mostrato da Giuseppe Fallacara.

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Università degli Studi di Padova – facoltà di Ingegneria
Angelo Bertolazzi esprime il desiderio di approntare un corso, od un modulo all’interno di un corso, che indaghi il tema delle applicazioni lapidee entro le possibilità offerte dai piani d’insegnamento dell’Università degli Studi di Padova. Utile si è rivelata in proposito la possibilità del confronto offerto dalla tavola rotonda di Marmomacc, che ha messo in luce esperienze analoghe sia d’intenti, sia di strategie possibili entro i piani di studi simili per interesse a quello di Padova. Ripercorrendo le esperienze già vissute da altri atenei, la prima possibilità pare dunque essere quella di concentrarsi sui laboratori finalizzati alle tesi di laurea, cercando inoltre di costituire un gruppo fra docenti accomunati da disponibilità, interessi ed intenti affini alla materia, particolarmente individuati ora all’interno delle aree d’insegnamento di composizione, tecnica e rappresentazione.

Università degli Studi di Bergamo, Corso di Laurea in Ingegneria
Piero Primavori porta il contributo della personale esperienza, con una formazione sui temi della geologia che lo ha portato a collaborare con molte primarie aziende del settore lapideo, ora a disposizione di un corso di Tecnologie e impiego dei materiali lapidei presso l’Università di Bergamo sostenuto anche da finanziamenti privati, secondo una convenzione per ora attiva per una durata di 3 anni. Sono iscritti circa 50 studenti.
Primavori testimonia il grande interesse con cui è seguito il corso, che ha una specifica attenzione agli aspetti scientifico-geologici della materia lapidea piuttosto che alle sole modalità applicative nel mondo delle costruzioni. Il motivo, che abbiamo riportato quale assunto principale ad introduzione e guida interpretativa di questo resoconto, risiede forse proprio nel fatto che esiste oggi una distanza davvero molto estesa fra il mondo della produzione e le figure professionali degli ambiti della progettazione. Occorre lavorare molto su questo aspetto.

Ha terminato i lavori della giornata l’intervento conclusivo di Vincenzo Pavan: ha ricordato come Marmomacc, punto di contatto speciale, per vocazione, fra progettisti e mercato, non possa particolarmente indirizzare la produzione, ma come certamente possa intervenire, e di fatto interviene, sulla formazione. Le azioni che promuove sono tutte volte a supportare logisticamente e concretamente i corsi e le iniziative varie di insegnamento, capaci di condurre interessi sempre maggiori non solo nel numero ma soprattutto nelle competenze, ai temi molteplici della pietra.
Auspica quindi che, tra le sedi universitarie che hanno fino ad oggi dato vita a corsi e master litici o ne hanno inserito i contenuti in corsi di composizione o laboratori di sintesi, si intensifichi l’interscambio delle esperienze effettuate ma soprattutto si elaborino proposte per allargare questo circuito ad altre sedi, e creare un più intenso intreccio di saperi ed esperienze con le realtà produttive del settore lapideo nei rispettivi territori.
Tali proposte dovrebbero essere oggetto di un prossimo incontro tra università, allargato ad altre sedi e all’area produttiva, da effettuarsi nella primavera 2010.
Viene inoltre annunciata, quale importante anticipazione rispetto all’edizione di prossimo Marmomacc 2010, l’istituzione della nuova sezione del premio “Architetture di pietra”, dedicata alle migliori tesi di laurea.

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Un elaborato di tesi di laurea presso l’Università “La Sapienza” di Roma.

di Alberto Ferraresi

Leggi la Prima Parte

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(Vai al sito dell’Università degli studi Trento)
(Vai al sito dell’Università degli studi “La Sapienza” di Roma)
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18 Novembre 2009

Eventi

MARMOMACC
Formazione – Costruire con la Pietra
Strategie di progettazione lapidea nelle università italiane

Prima Parte
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Uno scatto fotografico della Tavola Rotonda di Verona, 1 ottobre 2009

La realtà quotidiana della professione negli ambiti della pratica architettonica ed edile in genere denuncia con evidenza oggi il divario ampio esistente fra mondo della produzione lapidea e mondo della progettazione. I sintomi più chiari di questa condizione di malessere sono, con attenzione alle potenzialità della pietra, specialmente: la generale qualità dei progetti via via più appiattita e livellata, la scelta sempre più orientata ad applicazioni di rivestimento anziché di costruzione in pietra, la scarsa conoscenza del materiale e delle sue doti, così come dei suoi modi davvero molteplici per essere declinato in senso costruttivo. In parte causa ed in parte esso stesso effetto, anche il mondo della produzione tende frequentemente ad arroccarsi sempre più entro gli usi di un fare quantitativo, talvolta ripetitivo, esponendo il fianco alle critiche della poca intraprendenza e del disinteresse a conservare la memoria dei saperi tecnici del passato.
Da tempo Marmomacc si sta impegnando per abbreviare questo innaturale distacco fra le parti, non solo offrendo interventi volti a stimolare i produttori alla ricerca, all’innovazione, all’aggiornamento critico della produzione; ma anche sostenendo e promuovendo, talvolta proprio in prima persona, percorsi universitari e post universitari mirati.
La tavola rotonda di 1 ottobre scorso rappresenta definitivamente la volontà d’attribuire all’appuntamento una cadenza annuale, dopo il primo incontro dell’anno passato. Con l’occasione,Vincenzo Pavan annuncia l’istituzione, dal prossimo anno, anche di una nuova sezione del premio “Architetture di pietra” dedicata alle migliori tesi di laurea.

Università degli Studi di Ferrara, facoltà di Architettura e facoltà di Design del prodotto industriale
Alfonso Acocella e Vincenzo Pavan tengono il corso dal titolo Costruzioni in pietra, inserito nel percorso di studi per la laurea in Architettura. Il corso, opzionale, ha confermato anche nell’ultimo anno le adesioni per un numero di circa 20 studenti, e ciò è considerato un buon risultato tenendo presente il numero chiuso ferrarese ridotto, nel quinto anno, a circa 130 unità e, contemporaneamente, all’offerta ampia di corsi opzionali a disposizione degli studenti. L’insegnamento, che si avvale del supporto di aziende primarie del settore e del sostegno di ricercatori d’area tecnologica, trova spunto e, contemporaneamente, ricaduta di contenuti, su Architetturadipietra.it.
Analogamente all’anno precedente il corso si è fatto promotore di incontri e conferenze sul tema litico allargate ad altri corsi della Facoltà, con lectio di personalità di alto profilo come Gilles Perraudin e Fernando Menis.
Oltre al corso opzionale inserito all’interno del ciclo quinquennale, quest’anno ha preso avvio un nuovo corso di laurea in design, per la durata complessiva di tre anni, che ha registrato da subito un ottimo riscontro nel numero d’iscritti. All’interno del percorso di studi il design litico trova proprio specifico spazio, ed in questa luce risulta di particolare interesse la possibilità di formare la figura del “designer”, da sempre depositario, nell’immaginario collettivo, di una maggiore libertà d’azione creativa nelle proprie occasioni di progetto.
Da principio il corso ha ricercato, e già ora vanta, la collaborazione strategica con nomi di eccellenza nell’ambito della progettazione, come ad esempio Michele De Lucchi, cui è affidata la prolusione in apertura del primo anno di insegnamenti.

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Elaborati di una studentessa del corso Costruzioni in pietra di Ferrara.

Politecnico di Milano – Polo Regionale di Mantova, facoltà di Architettura
Massimiliano Caviasca ha illustrato i tratti principali di due corsi: il corso a Mantova per studenti, ma aperto anche a professionisti, dal titolo Progettazione Contemporanea con la pietra, ed il Master con sede a Milano Architettura e costruzione. Progettazione contemporanea con la pietra.
Il primo, di cui è coordinatore, conta ormai circa 35 partecipanti ogni anno. Si tratta di un corso di 60 ore, istituito con la precisa finalità di “sviluppare una figura professionale altamente specializzata, ed in grado di interpretare, realizzare opere contemporanee, o conservative nelle discipline attinenti la progettazione in pietra”.
Il Master, co-diretto assieme a Marina Molon, ospita nella sua prima edizione 7 partecipanti e prevede 15 mesi di didattica, oltre a tirocini e tesi (sarà forse possibile valutare le prime in occasione della prossima edizione di Marmomacc). Animato dalle medesime finalità generali del corso con sede a Mantova, il master garantisce maggiori opportunità di ulteriore approfondimento sui temi lapidei negli ambiti storico-critico, tecnico-esecutivo, e progettuale, opportunità direttamente finalizzate alla professione, nelle sue diverse sfaccettature.
All’interno dei due corsi di studi assumono ruolo primario i workshop, sostenuti da importanti partecipazioni aziendali. Uno di questi workshop ha preso corpo proprio a Verona entro gli spazi offerti da Marmomacc, durante i giorni dell’esposizione fieristica. Nell’ottica della maggiore estensione possibile dei saperi e delle nozioni, sono ben avviati contatti internazionali con atenei non solo italiani ed europei, cui seguiranno rapporti di interscambio fra docenti. Con la medesima finalità, interessante risulta l’integrazione cercata fra professionisti iscritti ai corsi e studenti, anche in funzione del diverso apporto di esperienza e di approccio alle mansioni di progetto. È importante l’esposizione a Marmomacc di alcune sperimentazioni frutto degli approfondimenti dei corsi, utilizzando particolarmente lo scarto. Inoltre nell’area “blocchi”, in esterno, la distanza fra azienda e mondo della formazione si è ridotta fino al contatto: in uno spazio di 10 m x 11 è stata eseguita un’installazione espositiva su progetto degli studenti.

Università degli Studi di Chieti, facoltà di Architettura di Pescara
Domenico Potenza, ricordando il passato recente, registra da subito un’inversione di tendenza: dopo circa 15 anni non è più l’Università a cercare il contatto con Marmomacc, ma è Marmomacc a sentire il bisogno di entrare nell’Università – abbiamo condiviso e fatto nostro questo assunto nei ragionamenti iniziali del nostro resoconto. Potenza condivide la necessità sempre più forte ed urgente di far conoscere la materia, anche, ed è una proposta, mediante concorsi riservati a studenti appena avviati alla professione; ciò testimonierebbe infatti idealmente la conclusione del percorso d’insegnamento, la chiusura della fase formativa universitaria che ha accolto lo studente dai suoi studi superiori e lo ha portato al mondo del lavoro. La stessa facoltà mira a riproporre del resto l’esperienza del tavolo di lavoro professionale nella pratica di studio entro i muri dell’accademia. Nella medesima direzione di quest’iniziativa muove anche la pubblicazione del volume Involucri lapidei – l’uso della pietra per l’abitare contemporaneo1, in cui si suggella la condivisione dell’interesse e dell’obiettivo lapideo fra differenti docenti di differenti corsi, all’interno della medesima facoltà.
Nella contingenza dei fatti tragici avvenuti a L’Aquila, e nella vicinanza oltre che umana, anche geografica a chi ha subito direttamente le conseguenze del sisma, è proposta la possibilità, ai fini dell’approfondimento della costruzione in pietra, di un’occasione di studio da organizzarsi entro gli spazi colpiti dal terremoto.

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La copertina del volume.

di Alberto Ferraresi

Nota

1 Tiziana Latorre e Natalia Risola (a cura di), Involucri lapidei – L’uso della pietra per l’abitare contemporaneo, Claudio Gerenzi Editore, Foggia, 2009, pp. 72

Leggi la Seconda Parte

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