Cave a cielo aperto sul Monte Ceceri (Fiesole) in un’immagine d’epoca degli inizi del Novecento (Archivio Storico dl Comune di Fiesole, FI300)
Riveggo le cave di fronte, in attività come allora, le cave della tua pietra serena, Firenze.1
È con le parole di Bruno Cicognani, scrittore verista toscano, che vogliamo intraprendere un nuovo viaggio attraverso l’utilizzo della pietra serena nel corso della storia. Un viaggio virtuale che tenterà di indagare i processi culturali che hanno contribuito al formarsi di un legame inscindibile tra la storia di un popolo e quella delle risorse della sua terra, che tenterà di comprendere la scelta di un determinato litotipo quale segnale di riconoscimento dell’identità di un territorio, che tenterà di rileggere il linguaggio parlato da questo materiale attraverso i secoli.
A partire dal Rinascimento fino ai primi del Novecento, la pietra serena è stata infatti uno dei principali materiali utilizzati dai protagonisti della storia dell’arte e dell’architettura del territorio fiorentino; le tappe di questo viaggio saranno quindi dedicate alla rilettura delle loro opere attraverso una nuova attenzione nei confronti del ruolo assunto da questa pietra nella loro realizzazione. A dimostrazione della rilevanza culturale rappresentata dal permanere dell’utilizzo di questo materiale nel campo produttivo contemporaneo, saranno inoltre individuate le tipologie artistico-architettoniche che hanno accompagnato lo sviluppo di una tradizione artigianale di cui il territorio fiorentino e la figura dello scalpellino si sono resi protagonisti.
Pietra e cave storiche
Detta “macigno” piuttosto che “pietra serena”, probabilmente a causa del suo colore azzurro come il cielo, questa arenaria di origine sedimentaria-torbiditica ha avuto da sempre un indissolubile legame con la città di Firenze e i territori a questa limitrofi. Ormai cavata quasi esclusivamente dai rilievi di Firenzuola, in quel territorio detto della Romagna Toscana, a partire dall’antichità e fino agli anni Sessanta del Novecento veniva estratta dalle montagne addossate alla conca della città. Sia a nord che a sud di Firenze, troviamo infatti rilievi formati da arenaria caratterizzata da grana più o meno fine. L’arenaria “macigno” o “macigno del Chianti”, a grana medio-grossa, si trova a sud e ad ovest dell’agglomerato urbano, nelle località di Gonfolina, Carmignano, Montebuoni e Tavarnuzze. L’“arenaria di Monte Modino”, a grana medio-fine, affiora invece nelle località settentrionali di Fiesole, Settignano e Vincigliata – Monte Ceceri.2
Pianta schematica della piana di Firenze e Prato (tratta da: Francesco Rodolico, Le pietre delle città d’Italia, Le Monnier, Firenze, 1953, p. 243)
A sud di Firenze, lungo la valle della Greve e verso ovest, nei pressi di Signa, in corrispondenza della confluenza del torrente Ombrone con il fiume Arno e di quella strettoia detta Gonfolina che separa il Valdarno superiore da quello inferiore troviamo, ormai inattive, numerose cave di pietra serena. A cielo aperto ma con frequenti prosecuzioni sotterranee conosciute come “cave fitte” o “latomie”, queste cave risalgono in parte all’epoca medioevale ma, in maniera più frequente, al periodo rinascimentale.3
A partire dal Quattrocento, la crescente richiesta di questo tipo di pietra e la vicinanza di questa zona al fiume Arno, per secoli utilizzato come via di comunicazione tra Firenze e Pisa, porta all’apertura di numerosi siti estrattivi. La qualità del materiale e la facilità del trasporto incentivano la scelta di queste cave per la richiesta di elementi architettonici monolitici da parte dei cantieri di entrambe le città. A Pisa, viste le scadenti caratteristiche dell’arenaria macigno presente presso la vicina località di Filettole, la pietra serena utilizzata proviene quasi esclusivamente da questa zona, tanto da essere generalmente conosciuta come “pietra gonfolina”.4
Tuttavia, la diminuzione della disponibilità di manodopera, insieme alla necessità di materiale più facilmente lavorabile oltre che più economico e adatto alla lavorazione industriale portano, alla metà degli anni Sessanta del Novecento, alla definitiva chiusura di queste cave.
Cava del Braschi, Monte Ceceri
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A settentrione di Firenze si trova invece la pietra serena più utilizzata nei cantieri storici della città; si tratta di quella pietra cavata dal “paesaggio fiesolano” che Cicognani descrive come crudo lucido violento, decisamente allegro, decisamente tragico: potente di realtà e di sogno.
Di grana più fine e uniforme rispetto a quella della Gonfolina, la pietra di Fiesole e di Monte Ceceri, oggi divenuto “Parco”, è presente nella maggior parte dei monumenti rinascimentali fiorentini.5 Utilizzata fin dall’epoca degli etruschi, questa inizia ad essere cavata in maniera organizzata a partire dal Duecento avviandosi a divenire la base del sistema economico e sociale della zona. Nel corso del Quattrocento, la maggior richiesta di questo materiale porta all’apertura di cave anche nella valle del Mugnone, a Vincigliata e a Settignano.
Latomia sul Monte Ceceri
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Una pietra di alto pregio si trova nella valle della Mensola, nei pressi di Maiano; Vasari la ricorda come la “pietra del fossato” e la cava è conosciuta come “cava delle colonne”. La varietà, formata da elementi clastici uniformi e di misura ridotta e caratterizzata da elevate caratteristiche meccaniche, è detta “sereno gentile”; utilizzata da Brunelleschi nelle chiese di Santo Spirito e di San Lorenzo e da Michelangelo nella Biblioteca Laurenziana, è particolarmente adatta alla modellazione di sculture ornamentali e colonne portanti.
Tuttavia, nonostante il fatto che il naturalista settecentesco Targioni Tozzetti, nelle sue “Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana” scriva che la pietra serena di Fiesole si continuerà a cavare finché durerà il mondo, la seconda metà del Novecento vede la chiusura anche di queste cave.
Veduta aerea di alcune cave a nord di Firenzuola
A sopravvivere all’avvento della produzione industriale e all’acquisizione di manodopera da parte dell’industria tessile pratese è il territorio di Firenzuola. Probabilmente a causa della lontananza dalla zona urbanizzata di Firenze, della cospicua disponibilità di materia prima e della modernizzazione delle tecniche di estrazione e lavorazione utilizzate, Firenzuola rappresenta, oggi, l’unico comparto industriale che si occupa di pietra serena sul territorio nazionale.
Estratta in maniera sporadica fin dall’antichità, a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento la pietra serena di questa zona diviene protagonista di un’attività allargata e costante. I 5000 mc di pietra cavati nel 1965 divengono, nel corso di pochi decenni, circa 50.000, tanto da acquisire ruolo identitario del territorio ospitante, dal 2002, il “Museo della Pietra Serena”, inserito all’interno del più ampio “Museo Diffuso” del Mugello, Alto Mugello e Val di Sieve.
Cava di pietra serena nei pressi di Firenzuola
Un materiale antico
Se la pietra serena viene identificata da Cicognani come “la pietra di Firenze”, capace di produrre echi di lontani ricordi di un’infanzia tardo-ottocentesca, per comprendere appieno la trasformazione in assioma della corrispondenza tra questa materia e il suo territorio, appare tuttavia indispensabile risalire ad epoche ben più remote. Popoli come gli etruschi, i romani, i longobardi, avevano infatti già compreso le potenzialità di questa risorsa anticipandone il successo quattrocentesco che, a Firenze, la vede eletta materia capace di dare forma tangibile ai nuovi principi del Rinascimento.
omba di Montefortini nei pressi di Artimino (foto Marco Becagli)
Nel VI secolo a.C, la civiltà etrusca utilizza la pietra serena già in maniera sistematica. Non è un caso che molte delle antiche cave, sia a nord che ad ovest della città, sorgano a ridosso di alcuni dei più importanti siti dell’Etruria settentrionale, come Artimino e Fiesole. A testimonianza dell’ampio utilizzo della pietra estratta nelle cave limitrofe e della bravura nel lavorarla da parte di questa antica civiltà troviamo i possenti blocchi lapidei formanti le mura fiesolane e le numerose lastre squadrate presenti nei siti tombali: la porta di chiusura della tomba di Montefortini è in arenaria macigno come alcune parti della tomba di Boschetti, della necropoli di Prato Rosello e della sepoltura di Grumulo situata sopra le cave della Gonfolina.
Nel I secolo a.C. i romani la utilizzano nell’edilizia pubblica affiancandola spesso al marmo; ma successivamente e fino all’XI secolo, la troviamo impiegata solo in alcune tombe longobarde e nell’edilizia minore dei borghi. È con la costruzione della Cattedrale di Fiesole, risalente al 1030 circa e ampliata dal 1200, che la pietra serena torna al centro di una vera tradizione artigianale che raggiungerà il suo massimo splendore circa tre secoli dopo.
A partire dall’antichità fino all’epoca contemporanea, le tecniche di estrazione e di lavorazione si affinano gradualmente. Nell’antichità l’attività del cavatore è prevalentemente manuale e solo in tempi più recenti si accompagna all’utilizzo dell’esplosivo. Per lungo tempo, di conseguenza, le cave attive sono quelle dove gli strati qualitativamente migliori appaiono scoperti in natura; il poco materiale di copertura può essere rimosso con pale, picconi e marre.6 L’estrazione, effettuata tramite il massimo sfruttamento delle naturali discontinuità della roccia, avviene tramite la tecnica della “fitta” o quella della “formella”, entrambe basate sull’utilizzo di cunei e tronchi di legno che, bagnati e forzati, provocano il distacco del pezzo. Questo viene lavorato, almeno per la prima sbozzatura, sul piazzale di cava con una serie di strumenti, corti o a manico, che vengono utilizzati in maniera più o meno costante attraverso i secoli.7
Scalpellini al lavoro presso le cave di Maiano (Archivio Storico dl Comune di Fiesole, FI306)
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Gli assoluti protagonisti di questi luoghi quasi surreali rimangono per secoli gli scalpellini, uomini che alla pietra dedicano l’intera vita. Il mestiere dello scalpellino, dal latino “scalpere”, grattare, incidere, tagliare, diviene nel corso dei secoli, nelle zone di lavorazione della pietra e in particolare nei territori di Fiesole e Settignano, un modello culturale coeso capace di tramandarsi di padre in figlio e di rappresentare l’identità sociale di un popolo.
Gli scalpellini si dividono tra capomastri e garzoni: i primi sono i proprietari o gli affittuari delle cave e delle botteghe sotto le cui dipendenze lavorano i secondi. Lo scalpellino lavora il blocco di pietra secondo una vera e propria arte del tagliare e modellare, assumendo allo stesso tempo il ruolo di tagliatore, incisore, ornatista e decoratore. Tramanda il proprio mestiere alle nuove generazioni insegnando la maestria dell’estrarre la pietra e del lavorarla nella sua espressione più alta, attraverso il ritmico picchiettio di subbie, scalpelli, martelline e bocciarde capaci, nelle sue mani, di trasformare il pezzo in opera d’arte. Il suo è un mestiere antico, che se ormai appartiene ad un passato sempre più lontano, merita di essere ricordato, studiato e raccontato nel tentativo di non perderne la preziosa traccia, senza la quale il patrimonio lapideo tramandatoci dal passato non potrebbe essere compreso nella sua pienezza.8
La figura dello scalpellino e la sua arte ci accompagneranno in questo viaggio attraverso la riscoperta delle opere in pietra serena che hanno partecipato al formarsi della storia dell’architettura, dell’arte, del design e dell’arredo urbano del territorio fiorentino aiutandoci a comprendere, attraverso una chiave di lettura nuova, quale sia stato il processo produttivo e umano, oltre che culturale, che sta alla base di alcuni dei più importanti simboli della storia fiorentina.
di Sara Benzi
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Comune di Firenzuola
Le cave storiche di pietra serena a Firenze
Casone
Note
1 B. Cicognani, L’età favolosa, Garzanti, Milano, 1940, p. 494.
2 Per un approfondimento sul tema si veda: Francesco Rodolico, Le pietre delle città d’Italia, Le Monnier, Firenze, 1953; Daniela Lamberini, a cura di, Le pietre delle città d’Italia – Atti della Giornata di Studi in onore di Francesco Rodolico, Le Monnier, Firenze, 1995; Alberto Bartolomei, Franco Montanari, a cura di, Pietra serena – Materia della città, Aida, Firenze, 2002; Luigi Marino, a cura di, Cave storiche e risorse lapidee – Documentazione e restauro, Alinea, Firenze, 2007.
3 Sebbene l’estrazione della pietra vi esistesse già intorno al V secolo a.C., i primi riferimenti documentari che citano l’esistenza delle cave della Gonfolina risalgono al 1124 e al 1269, come testimoniano i naturalisti Giovanni Targioni Tozzetti ed Emanuele Repetti, rispettivamente in: Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, (Stamperia granducale per Gaetano Cambiagi, Firenze, 1768-1777) e Dizionario geografico fisico storico della Toscana, (coi Tipi di Gio. Mazzoni, Firenze, 1846).
4 L’incremento dell’attività estrattiva, sebbene avvenuto a fasi alterne porta, all’inizio del Novecento, alla presenza di circa sessanta cave attive dislocate a nord e a sud del corso del fiume.
5 Il Parco di Monte Ceceri, con la sua superficie di 44 ettari, nel 2001 è stato riconosciuto dalla Regione Toscana come “Area Naturale Protetta”. Questa, oggi attraversata da percorsi turistici comprendenti alcune delle antiche antiche cave ormai inattive, è il risultato di un’opera di rimboschimento e manutenzione cominciata a partire dal 1929 e proseguita, a fasi alterne, durante tutto il Ventesimo secolo.
Per un approfondimento sul tema si veda Elena Maria Petrini, a cura di, Il Magno Cecero – Il Parco della pietra serena a Fiesole, guida alla mostra tenutasi nella Palazzina Mangani dal 23 novembre al 9 dicembre 2001 con il patrocinio del Comune di Fiesole, Firenze, Polistampa, 2001.
6 I livelli migliori vengono detti “banditi” in quanto cavati solo con il permesso governativo (bando) o per opere pubbliche.
7 Per un approfondimento sulle tecniche di estrazione della pietra serena e sugli strumenti e le tecniche utilizzati si veda Matti Kalevi Auvinen, L’arte lapidea a Settignano: arnesi, opere e documenti, catalogo della mostra tenutasi a Settignano tra 20 maggio e il 17 giugno 2001, Settignano, Vannella, 2001.
8 Per un approfondimento sul tema si veda: Carlo Salvianti, Mauro Latini, La pietra color del cielo – Viaggio nelle cave di pietra serena del Montececeri, Minello Sani, Firenze, 1988; Giorgio Carli, La pietra di Firenzuola – Cultura manuale e architettura popolare, Giorgi & Cambi Editore, Firenze, 1989; Francesco Mineccia, “Il monopolio della pietra”, in La pietra e la città – Famiglie artigiane e identità urbana a Fiesole dal XVI al XIX secolo, Venezia, Marsilio, 1996, pp. 177-234.