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13 Settembre 2010

Pietre d`Italia

GIOCHI GEOMETRICI IN PIETRA SERENA
La ricerca brunelleschiana: dalla Sacrestia Vecchia alla Cappella Rucellai


Veduta parziale della Cappella Pazzi. Firenze, piazza Santa Croce (foto: Sara Benzi)

L’ossatura strutturale in pietra serena, simulata o portante, affiancata a nitide superfici murarie intonacate di bianco definisce quelle che sono le opere architettoniche più importanti dei decenni centrali del Quattrocento fiorentino. Brunelleschi la propone come struttura sintattica di un nuovo linguaggio costruttivo che sviluppa attraverso successive e progressive trasformazioni. La pietra grigio-azzurrina delle colline limitrofe alla città si modella in colonne, mensole e architravi portanti piuttosto che in paraste, cornici e modanature che dettano la composizione di quelli che, attraverso i secoli, diverranno i simboli della Firenze rinascimentale.
Una visita virtuale attraverso alcune di queste opere potrà aiutarci a meglio comprendere l’originalità e l’efficacia del nuovo utilizzo dell’arenaria grigia che, successivamente a Brunelleschi, verrà interpretato da inediti maestri e da nomi illustri come Leon Battista Alberti, Bernardo Rossellino e Michelozzo.
Le tipologie architettoniche all’interno delle quali sono classificabili tali opere definiscono particolari utilizzi del linguaggio brunelleschiano che, tuttavia, rimane costantemente fedele ai paradigmi che compongono il nuovo dizionario architettonico.
La cappella sacra quale aula indipendente annessa alla chiesa, votata a un santo o dedicata alla sepoltura dei membri di una famiglia, si presta allo sviluppo di interessanti esercizi compositivi volti alla definizione di un ambiente completo di tutte le sue componenti. L’assemblaggio di elementi lapidei a simulazione dell’ordine architettonico ha così modo di sperimentare svariate combinazioni andando a imitare gli elementi verticali alla base del vano e sostenenti la sua copertura nella cui struttura partecipano a loro volta elementi lapidei.

La Sacrestia Vecchia di San Lorenzo


Sacrestia Vecchia di San Lorenzo. Firenze, piazza San Lorenzo (foto tratta da: Arnaldo Bruschi, Filippo Brunelleschi, Electa, Milano, 2006, p. 86)

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Se non si è certi che i conci di pietra serena utilizzati per la costruzione della Sacrestia Vecchia di San Lorenzo provengano dalla cava di Trassinaia ubicata sul poggio di Vincigliata e fonte del materiale adoperato dal Brunelleschi per la maggior parte delle sue opere, è facile affermare che questi compongano l’intero disegno dell’ambiente andando a creare, con le parole di Arnaldo Bruschi, un “congegno visivo/sintattico”1.
La campata quadrata, modulo di base dell’architettura brunelleschiana, viene qui coperta da una cupola a creste e vele che sarà riproposta nella più tarda Cappella de’ Pazzi.

L’invenzione della cupola a creste e vele – scrive Roberto Gargiani – corona un programma teso a monumentalizzare la sola ossatura in pietra serena che crea una geometria così assoluta e forte da escludere i cicli di affreschi delle precedenti sagrestie2.


Vista zenitale della cupola a creste e vele affiancata alla cupoletta della scarsella. Sacrestia Vecchia di San Lorenzo, Firenze, piazza San Lorenzo (foto tratta da: Bruschi, op. cit., p. 93)

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Sobrietà e chiarezza formale, quindi, contribuiscono alla scarsa partecipazione della componente ornamentale e alla sottolineatura della corrispondenza e continuità delle membrature lapidee secondo precise relazioni geometriche e proporzionali che rendono l’edificio il risultato di una vera e propria unità organica, nella quale il muro è concepito come superficie astratta strutturalmente passiva.
Gli elementi verticali in pietra sono paraste scanalate e rudentate che spesso, negli ambienti aperti verso l’esterno, vengono affiancati a colonne polite in cui viene esaltata l’assenza di commettiture, caratteristica dei fusti in pietra serena3. La scanalatura del fusto delle paraste che ritmano le pareti della Sacrestia contribuisce invece a creare un contrasto chiaroscurale capace di far risaltare l’ordine rispetto al muro, apparente tamponamento delle pareti.


Parasta angolare, trabeazione e cornici in pietra serena della Sacrestia Vecchia di San Lorenzo, particolare. Firenze, piazza San Lorenzo (foto tratta da: Bruschi, op. cit., p. 97)

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La Sacrestia, edificata probabilmente a partire dal 1422, si compone quindi di due ambienti costruiti secondo lo stesso impianto compositivo, basato sulle forme del quadrato e del cerchio. La sala principale, affiancata dalla piccola scarsella, è formata da un parallelepipedo di base virtualmente delimitato da quattro pilastri con 24 scanalature ciascuno, rappresentati da paraste lapidee piegate agli angoli e sostenenti, insieme a tre mensole per lato, una trabeazione su cui poggiano quattro arconi filiformi sormontati dalla grande cupola suddivisa in spicchi da “creste” di pietra serena4.
La struttura è quindi risolta dalla trama delle membrature in pietra che determinano, attraverso una serie di tangenze, anche la posizione degli altri elementi architettonici: le finestre, i medaglioni, le nicchie nel vano dell’altare.
La lanterna al di sopra della cupola è interamente costituita da conci di pietra serena; le colonnine sorreggenti la cuspide e le loro basi sono scolpite nel medesimo blocco litico.


Mensola sorreggente una trabeazione della Sacrestia Vecchia di San Lorenzo. Firenze, piazza San Lorenzo (foto tratta da: Bruschi, op. cit., p. 96)

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La Cappella Barbadori in Santa Felicita

Nel corso degli stessi anni Brunelleschi progetta e realizza anche la Cappella Barbadori in Santa Felicita, oggi semi distrutta. Il vano, aperto su due lati, è nuovamente impostato sul modulo della campata quadrata che, questa volta, ha uno spigolo libero. Qui Brunelleschi introduce la semi-colonna ionica addossata al pilastro corinzio scanalato che si risolve in un “filo” di pietra nell’angolo di confluenza dei due lati tamponati, in un semipilastro nei due angoli adiacenti e in un pilastro nell’unico angolo libero.
La composizione segue la logica costruttiva secondo la quale le colonne devono sostenere archi e i pilastri trabeazioni.


Cappella Barbadori, restituzione asonometrica della situazione originaria e soluzione angolare delle paraste ioniche tuttora esistenti. Chiesa di Santa Felicita, Firenze, piazza Santa Felicita (foto tratta da: Bruschi, op.cit., p. 83)

La Cappella de’ Pazzi
Tra gli anni Venti e gli anni Trenta del Quattrocento Andrea de’ Pazzi incarica Filippo Brunelleschi della costruzione della cappella di famiglia presso il complesso di Santa Croce, che verrà edificata a partire dagli anni Quaranta e terminata dopo la morte del maestro. Brunelleschi, sul modello della precedente Sacrestia Vecchia, progetta un’aula la cui composizione parietale e le cui volte di copertura sono ancora una volta dettate da una combinazione di elementi lapidei che ne simulano la struttura.


Cappella de’ Pazzi. Firenze, piazza Santa Croce (foto: Sara Benzi)

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Rispetto alla precedente cappella, la composizione architettonica e decorativa diviene maggiormente articolata. Se l’impianto della scarsella rimane simile al precedente, il cubo centrale, coperto dalla cupola a creste e vele, è affiancato da due parallelepipedi coperti con volte a botte cassettonate. L’inserimento di una campata pari alla larghezza dei due vani laterali comporta l’utilizzo di una serie di paraste, mensole e architravi capaci di arricchire in maniera determinante il tono decorativo dell’ambiente5.
Nella Cappella de’ Pazzi si nota che la linearità di Brunelleschi nell’utilizzo della pietra serena non esclude il ricorso a forme naturalistiche che, in maniera accentuata, vengono sviluppate nel portico esterno portato a termine, forse da Michelozzo o Rossellino insieme alla cupola, tra il 1459 e il 1461, in seguito alla morte di Filippo. Qui la pietra serena si modella in fiori, corone vegetali e conchiglie che, grazie alla sapiente maestria di Luca della Robbia, vengono affiancate alla vivacità cromatica della ceramica invetriata del rivestimento della cupoletta centrale.


Cupola del portico della cappella de’ Pazzi, piazza Santa Croce (foto: Sara Benzi)

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La Cappella Rucellai e la Badia Fiesolana come esempi di sperimentazione compositiva
La conoscenza di queste tre opere brunelleschiane ci permette un tentativo di comprensione di quale sia stata l’interpretazione del nuovo liguaggio architettonico da parte degli architetti successivi al maestro e, di conseguenza, di come sia proseguito l’impiego della pietra serena nell’architettura fiorentina. Sebbene nel corso della seconda metà del Quattrocento la varietà nell’utilizzo del nuovo codice sintattico sia stata relativamente ampia, un parziale tentativo di lettura ci è dato dall’osservazione di due opere, la Cappella Rucellai edificata in fasi successive dall’inizio del Quattrocento e condotta allo stato attuale dal 1457 circa, e la Badia Fiesolana costruita tra il 1461 e il 1467.


Interno della Cappella Rucellai, Chiesa di San Pancrazio Firenze, piazza San Pancrazio.

Nella Cappella Rucellai, una cella rettangolare coperta con volta a botte, viene ignorata la struttura statica della volta proseguendo su di essa ciò che avviene sulle pareti verticali. Le paraste in pietra serena che ritmano le pareti dell’ambiente e che sorreggono virtualmente la trabeazione continua su cui poggia la volta, proseguono infatti su di essa formando archi di pietra privi di valenza strutturale.
Il maestro della Badia Fiesolana mostra invece di conoscere e superare la lezione brunelleschiana sopprimendo le parti superflue dell’ossatura strutturale rappresentata dalla materia litica.
Ai piedi della collina di Fiesole, la Badia Fiesolana si presenta come volume compatto formato da solidi blocchi di pietraforte e arricchito, in facciata, da un inserto bicromo in marmo bianco e verde al centro del quale si ritaglia l’ingresso principale della chiesa. È al suo interno che l’edificio, attraverso l’utilizzo della pietra serena, sottolinea il proprio impianto a croce latina. Lo spazio sembra delimitato da candidi teli tesi agli spigoli da fasce grigio-azzurre modellate in paraste e cornici che seguono l’andamento degli archi. Ma qui la simulazione di un’ossatura strutturale in pietra proposta da Filippo viene resa essenziale dando spazio a pilastri rappresentati da paraste d’angolo solo in corrispondenza della crociera coperta con una volta a vela e non, quindi, lungo la volta a botte della navata, poggiante su imposte continue e non su singoli punti.


Interno della Badia Fiesolana, San Domenico, Firenze

Dalla seconda metà del Quattrocento, quindi, la nuova architettura fiorentina tende a sperimentare tutte le possibilità offerte dal nuovo linguaggio compositivo e materico sviluppatosi nel corso dei decenni centrali del secolo. Il tardo Rinascimento cinquecentesco si preparara al proprio singolare sviluppo, nel quale la pietra serena continuerà a fare da protagonista.

di Sara Benzi

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1 Lo stesso Arnaldo Bruschi, in Filippo Brunelleschi (Electa, Milano, 2006, p. 56) scrive:
“In generale, nell’architettura europea di età romanica e altogotica […] si tendeva a recuperare un nuovo tipo di connessione tridimensionale delle varie parti dell’edificio mediante il chiarimento e l’articolazione dell’impianto spazio-strutturale e la continuità delle sue membrature costitutive portanti. A Firenze, invece, la riorganizzazione sintattica delle strutture nello spazio tendeva a essere recuperata ed espressa soprattutto attraverso il “disegno” delle membrature apparenti, di ascendenza classica e costruttivamente verosimili ma non necessariamente coincidenti con quelle realmente portanti, secondo una propria logica visiva in rapporto all’immagine d’insieme”.
2 R. Gargiani, Principi e costruzione nell’architettura italiana del Quattrocento, Laterza, Roma-Bari, 2003, p. 9. Ancora Gargiani, a p. 26 dello stesso testo scrive:
“L’assenza di pitture a fresco sul rivestimento d’intonaco a calce fa sì che tutti i pezzi di pietra serena perdano il valore di cornici e definiscano una ossatura “morta” di cui fanno parte anche le cornici sopra la trabeazione muraria, sottili e arcuate, lungo i raccordi tra lunette e pennacchi”.
Per un approfondimento sul tema si veda anche Arnaldo Bruschi (op. cit., pp. 95 e sgg.).
3 A differenza della pietra serena la pietra forte, ampiamente utilizzata a Firenze, non può essere cavata in lunghi monoliti.
4 Il cubo che, salendo, si trasforma gradualmente in cupola semisferica, rappresenta simbolicamente il moto ascensionale delle anime del committente dell’edificio Giovanni di Averardo, detto Bicci, de’ Medici, e di sua moglie Piccarda Bueri.
5 Cfr. A. Bruschi, op. cit., p. 124.

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9 Settembre 2010

News

PREMIO TESI DI LAUREA
PAESAGGIO, ARCHITETTURA E DESIGN LITICI: prima edizione

45ª Marmomacc – Verona 29 settembre/2 ottobre 2010

ESITO CONCORSO

Il 3 settembre 2010, presso la sede dell’Ordine degli Architetti P.P.C. di Verona, in Via Oberdan 3, si è riunita la Giuria del Premio Tesi di Laurea “PAESAGGIO, ARCHITETTURA E DESIGN LITICI”, composta da:

– Alfonso Acocella, Facoltà di Architettura di Ferrara, Presidente della Giuria
– Klaus Theo Brenner, Professore Fachhochschule Potsdam, Berlino
– Francesco Venezia, Napoli, Professore IUAV
– Vincenzo Pavan, Rappresentante di Marmomacc, Verona
– Arnaldo Toffali, Presidente Ordine Architetti P.P.C.Verona

Dopo aver esaminato le Tesi di Laurea pervenute, in assenza di Tesi sul Design, ha deciso di inglobare la cifra destinata a questo settore nel montepremi spettante alla categoria Paesaggio-Architettura.
Pertanto, dopo attenta valutazione degli elaborati ha deciso di assegnare il Primo Premio ex aequo a tre Tesi di Laurea per un valore di € 2.000 (duemila) ciascuno e quattro Menzioni Speciali di € 500 (cinquecento) ciascuna.

PRIMO PREMIO EX AEQUO di euro 2.000 ciascuno a tre Tesi di Laurea:

Il restauro del Forte di Monte

Laureate: Elisa Bettinazzi, Letizia Zecchin
Relatore: Prof. Arch. Marco Pretelli; Correlatore: Prof. Arch. Pierluigi Grandinetti
Istituto Universitario Architettura Venezia

Sistemazione della cava dell’Oliviera a Serre di Rapolano per spettacoli all’aperto

Laureato: Michele Di Matteo
Relatore: Prof. Arch. Luigi Franciosini; Correlatore: Arch. Paola Poretta
Università Roma Tre, Facoltà di Architettura
Frons ripae, Parco dell’isola di S.Andrea, nuovo molo foraneo,
restauro e valorizzazione del Forte Aragonese

Laureati: Stella De Paola, Enrica Leonardis, Vincenzo Minenna, Francesco Peschechera,
Rossella Refolo, Nicola Sacco
Relatore: Prof. Arch. Claudio D’Amato Guerrieri; Correlatore: Ing. Calogero Dentamaro
Politecnico di Bari, Facoltà di Architettura

MENZIONE SPECIALE di euro 500 ciascuna a quattro Tesi di Laurea:

Evoluzione tipologica del modello residenziale del quartiere Turco-Ottomano di Alessandria d’Egitto
Laureati: Dario Boris Campanale, Laura Labalestra, Mariarosa Manghisi, Cinzia Perrone,
Daniela Persia, Pasquale Tufariello
Relatore: Prof. Arch. Loredana Ficarelli; Correlatore: Prof. Arch. Vitangelo Ardito
Politecnico di Bari, Facoltà di Architettura
Museo Archeo-geologico a Porta Furba
Laureato: Salvatore Mazzeo
Relatore: Prof. Arch. Luigi Franciosini
Università Roma Tre, Facoltà di Architettura;
Progetto del Museo della Cultura lapidea a Busachi. Architettura di pietra tra tradizione e innovazione
Laureata: Barbara Pau
Relatore: Prof. Ing. Carlo Aymerich; Correlatore: Prof. Ing. Carlo Atzeni
Università degli Studi di Cagliari, Facoltà di Ingegneria
Collegamento tra il Parco della Caffarella e il Circo di Massenzio
Laureata: Vincenza Maria Provenzano
Relatore: Prof. Arch. Luigi Franciosini; Correlatore: Arch. Fabio Maiorano
Università Roma Tre, Facoltà di Architettura

SEGNALAZIONE di tre Tesi di Laurea:

Un Teatro per Montevarchi
Laureati: Fabiano Lucaccini, Leonardo Libretti
Relatore: Prof. Arch. Fabrizio Rossi Prodi; Correlatori: Arch. J.M.Giagnoni, S.Fanfani
Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Architettura
Case di Classe A – Progettazione di un edificio residenziale a Matino (LE)
Laureati: Ilaria Morga, Anna Rita Pesce, Mina Ritella, Silvia Spagnoletta,
Maria Cristina Vessia, Roberta Zupo
Relatore: Prof. Arch. Claudio D’Amato Guerrieri;
Correlatori: Prof. Arch. Vitangelo Ardito, Prof. Ing. Francesco Ruggiero, Prof. Ing. Domenico Raffaele
Politecnico di Bari, Facoltà di Architettura
Centro Fieristico/Congressuale a Lugano
Laureati: Francesco Bonfanti, Jacopo Giovanni Villa
Relatore: Prof. Arch. Massimo Fortis; Correlatore: Arch. Daniele Coppi
Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura.

CERIMONIA DI CONSEGNA DEI PREMI
I premi e le menzioni saranno consegnati in una cerimonia, organizzata all’interno degli eventi culturali di Marmomacc 2010, il 2 ottobre 2010 al Museo di Castelvecchio a Verona in sala Boggian con inizio alle ore 10.30.
Il programma prevede alle ore 11.00 una Lectio Magistralis di Bernard Lassus, architetto paesaggista internazionale, a cui farà seguito la consegna del Premio Tesi di Laurea. I vincitori esporranno in un breve intervento il proprio lavoro.

MOSTRA DELLE TESI PREMIATE
I progetti premiati, menzionati, segnalati, saranno esposti a Marmomacc, nel Padiglione 7B, dal 29 settembre al 2 ottobre 2010 all’interno dello spazio “Forum del Marmo” insieme ad altre mostre culturali.

PUBBLICAZIONE TESI
Le Tesi esposte in mostra saranno raccolte e pubblicate in un fascicolo.

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8 Settembre 2010

News

MAsp 2010

Il MAsp è un corso di perfezionamento della durata di dodici mesi (4 mesi di lezioni in aula, tirocinio e redazione tesi finale), aperto a professionisti coinvolti nel processo di costituzione o ricostituzione dello spazio pubblico, a tecnici della pubblica amministrazione e a laureati delle Facoltà di Architettura e di
Ingegneria, in una prospettiva formativa che coniuga l’alto profilo teorico dei contributi didattici con momenti operativi.
Il corso sarà articolato in 12 moduli nei giorni di giovedì, venerdì e sabato, a partire da ottobre 2010 fino a febbraio 2011.

Ulteriori informazioni su: www.masp.it
Scarica il volantino

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5 Settembre 2010

Pietre d`Italia

Le cave di Fantiscritti


Il bassorilievo cosiddetto dei “Fantiscritti”, III secolo d.C. (Accademia di Belle Arti, Carrara)

Le cave di marmo bianco di Fantiscritti si trovano sulle Apuane, in provincia di Carrara. Il loro nome deriva dall’appellativo dato ad un’edicola scolpita su una parete di una delle cave, datata 203-212 d.C. e custodita dal 1864 all’Accademia di Belle Arti di Carrara, ma fino a quella data ben visibile sulla parete rocciosa e tanto celebre da essere conosciuta anche da Giambologna e Canova, come testimoniano le ‘firme’ dei due artisti, poste ai fianchi delle colonnette scolpite insieme a quelle di altre decine di meno noti visitatori.
Proprio la quantità di ‘firme’ (“scritti”), assieme all’erronea identificazione dei personaggi scolpiti (vi sono raffigurati Ercole, Bacco e Giove come rappresentazione divina di Settimio Severo e dei suoi figli Caracalla e Geta, che furono tuttavia scambiati per dei fanciulli, dei “fanti”) ha portato, nei secoli, al toponimo dell’intera cava.


L’esterno delle cave: si intravede, sulla sinistra, la cava ‘a gradoni’ a cielo aperto

Le cave, a 450 mt sul livello del mare, si raggiungono seguendo il corso del torrente Carrione fino ai ponti di Vara, solcati un tempo dalla ferrovia utilizzata per il trasporto del marmo (la cosiddetta “Marmifera Privata”), in attività dal 1876 al 1964 e oggi riconvertita ad una duplice funzione, dopo che il trasporto su gomma ha causato il generale declino di quello su ferro: la ferrovia è diventata una strada molto suggestiva che attraversa la Galleria Vara e collega con Tarnone, mentre il tunnel che attraversava la montagna si è rivelato un utile (e unico) ingresso per sfruttare un filone marmifero situato nel cuore della montagna, a 400 metri dalla cima. Questa cava ‘interna’, del tutto differente dalle cave a gradoni e a cielo aperto disseminate lungo tutto l’arco delle Apuane, è unica al mondo; è articolata in una serie di enormi ‘ambienti’ suddivisi da giganteschi pilastri di circa 10-15 metri di lato, poiché il ‘soffitto’ marmoreo non può superare i 25-30 metri di luce libera (è facile immaginare il valore originariamente empirico di tali misure, ricavate, si ha il sospetto, dopo vari incidenti sul lavoro; oggi un’equipe di ingegneri e geologi ne garantisce con verifiche regolari la stabilità). Ha una temperatura di 16 gradi centigradi costanti e al lavoro quotidiano dei “marmorari” si accompagna da qualche anno la possibilità di visite guidate, che la rendono finalmente
fruibile ad un vasto pubblico di curiosi e non solamente agli addetti ai lavori.


La cava di Fantiscritti, interno quasi ‘lunare’: siamo completamente circondati da marmo.

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In una cava interna come quella di Fantiscritti il metodo di taglio ed estrazione del marmo può procedere rigorosamente solo in senso laterale e verso il basso, per non interferire con le escavazioni della cava a cielo aperto soprastante: si devono mantenere infatti circa 250 metri di materiale verticale tra la cava interna e quella esterna, per non comprometterne il delicato equilibrio statico.

La cava ospita tutti i moderni strumenti di escavazione, tra cui il più importante – per la sua rilevanzastorica – è senz’altro il filo elicoidale, rivoluzionaria tecnica ottocentesca consistente nella torsione adelica di tre fili di acciaio fino a produrre un cavo di 4–6 mm di diametro, le cui scanalature trasportano e distribuiscono, lungo il taglio eseguito dal cavo, l’acqua e la sabbia silicea, (in origine proveniente dal lago di Massaciuccoli e principale responsabile delle gravi complicazioni polmonari cui gli operai erano soggetti) che servono come abrasivi. Il filo elicoidale, lungo in genere alcune centinaia di metri, si muove ad una
velocità di 5–6 m/s, mentre incide il marmo ad un ritmo di 20 cm l’ora. Il suo funzionamento è strettamente legato a quello della puleggia penetrante, ovvero un’enorme ‘sega’ d’acciaio (lunga fino a tre metri) che presenta, sulla circonferenza, una scanalatura e piccoli denti diamantati. La puleggia scorre su una macchinetta, uno strumento a cremagliera che ne provoca il regolare e continuo abbassamento, e assolve così a due funzioni: scava nel marmo e vi introduce, attraverso la scanalatura, il filo elicoidale che taglia definitivamente il blocco. Attualmente, l’uso del filo diamantato (un cavo d’acciaio intervallato da pezzi di diamante sintetico) ha soppiantato il filo elicoidale, anche se l’iniziale facilità di sganciamento del cavo ha causato non pochi disagi per la sicurezza sul lavoro. Una volta ‘tagliato’ il blocco, questo viene per così dire ribaltato su un letto di detriti e fango appositamente sistemato alla sua base per evitare la violenta caduta del marmo sul marmo, che ne provocherebbe la rottura; da qui, il blocco viene trasportato su gomma all’esterno della cava per mezzo della galleria di cui già si è parlato.


Antichi strumenti esposti al museo delle cave

All’esterno della cava, i proprietari (si tratta infatti di una cava privata) hanno allestito un piccolo ma interessante museo, dove possiamo prendere visione degli antichi utensili e strumenti usati per l’estrazione e la lavorazione del marmo. Una curiosità: con grande orgoglio, i carraresi ci ricordano, attraverso fotografie e iscrizioni celebrative, che il taglio delle pietre del grande tempio di Abu Simbel (Egitto), dovuto alla costruzione della diga di Assuan e di un bacino artificiale, e dunque alla conseguente necessità di ‘traslare’ l’intero tempio che altrimenti sarebbe rimasto sommerso, fu effettuato da maestranze guidate da abili cavatori di Carrara, tra il 1964 e il 1968.

di Eugenia Valacchi


Una foto d’epoca a ricordo della grande impresa compiuta ad Abu Simbel tra il 1964 e il 1968

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4 Settembre 2010

Post-it

Voyeuristi da museo

Si paga il biglietto, come se si dovesse entrare in un vero e proprio peep show, e ci si accomoda tra le grandi sale dell’ex centrale elettrica riprogettata dal duo svizzero Herzog&DeMeuron. Per vedere immagini rubate e seducenti, cronache dei paparazzi nella Roma felliniana, frame selezionati da qualche telecamera a circuito chiuso, fotografie in bianco e nero di prostitute della New York post bellica, interni di hotel passati al setaccio come in un archivio criminale, mappe satellitari di guerra, attrici hollywoodiane sorprese ed indifese all’uscita da un locale, scultoree modelle seminude, ebbene, per vedere tutto questo, basta entrare alla New Tate di Londra.

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2 Settembre 2010

News

17th International Course on Stone Conservation

Dates: 13 April – 1 July 2011
Place: ICCROM, Rome, Italy

Partners
ICCROM
Getty Conservation Institute

Background
In many regions of the world stone was historically the predominant material used for building and artistic purposes. Accordingly, the conservation and maintenance of architectural and decorative stone is a core activity in such regions. Factors such as climate change, pollution, use demands, lack of maintenance, and inappropriate past treatments present challenges for the conservation of stone buildings, structures and objects. In addition to these factors, the decline in traditional building techniques, craft practices and repair methods is also threatening our ability to sustain stone structures and objects into the future. These conservation issues require a multidisciplinary approach that involves professionals, craftspeople, policy makers and owners.
The International Course on Stone Conservation was created in 1976, and 16 courses have successfully been conducted between then and 2009 in Venice, Italy. The recently relaunched course, which will take place in Rome in 2011, reflects advances in practice, science, and technology, including the integration of practical methodologies for stone conservation on sites, buildings and structures.

For further information click here

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31 Agosto 2010

News

MARMOMACC MEETS DESIGN 2010
IRREGOLARE-ECCEZIONALE: Inspiration

In una società in cui globalizzazione diventa sinonimo di continuo confronto con l’altro, in cui tensione è preludio di nuovi equilibri e in cui la libertà di movimento e pensiero – amplificate in modo un tempo impensabile dalle nuove tecnologie – sono riconosciute come diritti imprescindibili, i principi di simmetria, rigore, uniformità e prevedibilità – che per interi decenni hanno ubiquitariamente contraddistinto creatività e produzione – appaiono retaggi del passato.
Il pluralismo culturale, sociale ed esistenziale, l’accoglimento delle fertili istanze proposte dal nuovo e dal diverso, la necessità e la volontà dell’individuo di far valere la propria voce e le proprie esigenze portano infatti a una progressiva predilezione verso tutto ciò che da un lato emerge e si distingue, dall’altro consente immedesimazione, espressione, personalizzazione.
Ciò diventa vero anche nel caso dei materiali. Come fossero umani, contraddistinti da un carattere e da un DNA originali, legno, ferro e marmo chiedono attenzioni particolari, conoscenze specifiche, abilità dettate dalla cura e dall’esperienza. Sono materiali naturali, che pretendono di essere amati e conosciuti, oggi riscoperti proprio per la particolarità e l’irregolarità che esprimono in antitesi all’uniformità, alla perfezione e alla governabilità che hanno dettato per lungo tempo la supremazia dei materiali artificiali.
In tale contesto, l’annuale appuntamento con Marmomacc Meets Design, curato da Evelina Bazzo, sceglie di proporre ad aziende e progettisti, come territorio d’indagine, una rilettura delle potenzialità dei materiali lapidei proprio all’insegna del binomio Irregolare-Eccezionale:
– l’irregolarità come atipicità e difformità percettive e sensoriali, pur nella nobiltà e nel pregio che da sempre contraddistinguono il marmo e la pietra: quasi a risalire verso il “non finito” per tornare ad arricchire il processo industriale di una componente artigianale, tattile, naturale, “originaria” ancor prima che originale;
– l’eccezionalità come unicità, irripetibilità, singolarità, vocazione alla creatività, ispirazione a una “poetica della differenza” capace di abbandonare le rassicuranti forme della logica geometrica in favore – all’insegna di sensibilità e profondità – dell’intelligenza emotiva.

DESIGNER E AZIENDE
Per il quarto anno consecutivo, Marmomacc Meets Design pone al centro la sua formula vincente: proporre nuove prospettive per il settore del marmo e della pietra, con l’obiettivo che evoluzione
e progettualità nascano e si sviluppino in diretto e costante rapporto con il sistema produttivo.
Il lusinghiero successo riscosso dalle precedenti edizioni è confermato dalla partecipazione, nel 2010, non solo di aziende che costituiscono ormai presenze “storiche” all’interno dell’evento, ma anche di nuove realtà che – all’insegna dell’innovazione – per la prima volta decidono di misurarsi con un progetto che di anno in anno riesce a catalizzare crescenti interesse e visibilità.
Al tradizionale binomio azienda-design si assoceranno infine nel 2010 due nuove iniziative, che ampliano l’attenzione di Marmomacc Meets Design alla scala urbana e regionale.
L’Accademia di Architettura di Mendrisio, nel suo annuale progetto di esplorazione
e riqualificazione che vede nel 2010 protagonista la città di Varese, sceglie Marmomacc per studiare – con Riccardo Blumer – un progetto di arredo urbano in botticino che vede il diretto coinvolgimento del Consorzio Marmisti Bresciani.
Regione Puglia, promosso dall’Area Politiche per lo Sviluppo il Lavoro e l’Innovazione della Regione, assocerà invece a quattro tra le più note e utilizzate pietre pugliesi la progettualità di altrettante giovani promesse del design, che hanno però già riscosso importanti riconoscimenti da parte di critica e aziende.
Il nuovo tema da indagare sarà IRREGOLARE-ECCEZIONALE: all’insegna dell’atipicità percettiva e sensoriale e dell’unicità intesa non solo come ritorno a una componente naturale e “originaria”, ma anche come individualità e personalizzazione.

Designer e aziende:
Patricia Urquiola con Budri,
Luca Scacchetti con Finstone S.A.R.L.,
Aldo Cibic con Grassi Pietre,
Giovanni Vragnaz con Iaconcig,
Thomas Sandell con Marsotto,
Marco Piva con MGM Furnari,
Manuel Aires Mateus con Pibamarmi,
Enrico Tonucci con Stonehenge
Riccardo Blumer e l’Accademia di Architettura di Mendrisio con Consorzio Marmisti Bresciani
Tomás Alonso, Stefan Diez, Luca Nichetto, Philippe Nigro con Regione Puglia

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4 Agosto 2010

English

OPERA HOUSE Oslo, Norvegia, 2008*
Snøhetta

Versione italiana

Stone of ice
The Oslo Opera House, compared with the usual figurative chastity of Norwegian architecture, has all the characteristics of a drama on the theme of urban form, transforming the waterfront into a scene of Nordic nostalgia for the South and at the same time of Nordic attraction for infinity – a theme fixed by Caspar David Friedrich on his “Das Eismeer” canvas – the sea of ice: the eternity of ice that grasps life in its bite, suffocating (but perhaps also eternally preserving) the wreck of the ship named “Hope”, in memory of nineteenth century research expeditions to the North Pole.
The Opera House, facing on the fiord in the zone of Biorvika, extends the image of land onto sea, offering socializing spaces outside of the theater as an artifice whereby visitors, for centuries, kept distant from the shores by port equipment, can now perceive the thin edge of water. The building brings on stage, with expert simulation of Caspar David’s huge splinters of ice,
the Nordic obsession with sublimity, converting the tragic signs of impending disaster in a pleasing and stupefying sensation of unexpected and almost-to-be-explored space. In this way the controlled spectacle that is going on inside is externally opposed to the spontaneous movement of life, the lazy erring of crowds during sun-filled days,
the sun-adoration rite that evokes, in polar climates, the Mediterranean iconography of an Italian piazza. This is the new urban type introduced by Snøhetta, not a sculpture resting on the ground but rather manipulation of the ground itself by folds and fractures that spread like a veil – or a carpet, to use their metaphor – to welcome the passer-bys who become the main actors of a new landscape.
The Opera House is, in fact, an experiment in urban architecture that sets the foundations, by redesigning the waterfront, for development of what was once a marginal area. Port cities, as demonstrated by the histories of Genoa or Naples, Trieste or Hamburg, are those where the sea, for a long tradition, was only the external limit of an open-air factory: work site, space for trading and transactions.
In 2010 the belt of heavy traffic that still separates the sea from the center of Oslo will be conveyed into a subterranean tunnel and the pedestrian bridge that is now
the main connector between the two areas will become useless. A vast area will be put at the disposal of the city for use as a cultural and recreational hub. The haggard line of the Opera House will remain as a crown and as a skyline, becoming the element that gives order to a constellation of museums and foundations.
Alvar Aalto, in the nineteen fifties, began forcefully proposing a theme – “the decadence of public buildings”- that we can see, more than fifty years later, as both prophetic and very topical. The Finnish master, condemning the disappearance of the traditional urban hierarchy of European cities under the influence of Americanization, insisted on the need to recreate, through the emphasis given by cultural and institutional buildings, the terms for rebirth of the social culture of collective spaces. He also insisted, in apparent contradiction to his constant references to natural landscapes, that these buildings should contain, in themselves, the foundations for their own design. He conceived the bay of Helsinki to be a Nordic Canal Grande, where monumental buildings, clad with light Italian marble, repeated the miracle of a space dedicated to the national and social identity of a community. The only thing that remains of this Utopia, as is well known, is the fragment of Finlandia Talo. But the idea, subjected to criticism by environmentalists and conservatives, did not die. The surfaces of white Italian marble that Snøhetta uses as if they were packs of ice are the most evident demonstration of this, together with the association of this material with the essence itself of the public nature of the sites.

Fulvio Irace


Opera house

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Opera House
Design of the new Oslo Opera House began in 2000 with an international concept competition that was won by the Norwegian Snøhetta Studio. The competition was promoted by the Ministry of Culture and managed by the Statsbygg government public works agency. Construction began in February 2003 and was completed in 2007 with termination of works in a highly articulated construction site. The construction process involved more than 50 contractors called upon to create a very large, technologically advanced and culturally and symbolically important work, not only for the city where the building arises but for the entire national Norwegian community. The Opera House, used to contain the activities of the Opera and Ballet of Norway, in reality was created as a center of gravity for a larger project for upgrading the Oslo waterfront. It rises out from the waters of the fiord that the city faces on, entirely covered with white Apuano marble, a monumental gesture to the great importance this Scandinavian nation gives to music and theater. The designer’ intent was to recreate a fragment of Arctic pack, a kind of white chunk of ice come to beach on the small peninsula of Bjørvika – a historic assembly place for the inhabitants of the capital of Norway – giving rise to an architectural volume defined as a series of inclined planes, most of which can be used as public terraces facing the bay. The homogeneous external skin of stone, an uninterrupted expanse of marble that varies only in diversified surface finishes, has the task of suggesting a massive solid monolith, generated by intersections of repeatedly varied planes, at crooked angles that never form right angles, creating a large seafront of ice with a wealth of perspectives and backbones. This mega-crystal emerges from the water in a complex relationship: the architecture is at the same time a landscape sign that can be perceived at a great distance, and an element of urban connective tissue that bonds the city to the water. The sea reflects the lithic form with ripples of luminous reflections during sun-filled days. The white marble, with subtle grey veins, is placed in a contrasting duality, both as color and as matter, with the dark waters of the fiord. This building, designed by Snøhetta with a refined
choice of materials and expert definition of construction details, expresses an open and friendly monumentality by emphasizing horizontal rather than vertical dimensions. Concepts of unimpeded access and creation of places that stimulate aggregation and encounter by people are at the base of the design of the great marble inclined plane that permits direct entry into the theater from the city, rising up, with varied changes in slope, to reach a pedestrian roof terrace.
The Opera House welcomes its public in the main foyer, passing through a large glazed diaphragm held up by the thinnest of metal structures and designed to communicate constantly changing appearances to the exterior: as the sun moves through the sky, and as weather conditions change, the transparent skin modifies its image: it appears opaque and leaden during overcast days, lit up with golden sunlight during the summer up until late evening hours.
The 38,500 square meters of interior spaces are subdivided into three main sections: the theater itself with two separate 1,400 and 440 seat halls, foyer, ticket offices, wardrobe, bar, restaurants, bathrooms and meeting rooms for conferences and teaching activities; the rehearsal room area including administrative offices; the section dedicated to scenery, costume and make-up facilities. Snøhetta’s careful design direction also involved finishing the foyers and the theater interiors, dominated by the warm presence of oak that is composed to form delicate patterns with a sinuous character that dialogues, in a kind of debate, with the sharp-edge appearance of the external marble cladding.


Cutting and finishing the Bianco Carrara Marble on the exterior spaces

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Mediterranean marble for a fiord
The Oslo Opera House faces the port of the capital of Norway. It is completely covered with Carrara Marble with the exception of a narrow base fascia which is partially immersed in the sea and is in direct contact with the salted water and with winter freezing and consequently was made using an extremely hard local granite. The rigid climate of Norway and the extreme vicinity with the sea made it necessary to cover the building with thick marble slabs rather than the usual thin slabs: it was also necessary to reduce the number of joints between components since these could become weak points for infiltration by humidity.
The entire building is covered by large formats cut from over 1,000 blocks of Apuano marble with an extremely fine grain and made almost entirely out of calcite. Slab thicknesses vary from 80 to 10 cm up to 20-30 cm in certain special edge or gutter and valley pieces. Many components are folded like a book to form angles that can close down to 45° or open up to 170°.
The maximum dimensions of the largest modules reach 2.3 meters per side. Over 18,000 square meters of total surface area were covered with a mass of marble exceeding 8,000 tons in weight.
The Norwegian architecture studio was flanked, during executive design of such a complex and innovative structure, by the Campolonghi Italia S.p.A. company which oversaw the entire production cycle, from quarrying to delivery and to dressing of the finished product. Project engineering began based on the two-dimensional pattern of the geometric design of the covering and continued in complexity in order to solve three-dimensional executive modeling of massive pieces (subsequently bedded on mortar or in a drywall construction on a metal substructure).
The most problematic issue to solve was the need to design and shape slabs. blocks and monolithic and very thick pieces in order to handle jumps in levels, changes in slopes and complex morphologies while, at the same time, limiting subdivision of components as much as possible in order, as stated above, to reduce the number of joints. Another key passage in the executive process concerned compilation of a specific quality manual for the project that included checks to perform on materials, machines, dressing and processing, cement mortars and synthetic sealants to be used to install the cladding and to close the joints. Special attention was dedicated to lab tests on the marble: first separate tests were performed on various Carrara quarrying sites; subsequently, once the La Facciata quarry was selected in the Torano quarry zone, tests were performed at various points on the quarrying front. And, finally, the quarried material was constantly monitored using specific physical-mechanical tests designed for the freezing Norwegian climate that reaches temperatures of -30° C during rigid winters and maximum temperatures of 25° C in the summer, with seasonal temperature excursions in excess of 50°.
The case of the Oslo Opera House exemplifies an advanced concept of architectural design and executive process with integration of the work performed by the architecture office and that of a manufacturing structure capable of solving complex and large-scale projects according to specific orders, engineering the project by studying a prototype, construction of a full-scale mock- up of the structural system, transfer to the industrial production line, optimization of the processing event in terms of human resources and reduction of waste. In this context the values of serial reproduction have been replaced by constant adaptation of the design, processing methods, and the machines themselves to the demands of the project in a new procedure that tends to tends to find fixed points in standardization of processes and procedures but that cannot refrain from giving constant attention to the need to “personalize” the product.


Access ramp

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Project Title:
The Norwegian National Opera & Ballet
Project Address:
Bjørvika, Oslo, Norway
Design and construction period:
2000-2008
Clients:
Ministry of Church and Cultural Affairs
Building Client:
Statsbygg (The Governmental Building Agency)
End User:
The Norwegian National Opera & Ballet
Architects:
Snøhetta Kjetil Trædal Thorsen, Tarald Lundevall, Craig Dykers
Collaborators: (Snøhetta) Project team: Sigrun Aunan, Simon Ewings, Rune Grasdal, Tom Holtmann, Elaine Molinar, Kari Stensrød, Øystein Tveter Martin Dietrichson, Ibrahim El Hayawan, Chandani Ratnawira, Harriet Rikheim, Marianne Sætre, Anne-Cecilie Haug, Tine Hegli, Jette Hopp, Zenul Khan, Frank Kristiansen, Cecilia Landmark, Camilla Moneta, Aase Kari Mortensen, Frank Nodland, Andreas Nygaard, Michael Pedersen, Harriet Rikheim, Margit Tidemann Ruud, Knut Tronstad, Tae Young Yoon Team landscape architects: Ragnhild Momrak, Andreas Nypan Team interior architects: Bjørg Aabø, Christina Sletner Artists: Olafur Eliasson, Kristian Blystad, Kalle Grude,Jorunn Sannes, Astrid Løvaas, Kirsten Wagle
Structural engineering:
Reinertsen Engineering ANS
General contractor:
55 contractors
Stone material employed:
Bianco Carrara La Facciata (Floor, Walls)
Stone supplier:
Campolonghi Italia, Montignoso (MS), Italy

Biographical Outline
Snøhetta AS is an architectural practice based in Oslo, Norway and New York City, USA. The practice took the name Snøhetta in 1987. The present organization was established in 1989.
The foundations of Snøhetta’s international success were laid in 1989 when the competition for the new library in Alexandria, Egypt, was won. More than 500 architects worldwide were competing to win the Bibliotheca Alexandrina. The library, which has the world’s largest library space, is characterized by its tilted cylindrical form and rises up between massive stone walls featuring signs and symbols from different historic periods and from different cultures.
Snøhetta works from its own premises by the waterfront in the Oslo dock area. The office is located within an old warehouse, separate from the busy areas of down town Oslo. The calmness of the location and the open office plan strengthens the cooperative attitude and simplifies internal communication and sharing of experience.
Snøhetta has more than 120 employees from 17 nations, with a conscious mix of gender and age.
A high percentage of the staff are international citizens with experience working in the USA and the Middle East. Snøhetta has developed a reputation for maintaining a strong relationship between landscape and architecture in all of its projects. The site and context of each project is considered unique and provides a strong point of departure for the design.
Snøhetta is committed to the idea of teamwork throughout the entirety of the design process. The office is multidisciplinary, comprising of architects, landscape architects interior architects and industrial designers working closely with artists and engineers as freestanding collaborators. The practice places the highest possible emphasis upon input from all parties, from client to builder. By creating a strong initial concept, Snøhetta aims to be able to accommodate a wide variety of user adoptions to the architecture without sacrificing the qualities envisioned. Snøhetta builds on democratic traditions outlined by the general development of Norwegian working environments – a strong tradition emphasizing togetherness as a well proven methodology for achieving good results. Every member of a team has a say, regardless of title or position. The combination of democratic values and intellectual content strongly influences, Snøhetta’s architectural processes and architecture. Snøhetta is today amongst the 20 most discussed architectural offices in the world. During the last 10 years, Snøhetta has won several major design projects through competitions, and the office has certainly shown its dedication to cultural buildings. The latest completed project was the new national opera house in Oslo, which opened in April 2008. Currently, Snøhetta is designing a series of projects in different countries, amongst them a multipurpose gateway building in the United Arab Emirates, National September 11 memorial museum pavilion in New York as well as a new cultural centre and museum in Saudi Arabia. Snøhetta has also completed important projects such as The Norwegian embassy in Berlin, Petter Dass museum at Alstadhaug, Serpentine Pavillion in London. Sandvika Cultural Centre in Oslo, Hamar Town Hall, Karmøy fishing museum and the Lillehammer art museum for the 1993 winter Olympics.

* Taken from Lithic Ethic Aesthetic (by Vincenzo Pavan), Faenza, Faenza Industrie Grafiche, 2009, pp. 157 edited at Marmomacc 2009.

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3 Agosto 2010

Opere di Architettura

OPERA HOUSE Oslo, Norvegia, 2008*
Snøhetta

English version

Premio e Atlante Marmomacc

Pietra di ghiaccio
Rispetto all’abituale castità figurativa dell’architettura norvegese, il teatro dell’Opera di Oslo presenta i caratteri di una rappresentazione che drammatizza il tema della forma urbana trasformando il fronte del porto nel palcoscenico della nostalgia nordica per il sud e della contemporanea attrazione per l’infinito, come fissato in maniera inequivocabile sulla tela di “Das Eismeer”- il mare dei ghiacci – da Caspar David Friedrich. L’eternità dei ghiacciai che stringe nella sua morsa la vita, soffocando (ma forse anche preservando per sempre) il relitto della nave “Speranza” a memoria delle ottocentesche spedizioni di ricerca al Polo Nord. Proteso sul fiordo nell’area di Biorvika, il Teatro dell’Opera prolunga l’immagine della terraferma sul mare proponendo lo spazio sociale al di fuori del teatro come un artificio che consenta di far percepire ai visitatori il filo sottile dell’acqua per secoli tenuta lontana dalla riva dalle attrezzature del porto. Simulando con abilità le schegge di ghiaccio di Caspar David, mette in scena l’ossessione del sublime nordico, riconvertendone il segno tragico del disastro annunciato nel piacevole stordimento di un uno spazio inatteso e quasi da esplorare. In tal modo, allo spettacolo regolato all’interno si contrappone all’esterno il movimento spontaneo della vita, il pigro vagabondare della folla nelle giornate di sole, il rito dell’adorazione del sole che rievoca nelle temperature polari l’iconografia mediterranea della piazza italiana. è questa la novità tipologica introdotta da Snøhetta: non una scultura appoggiata al suolo, ma una manipolazione del suolo attraverso un disegno a pieghe e a fratture che si distende come un velo – o un tappeto, per usare la loro metafora – ad accogliere i passanti facendoli protagonisti di un nuovo paesaggio. Il Teatro dell’Opera è infatti un esperimento di architettura urbana, che pone con il ridisegno del waterfront le fondazioni per lo sviluppo di un’area un tempo marginale. Come dimostrano le storie di Genova o di Napoli, di Trieste o di Amburgo, le città portuali sono quelle dove per lunga tradizione il mare è stato solo il limite esterno di una fabbrica a cielo aperto: cantiere del lavoro, spazio di mediazioni e transazioni.
Nel 2010 la cintura di traffico pesante che ancora separa il mare dal centro di Oslo sarà convogliata entro un tunnel sotterraneo che renderà inutile il ponte pedonale che oggi rappresenta il principale connettore tra i due ambiti e metterà a disposizione della città una vastissima area destinata a polo culturale e ricreativo, di cui la linea frastagliata del Teatro rimarrà come corona e come skyline, cioe? elemento ordinatore di una costellazione di musei e fondazioni.
Negli anni ‘50, Alvar Aalto comincio? a porre con forza un tema – “la decadenza degli edifici pubblici”- che a piu? di mezzo secolo di distanza possiamo riguardare come profetico e di grande attualità. Deprecando la sparizione della tradizionale gerarchia urbana della città europea sotto l’influsso dell’americanizzazione, il maestro finlandese insisteva sulla necessità di ricreare le condizioni per il rifiorire di quella cultura sociale dello spazio collettivo attraverso l’enfasi degli edifici culturali e istituzionali. Contraddicendo apparentemente il suo costante riferimento al paesaggio naturale, insisteva inoltre che questi edifici avessero in se stessi le ragioni della loro fondazione. Cosi? penso? la baia di Helsinky come un Canal Grande nordico, dove architetture monumentali rivestite in candido marmo italiano ripetessero il miracolo di uno spazio dedicato all’identità nazionale e sociale delle comunità. Di quest’Utopia rimase in piedi, come è noto, solo il frammento di Finlandia Talo: ma l’idea non mori?, seppur sottoposta alle critiche di ambientalisti e conservatori. Le superfici di candido marmo italiano che Snøhetta adopera come se fossero banchine di ghiaccio ne sono la dimostrazione piu? evidente, insieme all’associazione di questo materiale con l’essenza stessa della natura pubblica dei luoghi.

Fulvio Irace


Opera House

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Opera House
La progettazione del nuovo teatro dell’opera di Oslo ha preso avvio nel 2000 con un concorso internazionale di idee vinto dallo studio norvegese Snøhetta. Promossa dal ministero della cultura e gestita dall’agenzia governativa dei lavori pubblici Statsbygg, la costruzione dell’edificio è iniziata nel febbraio del 2003 e si è conclusa nel 2007 con la chiusura di un cantiere estremamente articolato; il processo esecutivo ha visto avvicendarsi
oltre 50 imprese, chiamate a realizzare un’opera di grandi dimensioni, particolarmente avanzata dal punto di vista tecnologico e carica di valenze culturali e simboliche, non solo per la città in cui sorge, ma anche per l’intera comunità nazionale norvegese.
Destinato ad accogliere l’attività dell’Opera e del Balletto di Norvegia, il teatro è nato infatti come baricentro di un piu? ampio progetto di riqualificazione urbana del fronte mare di Oslo e sorge dalle acque del fiordo dove si affaccia la città interamente rivestito di marmo bianco apuano, come un tributo monumentale al grande valore assegnato dal Paese scandinavo alla cultura lirica e teatrale.
L’intento dei progettisti di ricreare un frammento di pack artico, una sorta di candido spezzone di banchisa arenato in prossimità della piccola penisola di Bjørvika – luogo di incontro storico per gli abitanti della capitale norvegese – ha dato vita ad un volume architettonico definito da una serie di piani inclinati per lo piu? praticabili come terrazze pubbliche rivolte verso la baia.
All’omogeneità della scorza lapidea di rivestimento esterno, una distesa marmorea continua, variata soltanto nel pattern diversificato di molteplici finiture superficiali, è affidato il trasferimento di una suggestione di massa solida monolitica, generata dalla intersezione di piani dalle giaciture ripetutamente variate, incidenti tra loro secondo spigoli sghembi, mai ortogonali, a formare una grande scogliera ghiacciata, ricca di angolature e dorsali. Tale mega-cristallo emerge dall’elemento liquido instaurando con esso un rapporto complesso; l’architettura si configura al contempo come un segnale paesaggistico distinguibile a grande distanza e come un elemento connettivo urbano che unisce la città all’acqua: il mare specchia la forma litica e la increspa di riflessi luminosi nelle giornate di sole; il marmo bianco
sottilmente venato di grigio si pone in relazione di dualità oppositiva, cromatica e materica, con le cupe acque del fiordo. Progettato da Snøhetta con una raffinata scelta di materiali ed una sicura definizione dei dettagli costruttivi, l’edificio esprime una monumentalità amichevole, ottenuta enfatizzando la dimensione orizzontale piuttosto che lo sviluppo verticale dell’architettura; i concetti di accesso libero e di stimolo all’incontro e all’aggregazione della gente sono alla base della progettazione del grande piano inclinato marmoreo che dalla città consente l’ingresso diretto al teatro, per poi salire, con diversi cambi di pendenza, fino ad una terrazza di copertura praticabile.
L’Opera House accoglie il suo pubblico nel foyer principale attraverso un grande diaframma vetrato, retto da un’esilissima struttura metallica e pensato per comunicare all’esterno un aspetto sempre cangiante; con il trascorrere delle ore del giorno, e al variare delle condizioni meteorologiche, la pelle trasparente muta infatti la sua immagine: appare cosi? plumbea e opaca nelle giornate nuvolose, riflettente con la buona stagione, accesa di una luce dorata dall’imbrunire alle ore notturne. I 38.500 metri quadrati degli spazi interni sono suddivisi in tre sezioni principali: la parte del teatro vero e proprio con due sale distinte da 1.400 e 440 posti dotate di
foyer, biglietterie, guardaroba, bar, ristoranti, servizi e aule per conferenze e attività didattiche; l’area delle sale prove con gli uffici amministrativi; la sezione dedicata ai laboratori di scenografia, sartoria e trucco. All’attenta regia progettuale di Snøhetta va ascritto anche l’allestimento dei foyer e delle sale teatrali, dominato dalla calda presenza del legno di quercia composto a formare ricercate tessiture in rivestimenti dall’andamento sinuoso che dialogano, dialetticamente, con il volto spigoloso del ricoprimento marmoreo esterno.


Tagli e finiture del Marmo Bianco Carrara sugli spazi esterni

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Marmo mediterraneo per i fiordi
L’Opera House di Oslo si affaccia sul porto della capitale norvegese completamente rivestita di Marmo di Carrara ad eccezione di una stretta fascia di base parzialmente immersa nel mare, a diretto contatto con l’acqua salata e con il gelo invernale, e quindi realizzata con un durissimo granito locale. La rigida situazione climatica nordica e
il rapporto di estrema vicinanza con l’ambiente marino, hanno imposto di realizzare il rivestimento con masselli marmorei a spessore al posto delle usuali lastre sottili, limitando inoltre il numero dei giunti tra gli elementi che rappresentano possibili punti deboli nei confronti delle infiltrazione dell’umidità.
Tutto l’edificio è cosi? ricoperto da grandi moduli ricavati da oltre 1.000 blocchi di in un marmo apuano caratterizzato da una grana finissima e dalla pressoche? totale composizione calcitica; gli spessori dei masselli vanno dagli 8 ai 10 cm, fino a raggiungere i 20-30 cm in certi pezzi speciali di bordo o di compluvio e displuvio; molti elementi sono ripiegati a libro e formano angoli che si possono chiudere fino ad un’ampiezza di 45° o aprire fino a 170°. Le dimensioni massime di alcuni moduli raggiungono i 2,3 m di lato. La superficie totale del rivestimento è di oltre 18.000 metri quadrati, la massa di marmo impiegato supera le 8.000 tonnellate. Ad affiancare lo studio di architettura norvegese nella fase esecutiva di un’opera cosi? complessa e innovativa è stata la Campolonghi Italia S.p.A. responsabile di tutto il ciclo produttivo, dalla escavazione per la fornitura del marmo, alla lavorazione del prodotto finito. L’ingegnerizzazione del progetto ha preso avvio dal disegno bidimensionale della tessitura geometrica del rivestimento per arrivare a risolvere la modellazione esecutiva tridimensionale dei pezzi massivi (poi posati con malta o montati a secco su di una sottostruttura metallica); il maggiore nodo problematico da sciogliere ha riguardato la necessità di progettare e conformare lastroni, masselli e pezzi monolitici di forte spessore con cui risolvere salti di quota, variazioni di pendenza, morfologie complesse, limitando il piu? possibile il frazionamento degli elementi e conseguentemente, come detto, la presenza di commessure. Un ulteriore passaggio fondamentale del processo esecutivo ha riguardato la messa a punto di un manuale
della qualità specifico per il progetto, con controlli sul materiale, sulle macchine, sulle lavorazioni, sulle malte cementizie e sui sigillanti sintetici da impiegare per la posa in opera del rivestimento e per la chiusura dei giunti. Una particolare attenzione è stata dedicata alle prove di laboratorio sul marmo: dapprima sono stati fatti test distinti su alcuni siti estrattivi di Carrara, poi, una volta scelta la cava de La Facciata nel bacino di Torano, sono stati eseguiti saggi in diversi punti del fronte di escavazione, ed infine sul materiale estratto sono stati condotti monitoraggi in continuo, attraverso prove fisico- meccaniche specifiche per il clima gelivo norvegese che arriva a minimi di -30° C nei rigori invernali e a massimi di 25° C in estate, con escursioni stagionali di oltre 50°. Il caso dell’Oslo Opera House è esemplificativo di una concezione avanzata della progettazione architettonica e del processo esecutivo che vede il lavoro integrato dello studio d’architettura e di una realtà produttiva capace di risolvere realizzazioni complesse e consistenti su commessa specifica, ingegnerizzando il progetto attraverso lo studio del prototipo, la realizzazione in genere di un mock up al vero del sistema costruttivo, il trasferimento alla linea di produzione industriale, l’ottimizzazione della catena di lavorazione in termini di tempi, risorse umane, abbattimento degli sfridi. In tale contesto i valori della riproduzione seriale sono soppiantati da un adattamento continuo del design, delle lavorazioni, delle stesse macchine alle esigenze del progetto, in un iter che tende a trovare di volta in volta punti di approdo nella standardizzazione di procedure e processi ma che non puo? prescindere da una attenzione continua alle esigenze di “personalizzazione” del prodotto.

Davide Turrini


La rampa d’accesso

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Titolo dell’opera:
The Norwegian National Opera & Ballet
Indirizzo:
Bjørvika, Oslo, Norvegia
Data di progettazione e realizzazione:
2000-2008
Committenti:
Opera House
Ministero della Chiesa e degli Affari Culturali
Committente per la costruzione:
Statsbygg (The Governmental Building Agency)
Utente finale:
The Norwegian National Opera & Ballet
Progettazione:
Snøhetta Kjetil Trædal Thorsen, Tarald Lundevall, Craig Dykers
Collaboratori:
(Snøhetta) Project team: Sigrun Aunan, Simon Ewings, Rune Grasdal, Tom Holtmann, Elaine Molinar, Kari Stensrød, Øystein Tveter, Martin Dietrichson, Ibrahim El Hayawan, Chandani Ratnawira, Harriet Rikheim, Marianne Sætre, Anne-Cecilie Haug, Tine Hegli, Jette Hopp, Zenul Khan, Frank Kristiansen, Cecilia Landmark, Camilla Moneta, Aase Kari Mortensen, Frank Nodland, Andreas Nygaard, Michael Pedersen, Harriet Rikheim, Margit Tidemann Ruud, Knut Tronstad, Tae Young Yoon Team landscape architects: Ragnhild Momrak, Andreas Nypan Team interior architects: Bjørg Aabø, Christina Sletner Artists: Olafur Eliasson, Kristian Blystad, Kalle Grude,Jorunn Sannes, Astrid Løvaas, Kirsten Wagle
Strutture:
Reinertsen Engineering ANS
Impresa di costruzione:
55 imprese
Materiale lapideo utilizzato: Bianco Carrara La Facciata (Pavimentazione e rivestimento)
Fornitura pietra:
Campolonghi Italia, Montignoso (MS)

Cenni biografici
Snøhetta AS è uno studio di architettura con sedi a Oslo, Norvegia, e New York City, USA. Lo studio ha assunto in nome di Snøhetta nel 1987. L’organizzazione attuale è quella stabilita nel 1989.
Alla base del successo internazionale di Snøhetta sta la vittoria, nel 1989, al concorso per la nuova Bibliotheca Alexandrina ad Alessandria d’Egitto, cui avevano partecipato piu? di cinquecento architetti da tutto il mondo. La biblioteca, che è la maggiore al mondo come spazio, è caratterizzata dalla sua forma cilindrica inclinata e sorge fra massicce mura di pietra che presentano segni e simboli di diversi periodi storici e di diverse culture. Snøhetta lavora in un proprio stabile sul fronte d’acqua nella zona dei docks di Oslo. La sede è situata in un vecchio magazzino, staccato dalle aree operative del porto. La tranquillità della posizione e l’open space interno rafforzano la disposizione collaborativa e semplificano la comunicazione e la partecipazione. Snøhetta ha piu? di 120 impiegati di 17 paesi, in un mix ben calibrato per sesso ed età. Un’alta percentuale dello staff sono cittadini di varia nazionalità con esperienza di lavoro negli Stati Uniti e nel Medio Oriente.
Snøhetta ha conquistato una reputazione per aver saputo mantenere un forte rapporto fra paesaggio e architettura in tutti i suoi progetti. Il luogo e il contesto di ogni progetto è considerato unico e fornisce un forte punto di partenza per il disegno. Snøhetta si affida al metodo del lavoro di gruppo durante tutto il processo di progettazione.
Lo studio è interdisciplinare, comprendendo architetti, paesaggisti, interior e industrial designers che lavorano a stretto contatto con artisti e ingegneri come collaboratori autonomi.
Lo studio tiene nel massimo conto le proposte dei vari operatori, dal committente al costruttore. Creando un forte rapporto iniziale, Snøhetta cerca di accordare con l’architettura un’ampia varietà di scelte degli utenti senza sacrificare le qualità individuate.
Snøhetta costruisce nella tradizione democratica delineata dallo sviluppo generale degli ambienti del lavoro norvegesi – una tradizione forte che punta sulla cooperazione come metodo ben collaudato per raggiungere buoni risultati. Ogni membro di un gruppo ha la parola, indipendentemente dal titolo e dalla
posizione. La combinazione di valori democratici e contenuto intellettuale influenza fortemente i processi architettonici di Snøhetta. Snøhetta è oggi fra i venti piu? discussi studi di architettura nel mondo. Negli ultimi dieci anni ha vinto alcuni dei maggiori concorsi di progettazione, dimostrando una predilezione per gli edifici culturali.
L’ultimo progetto completato è quello per la nuova Opera House di Oslo, iniziato nell’aprile 2008. Attualmente Snøhetta sta lavorando a una serie di progetti in diversi paesi, fra i quali un edificio multifunzionale d’ingresso negli Emirati Arabi Uniti, un padiglione museale in memoria dell’11 settembre a New York, e ancora un nuovo centro culturale e museo in Arabia Saudita. Snøhetta ha anche realizzato importanti progetti come l’ambasciata di Norvegia a Berlino, il museo Petter Dass ad Alstadthaug, il Serpentine Pavillon a Londra,
il Sandvika Cultural Centre a Oslo, il municipio di Hamar, il museo della pesca di Karmøy e il museo d’arte di Lillehammer per i giochi olimpici invernali del 1993.

Vai a Snøhetta

*La presente opera architettonica è tratta dal volume Litico Etico Estetico (a cura di Vincenzo Pavan), Faenza, Faenza Industrie Grafiche, 2009, pp. 157 editato in occasione di Marmomacc 2009.
Si ringrazia Verona Fiere e Marmomacc per l’autorizzazione alla rieditazione in rete.

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30 Luglio 2010

News

Antiche tecnologie per una nuova architettura

N:EA Napoli:Europa Africa è un’associazione senza scopo di lucro (Onlus) che agisce e lavora nel settore della cooperazione internazionale e dello sviluppo umano, riconosciuta dal 2002 come Organizzazione Non Governativa (ONG) dal Ministero degli Affari Esteri e dall’Unione Europea.
La N:EA nasce a Napoli nel 1987 dalla lunga esperienza di lavoro in Africa dell’architetto Fabrizio Caròla (vincitore nel 1995 dell’Aga Khan Award for Architecture) per contribuire all’incremento di un nuovo dialogo fra l’Europa e l’Africa basato su uno scambievole riconoscimento dei rispettivi valori e qualità.
La N:EA supera le dicotomie di pensiero tra protettore e assistito, tra superiore e inferiore a favore di una concezione paritaria in cui le diverse culture ed esperienze possano scambiarsi e arricchirsi liberamente della loro particolarità e analogie, per dare vita insieme ad una nuova civiltà.
La città di Napoli diviene l’interprete ideale e il punto di riferimento privilegiato di questo processo ritrovando così, allo stesso tempo, il ruolo di centro internazionale di cultura che ha avuto nel passato.

La N:EA organizza cantieri di formazione intitolati “ANTICHE TECNOLOGIE PER UNA NUOVA ARCHITETTURA” e diretti dall’Architetto Fabrizio Caròla.

Due le sedi e le date dei Cantieri di formazione che avranno per oggetto la costruzione di archi, volte e cupole
da lunedì 6 a mercoledì 15 settembre 2010 nel villaggio sperimentale situato in San Potito Sannitico a 3 Km da Piedimonte Matese (CE)
dal 15 Novembre 2010 al 15 febbraio 2011 nei cantieri della N:EA in MALI (Africa Occidentale)

La N:EA invita architetti, ingegneri, geometri (studenti e laureati) e chiunque sia interessato, a partecipare ai corsi al termine dei quali sarà rilasciato un attestato di frequenza.

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