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18 Marzo 2011

Post-it

L’innovazione tecnologica dell’automobile

Gli ultimi saloni dell’automobile (Qatar, Los Angeles, Ginevra) hanno rilevato una moltitudine di proposte e approcci per affrontare il futuro del veicolo, con un particolare occhi all’evoluzione “green”, cosa che non stupisce in quanto questa industria viene particolarmente accusata di inquinare l’ambiente.
Le grandi case automobilistiche si fanno la gara per la più convincente e innovativa tecnologia, che si divide tra lavori realizzabili e applicabili anche domani mattina, ai più pionieristici e avveniristici pensato per il 2020 e oltre.

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16 Marzo 2011

News

Irregolare – Eccezionale


Nella foto allegata ritratti degli architetti coinvolti (© Alberto Parise, eccetto quella di Stefan Diez)

MARMOMACC
VERONAFIERE

Marmomacc alla Triennale di Milano dal 12 al 17 aprile 2011, h. 10:30-22 con la
Mostra “Irregolare-Eccezionale”.

Percorso di design sul tema Irregolare-Eccezionale.
Una sperimentazione di lavorazioni innovative in microarchitetture, pareti e superfici elaborate
a basso ed alto rilievo, incisioni ed intarsi, complementi per il bagno e l’outdoor.

A cura di Umbrella
Allestimento di APML-architetti

Architetti e aziende coinvolte: Patricia Urquiola con Budri, Aldo Cibic con Grassi Pietre, Thomas Sandell con Marsotto, Marco Piva con MGM Furnari, Manuel Aires Mateus con Pibamarmi, Tomás Alonso, Stefan Diez, Luca Nichetto e Philippe Nigro con Regione Puglia.

Vai a Marmomacc

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12 Marzo 2011

Design litico

ACQUA E PIETRA
Il travertino dall’ambiente termale alla sala da bagno*

English version


Concrezioni calcaree formate da flusso di acqua termale.

Il fatto che in molte cave scaturisca dalla pietra l’acqua sulfurea di colore bianco-azzurrino, rafforza la sensazione che la pietra altro non sia che il liquido rappreso, il sedimento solido di quel fiume di latte fetido che la terra produce in abbondanza. Solo quando, separato dal banco e tagliato in blocchi, il travertino perde il contatto con la sua matrice, esso indurisce e sbianca.
Paolo Portoghesi, “Qual è il merito del travertino romano?”1

La genesi della materia
La materia fluida si sedimenta, per poi solidificarsi in pietra; un’interpretazione, quella di Paolo Portoghesi, capace di leggere la natura intrinseca del travertino, presenza litica che, oltre a caratterizzare il paesaggio romano, appartiene storicamente alle terre senesi che proprio nella origine carbonatica di tale litotipo, e nel suo legame con la fluidità dell’acqua, riconoscono la propria vocazione termale. Durante il processo di litogenesi successivo alla sedimentazione dei carbonati di calcio presenti nelle acque si formano inclusioni gassose diffuse, che creano la porosità irregolare del materiale, unico e mutevole in ogni suo frammento.
L’inscindibile legame tra travertino e ambiente termale e, più in generale, tra pietra e acqua, riflesso nel mondo dell’architettura e del design del benessere, è il tema di questo breve saggio.
L’acqua, elemento generatore di vita, simbolo per l’uomo di sopravvivenza ma anche di sacralità, mistero e bellezza, segna le origini del territorio toscano in un rapporto antico e concreto che delinea le forme stesse del paesaggio e i caratteri della materia della quale esso è composto. I sali termali, dalle riconosciute proprietà benefiche, prima di solidificarsi in pietra sono indispensabili per tutte quelle pratiche curative ed estetiche cui gli stili di vita contemporanei stanno ponendo sempre maggiore attenzione.
L’attenzione rivolta alla cura del corpo, accentuata in questo avvio di millennio, è la conseguenza di un’evoluzione culturale avvenuta nel corso degli ultimi due secoli di storia. Gli attuali luoghi dedicati al benessere, sia nell’ambiente pubblico che in quello privato, sono il risultato della graduale trasformazione dei costumi della civiltà contemporanea che, fin dall’Ottocento, ha elaborato uno specifico sviluppo tipologico e tecnologico dei servizi e degli ambienti dedicati all’igiene e alla cura dell’individuo.


Stratigrafie di travertino nel Parco Termale dell’Acqua Borra a Castelnuovo Berardenga.

All’interno di questa dinamica ha un ruolo di primo piano la cultura termale che, seppur conosciuta fin dall’antica Roma, rimane prerogativa di pochi fino alla fine del Settecento, quando comincia ad essere gradualmente riscoperta da parte della società borghese nei cui centri abitati aumenta la presenza di luoghi pubblici dedicati alle pratiche idroterapiche. Tali stabilimenti, antecedenti dei bagni pubblici, contribuiscono alla diffusione di una nuova attenzione nei confronti della cura del corpo oltre che di una moda del viaggio terapeutico, portando in un secondo tempo all’introduzione nell’abitazione di uno specifico luogo dedicato all’igiene e poi ancora alla cura estetica dell’individuo: la stanza da bagno.
Oggi la necessità di fuga dai ritmi di vita sempre più intensi ed il relativo sviluppo di spazi riservati alle ritualità di un benessere fisico e mentale integrale, sono espressione diffusa della cultura globale. In tali “ambienti di rigenerazione” l’uomo cerca nuove armonie iconico-sensoriali e l’architettura e il design ritornano ad essere forme espressive ideali per la ricerca di questi equilibri. La crescente importanza attribuita dalla società odierna ad un nuovo edonismo e al culto del corpo si relaziona con la consapevolezza dell’imprescindibile necessità di uno sviluppo sostenibile del mondo globalizzato legato a nuovi modelli che esaltano il valore del patrimonio territoriale, sia ambientale che socio-culturale.2
Grazie a tale relazione, sviluppatasi in particolare negli ultimi anni, la contemporaneità sta riscoprendo il valore della naturalità della materia litica e dei luoghi in cui essa nasce, relazionandola anche agli spazi dedicati al benessere, che si trasformano in veri e propri templi naturali silenziosi dove, tra le pietre, sgorga acqua benefica. Questi ultimi diventando i nuovi “giacimenti di beni materiali ed immateriali” per le economie locali, che si indirizzano verso inedite forme di politiche territoriali e di imprenditoria turistica coniugata spesso a pratiche etiche di utilizzo sostenibile delle risorse ambientali.3


Cascata di acque terapeutiche nelle terme San Giovanni a Rapolano Terme.

Spazi e architetture termali
Nella prassi contemporanea l’ambiente termale subisce una metamorfosi e si trasforma sempre più di frequente in un luogo del benessere articolato e complesso, così come la stanza da bagno privata si arricchisce di inedite connotazioni spaziali, materiche e funzionali, con l’introduzione di elementi di design che sono il frutto di un sapiente lavoro artigianale supportato dalle potenzialità produttive dei mezzi tecnologici più innovativi. In tali fenomeni di mutazione si assiste a soluzioni progettuali e tecnologiche nuove, grazie alle quali il materiale lapideo riscopre la sua naturale identità e ritorna al centro dell’attenzione dei progettisti.
Se le città accolgono sempre più numerosi luoghi dedicati allo “star bene” in cui trovare una pausa momentanea nell’incessante susseguirsi della routine urbana, località più piccole, diffuse sul territorio, dove il rapporto con l’ambiente naturale rimane realtà tangibile, offrono oggi veri e propri templi del wellness moderni e accessibili a sempre più ampie fasce sociali.
L’imprescindibile binomio tra paesaggio naturale e terme porta nella maggior parte dei casi all’utilizzo della pietra locale, come è possibile constatare in uno degli esempi più importanti che l’architettura termale contemporanea ci offre: le terme di Vals in Svizzera progettate, tra il 1993 e il 1996, dall’architetto Peter Zumthor. Tremila metri cubi di gneiss di Vals, disposti in lastre sovrapposte, formano un volume monolitico compatto e omogeneo nel quale pareti, pavimentazioni, vasche e vani scala si sviluppano come superficie litica continua, interrotta solo dalle aperture verso l’orizzonte alpino dei Grigioni. Lo stesso Zumthor sostiene che queste terme «esprimono la silenziosa, primaria esperienza del bagnarsi, del rilassarsi nell’acqua, del contatto del corpo con la pietra e con l’acqua a diverse temperature in differenti situazioni».4 Rivisitazione in chiave tutta contemporanea dell’architettura tradizionale in pietra locale delle valli elvetiche, queste terme possono essere considerate come uno dei modelli più rappresentativi del possibile dialogo fra paesaggio e architettura, fra pietra e acqua. Anche nella penisola italiana il legame tra architettura termale e pietre naturali locali è estremamente evidente e, soprattutto nell’Italia centrale, tale dialogo è diffusamente suggellato dalla presenza del travertino.
In Toscana, l’evidenza dei siti termali costruiti con questo materiale parte da nord, ai piedi dell’Appennino pistoiese, con gli stabilimenti di Montecatini Terme, meta storica di un turismo terapeutico attivo sin dal XVIII secolo. Gli edifici delle terme Leopoldine e del Tettuccio, costruiti negli anni settanta del Settecento su progetto di Gaspare Maria Paoletti e ristrutturati nel 1926 da Ugo Giovannozzi, sono interamente realizzati con un dorato travertino locale che dà vita alle rigorose forme neoclassiche di colonne, esedre, vasche, fontane e quinte murarie animate da cornici e modanature. A Montecatini, accanto alla celebrazione della levigata fluidità di questa materia accarezzata dall’acqua, si assiste all’esaltazione del suo valore solido, monumentale e della sua preziosità decorativa, con una riproposizione delle figure plastiche tradizionali delle antiche terme romane.
Scendendo verso sud si giunge al “cuore termale” della Toscana rappresentato dai numerosi siti grossetani e, principalmente, senesi: a Bagni di Petriolo, Saturnia, Bagni San Filippo, Chianciano, Bagno Vignoni, San Casciano dei Bagni ma soprattutto a Rapolano Terme il travertino è una presenza materica totalizzante che fuoriesce dalla terra in colate solidificate, vasche e gradoni naturali incastonati nel paesaggio e ancora modellati dal fluire continuo dell’elemento liquido. Dalla natura all’architettura: il materiale travertinoso con le sue porosità e le sue irregolari striature che animano le caratteristiche colorazioni bianche, ocracee e argentee, dà vita a spazi e stabilimenti che sono oggi suggestivi centri benessere capaci di garantire alti standard di qualità ricettiva.
Nei complessi termali rapolanesi, di recente rinnovati, il travertino fodera senza soluzione di continuità gli ambienti e le vasche interne dove si praticano le terapie; anche gli edifici sono rivestiti con la pietra locale e, costruiti secondo i principi del minimo impatto ambientale, sono circondati da piscine calde all’aperto che invitano i fruitori alla contemplazione del dolce paesaggio collinare circostante.
In questi luoghi il travertino si offre all’uomo nella percezione visiva, tattile, uditiva della sua massività spugnosa, delle sue tinte e delle sue grane superficiali arricchite dall’interazione con i colori, le temperature, i suoni e gli odori dell’acqua, che ha compartecipato alla sua genesi; nell’atmosfera termale, dove ha trovato la sua origine, la pietra senese dimostra la sua adattabilità ad una contemporaneità applicativa unica e preziosa che prosegue negli spazi di un interior design del tutto originale e di elevatissima qualità produttiva.

Cascata di acque terapeutiche nelle terme Antica Querciolaia a Rapolano Terme.

La sala da bagno contemporanea
L’architettura fornisce continue e rinnovate conferme dello stretto legame che sussiste fra la pietra e l’acqua e delle molteplici suggestioni che esso produce; numerose e affascinanti opere, rintracciabili anche al di fuori delle tipologie strettamente dedicate alla cura del corpo, dimostrano che i grandi maestri del Contemporaneo hanno spesso interpretato questa misteriosa e seducente relazione, connessa alle origini geologiche del mondo, come punto di forza dei loro progetti: il Padiglione di Barcellona, disegnato da Mies van der Rohe nel 1929, l’ampliamento della Gipsoteca Canoviana di Possagno, progettato da Carlo Scarpa tra il 1955 e il 1957, il Salk Institute a La Jolla del 1959-65 e il Kimbell Museum a Forth Worth del 1966-72 di Louis I. Kahn, la Fondazione Beyeler di Basilea, firmata da Renzo Piano nel 1991, con i loro specchi d’acqua contenuti in bacini di pietra, sono solo alcuni dei tanti importanti esempi del felice incontro pietra-acqua che potremmo citare in proposito.5
Quasi sempre in tali opere, il confine tra il concetto di “elemento architettonico” e quello di “oggetto di design” appare labile, se non addirittura indistinguibile. La pietra viene plasmata in pezzi di dimensioni e morfologie diverse, che qualificano con la loro presenza gli spazi, dando vita a vasche, fontane, sedute, setti parietali, campi pavimentali, bordi rilevati.
Il nostro avvicinamento al design induce, comunque, attraverso un salto di scala, a spostare l’attenzione dallo spazio pubblico dell’architettura termale a quello privato della stanza da bagno, un ambiente a funzione specializzata introdotto all’interno dell’abitazione solo a partire dall’inizio del Novecento, quando si è cominciato a precisarne e razionalizzarne la conformazione ed a standardizzarne gli elementi.


Vasca in travertino senese disegnata da Studio Padrini.

Rispetto ai materiali più convenzionali ed economici l’impiego della pietra nei bagni privati è da sempre sinonimo di ricchezza e prestigio: la materia litica ha rivestito le superfici verticali e orizzontali delle sale da bagno di importanti residenze patrizie a partire dalla civiltà romana imperiale ed è stata anche impiegata per la realizzazione di elementi destinati alla pulizia e cura del corpo unici e originali in epoca contemporanea. Fra fine Ottocento e inizio Novecento Adolf Loos e Josef Hoffmann progettano per i propri facoltosi committenti stanze da bagno arricchite da preziose lastre di marmo, trasformando questi ambienti in spazi raffinati e lussuosi di uso esclusivo dei proprietari. Nel 1903, lo psichiatra viennese Theodor Beer affida a Loos l’incarico di ristrutturare la sua villa sul lago di Ginevra, La Maladaire. Nell’ampliamento e nel rifacimento interno dell’edificio, chiamato successivamente Villa Karma, l’architetto opta per la realizzazione di una stanza da bagno in marmo nero e intonaco bianco, concependola come uno degli ambienti più monumentali dell’abitazione, un vero e proprio tempio del piacere individuale e della cura del corpo. Il grande vano rettangolare si sviluppa in lunghezza con la giustapposizione di due spazi, posizionati a differenti livelli, distinti da un sistema tetrastilo di colonne doriche. Le pareti sono rivestite da lastre di marmo nero accentuatamente venato, che si modellano in specchiature contornate da cornici a rilievo. Superiormente, il marmo lascia spazio alla superficie neutra dell’intonaco bianco che si modella in una volta a botte. L’ambiente sembra scavato in un blocco di marmo, dal quale Loos ricava la scatola muraria, le colonne, i lavabi dalle linee curve, le vasche quadrangolari.
Una placcatura in materiali litici pregiati caratterizza anche il bagno che Josef Hoffmann progetta per Palazzo Stoclet, costruito a Bruxelles fra il 1905 e il 1911. La stanza da bagno diventa uno scrigno prezioso; uno spazio intimo di trentaquattro metri quadrati dedicato al benessere del committente. L’ambiente è un volume stereometricamente definito, trasfigurato grazie al rivestimento lapideo in un padiglione di “stoffa pietrificata” poggiato su un bacino d’acqua. La stanza è delimitata da grandi pannelli rettangolari di marmo statuario bianco venato di grigio, con piccoli inserti quadrati di mosaico policromo, decorazioni in malachite e bordature rettilinee in marmo nero. Metafore di teli appesi e giustapposti, le lastre sono sormontate da una seconda fascia dalle valenze tessili, una tappezzeria a righe verticali in rilievo che riveste la parte superiore delle pareti. La funzione della stanza induce Hoffmann ad accrescerne le implicazioni simboliche per le quali, oltre all’accurata scelta dei materiali, si avvale di uno studiato gioco di rapporti fra pareti e pavimento. Quest’ultimo viene rivestito di marmo belga blu scuro, quasi a voler smaterializzare la superficie in specchio acquatico dal quale far sorgere la stanza, un nuovo ulteriore sacello appartato e prezioso per i riti della cura del corpo. Non si comprende la profondità dell’acqua, ma pareti ed elementi di arredo vi appaiono immersi; il loro limite inferiore viene quasi “tagliato”, come mostra la bordatura dei pannelli, assente in corrispondenza della pavimentazione.

Lavabo in travertino senese disegnato da Studio Padrini.

Nel bagno di Palazzo Stoclet vasca e lavabi sono i protagonisti della stanza; al centro sorge la vasca, maestosa protagonista, che domina l’ambiente. Se in villa Karma le due vasche erano quasi nascoste da un diaframma divisorio, qui l’imponente massa solida di marmo bianco invade lo spazio abbandonando la tradizionale collocazione longitudinale, contigua alla parete, per disporsi perpendicolarmente verso il centro della stanza. Essa è un parallelepipedo tagliato inferiormente dalla superficie del pavimento; internamente il vuoto destinato ad accogliere l’acqua per il bagno ha una forma sinuosa e smussata che appare come il frutto di un lavorio di levigatura prodotto dall’elemento liquido stesso. Il monolito si riflette sulla superficie pavimentale lucida e scura, rivolgendosi frontalmente verso la sorgente di luce delle finestre che si aprono verso il giardino della casa.
A partire da questi esempi di riferimento fortemente elitari e lussuosi, per tutto il corso del Novecento, le abitazioni della ricca borghesia accolgono ampi locali rivestiti di pietre pregiate e arredati con lavabi e vasche scavate in blocchi litici.
Se progettisti come i francesi Pierre Chareau, negli anni Venti, e Emile-Jacques Ruhlmann, negli anni Trenta, disegnano bagni da sogno dove l’utilizzo della pietra diviene pura ostentazione della ricchezza e della ricerca del piacere da parte dei committenti, a partire dagli anni Quaranta, l’utilizzo della materia litica nel design per il bagno comincia ad assumere connotazioni diverse, che vedono una graduale riappropriazione dei valori di naturalità e tradizione.
Tra il 1939 e il 1942 Adalberto Libera progetta per lo scrittore Curzio Malaparte un’affascinante e originale abitazione su un promontorio dell’Isola di Capri. Scrive Malaparte: «mi apparve chiaro fin dal primo momento che non solo la linea della casa, la sua architettura, ma i materiali con cui l’avrei costruita, avrebbero dovuto essere intonati con quella natura selvaggia e delicata. Non mattoni, non cemento, ma pietra, soltanto pietra, e di quella del luogo, di cui è fatta la roccia, il monte».6 Anche la progettazione degli interni si basa essenzialmente sull’utilizzo della pietra che, nella stanza da bagno, oltre a rappresentare un riferimento all’identità materica del luogo è interpretabile come simbolo di classicità e mezzo per la riproposizione in chiave domestica di un ambiente termale romano. La stanza ha pareti rivestite per tre quarti con ampi pannelli in marmo dalle venature poste verticalmente secondo un disegno che Malaparte studia insieme al pittore caprese Raffaello Castello. In corrispondenza di uno dei lati maggiori, una struttura muraria crea una nicchia sormontata da una volta ad arco ribassato; sotto di essa la pavimentazione viene scavata in forma di vasca, anch’essa rivestita dello stesso materiale e contornata superiormente da un pronunciato bordo marmoreo bianco.


Bagno in travertino senese disegnato dallo Studio Gargano Fagioli.

Risale agli anni Settanta, invece, il bagno in marmo progettato da Carlo Scarpa per Casa Ottolenghi, costruita a Bardolino sul lago di Garda. La stanza si configura come una cellula semicilindrica che funge da cerniera fra il soggiorno e la camera da letto padronale; il bagno diventa così snodo centrale dell’abitazione e riprende, in versione cava, il modulo ripetuto dalle nove colonne in rocchi di pietra e calcestruzzo che caratterizzano lo sviluppo dell’edificio.
Ma se Scarpa sceglie di inserire nelle colonne alcuni rocchi di pietra locale, il biancone di Prun, per l’ambiente del bagno opta per un rivestimento in marmo bianco arabescato e accostato a superfici in stucco rosato lucido, opera di Eugenio De Luigi. L’ambiente si trasforma ancora una volta in un prezioso riferimento alla tradizione dell’architettura termale, in un luogo intimo e raccolto per la cura del corpo e per la meditazione, realizzato con le più raffinate tecniche artigianali di allestimento degli spazi e delle superfici.
Tutte le opere sin qui citate, nonostante le diverse interpretazioni compositive e formali, sono accomunate dall’impiego della pietra, scelta evidentemente come presenza materiale intimamente connaturata allo scaturire dell’elemento liquido. La materia lapidea assume poi, in ogni caso, un ruolo di medium valoriale connesso ai concetti di naturalità e di tradizione artigianale del costruire.
Questa espressività della pietra è al centro dell’attenzione del design contemporaneo, in una filiera di sviluppo basata sulla concezione e sulla produzione di elementi per il bagno semplici ed essenziali, dalle geometrie rigorose scavate in pezzi lapidei massivi, capaci di conferire una inedita qualificazione agli ambienti per la cura del corpo. Anche i travertini senesi sono protagonisti di questo fenomeno proprio perché, in tale contesto, l’unicità delle loro caratteristiche cromatiche e materiche naturali, fatte di sfumature e porosità sempre diverse, diviene una peculiarità arricchente, un valore aggiunto che li rende insuperabili nel dar vita a oggetti originali e di volta in volta irripetibili.
Nelle forme fluide e smussate del design litico per il bagno contemporaneo il travertino ritrova, e rinsalda, l’antico legame con l’acqua, e l’uomo riconquista un contatto diretto con gli elementi primigeni delle sue origini.

di Sara Benzi

Note:
1 Paolo Portoghesi, “Qual è il merito del travertino romano?” p.7, in Il Travertino romano di Tivoli, Roma, ANIS, 1984, pp.119.
2 Per un approfondimento sul tema si veda Donatella Furia, Nicola Mattoscio, “Il capitale ambientale come valore strategico dello sviluppo locale” pp.33-49, in Antonio Marano (a cura di), Design e ambiente – La valorizzazione del territori tra storia umana e natura, Milano, POLI-design, 2004, pp.215.
3 Si veda anche Stefania Camplone, “Il turismo ispirato alla sostenibilità ambientale” pp.51-67, in Antonio Marano (a cura di), Design e ambiente – La valorizzazione del territori tra storia umana e natura, Milano,
POLI-design, 2004, pp.215.
4 Peter Zumthor, 1995, cit. in Emilio Faroldi, Francesca Cipullo, Maria Pilar Vettori, Terme e Architettura – progetti tecnologie strategie per una moderna cultura termale, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2007, p.87.
5 Per il ruolo assunto dall’acqua nell’architettura di Carlo Scarpa si veda Renata Giovanardi, Carlo Scarpa e l’acqua, Venezia, Cicero, 2006, pp.199.
6 Curzio Malaparte, “Ritratto di pietra” (relazione autografa), 1940, cit. in Marida Talamona, Casa Malaparte, Milano, Clup, 1990, p.32 e sgg.

* Il post riedita il saggio pubblicato in Alfonso Acocella, Davide Turrini (a cura di), Travertino di Siena, Firenze, Alinea, 2010, pp. 303.
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12 Marzo 2011

English

WATER AND STONE
Travertine from spa to bathroom

Versione italiana


Limestone concretions formed by flowing thermal waters.

«The fact that in many quarries sulphuric waters of a bluish-white colour spring forth from the rock strengthens the perception that the stone is just a condensed liquid, the solid sediment of that river of fetid, milky fluid which the Earth produces in abundance. Only when separated from the rock face and cut into blocks, does travertine lose contact with the matrix: it becomes harder and whitens».1

The origin of the material
The fluid material deposits and then hardens into rock; in his interpretation Paolo Portoghesi perceives the intrinsic nature of travertine, a stone characterising the Roman landscape that is also historically associated with the territory of Siena, an area of spas thanks to the carbonate nature of this lithotype and its link to the flow of waters. During the process of lithogenesis, subsequent to the sedimentation of calcium carbonate present in the water, numerous gaseous inclusions form; these create the irregular porosity of this material, whose every single fragment is unique.
The inextricable link between travertine and thermal spas and, in general, between stone and water, as reflected in the world of architecture and of design for wellbeing, is the theme of this brief essay.
Water, the element originating life, a symbol not only of survival but also of sacredness, mystery and beauty, marks the origin of the Tuscan territory: an ancient and tangible relationship that delineates the actual morphology of the landscape and the characteristics of the materials which shape it. Thermal salts, which have widely acknowledged beneficial properties, before they solidify as rock, are indispensable for all those curative and aesthetic practices to which contemporary society pays ever greater attention.
The focus on the care of one’s body, particularly since the start of this millennium, is a result of the cultural evolution that occurred in the last two centuries. The current centres dedicated to wellbeing, both in the public and private sector, are the result of the gradual transformation of the customs of contemporary society. Starting in the 19th century, specific technologies and types of services and environments dedicated to personal hygiene and care of the body have been developed.
Within this context, spa culture has a prominent role; although known since ancient Roman times, spas remain the prerogative of just a few until the end of the 18th century, when they are gradually rediscovered by the upper classes and the presence of public areas dedicated to hydrotherapy increases in urban centres. These establishments, a development of public baths, help to both focus attention on care of the body and create a fashion for health resorts, later leading to the introduction of a specific room in the house dedicated to personal hygiene and aesthetic care: the bathroom.


Travertine strata in the Acqua Borra thermal park near Castelnuovo Berardenga.

Nowadays the need to escape from ever more frenetic lifestyles has led to the development of spaces reserved for rituals connected to total physical and mental wellbeing, thus becoming a widespread expression of global culture. In such “regenerating environments” people search for new iconic-sensory harmonies, and architecture and design are once again the ideal means for the expression of this equilibrium. The growing importance given by modern society to a new hedonism and cult of the body is linked to the awareness of the inescapable need for sustainable development within a globalized world; this is linked to new models that enhance the value of territorial assets, both environmental and socio-cultural.2
Thanks to this relationship, developed particularly in recent years, modern society is rediscovering the value of the natural qualities of this rock and of the areas in which it forms, placing it in relationship to areas dedicated to wellbeing. The latter become silent natural temples where beneficial waters spring up among the stones. These waters have become a new “material and immaterial resource” for local economies, which focus on novel forms of territorial politics and of a tourist industry often embracing the practical ethic of sustainable use of natural resources.3


Thermal waterfalls in the San Giovanni spa in Rapolano Terme.

Space and spa architecture
In modern practice the spa environment undergoes a metamorphosis, becoming increasingly a complex, articulated area of wellbeing; likewise, the private bathroom is enriched with new spatial, material and functional connotations. The introduction of elements of design are the result of expert artisan workmanship sustained by the productive potential of the most innovative technological instruments. These changes are accompanied by new project and technological solutions, through which the stone regains its natural identity and is once again the focus of designers.
Cities host an increasing number of centres dedicated to “wellbeing” that provide a momentary respite from hectic urban life, whereas smaller places scattered throughout the territory, where the relationship with nature remains a tangible reality, now represent true modern temples of wellbeing accessible to an ever wider range of social classes.
In most cases the inextricable link between natural landscape and spa leads to the use of local stone, as seen in one of the most important examples of modern spa architecture: the Vals Spa in Switzerland designed between 1993 and 1996 by architect Peter Zumthor. Three thousand cubic meters of Valser gneiss, laid out in overlapping layers, form a compact, homogeneous monolithic volume from which the walls, pavements, pools and stairwells are derived, describing a continuous stone surface only interrupted by the aperture facing the Grison Alps. Zumthor himself believes that this spa «expresses the silent, primal experience of bathing, of relaxing in water, of bodily contact with stone and water at different temperatures in different contexts».4 A thoroughly modern interpretation of traditional architecture in the local stone of the Swiss valleys, this spa may be considered one of the most representative models of the possible dialogue between landscape and architecture, between stone and water.
Even in the Italian peninsula there is a very clear link between spa architecture and local stone. Especially in central Italy, the use of travertine widely marks this relationship. In Tuscany, evidence of spas built from this material starts in the north, at the foot of the Pistoia Apennines: the Montecatini Spa, since the 18th century a historical destination for hydrotherapy tourism. The buildings of the Leopoldine and Tettuccio spas were designed in the 1770’s by Gaspare Maria Paoletti and restructured in 1926 by Ugo Giovannozzi; they are made entirely of a local golden travertine which shapes the severe neoclassical columns, exedras, baths, fountains and walls adorned with frames and moulding. At Montecatini, along with the celebration of the smooth fluidity of this material caressed by water, its solid monumental value and precious decorations are embellished with reproductions of traditional plastic figures in ancient Roman spas.
Further south lies the “thermal heart” of Tuscany, represented by numerous sites in the Grosseto area and, more importantly in the area of Siena: at Bagni di Petriolo, Saturnia, Bagni San Filippo, Chianciano, Bagno Vignoni, San Casciano dei Bagni and, in particular, at Rapolano Terme travertine is an omnipresent material that springs forth from the earth in solidified flows, pools and natural terraces set in the landscape and modelled by the continuous flow of this liquid material. From nature to architecture: travertine, with its porosity and irregular striations that enliven its characteristic white, ochre and silver colouring, creates spaces and establishments that are now suggestive spas guaranteeing high quality services.
In Rapolano’s recently renovated spas, travertine lines without interruption the rooms and indoor tubs where treatments take place; even the buildings are covered with the local stone and, built following a criterion of minimum environmental impact, they are surrounded by warm outdoor pools that invite bathers to contemplate the surrounding gentle hilly landscape.
In these areas the massive, porous travertine stone provides a visual, tactile and auditory stimulus, its hues and its surface texture enriched by the interaction with the colour, temperature, sound and smell of the waters from which it originated; in the thermal environment, where it formed, the Sienese stone shows its adaptability to unique and particular modern applications and to a thoroughly original interior design of extremely high production quality.


Thermal waterfalls in the Antica Querciolaia spa in Rapolano Terme.

The modern bathroom
Architecture provides continuous and renewed confirmation of the link between stone and water and of its suggestiveness; numerous fascinating works, including those not strictly linked to bodily care, demonstrate that the great masters of modern architecture have often considered this mysterious and seductive relationship, linked to the geological origins of the world, a focal point of their projects: the Barcelona Pavilion, designed by Mies van der Rohe in 1929, the extension of the Canova Plaster Cast Gallery in Possagno, designed by Carlo Scarpa between 1955 and 1957, the Salk Institute at La Jolla completed in 1959-65 and the Kimbell Museum in Forth Worth built in 1966-72, both designed by Louis I. Kahn, the Beyeler Foundation in Basle, designed by Renzo Piano in 1991, with their pools of water in stone basins, are only some of the many important examples that may be cited of the happy encounter between stone and water.5
In these works the boundary between “architectonic element” and “designer object” is nearly always blurred, if not indistinguishable. The stone is moulded into pieces of different size and shape, defining with their presence spaces, forming pools, fountains, seats, walls, pavements and raised edgings.
When considering design one must change the scale of observation and shift the focus of attention from the public realm of spa architecture to the private one of the bathroom, a room with a specific function introduced in homes only starting in the early 20th century, when it began to have a precise, rationalized layout and standard components.


Tub in Sienese travertine designed by Studio Padrini.

With respect to more conventional and economic materials, the use of this stone in private bathrooms has always been a synonym of wealth and prestige: starting in the Roman Imperial Age, the stone was used to line the vertical and horizontal surfaces of bathrooms in important Patrician homes, and in modern times, to create original, unique components for personal hygiene and care of the body. Between the end of the 19th century and the start of the 20th century Adolf Loos and Josef Hoffmann designed bathrooms decorated with precious marble slabs for their wealthy clients, transforming these rooms into refined, luxurious spaces for the exclusive use of the homeowner.
In 1903, Viennese psychiatrist Theodor Beer commissions Loos to restructure his villa on Lake Geneva, La Maladaire. For the extension and internal restructuring of the building, later named Villa Karma, the architect decides to decorate a bathroom with black marble and white plaster, turning it into one of the most monumental environments of the home, a true temple of personal pleasure and of care for the body. The large rectangular room develops lengthwise through the juxtaposition of two areas at different levels, differentiated by tetrastyle Doric columns. The walls are lined with slabs of heavily veined black marble set, mirror-like, in a raised frame. Above, the marble gives way to the neutral surface of the white plaster fashioned into a barrel arch. The room seems to have been dug from a marble block, out of which Loos fashions the masonry shell, the columns, the curved washbasins, and the quadrangular tubs.
The bathroom designed by Josef Hoffmann for the Stoclet Palace, built in Brussels between 1905 and 1911, is also lined with prestigious stone materials. The bathroom becomes a precious casket; an intimate space of thirty-four square meters dedicated to the wellbeing of the owner. The room is a stereometrically defined volume transformed, thanks to the stone panelling, into a pavilion of “petrified cloth” resting on a pool of water. The room is delimited by the large rectangular panels of statuary white marble with grey veining, small square polychrome mosaic inserts, malachite decorations and rectilinear borders in black marble. Metaphors of hanging, juxtaposed sheets, the panels are surmounted by a second strip of textile connotation, a tapestry with raised vertical stripes that covers the upper portion of the walls. The function of the room leads Hoffmann to emphasize its symbolic implications, for which, besides the careful selection of materials, he studiedly plays with the relationship between wall and floor. The latter is covered with dark blue Belgian marble, almost in an attempt to dematerialize the floor, thus transforming it into a water surface from which the room emerges and creating another secluded, precious sanctuary in which to complete the rituals of the care of the body. The depth of the water cannot be understood, but walls and furnishings seem to be immersed in it; their bases are almost “cut”, as suggested by the lack of a frame where the panels meet the floor.


Washbasin in Sienese travertine designed by Studio Padrini.

The tub and washbasins are the protagonists of the bathroom in the Stoclet Palace; the tub stands at the centre, a majestic presence that dominates the room. While in Villa Karma the two tubs were nearly hidden by a dividing screen, here the imposing solid mass of white marble invades the space, abandoning its traditional position parallel to the wall, to be placed perpendicularly, so that it is projected towards the centre of the room. It is a parallelepiped cut at the base by the floor; the inner surface of the tub has a sinuous, smooth shape, as though it had been sculpted by water. The monolith, reflected in the dark, shiny floor surface, faces the source of light from the windows that give onto the garden.
Starting from these highly elite and luxurious reference examples, throughout the 20th century, wealthy upper class homes had large rooms with precious stone panelling and furnished with washbasins and tubs dug in blocks of stone.
French designers such as Pierre Chareau, in the 1920’s, and Emile-Jacques Ruhlmann, in the 1930s, create dream bathrooms in which the use of stone is purely an ostentation of wealth and for the personal pleasure of the client; starting in the 1940’s, the use of stone in bathroom design begins to have different connotations, with a gradual return to the values of naturalism and tradition.
Between 1939 and 1942 Adalberto Libera designs a fascinating and original home for writer Curzio Malaparte on a promontory of the Island of Capri. Malaparte writes: «it seemed clear from the start that not only the line of the house, its architecture, but also the materials with which it was to be built would have to fit in with the wild and delicate natural surroundings. Not bricks, not cement, but stone and only that local stone which makes up the promontory».6 Even the interior design is essentially based on the use of stone, which in the bathroom, besides referring to the material identity of the site, may be interpreted as a symbol of classicism and a means for revisiting the Roman thermal bath in a domestic context. The room has walls which are lined for three-quarters of their height with wide marble panels, with the veining placed vertically according to a design that Malaparte studies together with Capri painter Raffaello Castello. On one of the longer sides, a wall creates a niche surmounted by a vault with a low arch; below it the floor is dug out in the shape of a tub lined with the same material and with a marked border of white marble.


Bathroom in Sienese travertine designed by Studio Gargano Fagioli.

The marble bathroom designed by Carlo Scarpa for Casa Ottolenghi at Bardolino, on Lake Garda, dates to the 1970’s. The room develops as a semi-cylindrical cell that acts as a connecting space between the living room and the master bedroom; the bathroom thus becomes a central point of the home, recalling, quarry-like, the module repeated by the nine columns consisting of blocks of stone and concrete that characterise the layout of the house. Although Scarpa decides to include some blocks of local stone (biancone di Prun) in the columns, he lines the bathroom with white arabesque marble juxtaposed with shiny pinkish stucco surfaces, the work of Eugenio De Luigi. Once again, with a rich reference to the tradition of spa architecture, the room is transformed into an intimate, collected space for the care of the body and meditation, constructed using the most refined artisan techniques for fitting out spaces and surfaces.
All the above-mentioned works, notwithstanding the different compositional and formal interpretations, are similar in their use of stone, which is apparently chosen as an element intimately associated with the springing waters. In each case the stone becomes a means for embracing the nature and aspects of artisan tradition in construction.
This expressivity of stone is the focus of modern design, of industrial development based on the conception and production of simple, essential elements for the bathroom characterised by severe geometries; such elements, derived from massive stone blocks, add a new perspective to rooms dedicated to personal care. In this context, even Sienese travertine is a protagonist of this phenomenon. The uniqueness of its chromatic and natural material characteristics, with its differing shades and porosity, becomes an enrichment, an added value that makes it unsurpassable in its potential use for creating original, unique objects. In the fluid and bevelled shapes of stone design for the modern bathroom, travertine finds and reinforces its ancient link with water, and man re-establishes direct contact with these primeval elements.

by Sara Benzi

Notes:
1 Paolo Portoghesi, “Qual è il merito del travertino romano?” p. 7, in Il Travertino romano di Tivoli, Rome, ANIS, 1984, pp. 119.
2 For a more detailed discussion see Donatella Furia, Nicola Mattoscio, “Il capitale ambientale come valore strategico dello sviluppo locale” pp. 33-49, in Antonio Marano (edited by), Design e ambiente – La valorizzazione del territori tra storia umana e natura, Milan, POLI-design, 2004, pp. 215.
3 Se also Stefania Camplone, “Il turismo ispirato alla sostenibilità ambientale” pp. 51-67, in Antonio Marano (edited by), Design e ambiente – La valorizzazione del territori tra storia umana e natura, Milan, POLI-design, 2004, pp. 215.
4 Peter Zumthor, 1995, cited in Emilio Faroldi, Francesca Cipullo, Maria Pilar Vettori, Terme e Architettura – progetti tecnologie strategie per una moderna cultura termale, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2007, p. 87.
5 The role of water in Carlo Scarpa’s architectural design is discussed in Carlo Scarpa e l’acqua by Renata Giovanardi, Venezia, Cicero, 2006, pp. 199.
6 Curzio Malaparte, “Ritratto di pietra”, 1940, edited in Marida Talamona, Casa Malaparte, Milan, Clup, 1990, p. 32.

* This essay is part of the book edited by Alfonso Acocella, Davide Turrini, Sienese travertine, Firenze, Alinea, 2010, pp. 303.

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10 Marzo 2011

Post-it

Legnoarchitettura

Ideato da EdicomEdizioni, legnoarchitettura è un progetto editoriale che nasce con l’obiettivo di avvicinare il progettista all’architettura in legno attraverso una rivista specializzata in versione cartacea e digitale, una newsletter mensile e una serie di appuntamenti sul territorio nazionale.

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8 Marzo 2011

Opere Murarie

L’opera muraria quadrata*

English version


L’ingresso alla tholos del Tesoro di Atreo a Micene (ph. Alfonso Acocella)

Già nei muri del corridoio di ingresso (dròmos) del Tesoro di Atreo a Micene è possibile rilevare un maturo esempio di opera muraria squadrata, sia pur realizzata con blocchi non equivalenti fra di loro, disposti a corsi orizzontali di diversa altezza. Il passaggio dai micenei ai greci, dal XIII all’VIII sec. a.C., quando prende avvio il fenomeno di “litizzazione” dell’architettura ellenica, si presenta con i caratteri di un problematico salto effettuato sulle tenebre più fitte che avvolgono, a tutt’oggi, le vicende dei secoli intermedi. Al riguardo aspettiamo ancora i ritrovamenti, il difficile disvelamento interpretativo da parte del lavoro degli archeologi.
Una tendenza, comunque, è certa all’interno degli svolgimenti dell’architettura greca dell’alto arcaismo. Fra l’VIII e il VII sec. a.C. si assiste, in modo progressivo e cosciente, alla ricerca e, poi, al raggiungimento del dominio dei materiali duraturi e “nobili” (del poros e del calcare, prima, del marmo successivamente), alla definizione artistica dell’ordine architettonico, al perfezionamento e all’uso raffinato dell’opera muraria quadrata.
I debiti dei Greci continentali e di quelli della Ionia nei confronti delle civiltà del Mediterraneo orientale (della cultura minoico-micenea, da una parte, e dell’universo fenicio, siriaco ed egiziano dall’altra) sono oramai acquisiti ed unanimemente condivisi; ma ciò nulla toglie allo spirito creativo greco che – esprimendosi all’interno di una miriade di piccole città stato (le poleis) – saprà sviluppare, proprio attraverso la valorizzazione della pietra, una raffinata interpretazione della creazione architettonica tecnicamente ed artisticamente perfetta.
Lungo l’arco storico dell’alto arcaismo, pur nella peculiarità e nell’indipendenza politica di ogni polis, prende corpo la coscienza di una comune koinè che esprime appartenenza culturale e religiosa. Luoghi sacri come Delo, Delfi, Olimpia ben presto si consolidano come grandi santuari (e per certi versi “centri politici”) panellenici; in questi recinti di culto, che diventano anche sfondo, “vetrina” di autorappresentazione dello spirito greco le discipline artistiche e i programmi tecnici – sospinti ed alimentati da committenze che promuovono con profusione di risorse economiche donari, tesori, edifici sacri – vengono definiti i due grandi ordini architettonici e, insieme ad essi, la tipologia “pietrificata” del tempio periptero, la passione per il lavoro stereotomico perfetto dell’opera muraria. Tutto questo passa attraverso la ricerca artistica, in particolare attraverso la mediazione e la sperimentazione degli scultori.

«Nel campo della tecnica – afferma Roland Martin – si manifestano le prime ricerche degli artigiani, che pervengono a dominare i materiali nobili, il marmo e i calcari; diviene allora possibile ampliare e accrescere i piani e i volumi per meglio adattarli alla funzione dell’edificio. Nel corso del VII secolo il principale progresso, ricco di conseguenze, consiste nell’introduzione nei cantieri di costruzione della pietra tagliata, che si sostituisce progressivamente ai materiali “poveri”, il legno, il mattone e la terra, la mistura di argilla, sassi e paglia, il pietrisco grossolano. Le lezioni apprese dagli scultori sono venute ad alimentare le sollecitazioni provocate dalla scoperta dell’architettura dei paesi vicini, della Siria-Fenicia, dell’Egitto; a contatto con le officine di scultori si formano i tagliatori di pietre, la cui abilità è la condizione prima di tutte le grandi opere dell’architettura di greca. Ai pilastri di legno si sostituiscono i fusti slanciati delle colonne di pietra, ai rivestimenti di tavole alle estremità e agli angoli dei muri subentrano pilastri d’anta e catenature di grandi blocchi e i basamenti di pietra grezza dei muri di mattoni lasciano il posto alle grandi ortostate sormontate da assise di blocchi di poros tenero, tagliati ad imitazione dei mattoni (di cui conservano addirittura il nome); infine gli elementi di legno e di terracotta del tetto vengono sostituiti senza difficoltà e senza forzatura da elementi litici.
Così alla fine del VII secolo vediamo affermarsi le risorse d’una tecnica che libera e affranca lo spirito creatore, consentendogli di dare maggiore vitalità ai tentativi e ai brancolamenti che già si manifestano nelle conquiste importanti realizzate a partire dalla metà dell’VIII secolo in diverse parti del mondo greco, e particolarmente a Creta e nelle Cicladi».
1

Capo Sunion, Tempio di Poseidone. L’opera muraria pseudoisodoma

Per molti di noi l’architettura greca è, per antonomasia, sinonimo di sublimi e perfette opere di pietra e di marmo, sospese fra età arcaica e classica, restituiteci dai manuali di storia dell’arte in bianco e nero che ci hanno formato in età giovanile o, più recentemente, da una letteratura sempre più accattivante con i suoi splendidi libri a colori diffusi da un’editoria oramai internazionalizzata.
Ma questa visione affascinante (e per certi versi stereotipata) può ritenersi raggiunta solo dopo tre secoli di storia edilizia in cui prevale il pratico, l’utilitario, il “rudimentale” lontano da ogni aspirazione di monumentalità che si concretizza solo lungo il corso del VII e del VI secolo a.C. quando l’architettura ellenica perviene a livelli di perfezione tecnica e di raffinatezza estetica grazie all’uso di elementi litici squadrati o configurati e, poi, accuratamente rifiniti in opera con resa plastica attraverso procedimenti analoghi a quelli degli scultori.
Gli edifici greci più antichi – quelli che sono chiusi nelle cronologie dei secoli che scendono dall’XI all’VIII a.C., avvolti ancora dalle “nebbie” di una conoscenza molto parziale – sono costruiti in legno, in argilla cruda battuta o configurata in mattoni parallelepipedi, con basamenti di fondazione composti da aggregati di sassi erratici o da blocchi grossolanamente squadrati.
Le indagini di scavo recenti, indirizzate ad approfondire lo studio delle stratigrafie più profonde (testimonianze materiali della fase arcaica), ci avvertono, al riguardo, di come la concezione architettonica greca delle origini non assuma a modello la tradizione muraria, volumetricamente complessa, dei palazzi e delle città micenee.
Le prime manifestazioni attestate archeologicamente sul suolo ellenico ci consegnano reperti fragili, rudimentali, legati a strutture domestiche insediate sui siti in forme isolate, autonome, enucleate l’una dall’altra. Le abitazioni di età geometrica (XI-VIII sec.a.C.) si presentano come manufatti composti da una sola stanza – prima ellittica, poi absidata o rettangolare – la cui costruzione è effettuata a mezzo di muri di mattoni crudi (o di argilla battuta) impostati su fondazioni di pietre.
Tale soluzione risulta fondamentale per l’avvio dell’opera quadrata litica a conci regolari perché ci restituisce l’origine di un tema costruttivo che, opportunamente tradotto nei nuovi paradigmi dell’opera stereometrica, rimarrà costante e sempre presente all’interno dell’evoluzione dell’architettura greca. Ci riferiamo, in particolare, allo spiccato murario della casa che risulta “bipartito”, caratterizzato da uno “zoccolo” continuo in pietra (con ruolo di fondazione e di difesa dall’umidità) che prosegue, poi, con i mattoni di argilla cruda fino al culmine superiore dove viene impostata la struttura lignea di copertura.
All’interno del processo di “litizzazione” – che investe per prima l’architettura monumentale sacra – tale concezione stratigrafica e gerarchizzata sarà trasferita soprattutto nel nucleo centrale dell’organismo religioso rappresentato dalla cella posta ad accogliere la statua della divinità. La stratificazione regolare dei mattoni in argilla cruda ha fornito indubbiamente il modello, già compiuto, traducibile in “tutta pietra” – e poi in “tutto marmo” – trasformando così il muro originario di pietrisco e di mattoni in un’opera stereotomica (dai blocchi litici regolari e perfettamente squadrati) omogenea per materiale impiegato dalle fondazioni al coronamento di copertura. Significativo è il fatto che i nuovi blocchi lapidei saranno chiamati con lo stesso nome di origine dei mattoni di argilla cruda.


L’opera muraria quadrata nei Propilei dell’Acropoli ateniese (ph. Alfonso Acocella)

La pietra tagliata e sagomata farà – parallelamente – evolvere gli esili pilastri di legno delle pensiline e dei portici delle prime cappelle sacre in robuste e possenti colonne.
Seguiremo altrove, si veda a proposito il capitolo Colonne e pilastri, i caratteri e il ruolo assunto dai supporti colonnari all’interno della formalizzazione complessiva del tempio periptero soprattutto per chiarire come l’architettura greca di pietra faccia evolvere storicamente, all’interno della sua tradizione, una duplice interpretazione all’uso dei materiali lapidei. Quella specifica e peculiare del nuovo materiale, che in questo capitolo c’interessa particolarmente, tutta inscritta nella visione stereotomica (in cui prevale il muro posto a fissare – con la sua massa – la stratificazione della materia lungo due direzioni, il tema spaziale e l’enfatizzazione volumetrica in esterno) e quella tettonica, leggibile in particolare negli svolgimenti architettonici del tempio periptero, con i suoi colonnati aperti verso lo spazio esterno dove l’uso della pietra “tradisce” la derivazione dai prototipi delle costruzioni in legno, in particolare della “capanna” con la sua tipica presa di possesso del suolo attraverso strutture puntiformi, discontinue.
Lo stesso tempio periptero si ricongiunge, in qualche modo, al nostro tema della stereometria muraria. Possiamo rivolgerci, infatti, al tempio di “pietra” nella sua forma matura e compiuta, come si definisce nel VII sec. a.C., riguardandolo attraverso il suo nucleo centrale (la cella) che si presenta, dopo aver varcato il “filtro” dei colonnati esterni, in forma di introverso volume litico posto a definire uno spazio chiuso (un vero e proprio “scrigno”) per la custodia della statua divina.
I muri delle celle dei templi nella Grecia classica saranno di poros da stuccare (la pietra scabra e porosa estratta nella regione nordoccidentale del Peloponneso), di calcare duro e compatto o, nei casi più eccelsi e rappresentativi, di marmo; i mirabili marmi “bianchi” dell’isola di Paro, il marmo del monte Pentelico, brillante al taglio, estratto a soli pochi chilometri da Atene col quale sono costruiti tutti gli edifici più importanti d’età periclea: il Partenone, i Propilei, l’Eretteo, il tempio di Zeus Olimpico. Infrequente, anzi raro, l’uso dei marmi policromi (che solo con Roma, in verità, troveranno estensivo impiego in architettura); un esempio di limitato impiego di marmo colorato – il famoso marmo nero eleusino – è, comunque, documentato nei Propilei di Mnesicle . La natura specifica del marmo (compattezza, lavorabilità e scolpibilità, lucidabilità, levità tonale ecc.) consente ai costruttori ateniesi di ottenere dispositivi murari stereotomici contrassegnati, sotto il profilo esecutivo, da “commettiture” stupefacentemente precise, superfici levigatissime e rilucenti arricchite frequentemente da inserti e modanature plastiche fra le più perfette e raffinate che l’architettura abbia mai prodotto.


Delfi. Muro con incisioni e tenoni in evidenza sulla faccia dei conci (ph. Alfonso Acocella)

L’opera quadrata – nelle sue redazioni più auliche e convenzionali che si identificano nelle apparecchiature isodoma e pseudoisodoma – diventerà lo “stereotipo” di tutto il monto greco; ancor prima che nelle mura urbiche o nell’edilizia civile, tale procedimento all’esecuzione estremamente standardizzata si definisce e si perfeziona proprio nell’architettura monumentale a carattere sacro. Questa condizione di anticipazione e di perfezionamento tecnico ed estetico, all’interno dell’architettura più rappresentativa ed influente lungo l’età arcaica e classica, qual’è quella dei templi greci, sicuramente non poco ha contribuito al suo successo e alla diffusione nelle cinte murarie, nelle sostruzioni, nell’edilizia civile soprattutto a partire dalla fase tardoclassica e, poi, ellenistica.
Nel V sec. a.C. l’opera muraria quadrata di perfette proporzioni ed esecuzione si manifesterà in tutta la sua maturità pervenendo – anche sotto il profilo quantitativo – all’apogeo della propria propagazione in tutto l’orizzonte della koinè ellenica. Impostata sull’uso di blocchi parallelepipedi accuratamente pareggiati nelle sei facce con un notevole impegno dei lapicidi dediti alla lavorazione dei conci tale tecnica offrirà – rispetto alle maniere più rudimentali di “far muro”- una maggiore semplicità costruttiva, una risposta più sicura e prevedibile rispetto alle spinte dei carichi superiori, una resa estetica – soprattutto in presenza del marmo – mai raggiunta sino ad allora.
Oltre alla perfetta impostazione di taglio – lungo il corso del V e IV sec. a.C. – ciò che oltremodo caratterizza l’opera quadrata greca, portandola al livello massimo di affinamento architettonico, è la varietà delle finiture superficiali, delle modalità di trattamento “artistico” delle facce dei conci destinate a rimanere in vista sul paramento esterno del muro. Se i blocchi nelle opere architettoniche meno celebrative sono messi in opera con la faccia grezza di cava in evidenza, nei casi più rappresentativi ricevono una spianatura più o meno accurata che va dal semplice “pareggiamento” ai più sofisticati accorgimenti di trattamento della faccia principale: bugnatura, martellinatura, lisciatura con “polimento” rilucente, spianamento dei margini, file di solchi ecc.
La ricerca, invece, di un effetto chiaroscurale, di “forza” della materia lapidea (soprattutto nelle lunghe e severe mura urbiche di età classica ed ellenistica) sarà perseguita semplicemente attraverso l’accorgimento di lasciare sporgere di poco le superfici esterne di alcuni blocchi, altre sarà alimentata, con maggiore intenzionalità estetica, mediante la lavorazione delle facce a vista dei blocchi secondo una configurazione convessa dando vita ai primi veri e propri bugnati. Altra soluzione, ampiamente documentata archeologicamente, per pervenire ad un accurato effetto plastico all’interno della compagine muraria è quella che prevede la smussatura degli spigoli dei blocchi lapidei restituendone un più morbido effetto a “cuscino”.


Pompei. Muro in tufo con spianamento dei bordi dei conci (ph. Alfonso Acocella)

L’opera quadrata nasce e si afferma, comunque, con l’aspirazione più autentica a perseguire un assetto di regolarità, di perfezione stereotomica e, conseguentemente, non ci sorprende il fatto di trovarla frequentemente restituita, soprattutto nelle architetture più rappresentative della grecità, attraverso una superficie complessivamente piana che esalta la purezza, la chiarezza dei volumi architettonici. Normalmente, in questi casi, si tende a conferire uno sviluppo omogeneo all’opera muraria appena sottolineando l’individualità di ogni singolo elemento (o di ogni ricorso di blocchi) attraverso “lisciature” o “ribassamenti” effettuati al perimetro delle facce a vista di conci in forma di nastrini.
Questo tipo di rifinitura – che può lasciare la parte centrale del concio in una condizione di morbido bugnato oppure accuratamente pareggiata con trattamento a “martello” – investe, a seconda dei casi, tutti e quattro i lati o solo due (quelli orizzontali) della faccia esterna dei conci perseguendo, in quest’ultimo caso, una figurazione orizzontale dell’opera muraria in alternativa all’altra ipotesi che, sottolineando i singoli elementi costitutivi dell’ossatura murale, ne evidenzia maggiormente la logica additiva di costruzione.
Un ulteriore modo di caratterizzare l’opera quadrata è quello di incidere la faccia a vista – al pari di come spesso avviene per i muri poligonali – con solchi verticali, organizzati in fitte file parallele.

Alfonso Acocella

Note:
*) Il saggio è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624.
1 Roland Martin, “Architettura” p.3, in Jean Charbonneaux, Roland Martin, Francois Villard, La grecia arcaica, Milano, Bur (ed. or. Grèce archaique, 1968), pp. 456.

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8 Marzo 2011

English

Opus quadratum*

Versione italiana


Entrance to the tholos – the Treasury of Atreus – at Mycenae (ph. Alfonso Acocella)

The corridor walls at the entrance (dromos) to the Treasury of Atreus at Mycenae already provide a mature example of opus quadratum, albeit one composed of different-sized stone blocks arranged in horizontal courses of differing height. The transition from Mycenaean to Greek civilisation (between the 13th and the 8th centuries B.C.), characterised by Hellenic architecture’s adoption of stone as its principal building material, continues to constitute a rather dark historical period about which relatively little is known; indeed, we are still awaiting those archaeological finds capable of revealing some of the “secrets” of that transitional age.
Nevertheless, one trend in Greek architecture during the early Archaic period is clear: the 8th and 7th centuries B.C. saw a gradual, conscientious (and eventually successful) effort being made to master the hard-wearing, “noble” stones (poros and limestone initially, followed by marble), together with the artistic definition of the architectural order, and the perfection and refinement of opus quadrata.
Mainland and Ionian Greece’s debt to the eastern Mediterranean civilisations (i.e. to Minoan-Mycenaean culture on the one hand, and to Phoenician, Syrian and Egyptian culture on the other) is a widely acknowledged fact now; however, this does not diminish in any way the creative spirit of the ancient Greeks themselves, who in their experiments within a series of small city-states (poleis) successfully developed the utilisation of stone in what was to become a technically and artistically perfect form of architecture.
Throughout the early Archaic period (albeit within the context of the political independence of each single poleis), there was a growing awareness of a common koine, an expression of a commonly-shared culture and religion. Sacred sites such as Delos, Delphi and Olympia were soon to become important Panhellenic sanctuaries (and to a certain degree “political centres”). In these sacred areas, which were also to become “showcases” for Greece’s artistic spirit and technical ambitions, supported by promoters funding the construction of treasuries, sacred buildings and so forth, the two great architectural orders and the stone-built peripteral temple were to emerge, together with an incredible passion for the perfection of the masonry wall. All of this was the fruit of artistic experimentation, and in particular of the work of Greek sculptors and stone masons. In the words of Roland Martin:

In the technical field, craftsmen began to try and master the noble materials such as marble and limestone; thus it became possible to extend and to increase the number of floors and the size of rooms so as to adapt them better to the purposes of the building. During the course of the 7th century B.C., the main achievement consisted in the introduction of hewn stone onto building sites, which gradually replaced the “poorer” materials such as wood, brick and earth, mixtures of clay, stones and straw, and crushed stone. The lessons learnt from the sculptors further nourished the effects of the discovery of the architecture of neighbouring countries such as Syria-Phoenicia and Egypt. The stone masons worked closely with the sculptors, and in fact the considerable ability of the former was a fundamental prerequisite of all the great works of Greek architecture. The previously employed wooden pillars were replaced by slender stone columns; the wooden planks used to clad the corners and the extremities of walls were replaced by stone antae and large blocks, while the rough stone basements of the brick walls gave way to large orthostats surmounted by blocks of soft poros, cut into brick-like shapes (and called by the same name); finally, the wooden and terracotta parts of the roof were easily replaced by stone elements. Thus it was that the end of the 7th century B.C. saw the advent of a technique that freed the creative spirit and enabled architects to go beyond the mere groping in the dark and the rather ephemeral achievements of the mid-8th century B.C. witnessed in various parts of the Greek world, and in particular on Crete and in the Cyclades. 1

Promontory of Sunium, the Temple of Poseidon. The pseudo-isodomic wall

For a lot of people, Greek architecture is synonymous with sublime works in natural stone and marble created between the Archaic and the Classical periods, portrayed in black and white in the volumes of art history we were given as school pupils, or more recently, in a wide range of works produced by international publishers now boasting colour photographs. However, this fascinating (and to a certain extent, stereotyped) vision only emerged after some three centuries of building history, during which the emphasis was decidedly on more practical, utilitarian and “rudimentary” aspects of architecture: the above-mentioned sublime works only emerged during the 7th and 6th centuries B.C., when Hellenic architecture reached its technical and aesthetic perfection thanks to the use of squared or shaped masonry which was subsequently sculpted and worked in situ.
The oldest Greek buildings – those erected between the 11th and the 8th centuries B.C. and of which we still have only very partial knowledge – were constructed in wood, in baked clay parallelepiped bricks, with foundations of stone aggregate or roughly squared stone blocks. Recent excavations have revealed that early Greek architecture was not based on the complex masonry techniques utilised in the Mycenaean palaces and cities.
The earliest archaeological finds on Greek soil reveal fragile, rudimentary remains associated with separately-built residential constructions. Those dwellings dating from the Geometrical period (11th – 8th centuries B.C.) consisted of just one room – initially elliptical, then apsidal or rectangular – created from baked-clay (or rammed-clay) bricks laid on stone foundations.
This form of construction was of crucial importance for the subsequent advent of squared ashlar masonry, as it remained a constant feature of the new models of stone architecture within the Greek world. In particular, there were those walls made of the two materials together: the base of the wall was in stone (and as such acted both as a foundation and a damp-proof course), while the rest was in baked-clay bricks surmounted by a wooden roof.
Within the framework of the conversion to masonry walls, which was first seen in the Greek’s monumental sacred constructions – this layered, hierarchical structure was transferred above all to the main nucleus of the religious organism represented by the cella designed to accommodate the statue of the chosen divinity. The regular stratification of the baked-clay bricks undoubtedly provided the model for the later “all stone” and “all marble” walls – thus transforming the original cobblestone and brick wall into a stereotomic work (consisting of regular, perfectly squared stone blocks) of a totally homogeneous kind in terms of the materials used throughout, from the foundations right up to the roof. It is interesting to note that the new stone blocks were to be called the same as the original baked-clay bricks were.


Athens, Propylaea. The isodomic masonry wall in blocks of Pentelic marble (ph. Alfonso Acocella)

Cut and dressed stone was also to play its part in the evolution of the slender wooden pilasters of early chapel porticoes and porches into robust, powerful columns.
In the chapter on columns and pilasters, there is a detailed account of the evolution of the character and role played by columns within the overall formalisation of the peripteral temple, which illustrates just how Greek stone architecture has seen the development of two interpretations of the use of stone: there is that of the specific use of the new material – of particular interest in this chapter – seen from the stereotomic point of view (whereby the wall is designed to establish the stratification of the material in two directions, spatial character and external volumetric emphasis) and in tectonic terms, perceivable in particular in the architectural evolution of the peripteral temple, with its colonnades opening out towards the external area where the use of stone “betrays” its derivation from wooden prototypes, in particular the “hut” with its traditional “colonisation” of the land in the form of separate structures dotted here and there.
The same peripteral temple in some way links up with our theme of the stereometry of walls: if we take the example of the mature stone temple, which finally emerged during the 7th century B.C. , we can see the central nucleus (the cella), through the “filter” of its outer colonnades, as a stone construct encompassing a closed space designed to protect and conserve the divine statue.
The walls of the classical Greek cella were made of poros, this rough, porous stone from the north-western region of the Peloponnese which had to be rendered, or of hard, compact limestone, or in the case of the more prized examples, of marble: the splendid “white” marble from the island of Paros; the marble from Mount Pentelikon, brilliant when cut and quarried but a few kilometres from Athens, which was used to build all of the most important constructions of the Periclean period: the Parthenon, the Propylaea, the Erechteum, the Temple of Zeus Olympus. On rare occasions, multicoloured marbles were also used (they were only extensively employed in the architectural field in later Roman times); one example of a limited use of coloured marble – the famous black marble of Eleusis – is documented in the Propylaea designed by the architect Mnesicles. The specific nature of marble – its compactness, its ease of working and sculpting, its shiny quality, its lightness of colour etc. – enabled the builders of Athens to achieve stereotomic walled structures characterised by amazingly precise joints, wonderfully smooth, shiny surfaces, often embellished by some of the most perfect and refined inserts and mouldings that architecture has ever produced.


Delphi. Wall with engravings and toothing stones visible on the facing of the ashlars (ph. Alfonso Acocella)

The opus quadratum, in its most elegant and characteristic forms, as represented by isodomon and pseudisodomic masonry, was to become the “stereotype” of Greek architecture, which was first to reach its perfection in the construction of sacred and monumental buildings (and only later in that of city walls and residential buildings). Indeed, its considerable success and influence in the field of sacred architecture throughout the archaic and classical periods was a vital factor in its later widespread employment in the construction of city walls, in the substruction of terracing and in civil construction, from the late classical period and subsequently throughout the Hellenistic period.
In the 5th century B.C., the perfectly proportioned and constructed opus quadratum reached a peak of popularity, and could be found throughout the entire Hellenic koine. Based on the use of carefully dressed parallelepiped blocks of suitable stone, compared to the more rudimentary methods of building stone walls, the opus quadratum made building itself that much simpler and safer – walls built in this manner being capable of supporting greater loads – and the end product was far more attractive – especially when marble was involved – than anything ever achieved before.
As well as the perfect way these stone blocks were cut throughout the 5th and 4th centuries B.C., the Greek opus quadratum was particularly characterised by the variety of surface finishes, of ways the outer faces of the blocks were “decorated”. While the least celebrated buildings featured blocks with their rough “quarry” faces in view, the more representative constructions consisted of blocks whose faces had been dressed to some degree – some were simply levelled, others dressed using special techniques to produce ashlar or rusticated masonry.
An attempt was also made to produce a chiaroscuro effect – especially in the case of the long, stark city walls of the classical and Hellenistic periods – by simply leaving the occasional block protruding from the rest, and by dressing the faces of the blocks to produce marked rustication. Other methods of embellishing such walls, discovered by archaeologists, include the chamfering of the ashlars to produce a softer, “cushion” effect.


Pompei. Wall of tufa stone with smoothed edges (ph. Alfonso Acocella)

The opus quadratum, however, was originally designed to highlight the perfection and regularity of the wall, and as such is often found in its simplest form, especially in Greek architecture’s most representative works, consisting of a perfectly level surface that extols the purity and clarity of architectural volumes.
In such cases, the design tends to be characterised by the completely homogeneous development of the wall, with just the merest hint at the individual nature of each ashlar (or row of ashlars) involving the “banding” of the facing perimeter. This type of finish – which may involve the central part of the ashlar being left in a “rusticated” state, or levelled and then carved – may characterise all four sides, or just two (the horizontal ones), of the external face of the ashlar: in the latter case, the horizontal development of the wall is emphasised, whereas in the former case, the additive logic of the construction is underlined.
A further way of characterising the opus quadratum is that of carving the facing, as often happens in the case of polygonal walls, with close-knit series of parallel, vertical grooves.

Alfonso Acocella

Note
* The re-edited essay has been taken out from the volume by Alfonso Acocella, Stone architecture. Ancient and modern constructive skills, Milano, Skira-Lucense, 2006, pp. 624.
1 “Architecture”, by Jean Charbonneaux, Roland Martin, François Villard, Archaic Greek Art 620-480 BC (London: Thames and Hudson, 1971), p. 3 (original title Grèce archaique, 1968).

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7 Marzo 2011

News

Progettare e costruire con la pietra


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7 Marzo 2011

Post-it

Il cemento autopulente

I materiali autopulenti derivano la loro proprietà dal comportamento fotocatalitico che ne caratterizza la superficie. La capacità di aggredire gli inquinanti atmosferici, descritta nel post I trattamenti autopulenti: materiali fotocatalitici e “effetto loto”, 10 Gennaio 2011 è una innovazione che investe sia nuovi materiali che materiali ormai tradizionalmente impiegati in Architettura.

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4 Marzo 2011

News

STONE LIVING
Abitare la pietra nel terzo millennio


MADA s.p.a.m., Casa del padre sulla montagna di giada, Xi’an, Cina

Per il quarto anno consecutivo prende avvio alla Facoltà di Architettura di Ferrara il corso integrato di Costruzioni in Pietra. L’insegnamento, realizzato in collaborazione con Marmomacc-Veronafiere, è finalizzato a trasferire agli studenti del quinto anno una consapevolezza critica sull’impiego dei materiali lapidei all’interno del progetto contemporaneo d’architettura, d’allestimento d’interni e di design di prodotto.
I temi portanti dell’offerta formativa sono: l’identificazione e l’interpretazione critica dei codici e dei linguaggi con cui la pietra si presenta nell’architettura storica e in quella contemporanea; l’analisi della connessione tra progettazione architettonica e tecniche costruttive legate alle nuove frontiere di trasformazione e trattamento dei materiali lapidei; il trasferimento di tali processi analitico-critici all’esperienza di un workshop progettuale.
Attraverso una lettura sinottica delle fasi che concorrono alla realizzazione dell’opera architettonica e di design, saranno indagati i legami tra concezione formale, aspetti costruttivi e qualità tecnico-espressive dei materiali litici, secondo una visione unitaria dei saperi.

La nuova edizione del corso di Costruzione in Pietra, dal titolo Stone Living, svilupperà i contenuti della costruzione litica nelle tipologie abitative. Un tema, quello della residenza, certamente consueto nella ricerca e nelle esercitazioni didattiche delle facoltà di architettura ma in realtà assai poco frequentato in accostamento ai materiali lapidei. L’omologazione degli edifici abitativi ai “più economici” materiali della modernità, come il cemento, il laterizio e il vetro, ha circoscritto l’uso di pietre e marmi agli edifici “specialistici”, spesso dotati di forte valenze simboliche e di contesto.
Questo percorso, che ha accompagnato il passaggio dalla città di pietra alla città di cemento, si è consumato molto velocemente, lasciando dietro di sé la dispersione dei saperi della costruzione litica, in precedenza fortemente radicati nelle regioni e nei territori a vocazione lapidea e più in generale nella cultura architettonica internazionale.
Oggi la pietra sta conoscendo un periodo di “riabilitazione”, ricco di esperienze innovative e creative, e diviene nuovamente attuale e praticabile anche per gli scenari della più diffusa architettura residenziale.
L’esercitazione proposta dal Corso consentirà di spaziare in vari ambiti della costruzione litica: dal ruolo strutturale ancora oggi attribuibile a questo materiale, alle qualità di involucro a cui si presta, fino al rivestimento di spazi interni e alla realizzazione di arredi che compongono l’architettura della residenza. Il progetto sarà incentrato sullo studio di un piccolo spazio concepito come cellula abitativa unifamiliare individuale, ma anche potenzialmente aggregabile ad altre per formare edifici residenziali più complessi.
L’attività centrale del corso sarà costituita dall’atelier di progettazione da sviluppare in aula con revisioni continuative del corpo docente. Tale nucleo di lavoro sarà preceduto da una breve ricerca su casi di studio esemplari di architettura residenziale contemporanea in pietra e sarà affiancato da attività formali – quali comunicazioni in aula dei docenti e lecture dei visiting teachers – ed informali, connesse a visite guidate e confronti con operatori specializzati in aziende di settore.

FACOLTÀ DI ARCHITETTURA DI FERRARA
CORSO “COSTRUZIONI IN PIETRA” AA. 2010-2011

Prof. Vincenzo Pavan
Prof. Davide Turrini

Secondo semestre, marzo – maggio 2011
Durata del corso: 100 ore – 8 CFU
Inizio dell’attività didattica: 2 marzo 2011

In collaborazione con

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Facoltà di Architettura di Ferrara
Marmomacc

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