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Selinunte, mura urbiche con conci bugnati (ph. Alfonso Acocella)
Finora abbiamo indirizzato la nostra analisi sui temi della concezione muraria, dell’evoluzione tecnica ed architettonica strettamente legata ai dispositivi costruttivi d’origine. Intendiamo, a questo punto, riprendere lo stesso tema per leggerlo attraverso una diversa prospettiva, rimanendo in “superficie”, ponendoci come spettatori a guardare frontalmente muri molto particolari, muri dotati di un carattere più raro.
Come abbiamo evidenziato più volte l’aspetto figurativo degli alzati dell’opera quadrata è legato – al pari delle altre tipologie di muri in pietra – ad una serie di fattori; fra questi si impongono le caratteristiche litologiche della materia lapidea impiegata, le dimensioni dei conci, l’apparecchiatura di concatenamento e l’articolazione architettonica (nel piano e nello spazio) delle figure murarie, per ultimo – ma non certo per importanza – il trattamento specifico assegnato alle facce a vista dei conci.
Qui vorremmo riprendere e approfondire con maggiore analiticità quest’ultimo aspetto legato ai caratteri di superficie assegnati all’alzato murario attraverso la particolare soluzione del trattamento plastico, quale può essere considerato il tema del paramento a bugnato, a partire dalle sue prime manifestazioni greco-ellenistiche per seguirne, poi, gli sviluppi all’interno dell’esperienza romana che lo codifica in un vero e proprio stile dell’opera muraria.
Nell’excursus dell’architettura mediterranea delle origini si è più volte messo in evidenza come la pietra, nel momento in cui passa da materia informe a materiale lavorato all’interno dell’opera muraria quadrata, è ridotta in blocchi regolari; questi risultano rigorosamente pareggiati e squadrati così da “connettersi” e “legarsi” saldamente gli uni sugli altri, da innalzarsi in verticale e distendersi in orizzontale ad individuare corpose masse e accresciuti piani murari. E’ su queste grandi superfici che si eserciterà la maestria delle squadre di lapicidi applicate al lavoro di cavatura, di sbozzatura, di squadratura e di “compimento”.
Sin dall’esperienza greca il trattamento della fronte muraria sarà, in alcuni casi, come negli splendidi capolavori dell’Acropoli ateniese di età periclea, perfettamente omogenea e levigata, altre volte invece dotata di un carattere maggiormente plastico, se non addirittura “espressionista”, offrendoci i motivi di origine del tema architettonico del bugnato.
Nell’accezione più comune il termine bugnato viene collegato alla predisposizione, all’interno dell’opera muraria stereotomica di blocchi di pietra squadrati lasciati in forma rozza nella faccia a vista, lavorati solo lungo le linee della rete murale (commessure) al fine di dar vita a solchi capaci di “enfatizzare” la superficie irregolare del paramento stesso. Questa visione, che ci appare eccessivamente riduttiva, finisce per identificare il bugnato unicamente con la maniera rustica protesa a “formalizzare” i conci in modo tale che ognuno di essi – o alcuni solamente – conservino qualcosa delle caratteristiche grezze, grossolane della pietra d’origine così come è data rintracciarla al momento dell’estrazione di cava.
Roma, Tempio del Divo Claudio. Arcate con bozze rustiche (ph. Alfonso Acocella)
Per quanto ci riguarda, invece, nell’affrontare il tema del bugnato all’interno dell’architettura di pietra, vorremmo riferirci a tutti i tipi di trattamento superficiale indirizzati a conferire un risalto al paramento murario (anche a quelli quasi “piatti”, alla maniera greca di età classica) nei quali, comunque, le linee di congiungimento propongono un motivo, una pur minima “vibrazione” plastica, in modo che le facce di ogni concio (o di singole file di conci) siano precisamente enucleate le une dalle altre restituendo un carattere architettonico specifico della fronte muraria a vista.
Trattando delle “Forme nella materia” Henri Focillon ci offre elementi di riflessione, consentendoci di apprezzare meglio e penetrare più in profondità lo stesso tema del bugnato:
«Nel momento in cui affrontiamo il problema della vita delle forme nella materia, noi non separiamo l’una nozione dall’altra, e, se pure ci serviamo dei due termini, non è allo scopo di dare una realtà obiettiva ad un procedimento d’astrazione, ma, anzi, è per mostrare il carattere costante, indissolubile, irriducibile d’un accordo di fatto. Così la forma non agisce come un principio superiore che modelli una massa passiva, giacché si può pur sostenere che la materia imponga la propria forma alla forma. Così pure non si tratta di materia e di forma in sé, ma di materie al plurale, numerose, complesse, cangianti, aventi un aspetto e un peso, sorte dalla natura, ma non naturali.
Da quanto precede si possono trarre parecchi principi. Il primo è che le materie comportano un certo destino o, se si vuole, una certa vocazione formale. Esse hanno una consistenza, un colore, una grana. Sono forme, come dicemmo, e per ciò stesso, chiamano, limitano o sviluppano la vita delle forme dell’arte. Sono scelte, non soltanto per comodità del lavoro, oppure, nella misura in cui l’arte serve ai bisogni della vita, per la bontà del loro uso, ma anche perché si prestano ad un trattamento particolare, perché danno certi effetti. Così la loro forma, del tutto bruta, suscita, suggerisce, propaga altre forme (…)
Ma giova osservare subito che questa vocazione formale non è un determinismo cieco, poiché – e qui è il secondo punto – quelle materie così ben caratterizzate, così suggestive ed anche così esigenti, riguardo alle forme dell’arte sulle quali esercitano una specie di attrazione si trovano da queste di rimbalzo, profondamente modificate.
Così si stabilisce un divorzio tra le materie dell’arte e le materie della natura, anche se unite da una rigorosa convenienza formale. S’assiste allo stabilirsi di un ordine nuovo. Sono due regni, anche se non intervengono gli artifici e la fabbrica. Il legno della statua non è il legno dell’albero; il marmo scolpito non è più il marmo della miniera; l’oro fuso è un metallo inedito; il mattone, cotto e messo in opera, è senza rapporto con l’argilla di cava. I colori, l’epidermide, tutti i valori che agiscono otticamente sul senso tattile, sono cambiati. Le cose senza superficie, nascoste dietro la scorza, interrate nella montagna, bloccate nella pepita, inglobate nella mota, si sono separate dal caos, hanno acquistato un’epidermide, aderito allo spazio ed accolto una luce che le lavora a sua volta.
Anche se il trattamento subito non pure ha modificato l’equilibrio e il rapporto naturale delle parti, la vita apparente della materia s’è trasformata». 1
Abbiamo voluto citare questo lungo brano poiché ci sembra che disveli, a partire dalle vocazioni della materia, il sottile rapporto fra forme e materiali su cui si esercita ogni azione creativa dell’uomo; in particolare tale passaggio di Focillon c’è stato di aiuto per farci vedere sotto una nuova luce il tema del bugnato valutato, da parte di alcuni studiosi, come un risultato originato “semplicisticamente” (quasi “naturalmente”) da un’esigenza di risparmio o di ottimizzazione del lavoro dei lapicidi lungo le fasi di trasformazione del materiale litico nella sua trasmigrazione dalla cava alla fabbrica. Tale esigenza, se pur è probabile che possa aver fornito l’idea e lo stimolo di partenza, ha sicuramente poi lasciato il passo ad una ricerca e ad una formalizzazione estetica più cosciente vista l’estrema varietà attraverso cui lo stesso tema architettonico sarà restituito nella lunga storia dell’architettura di pietra.
Per il bugnato si è trattato di prendere in considerazione le vocazioni del materiale da particolari punti di vista, rivolgendosi solamente a “certe” pietre, scartandone altre. Fra le varie potenzialità offerte dal mondo litologico il bugnato ha selezionato – con determinazione – a volte la forza, la suggestione della plasticità della materia lapidea rude, brutale, rozza (così come spesso viene restituita dalla natura) altre volte l’eleganza, la mobidezza della superficie modellata dall’azione di cesellatura dello scalpellino. Più che il colorismo o l’epidermide liscia, complanare i valori che agiscono in “senso tattile” – per ritornare alle parole di Focillon – nel bugnato sono quelli materici, di profondità, di risalto plastico, interclusi nelle pieghe dello spessore, delle corrugazioni della pietra.
Tavola con esempi di bugnati tratta dall’”Ossatura murale” di G. B. Milani
Non ci si accontenta dell’opera muraria quadrata rigorosamente stereometrica, del suo dispositivo costruttivo con superficie esterna liscia e con i tratti netti originati da una geometria pura ed elementare; nel sottrarre le rocce alle montagne, nel ridurre la pietra in blocchi utili alla “nuova fabbrica” ci si appassiona a mantenere n vita, con intenzionalità estetica, parte dell’energia che sprigiona la materia nel momento in cui passa dalla natura al “mondo dell’arte”. E’ l’universo formale più peculiare ed intimo della pietra che – con i suoi motivi irregolari o la modellazione plastica dei conci dell’apparecchiatura muraria – viene “accolto alla luce”e, poi, da questa “lavorato” a sua volta.
I variegati motivi plastici a bugnato (rustici, isodomi, a cuscino, a punte di diamante) parlano – più che attraverso i valori di superficie o il tono cromatico della materia – mediante le “forme scolpite” nella pietra e i contrasti di luci e di ombre capaci, nell’insieme, di dare maggiore vigore e risalto ai piani murari. A volte la pietra lasciata con i suoi tratti di rusticità, di informalità, di “brutalità” conferirà alla fabbrica una maggiore somiglianza alla roccia naturale; ma ciò è solo apparenza perché, come ci avverte Focillon, è oramai intervenuto l’artificio e la roccia estratta, tagliata, lavorata dall’uomo non appartiene più alla natura; la vita della materia s’è trasformata.
In genere il bugnato si ricollegherà ai materiali litoidi più “poveri” (ma, indubbiamente, anche i più numerosi e diffusi) quali possono considerarsi le pietre in senso stretto; si impiegheranno anche i travertini, più raramente anche i marmi o i graniti (in quei territori dove costituiscono risorse locali in grande disponibilità). Le forme del bugnatorappresentano una risposta adeguata, in particolare, alla valorizzazione dell’ampia famiglia delle pietre opache, non lucidabili, spesso locali, ricomposte in piani murari a risalto plastico. Bugnato, dunque, come lavoro architettonico tridimensionale che interpreta il muro come massa da “scolpire”, da “incidere”, in profondità. Si tratta di una sorta di traduzione architettonica del lavoro tipico dello scultore qui ricondotto alla predisposizione di bugne più o meno sporgenti, più o meno finemente lavorate sull’epidermide, più o meno irregolari o appartenenti al mondo geometrico dei solidi regolari.
I diversi caratteri che il bugnato assumerà nelle sue declinazioni morfologiche – rustico, a cuscino, piatto, aguzzo e pungente – rappresentano altrettante “scritture virutosistiche” incise indelebilmente sul corpo di pietra dell’architettura occidentale. La luce e le ombre aggiungeranno quanto manca alla materia per risplendere.
Repertorio dei bugnati
Si ha il bugnato rustico quando il paramento del muro adotta la faccia a vista dei conci lapidei allo stato grezzo. In questi casi la pietra diventa massa più che disposizione. Le congiunzioni fra i blocchi risultano intenzionalmente “scavate” ed evidenziate mentre il paramento a vista è indirizzato a creare robusti effetti chiaroscurali della maglia murale.
La tecnica del bugnato rustico tende a riproporre ed enfatizzare il carattere “originario”, “primitivo”, della pietra; utilizza il materiale cercando di “farlo parlare”, di far emergere la sua “brutalità” di partenza a sottolineare un’idea architettonica di forza se non d’imponenza.
A volte i corsi a bugnato corrono sulla medesima linea di posa a distanze costanti; ma è possibile, chiaramente, alternare filari che presentano, fra loro, altezze differenziate in modo da variare la ripartizione e il ritmo del paramento murario.
Sempre all’interno della ricerca espressiva del bugnato rustico è possibile procedere alla realizzazione del paramento attraverso una disposizione più articolata seguendo lo schema di posa ad “opus quadratum” con conci che presentano facce a vista di differenziata estensione e forma (dal rettangolo schiacciato al quadrato) posti ad interrompere la continuità delle commessure orizzontali.
Bugnato rustico (ph. Alfonso Acocella)
Il bugnato isodomo si presenta con un paramento a vista perfettamente lavorato nel piano delle facce dei conci che, in genere, risultano complanari fra di loro. Possono essere eseguiti sulla pietra trattamenti uniformi che utilizzano i diversi utensili metallici ad urto (martellina, gradine, ferrotondo, scalpello ecc.) o anche di tipo “misto” quando s’intenda, ad esempio, trattare i bordi della faccia a vista dei conci con una diversa tecnica creando una “fettuccia” (o “nastro”) di un paio di centimetri che corre lungo il perimetro della faccia.
Un secondo procedimento consiste nel lavorare i bordi praticando un canaletto (o “stradella”) che può correre solo in senso longitudinale (segnando stratigraficamente l’altezza dei filari) o incorniciare i singoli conci in modo da conferire alla parete un effetto di bugnato con blocchi lapidei reciprocamente enucleati e singolarmente individualizzati. Non sempre nei bugnati isodomi i filari delle bugne si presentano con pari altezza; i corsi possono essere di altezza differente e può variare la stessa dimensione dei singoli blocchi per dar vita ad un disegno del paramento più articolato.
Ulteriori variazioni dell’aspetto del paramento a bugnato possono essere ottenute alternando bugne “lisce” con bugne rustiche, creando una trama muraria con bande ben definite. La lavorazione del fronte risponderà a quei caratteri estetici che si vorranno, di volta in volta ottenere.
Tipologie di bugnati isodomi
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Il bugnato a cuscino (o, anche, a “quadroni imbottiti”) è molto comune e può essere considerato una variante del bugnato isodomo dove le facce a vista dei diversi conci sono, in genere, lavorate in aggetto utilizzando forme convesse o piane con smussature lungo i lati delle bugne. Le forme convesse possono essere restituite attraverso una superficie “liscia” o anche “corrugata” mediante delle striature verticali a canaletto.
La lavorazione delle facce frontali delle bozze può conferire, allo stesso disegno geometrico del bugnato a cuscino, un tono architettonico del tutto peculiare. La superficie può essere liscia, a “pelle” lavorata a punta fine con la martellina o con la bocciarda, con un motivo “a rete” (reticolare), o “vermicolata”; questi ultimi due trattamenti (simili fino al punto da confondersi) prevedono delle incisioni caratterizzati da minore o maggiore irregolarità.
Nel bugnato a diamante (o a punta di diamante), le facce delle bugne assumono una configurazione a rilievo in forma di piramide a base quadrata o rettangolare. A seconda della configurazione conferita alle commettiture il motivo a punta di diamante può presentarsi più o meno esaltato; il maggiore risalto chiaramente si ottiene in profondità a mezzo di canali il piano di appoggio delle bugne piramidali.
Davide Turrini
Note:
*) Il saggio è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624.
1 Henri Focillon, “Le forme nella materia” p.52, in Vita delle forme, Torino, Einaudi, 1990 (ed. or. Vie des Formes, 1943), pp. 134.