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21 Giugno 2011

News

DOME
Cantiere didattico sperimentale


Clicca sull’immagine per ingrandire (foto di Davide Patanè © 2011)

Universita degli Studi di Catania – Facoltà di Architettura di Siracusa
Laboratorio di Progetto II – Prof. arch. Luigi Alini, e-mail: lalini@unict.it;

In collaborazione con AION
In PARTNERSHIP con
Ente Scuola Edile di Siracusa
Cassa Edile di Siracusa
Consorzio Universitario Archimede
ANCE – Siracusa
MAPEI
Material Design
Ordine degli Architetti di Siracusa
ANDIL
Costruire in Laterizio

Dome, è un progetto che vede gli studenti del Laboratorio di Progetto II della Facoltà di Architettura e gli allievi della Scuola Edile di Siracusa impegnati a realizzare in scala 1:1 un sistema abitativo low-tech. Archi, volte e cupole in laterizio sono gli elementi costruttivi con cui gli allievi sperimentano le potenzialità d’uso innovativo di materiali e tecnologie della tradizione.
All’interno di un percorso didattico finalizzato DOME è uno dei pochissimi esempi in Italia di attività didattica integrata, attività finalizzata ad una reale formazione professionalizzante. E’ in ragione di tale obiettivo che il progetto sperimenta le potenzialità di forme di didattica ‘non convenzionali’ al fine di far interagire gli studenti del Laboratorio di Progetto con condizioni operative ‘reali’, concrete, condizioni oggettive entro cui sviluppare l’azione progettuale: un luogo, una funzione, un budget, una tecnica costruttiva, un materiale, un committente. In questo percorso didattico l’apporto del mondo della produzione industriale (ANCE, Cassa Edile) e quello della formazione professionale (Scuola Edile, AION, Ordine degli Architetti) hanno rappresentato il naturale completamento di attività svolte per il primo semestre in aula e durante il secondo semestre in cantiere.
Un modello didattico efficace che ha aperto agli studenti le porte del mondo della professione attraverso il confronto con gli altri operatori del settore con i quali saranno chiamati a confrontarsi durante la loro vita professionale. Un modello sancito con un protocollo di intesa sottoscritto dall’Ente Scuola Edile con l’Ateneo di Catania, che ne ha affidato la responsabilità scientifica del prof. Luigi Alini.
La tecnica adottata per la costruzione di DOME si fonda sull’impiego del ‘compasso’, un metodo che l’architetto Fabrizio Carola impiega da oltre trent’anni in Africa ed in particolare nel Mali. Un metodo desunto dalle ‘antiche tecniche’ costruttive nubiane e dalle esperienze dell’architetto egiziano Hassan Fathy.
Questo cantiere didattico-sperimentale è anche un omaggio a Fabrizio Carola, “all’uomo della pietra” come lo chiamano i Dogon del Mali, l’uomo che ci ha mostrato col suo esempio la possibilità di ritrovare un più equilibrato rapporto tra architettura e luogo entro una visione in cui ricerca, formazione e professione non costituiscono più ambiti separati.
Gli allievi della Facoltà di architettura di Siracusa attraverso questa esperienza hanno sperimentato una forma di didattica integrativa fondata sul fare, sull’esperienza diretta connessa alla dimensione fattuale del ‘fare architetura’.
La dimensione costruttiva del progetto è incardinata all’interno di una azione governata dai principi dell’efficienza energetica fondata sull’impiego di sistemi di ventilazione passiva. L’efficienza dei sistemi costruttivi a volta è estesa anche alle performance strutturali del sistema che ben si adattano a contesti tipici delle aree mediterranee.
Questo progetto sperimentale che ha visto gli allievi della Facoltà collaborare con maestranze e professionisti provenienti dal mondo dell’impresa e della produzione industriale evoluta, chiude una prima fase di ricerca che a partire dal prossimo anno si avvarrà anche della collaborazione di ricercatori ed esperti del settore impegnati su ricerche analoghe presso altre università straniere, all’interno di un percorso di internazionalizzazione delle attività didattiche e di ricerca del Laboratorio di Progetto.

di Luigi Alini

Leggi anche:
Memorie di un architetto con il mal d’Africa

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18 Giugno 2011

News

PREMIO INTERNAZIONALE ARCHITETTURE DI PIETRA
46a Marmomacc – Verona 21/24 settembre 2011

English version

Un evento aperto a nuovi orizzonti del linguaggio litico è quello proposto dalla dodicesima edizione dell’International Award Architecture in Stone, momento culminante dell’indagine che Marmomacc mette in atto ogni due anni nel vasto panorama della produzione architettonica a livello mondiale.
Dalla sua istituzione nel 1987, il Premio rappresenta una fondamentale fonte di orientamento per il mondo dell’architettura e del design impegnato nella ricerca di nuovi indirizzi ed esperienze in cui l’uso dei materiali litici coniuga la coerenza disciplinare con l’innovazione.

L’edizione 2011 del Premio, curata in continuità con le precedenti da Vincenzo Pavan, si è avvalsa di una prestigiosa giuria internazionale di storici, critici e docenti di architettura che ha dato un sostanziale apporto di qualità al Premio e nel contempo ha garantito una scelta pluralista e rigorosa.
Le opere selezionate infatti spaziano da importanti edifici pubblici riguardanti grandi istituzioni europee a interventi di recupero di aree urbane degradate nei quali sono state messe in luce le qualità delle preesistenze lapidee coniugate con l’integrazione di analoghi litotipi e con l’accostamento di materiali diversi in sintonia con essi. Altri interventi riguardanti strutture culturali e religiose mettono la pietra in relazione con la natura e con la cultura storica locale testimoniando la grande capacità dei materiali litici di essere interpreti nel nostro tempo di istanze evocative e spirituali. Come nelle ultime edizioni del Premio, anche in questa sono state incluse opere di particolare impegno in rapporto alle difficili condizioni del territorio, opere che sanno coniugare l’etico e l’estetico attraverso l’uso coerente del materiale locale.
Particolarmente significativi infine i due premi speciali non riferiti alla contemporaneità, ma ad essa sostanzialmente collegati. Il premio “ad memoriam” è assegnato quest’anno all’opera di un architetto greco recentissimamente riscoperto: Aris Konstantinidis. Si tratta di un piccolo edificio, rappresentativo di una serie di opere in cui la pietra viene costruttivamente declinata in modo esemplare tra modernità e tradizione.
Il premio “architettura vernacolare” segnala uno straordinario episodio dell’architettura “without architect”: le case-torre della Svanezia, nel versante georgiano della catena del Caucaso.
Una preziosa testimonianza storica della tradizione tipologica e costruttiva in pietra che sta per confrontarsi con il nuovo che avanza.

La forma del Premio è costituita dalla pubblicazione di un prestigioso volume contenente un’ampia documentazione delle opere premiate e numerosi saggi critici e storici di eminenti personalità del mondo dell’architettura.
Durante la 46ª Marmomacc, il Premio Internazionale Architetture di Pietra sarà al centro degli eventi culturali programmati per “Marmomacc Architettura Design” e verrà articolato in due eventi: Mostra dei lavori premiati e Cerimonia ufficiale di proclamazione dei vincitori.

GIURIA

Francesco Dal Co
Direttore di Casabella
Thomas Herzog
Facoltà di Architettura, Monaco
Juan José Lahuerta
Facoltà di Architettura, Barcellona
Alessandro Mendini
Architetto, designer, artista e teorico
Vincenzo Pavan
Facoltà di Architettura, Ferrara

EVENTI

21-24 settembre 2011: Mostra dei lavori premiati, allestita presso il padiglione 7B della Fiera di Verona, insieme ad altre esposizioni di architettura e design.
La Mostra è formata da disegni, foto, modelli, video e materiali lapidei impiegati nelle opere.

sabato 24 settembre 2011: Cerimonia ufficiale di proclamazione dei vincitori, che avrà luogo presso il Museo di Castelvecchio di Verona alla presenza delle Autorità, degli autori delle opere selezionate, dei loro committenti, della Giuria e di un folto pubblico di architetti, personalità della cultura ed operatori del settore del marmo.

OPERE PREMIATE


Jacob-und-Wilhelm-Grimm-Zentrum, Berlino, Germania, 2006/2009 © by Stefan Müller

MAX DUDLER
Jacob-und-Wilhelm-Grimm-Zentrum
Berlino, Germania, 2006-2009

Motivazione della Giuria
L’opera, che riunisce in un unico edificio tutte le sedi bibliotecarie della Humboldt Universität di Berlino, finora disseminate nel territorio urbano, inserisce nel tessuto edilizio un compatto volume litico di grande dimensione dotandolo di sorprendente trasparenza e apertura. Ciò è dovuto alla ricerca di proporzioni e ritmi nelle facciate, le quali includono nei vari livelli dell’edificio delle sequenze di aperture verticali formate da fitte pilastrature di diversi moduli, che creano un controllato dinamismo nel corpo monolitico dell’edificio. La pietra calcarea di Spessart che riveste le facciate, resa scabra da getti d’acqua ad alta pressione, contribuisce in modo determinante all’idea di solidità che l’edificio intende comunicare.

Descrizione
Lo Jacob-und-Wilhelm-Grimm-Zentrum è stato realizzato come biblioteca centrale e raccolta della collezione dei media della Humboldt Universität di Berlino. Con due milioni e mezzo di opere e 500 postazioni telematiche, può accogliere contemporaneamente 750 studiosi.
La chiarezza distributiva e l’organizzazione dei percorsi permettono un immediato orientamento al visitatore che può muoversi liberamente sia in orizzontale che in verticale. Un ampio atrio a doppia altezza, fa da filtro tra l’esterno e l’interno, una moderna stoà, dove intessere relazioni e discussioni. Da qui il pubblico può accedere alle sale di lettura e agli spazi individuali per lo studio, ambienti comunque permeabili alla vista e in costante dialogo con la città. Una reinvenzione del concetto di biblioteca a cui però non mancano rimandi alla tradizione e ai materiali delle biblioteche antiche, come l’uso della pietra nella forma strutturale trilitica in facciata e del legno nei rivestimenti e nei pavimenti delle sale di lettura.

Materiali lapidei principali
Pietra Calcarea di Spessart


Complesso residenziale a Puente Sarela, Santiago de Compostela, Spagna, 2005/2009
© by Lluís Casals

VICTOR LÓPEZ COTELO
Complesso residenziale a Puente Sarela
Santiago de Compostela, Spagna, 2005-2009

Motivazione della Giuria
Il progetto realizza, in prossimità del centro storico di Santiago de Compostela, un programma di riabilitazione urbana a carattere residenziale su una edificazione preesistente recuperando le vestigia di una antica fabbrica in rovina. Sfuggendo la autoreferenzialità che contraddistingue alcune opere architettoniche recentemente realizzate nella capitale galiziana, López Cotelo adotta un atteggiamento misurato e rispettoso del contesto esistente intervenendo con strutture leggere sui massicci muri di granito. Attraverso una serie di misurati percorsi lapidei che collegano i dislivelli del terreno e grazie a opportune integrazioni murarie in granito locale il progetto ricollega gli edifici vecchi e nuovi alla dimensione urbana.

Descrizione
Lo studio López Cotelo ha operato a Santiago de Compostela una attenta riqualificazione di un complesso di edificazione storica esistente completandolo con nuove costruzioni. L’intervento riguarda il recupero di un’antica conceria dismessa e del contesto dove era inserita, rispettando e interpretando con un linguaggio moderno gli elementi tipici delle costruzioni industriali e del paesaggio rurale gallego. Gli edifici della vecchia fabbrica sono raggruppati in due complessi vicini: la fabbrica, con il suo reticolo di pilastri di pietra, vicino al fiume; il mulino e la casa del mugnaio, su un terreno più in alto. L’intervento, molto rispettoso, è stato finalizzato al recupero delle peculiarità proprie dell’architettura industriale. Per il blocco degli appartamenti di nuova costruzione, l’architetto utilizza pietre di recupero nel basamento che sormonta con un corpo leggero in vetro e chiude con copertura zincata. La pavimentazione esterna in pietra sottolinea il carattere “rurale” dell’intervento e collega l’esistente e il nuovo in un unicum di alta qualità formale.

Materiali lapidei principali
Granito locale


River Terminal and Visitor Centre, Linzhi, Tibet, 2008-2009 © by Chen Su

STANDARDARCHITECTURE
River Terminal and Visitor Centre
Linzhi, Tibet, Cina, 2008-2009

Motivazione della Giuria
Tre interventi a supporto di un percorso che lungo lo Yaluntzangpu collega il fiume con alcuni villaggi nella regione tibetana di Linzhi mettono in relazione le istanze del “credo” architettonico dello studio Standardarchitecture con la cultura litica del vernacolo locale. I due Visitor Centre e il River Terminal interpretano rivitalizzandola l’architettura di pietra tradizionale senza concessioni al pittoresco, ma al contrario elaborando in modo nuovo certe applicazioni desunte dalle culture locali, come le pigmentazioni vivacemente cromatiche ottenute con polveri naturali applicate direttamente sulla superficie delle pietre. L’essenzialità formale e la misurata logica costruttiva sono alla base di una architettura solida, sostenibile e integrata con l’ambiente.

Descrizione
Caratteristiche che accomunano le tre opere costruite in Tibet dallo studio dei giovani architetti cinesi sono la completa integrazione nel paesaggio circostante, l’uso di materiali locali e di pietre raccolte nelle vicinanze, l’impiego di tecniche tradizionali da parte di maestranze tibetane.
L’imbarcadero situato alla fermata più remota sul fiume Yaluntzangpu, è caratterizzato da una serie di rampe che risalgono dall’acqua. La costruzione, piuttosto spartana, fornisce i servizi essenziali, biglietteria e toilettes, e un eventuale riparo per la notte ai viaggiatori locali e ai turisti che non riescono a partire per le avverse condizioni del tempo.
Il Visitor Centre Namchabawa, sorge su un declivio lungo lo stesso fiume e ai piedi di un monte alto 7782 metri. Il blocco di 1500 mq, appare come una visione arcaica, con una serie di muri ancorati al declivio e quasi privi di aperture. E’ un centro di informazioni e base d’appoggio per i turisti ed inoltre punto di aggregazione per la popolazione locale.
Il Niyang River Visitor Centre è una costruzione minimale, con volumi semplici scanditi da profonde aperture da cui penetra la luce del sole con diverse angolature, creando percezioni sempre diverse. Le transizioni di colori evidenziano le transizioni geometriche dello spazio.

Materiali lapidei principali
Pietra locale


Centro ricerche e monitoraggio di Laguna Furnas, Isole Azzorre, Portogallo, 2008-2010 © by FG+SG Fernando e Sergio Guerra

AIRES MATEUS & ASSOCIADOS
Centro ricerche e monitoraggio di Laguna Furnas
Isole Azzorre, Portogallo, 2008-2010

Motivazione della Giuria
Due piccoli volumi dalle geometrie essenziali, incastonati in uno straordinario habitat naturale, fissano i luoghi di osservazione e di studio del parco di Laguna Furnas, un cratere vulcanico coperto da una lussureggiante vegetazione. La pietra basaltica locale, impiegata nel rivestimento esterno in tessiture parallele omogenee che dai muri perimetrali salgono sul tetto, accentua le leggere distorsioni dei volumi rendendo ambigua la loro forma.
Un’opera in cui la straordinaria precisione progettuale in ogni minuto dettaglio si rivela indispensabile a ottenere la misteriosa potenza che gli edifici comunicano.

Descrizione
Il progetto intende evocare nella forma, con volumi semplici e compatti, e nel materiale, pietra basaltica locale, il paesaggio architettonico delle Azzorre. Il complesso comprende piccoli edifici con funzione di studio e di alloggio inseriti in uno straordinario habitat naturalistico, Laguna Furnas.
Il Centro Ricerche si caratterizza per la presenza di uno spazio intermedio tra l’esterno e l’interno, il patio, che risulta come una sottrazione di volume, concepito quasi come una scultura, un blocco di materia scavato per far entrare la luce. All’interno del patio si svelano le facciate interne e la distribuzione dell’edificio. Il fabbricato per gli alloggi temporanei si presenta compatto e diviso simmetricamente in quattro unità con accessi dai quattro lati derivati dall’orientamento dei raggi solari.
L’aspetto monolitico degli edifici è ottenuto con un rivestimento in pietra basaltica applicato su un guscio continuo di cemento. Alla totalità lapidea dell’esterno corrisponde una totalità lignea dell’interno.

Materiali lapidei principali
Pietra vulcanica locale


Tempio di Shiva, Mumbai, India, 2010 © by Sameep Padora e Edmund Sumner

SAMEEP PADORA & ASSOCIATES
Tempio di Shiva
Wadeshwar, Maharashtra, India, 2010

Motivazione della Giuria
Proseguendo nella ricerca iniziata nella precedente edizione del Premio, la Giuria ha deciso di premiare un’opera minimale, lontana dai riflettori e dagli esibizionismi, ma con un profondo senso di spiritualità e di gratuità (Shramdaan). Il progetto infatti è stato donato dall’architetto Padora alla comunità Indù, le maestranze hanno prestato la loro opera oltre l’orario di lavoro, una cava ha fornito le pietre per la costruzione per offrire alla popolazione un luogo di culto perfettamente inserito e integrato nel paesaggio, dove “gli alberi fanno da pareti e il cielo da tetto”. Un’opera che coniuga in modo esemplare una sofisticata procedura riduttiva intellettuale con le risorse e i saperi artigianali del territorio.

Descrizione
Il tempio sorge in un contesto paesaggistico spettacolare, su una collina alberata che domina il lago Andhra, irraggiando un senso di sacro isolamento. Ad una prima lettura del progetto, il Tempio di Shiva può sembrare un tempio di antica origine, andato in rovina, riscoperto e risistemato per gli usi della comunità Indù presente. La torre di pietra basaltica, la shikhara, riprende i concetti della costruzione tradizionale degli edifici sacri e mantiene tutti gli elementi simbolici, spogliati, per motivi di risparmio sui materiali e sulla manodopera, dalle decorazioni e dagli abbellimenti. Unica concessione alla modernità il portico in legno di quercia rivestito d’acciaio, ad altezza ribassata per invitare il visitatore ad inchinarsi davanti alla divinità. La luce penetra dall’alto attraverso un oculo nel cuore della oscura garbhagriha (il sancta sanctorum). Sulla cima del tetto si trova il Kalash in ashtadhatu, un amalgama di otto differenti metalli (oro, argento, rame, zinco, piombo, stagno, ferro e mercurio) la cui presenza rende sacro un luogo per gli Induisti. La pietra basaltica, spesso impiegata nelle costruzioni locali, proviene da una cava situata a circa 60 km dal sito ed è stata posata da maestranze di tagliapietre e muratori locali.

Materiali lapidei utilizzati
Pietra basaltica

PREMIO “AD MEMORIAM”


Case di pietra, Grecia, 1962-1978 © by Aris e Dimitri Konstantinidis

ARIS KONSTANTINIDIS (1913-1993)
Case di pietra
Grecia, 1962-1978

Motivazione della Giuria
Collocata in un delicato equilibrio tra il razionalismo ellenico degli anni Trenta e Quaranta e il modernismo vernacolare di Pikionis, l’architettura di Aris Konstantinidis appartiene a quel settore del pensiero architettonico che trova nella logica del procedimento costruttivo la ragione dell’esito formale dell’opera. In questo senso non è mai folclorica, e l’uso della pietra locale nelle sue case sul Mediterraneo, come quelle di Anávyssos, di Spétses e di Egina, non richiama la forma delle costruzioni rurali ma ne utilizza il sapere costruttivo che le ha prodotte, affidando a una filosofia vicina al pensiero miesiano la composizione degli spazi e dei ritmi. Una lezione sulla tettonica quella di Konstantinidis che ci porta a riflettere sulla ricchezza e complessità delle forme semplici.

Descrizione
Konstantinidis costruisce le sue case in pietra solo quando sono inserite in un contesto di naturalità, dove il suolo è roccioso ed esistono delle cave nelle vicinanze e dove l’uomo ha già marchiato il territorio con elementi antropici (camminamenti, muretti, ovili) in blocchi appena sbozzati o in pietrame a secco.
La pietra viene usata da Konstantinidis come la usano da millenni i capomastri, i contadini e i pastori, sfruttando le caratteristiche funzionali e dimensionali del materiale, nonché la sua economicità e possibilità di riuso. Per progettare una casa riprende i criteri di proporzione e di rispondenza alle necessità già seguiti e rispettati da tempo immemorabile dagli anonimi costruttori che hanno reso particolare e unico il paesaggio elladico. Le sue case in pietra sembrano fiorire dal terreno come una pianta, integrandosi in maniera mirabile nel paesaggio circostante.

Materiali lapidei principali
Pietra locale

PREMIO ARCHITETTURA VERNACOLARE


CASE-TORRE DELLA SVANEZIA, Georgia © by Fondazione Sella

CASE-TORRE DELLA SVANEZIA
Georgia

Motivazione della Giuria
Inseriti nello straordinario paesaggio montuoso del Caucaso, i raggruppamenti di case-torre che caratterizzano gli insediamenti dell’Alta Svanezia costituiscono un esempio unico di architettura vernacolare di pietra. La loro duplice funzione abitativa e difensiva ha origini antiche, ma è a partire dal secolo XII, all’epoca dell’invasione dei Mongoli, che questa tipologia si diffonde nelle comunità della Valle dell’Inguri. L’antichità degli edifici e l’alta qualità paesaggistica ne hanno determinato l’iscrizione nella World Heritage List dell’Unesco. Il Premio intende indagare e approfondire l’originalità del sistema insediativo e costruttivo in relazione al sito.

Descrizione
La Svanezia, regione già conosciuta nell’antichità come Colchide per la leggenda del Vello d’Oro e citata da Strabone nel I secolo d.C., è situata alle pendici dell’altissima catena montuosa del Grande Caucaso. Di difficile accessibilità, è stata preservata proprio a causa dell’isolamento che ha permesso di conservare villaggi medievali con le tipiche case a torre (Mestia, Ushguli e Latali).
La caratteristica delle case svane è la torre, a pianta quadrangolare (5×5 m) con una forma piramidale tronca alta circa 25 m, solitamente a quattro piani, di cui solo l’ultimo ha delle piccole feritoie. Generalmente l’abitazione tradizionale della famiglia svana (denominata Machubi) è una grande costruzione su due piani. Il pianterreno è utilizzato per il bestiame, il primo piano per l’abitazione ed il fienile. In generale alla casa è annessa la torre. A volte le famiglie svane ragruppavano fino a trenta o persino cento membri. Possiamo ancora trovare queste enormi residenze nella comunità di Mulakhi, dove un muro alto tre metri circonda la zona residenziale del clan Kaldani.

Materiali lapidei principali
Pietra locale

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18 Giugno 2011

English

INTERNATIONAL AWARD ARCHITECTURE IN STONE
46th Marmomacc – Verona 21/24 September 2011

Versione italiana

The twelfth edition of the International Award Architecture in Stone is an event that is open to new horizons in lithic language. The Award is the culminating moment of research that Marmomacc, every two years, performs in the vast panorama of world architectural production.
The Award, ever since it was created in 1987, has been a fundamental guide in the world of architecture and design that searches for new directions and experiences in use of lithic materials, marrying professional expertise with innovation.

The 2011 Edition of the Award, curated, like the preceding editions, by Vincenzo Pavan, has availed itself of a prestigious international jury of historians, critics and professors of architecture. They have substantially contributed to the quality of the Award and simultaneously ensured a selection that is pluralistic and rigorous. The selected works, in fact, range from important public buildings regarding large European institutions to works that recuperate degraded urban zones, exposing the quality of pre-existing stone structures integrated with similar lithotypes and combined with other materials in harmony with them. Other selections illustrate cultural and religious works that put stone in relation with Nature and with local history and culture, evidencing the outstanding ability of lithic materials to interpret, in our times, evocative and spiritual principles.
This edition, like recent editions of the Award, also includes works built in difficult territorial conditions and that are able to bring together ethics and aesthetics through coherent use of local materials. And, finally, there are two significant special awards that, while they do not refer to contemporary works, they are closely connected to them. The “ad memoriam” award this year has been given to the works of a recently rediscovered Greek architect: Aris Konstantinidis. Here we have a small building representative of a series of his works where stone is structurally conjugated in an exemplary marriage of modernity and tradition.
The “vernacular architecture” award highlights an extraordinary episode of architecture “without architects”: the Svaneti tower-houses on the Georgian slopes of the Caucasus mountains: a precious historic example of stone building and typological traditions that are about to be confronted with the new that advances.

The form of the Award consists of publication of a prestigious volume containing ample documentation of the award-winning works and many critical and historical essays by eminent members of the international architectural community.
During the 46th edition of Marmomacc, the International Award Architecture in Stone will be at the center of cultural events scheduled for “Marmomacc Architecture Design” and will be formulated in two events: an Exhibition of award-winning works and an Official Ceremony presenting the winners.

JURY

Francesco Dal Co
Casabella’s Editor, Italy
Thomas Herzog
Faculty of Architecture at Technische Universität München
Juan José Lahuerta
Escuela Técnica Superior Arquitectura Barcelona, Spain
Alessandro Mendini
Architect, designer, artist and theorist
Vincenzo Pavan
Faculty of Architecture Ferrara, Italy

EVENTS

September 21th-24th: The award-winning projects will be displayed in an exhibition involving drawings and photos open during the Exhibition itself in Veronafiere. A prestigious book in two languages (Italian/English) will also be published to illustrate these projects in terms of language, aesthetic-architectural quality and materials technology.

Saturday September, 24th 2011: The Award Ceremony will be held in Verona, Castelvecchio Museum when the winning architects will illustrate their theories and experience in the use of stone in architecture.

AWARD WINNING WORKS


Jacob-und-Wilhelm-Grimm-Zentrum, Berlin, Germany, 2006/2009 © by Stefan Müller

MAX DUDLER
Jacob-und-Wilhelm-Grimm-Zentrum
Berlin, Germany, 2006-2009

Jury Motivations
The building groups all the libraries of the Humboldt Universität of Berlin, previously disseminated throughout the city, into a single building. It inserts a large compact lithic volume, with extraordinary transparency and openness, into the urban fabric. This is a result of a search for rhythms and proportions in the facades which, at the various levels of the building, include sequences of vertical openings formed of a dense network of vertical modules, giving controlled dynamics to the monolithic body of the building.
The Spessart limestone that covers the facades, roughened by high pressure water sprays, substantially contributes to the concept of solidity that the building strives to communicate.

Description
The Jacob-und-Wilhelm-Grimm-Zentrum was created as central library and media collection for the Humboldt Universität in Berlin. It can simultaneously contain 750 students, offering two and a half million volumes and 500 computer stations.
The clarity of the layout and the organization of pathways immediately orient visitors who feel free to move on both horizontal and vertical planes. A large double-height atrium acts as a filter between interior and exterior, a modern stoà that functions as a forum for discussions and interrelationships. The public, from this area, accesses reading rooms and individual study spaces, areas that are in any case permeable to sight and constantly dialoguing with the city. The concept of library is reinvented without, however, overlooking references to the traditions and materials of ancient libraries such as the use of stone in the trilithic form of the façade structure and of wood in reading hall flooring and wall coverings.

Main stone materials
Spessart Limestone


Residential complex in Puente Sarela, Santiago de Compostela, Spain, 2005/2009
© by Lluís Casals

VICTOR LÓPEZ COTELO
Residential complex in Puente Sarela
Santiago de Compostela, Spain, 2005-2009

Jury Motivations
The project, built near the historic center of Santiago de Compostela, enacts a program for urban residential requalification on pre-existing constructions, recuperating the remains of an ancient building in ruins. López Cotelo, escaping from the self-referencing nature of several recent architectural works built in the capital of Galicia, adopts a measured and respectful stance towards the existing context, intervening with lightweight structures on the massive granite walls. The project, through a series of measured stone walks that connect the various land levels together and thanks to discreet completions of masonry in local granite, re-connects the old and new buildings to the urban context.

Description
The López Cotelo office has carried out attentive upgrading of a complex of historic structures existing in Santiago de Compostela, completing these with new constructions. The work recuperates an ancient abandoned tannery and the context where it was located, respecting and interpreting, with a modern language, the typical elements of industrial buildings and the Galician countryside. The buildings of the old factory are grouped together in two nearby complexes: the factory, with its grid of stone pillars, near the river; the mill and the miller’s house, on higher terrain. The intervention, extremely respectful, aimed at recuperating the specific character proper of the industrial architecture. The architect, in the block of newly built apartments, used recuperated stone in the base surmounted by a lightweight body made of glass and closed with a galvanized roof. External stone paving underlines the “rural” character of the intervention and connects existing and new in a unicum of high formal excellence.

Main stone materials
Local granite


River Terminal and Visitor Centre, Linzhi, Tibet, 2008-2009 © by Chen Su

STANDARDARCHITECTURE
River Terminal and Visitor Centre
Linzhi, Tibet, China, 2008-2009

Jury Motivations
Three works support a path which, along the Yaluntzangpu, connects the river with several villages in the Tibetan region of Linzhi, bringing into relationship the demands of the “architectural” credo of the Standardarchitecture studio with the local native lithic culture. The two Visitors Centres and the River Terminal interpret and revitalize traditional stone architecture without bowing to the picturesque. On the contrary they elaborate in a new way certain applications take from local culture such as the highly colored pigments obtained with natural powders and applied directly to the surfaces of the stone. The clean lines and measured structural logic are at the roots of solid and sustainable architecture integrated with the environment.

Description
Common characteristics of the three structures built in Tibet by the office of young Chinese architects are the complete integration in the surrounding landscape, the use of local materials and stone collected in the vicinity, the use of traditional techniques by Tibetan craftsmen.
The embarcadero, located on the most remote stop on the Yaluntzangpu river, is characterized by a series of ramps that rise up from the water.
The structure, fairly Spartan, gives basic services, ticket office and bathrooms and an eventual nighttime shelter for local travelers and tourists who are not able to leave because of bad weather.
The Namchabawa Visitors Centre rises up on a slope along the same river, at the foot of a mountain that is 7782 meters tall.
The 1500 square meter building appears as an archaic vision with a series of walls anchored to the slope and almost lacking in openings. This is an information center and support structure for tourists and also a get-together point for the local population.
The Niyang River Visitors Centre is a minimal structure with simple volumes marked by deep openings where sunlight penetrates from different angles and creates constantly changing perceptions. Color transitions highlight the geometric transitions incumbent in the space.

Main stone materials
Local stone


Laguna Furnas research and monitoring center, Azores, Portugal, 2008-2010 © by FG+SG Fernando and Sergio Guerra

AIRES MATEUS & ASSOCIADOS
Laguna Furnas research and monitoring center
Azores, Portugal, 2008-2010

Jury Motivations
Two small volumes with simple geometric shapes, set in an extraordinary natural habitat, establish the study and observation sites for the Laguna Furnas Park, a volcanic crater covered with luxurious vegetation. Local basalt, used in homogenous parallel patterns in the external covering, rising from perimeter walls up onto the roof, accentuates the light distortions of the volume and make their form ambiguous.
A work where extreme design precision in every minute detail is indispensible in achieving the mysterious power communicated by these buildings.

Description
The project wishes to evoke, in its forms, in its simple and compact volumes, and in its material, with use of local basalt, the architectural landscape of the Azores. The complex includes small buildings functioning as studios and lodgings inserted in an extraordinary natural habitat:
Laguna Furnas.
The Research Center is characterized by the presence of an intermediate space between interior and exterior, a patio created by a subtraction of volume, conceived almost as a sculpture, a block of material excavated so that light may enter. The inner facades and the distribution system of the building take place inside the patio. The building for temporary lodgings is compact, symmetrically divided into four units with accesses from four sides derived from the orientation of the sun’s rays.
The monolithic appearance of the building is achieved using basalt applied on a continuous shell of concrete. A totally wood interior corresponds to the totally stone exterior.

Main stone materials
local volcanic stone


Shiv Temple, Mumbai, India, 2010 © by Sameep Padora and Edmund Sumner

SAMEEP PADORA & ASSOCIATES
Shiv Temple
Wadeshwar, Maharashtra, India, 2010

Jury Motivations
The Jury, continuing in the directions initiated in the preceding edition of the Award, has chosen to award a minimal work, far away from spotlights and exhibitionism, but with a profound sense of spirituality and generosity (Shramdaan). The project, in fact, was a gift to the Hindu community by the architect Padora; workers donated their labors even beyond normal work hours; a quarry furnished the stone for a construction that offers the people a place of cult perfectly inserted and integrated in the landscape, where “trees are the backdrop and the sky is the roof”. A work that conjugates, in an exemplary way, a sophisticated process of intellectual simplification with the crafting talents and the resources of the territory.

Description
The temple rises in a spectacular landscape, on a tree-lined hill overlooking Lake Andhra, from which it radiates a sense of sacred isolation. The Temple of Shiva, when the project is first examined, may seem a temple of ancient origins, fallen into ruin, rediscovered and reclaimed for the uses of the present Hindu community. The basalt tower, the shikhara, harks back to traditional construction concepts for sacred buildings and keeps all the symbolic elements, bare and stripped of decorations and embellishments in order to save on materials and labor. The only concession to modernity is the steel-covered oakwood portico with a lowered height that invites visitors to bow down as they pass in front of the divinity. Light penetrates from above through a oculus in the heart of the dark garbhagriha (the sancta sanctorum). The Kalash, made of ashtadhatu, an amalgam of eight different metals (gold, silver, copper, zinc, lead, tin, iron and mercury) is on the top of the roof, making the site a sacred place for Hindus. The basalt, often used in local constructions, comes from a quarry located about 60 kilometers from the site and was laid by local masons and stone-cutters.

Main stone materials
Basalt

“AD MEMORIAM” PRIZE


Stone houses, Greece, 1962-1978 © by Aris and Dimitri Konstantinidis

ARIS KONSTANTINIDIS (1913-1993)
Stone houses
Greece, 1962-1978

Jury Motivations
The architecture of Aris Konstantinidi, positioned in a delicate equilibrium between Greek rationalism of the nineteen thirties and forties and the vernacular modernism of Pikionis, belongs to that area of architectural thought that uncovers the reason for the formal result of the work in the logic of its construction process. In this way it is never folkloristic and the use of local stone in his Mediterranean houses, like those of Anávyssos,i Spétses and Egina, does not recall the form of rural constructions but rather uses the construction wisdom that produced them, entrusting composition of spaces and rhythms to a philosophy near that of Mies van der Rohe. Konstantinidis gives us a lesson on tectonics that forces us to reflect on the richness and complexity of simple forms.

Description
Konstantinidis builds his stone houses only when they are inserted in a natural context, where the ground is rock, where there are nearby quarries and where man has already marked the territory with anthropic elements (paths, walls, folds for sheep) in barely roughed out blocks or drywall stone.
Stone is used by Konstantinidis as it has been used for millennia by builders, farmers and shepherds, exploiting the functional and size characteristics of the material as well as its inexpensiveness and the possibility for reuse. To design a house he refers to the criteria of proportions and satisfaction of functions that were followed and respected from immemorial times by the anonymous builders who made the landscape of Greece unique and special. His stone houses seem to grow up from the ground like a plant, marvelously integrating themselves in the surrounding landscape.

Main stone materials
Local stone

VERNACULAR ARCHITECTURE AWARD


SVANETI TOWERS – HOUSES, Georgia © by Fondazione Sella

SVANETI TOWER HOUSES
Georgia

Jury Motivations
The groups of tower houses that characterize the settlements of Upper Svaneti, inserted in the extraordinary mountain landscape of the Caucasus, are a unique example of vernacular architecture in stone. Their dual functions, as residences and for defense, has ancient origins but it is at the start of the 12th century, at the time of the Mongol invasion, that this type of building becomes common in communities of the Inguri Valley. The antiquity of the buildings and their superb landscape quality were the reason for their inclusion in the Unesco World Heritage List. The Award intends to investigate and examine the originality of this residential and construction system in relationship to its site.

Description
Svaneti, a region known in antiquity as Colchis, famous for the legend of the Golden Fleece and mentioned by Strabo in the 1st century, A.D., is located on the slopes of the high mountain range of the Great Caucasus. The region, difficult to access, was spared invasions thanks to its isolation, permitting it to preserve extraordinary medieval villages (Mestia, Ushguli and Latali) with their typical tower houses built between the 9th and the 12th centuries.
The characteristic of svanme houses is their tower, with a square footprint (5×5 m) and a truncated pyramid shape, about 25 meters high and generally containing 4 stories of which only the last has narrow slits for windows. Generally the traditional residence of a svana family (called Machubi) is a large two story construction with the ground floor used as a stables and the first floor as the hayloft and as the residential zone. Generally the tower is attached to the house. Svane family groups could count up to one hundred members.

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17 Giugno 2011

Post-it

DOME Cantiere didattico sperimentale

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17 Giugno 2011

Post-it

KENGO KUMA Lectures

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13 Giugno 2011

Pietre d`Italia

Formazione e aspetto dei travertini toscani e laziali.

English version


Geode cristallino nella stratigrafia di un deposito travertinoso a Serre di Rapolano (foto Enrico Geminiani).

Se la più datata normativa italiana 1 definiva il travertino come roccia calcarea sedimentaria di deposito chimico, con caratteristica strutturale vacuolare, ed impiego preferenziale per costruzione e decorazione, sono le più aggiornate norme europee e americane a mettere in evidenza la complessità dell’aspetto e delle caratteristiche di tale materiale lapideo.
Secondo la normativa europea 2, il travertino è definito scientificamente come un calcare concrezionale finemente cristallino che si forma per rapida precipitazione di CaCO3 dall’acqua. Estremamente poroso o spugnoso, è conosciuto come tufo calcareo, ma può essere costituito anche da calcite cripto cristallina per precipitazione lenta in ambienti carsici: in quest’ultimo caso il materiale si presenta traslucente, generalmente stratificato e con colori sfumati prevalentemente gialli, bruni e verdi; commercialmente è una pietra naturale che concorda nell’aspetto con la definizione scientifica e che può essere lucidata soprattutto nelle cosiddette varietà “oniciate”, laminate, compatte e costituite da strati colorati e trasparenti di calcite o aragonite.


L’aspetto di un travertino oniciato senese, levigato e lucidato.

Per la normativa americana 3 il travertino consiste in una varietà di calcare cristallino o microcristallino che si contraddistingue per la sua struttura stratificata e dove pori e cavità sono comunemente concentrati in alcuni degli strati producendo una struttura aperta. Il materiale può anche essere definito “marmo travertinoso”, se risponde ad alcuni requisiti tecnici stabiliti dalla norma ASTM C5034 e se costituito da una calcite stratificata porosa o spugnosa, di origine chimica, parzialmente cristallina. In base alla norma americana il travertino si forma per la precipitazione da sorgenti di acqua calda, costituite da soluzioni ricche di carbonato solitamente in prossimità di specchi d’acqua bassa.
Tutte le norme concordano quindi sulla genesi della roccia, sedimentaria e di origine chimico-evaporitica, e sull’aspetto vacuolare; si registra inoltre una piena concordanza anche sulla denominazione di “travertino”, nome internazionalmente accettato, derivante da quello con cui gli antichi romani indicavano la pietra che un tempo cavavano a Tivoli: lapis tiburtinus 5. Con il termine di radice latina si continua ad indicare, da oltre duemila anni, scientificamente ma anche commercialmente, tutti i materiali del mondo che della pietra di Tivoli hanno le medesime caratteristiche estetiche, anche se altre terminologie possono essere localmente utilizzate, quali ad esempio calcareous tufa in inglese, o tuf calcair in francese, Kalktuff in tedesco, o ancora tufa, kalkar, sinter.
Un’ulteriore interessante definizione di base a cui rifarsi per iniziare l’indagine relativa ai travertini di area senese può essere ripresa dal testo magistrale di Allan Pentecost, intitolato non a caso “Travertine” 6: secondo l’autore per travertino si può definire un calcare calcitico o aragonitico di ambiente continentale, formatosi per precipitazione chimica lungo aree di infiltrazione, sorgenti, torrenti, fiumi ed occasionalmente laghi. Di bassa o moderata porosità intercristallina, spesso con elevata concentrazione di porosità di impronta o strutturale, esso ha origine all’interno di ambienti vadosi o, occasionalmente, in ambienti freatici di acqua bassa, e la precipitazione avviene primariamente per il passaggio di CO2 da o verso una fonte d’acqua che comporta la sovrasaturazione del carbonato di calcio, con nucleazione e crescita dei cristalli in ambiente sommerso. Più semplicemente potremmo dire che esso è un calcare concrezionato che si forma grazie al potere incrostante del carbonato di calcio disciolto nelle acque. Ma come, e perché, è possibile trovare carbonato di calcio disciolto nelle acque? E inoltre, tale elemento è presente in tutte le acque?


Dettagli di affioramenti di travertino in una cava di Rapolano Terme (foto Enrico Geminiani).

Indubbiamente tutte le acque dell’idrosfera hanno la caratteristica di agire da solvente in presenza di alcuni sali, e tra tutti i sali che costituiscono le rocce il carbonato di calcio (CaCO3) è sicuramente tra i più solubili. In genere la solubilità del carbonato di calcio è pari a 14 mg/litro, ma ben lungi dall’essere costante, varia al variare della concentrazione di CO2 disciolta nell’acqua, della pressione di scorrimento dei flussi idrici, dalla loro temperatura e dei valori del pH ed eH. L’anidride carbonica una volta disciolta nell’acqua forma un acido (“carbonico”) capace di attaccare il calcare che costituisce gli ammassi rocciosi.
CACO3 +CO3+H2O ? Ca2+ + 2(HCO3 )-
L’acqua quindi si comporta come un vero e proprio solvente, arrivando a disciogliere in maniera più o meno intensa la roccia carbonatica all’interno o sopra la quale essa scorre e, quando a causa di una variazione dei suoi parametri fisici essa si ritrova in sovrasaturazione a causa di una eccessiva concentrazione del carbonato di calcio disciolto, per riequilibrare i suoi parametri, provoca la precipitazione del CaCO3 che incrosta tutto ciò che incontra formando spessori più o meno rilevanti di travertino.
La sovrasaturazione dell’acqua rispetto al CaCO3 può essere ottenuta in vari modi, ad esempio per l’azione indiretta di vegetali presenti nelle acque i quali depauperando di CO3 la soluzione provocano la precipitazione del CaCO3 disciolto (travertini formatisi da acque a temperatura ambiente o “travertini meteogeni”), oppure può essere indotta anche da variazioni della temperatura; un rapido aumento di quest’ultima comporta l’innalzamento della concentrazione del sale CaCO3 presente nell’acqua, mentre un calo improvviso provoca la sovrasaturazione con conseguente precipitazione.
Ma accade anche, e questa è la causa genetica dei travertini del centro Italia, che l’anidride carbonica presente nel flusso idrico che percola nelle masse rocciose carbonatiche venga originata da processi di mineralizzazione legati ad eventi magmatici vulcanici della crosta terrestre che possono provocare un discioglimento del carbonato di calcio fino a dieci volte maggiore di quello ottenuto con anidride carbonica meteorica. È ovvio che questo fenomeno si traduce in depositi travertinosi (“travertini termogeni”) arealmente ampi che possono raggiungere anche spessori di qualche centinaia di metri. La loro formazione va quindi ricollegata ad una attività vulcanica più o meno profonda, più o meno attiva.


Stratigrafia di sedimentazione in un deposito di travertino a Rapolano Terme (foto Enrico Geminiani).

Tipologie dei travertini
I travertini sono quindi rocce di origine chimica che si formano per la precipitazione del sovrabbondante CaCO3 disciolto in masse d’acqua, presente per svariate cause di cui la più importante è legata ad attività magmatiche. L’ambiente prevalentemente continentale e le condizioni in cui tale carbonato precipita – cascate, acque correnti, specchi lacustri o palustri, sorgive, cumuli pendenti, cumuli terrazzati con vasche di differenti dimensioni e dorsali fessurate – unitamente al supporto organico più o meno variabile, può dare origine a differenti tipologie di travertini, ed oltre alla suddivisione tra travertini meteogeni e termogeni, si ha anche la distinzione tra travertini autoctoni e alloctoni. Gli autoctoni si formano per precipitazione e incrostazione in situ del CaCO3 senza il successivo trasporto del materiale concrezionato. L’aspetto del materiale che si forma sarà strettamente condizionato dal supporto vegetale che cattura il carbonato.
A seconda del supporto e dell’aspetto si parla di travertini autoctoni stromatolitici, (per sovrapposizione di lamine millimetriche imputabili ad attività di alghe o batteri); microermali (per incrostazioni su briofite che generano strutture a microtubuli ramificati) e di travertini fitoermali (per incrostazioni su micro e macrofite che formano impalcature rigide, quali possono essere ad esempio muschi e licheni).
I travertini alloctoni o detritici si hanno invece quando l’incrostazione avviene su frammenti – organici o inorganici – che possono successivamente essere trasportati. Essi potranno avere dimensioni granulometriche differenti e, a seconda dell’energia cinetica dell’acqua, potranno essere posizionati a distanze anche rilevanti rispetto alla sorgente di acqua incrostante.
Dato il suo processo di genesi è possibile affermare che il travertino è forse l’unico materiale che si forma a velocità elevata rispetto ai tempi geologici: il continuo apporto di acque soprassature permette la formazione di qualche millimetro di roccia all’anno, ed in qualche decennio l’uomo ne può apprezzare “crescite” anche centimetriche contemporaneamente condizionate anche da fattori climatici, in quanto le stagioni calde, ma parossisticamente anche l’alternanza del giorno e della notte, favoriscono la deposizione del CaCO3, mentre i periodi freddi, con l’arresto dello sviluppo vegetativo ed una minor produzione di CO2, provocano un calo della mineralizzazione dell’acqua e quindi della precipitazione dei carbonati. Un altro aspetto alquanto caratteristico del materiale deriva dal fatto che da quando si forma esso inizia immediatamente ad evolvere: la sua formazione per incrostazione di materiale organico è accompagnata dalla quasi contemporanea decomposizione del medesimo con la genesi di una diffusa porosità. La presenza nell’ammasso di sali più solubili del carbonato di calcio può comportare il loro discioglimento, con la formazione di porosità secondarie e la percolazione di acque soprassature, che provocano la ricristallizzazione totale o parziale delle porosità primarie. A questo va collegato un aspetto generalmente spugnoso degli strati sovrastanti mentre quelli alla base delle unità formative sono solitamente molto più compatti e poco porosi.
Tra i fattori maggiormente variabili nell’aspetto dei travertini va annoverato il colore: la calcite di precipitazione è bianca ed i travertini hanno tendenzialmente questa sfumatura che la presenza di pigmenti colorati può modificare. Ecco quindi travertini gialli per la presenza di ossidi limonitici, rossi, per la presenza di ematite, neri quando la colorazione può essere imputabile a magnetite o a materiale organico che precipita assieme al CaCO3 o, ancora, travertini laminati per strutture e tonalità cromatiche differenti.


L’aspetto di un travertino viterbese, levigato e lucidato.

Geologia
I travertini toscani e laziali possono essere perlopiù definiti termogeni. Essi infatti, pur provenendo da aree differenti e presentando spessori variabili sono strettamente connessi ad eventi magmatici che ben si inseriscono nel contesto geologico genetico della formazione della catena appenninica, che ha provocato in tutte le aree in analisi una attività vulcanica cenozoica più o meno attiva.
L’Appennino è una catena orogenetica strutturalmente articolata che inizia a formarsi nel Cretaceo superiore, e la cui genesi continua ancora ai giorni nostri. La sua evoluzione7 può essere suddivisa in fasi differenti che traggono origine dalla migrazione della placca africana contro quella europea, con una situazione iniziale molto complessa anche per la presenza di una serie di minuscole placche posizionate tra le due principali. Due di queste microplacche, l’Iberia e l’Adria, saranno quelle che condizioneranno in maniera più eclatante la genesi appenninica.


Carte dei movimenti di rotazione e traslazione dei blocchi tettonici del Mediterraneo occidentale che hanno consentito la formazione del bacino ligure-provenzale e di quello tirrenico.

Nel Giurassico medio superiore, l’apertura dell’Atlantico centrale provoca una prima fase di deriva verso est della placca africana, deviata verso nord a partire dal Cretaceo superiore quando si apre anche l’Atlantico settentrionale. Tra le due placche si trovava inizialmente un bacino oceanico denominato Oceano ligure-piemontese che separava l’Europa e l’Iberia, allora solidali, dall’Adria, promontorio dell’Africa. Circa novanta milioni di anni fa, una serie di disgiunzioni e rotazioni separano le placche Iberia e Adria, provocando la consunzione dell’Oceano ligure-piemontese mentre l’Africa converge direttamente contro l’Europa. In quella che sarà l’area occupata dai futuri Appennini inizia l’impilamento di unità tettoniche che tendono ad innalzarsi sempre più.
Con l’Eocene superiore termina la convergenza oceanica accompagnata dalla sutura e chiusura dell’Oceano ligure-piemontese, dalla subduzione della placca Adria verso ovest-sud ovest, al di sotto di quella dell’Iberia, e l’impostazione di una serie di processi tettonici ad andamento est-nord est associati all’orogenesi. Dall’Eocene superiore all’attuale, quindi, in questa che viene definita la zona di convergenza ensialica si ha, con l’evoluzione e l’impostazione dei tratti tipici della catena appenninica, la formazione del sistema catena-avanfossa deformata e avampaese indeformato prospiciente all’odierno mare Adriatico. Per quanto riguarda l’attuale mare Tirreno, esso viene interpretato come un bacino geologicamente definito di retro-arco in fase estensiva caratterizzato in affioramento da deboli strutture affiancate sollevate e depresse che richiamano, anche se in condizione ridotta, lo stile ad Horst e Graben allineate in sistemi a direzione appenninica, interrotte da faglie. È lungo queste strutture che si sarebbero poi impostati i più importanti sistemi vulcanici dell’Italia centrale. Uno studio dell’assetto profondo dell’Appennino centrale, conferma proprio in queste aree un ridotto spessore della crosta terrestre, la presenza della discontinuità di Moho ad una ventina di chilometri di profondità, ed elevati valori del flusso termico che possono comportare localmente, ad esempio a nord est di Roma, temperature anomale che già a 3 chilometri di profondità sono comprese tra 150 e 300°C, cioè fino a cinque volte più alte rispetto alle altre regioni.
La genesi dei travertini dell’Italia centrale si inserisce quindi in un contesto geologico molto complesso e vulcanicamente attivo, con aree in fase di distensione accompagnate da una serie di fenomeni vulcanici non necessariamente in condizione effusiva e non necessariamente quiescenti, la cui interazione con acque di infiltrazione che provengono dalla superficie consente processi di mineralizzazione, d’interazione con i sedimenti carbonatici presenti e poi di genesi finale dei travertini termali*.

di Anna Maria Ferrari

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Note
1 UNI 8458 – Edilizia prodotti lapidei. Terminologia e classificazione.
2 EN 12670 – Terminology of natural stone.
3 ASTM C 119 – Standard definitions of terms relating to natural building stone.
4 ASTM C 503 – Standard specification for marble dimension stone (exterior). I requisiti fisici richiesti nella tabella 1 della norma per poter definire un travertino “marmo travertinoso”, sono relativi all’assorbimento d’acqua (valore massimo 0,20%), alla densità (valore minimo 2305 kg/m3), alla resistenza alla compressione (valore minimo 52 MPa), al modulo di rottura (valore minimo 7 MPa), alla resistenza all’abrasione (valore minimo 10) e alla resistenza alla flessione (valore minimo 7 MPa).
5 Giorgio Blanco, Dizionario dell’Architettura di Pietra, Roma, Carocci, 1999, pp. 299; Faustino Corsi, Delle Pietre Antiche, Verona, Zusi, 1991, pp. 224 (I ed. 1845); Enrico Dolci (a cura di), Il marmo nella civiltà romana. La produzione e il commercio, atti del convegno, Carrara, IMM, 1984, pp. 185; Patrizio Pensabene (a cura di), Marmi antichi. Problemi di impiego, di restauro e d’identificazione, Roma, L’Erma di Bretschneider, 1993, pp. 255; Mario Pieri, I marmi d’Italia, Milano, Hoepli, 1964, pp. 435; Mario Pieri, Marmologia. Dizionario di marmi e graniti italiani ed esteri, Milano, Hoepli, 1966, pp. 693; Francesco Rodolico, Le pietre delle città d’Italia, Firenze, Le Monnier, 1953, pp. 500.
6 Allan Pentecost, Travertine, Berlino, Springer, 2005, p. 16.
7 AA.VV, Guide Geologiche Regionali. Lazio, Società Geologica Italiana (a cura di), Milano, Bema, 1998, pp. 377; AA.VV, Guide Geologiche Regionali. Appennino umbro marchigiano, Società Geologica Italiana (a cura di), Milano, Bema, 2001, 2 voll.; AA.VV, Guide Geologiche Regionali. Appennino tosco emiliano, Società Geologica Italiana (a cura di), Milano, Bema, 2004, pp. 331.
* Il post riedita una parte del capitolo “Dalla materia al materiale. Formazione, aspetto e caratterizzazione dei travertini” pubblicato in Alfonso Acocella, Davide Turrini (a cura di), Travertino di Siena, Firenze, Alinea, 2010, pp. 303.

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13 Giugno 2011

English

Formation and appearance of travertine in Tuscany and Latium

Versione italiana


Crystalline geode in the travertine deposit of a Serre di Rapolano quarry (ph. Enrico Geminiani).

The oldest Italian standard 1 defines travertine as a calcareous sedimentary rock, a chemical precipitate with a characteristic porous fabric, preferentially used in building and decoration, whereas the most recent European and American standards highlight the complexity of its appearance and characteristics.
According to the European standard 2, travertine is scientifically, a finely crystalline concretionary limestone formed by rapid precipitation of CaCO3 from water; extremely porous or cellular is known as calcareous tufa. Also, translucent, generally layered, cryptocrystalline calcite with coloursin pasted shades, particularly yellow, brown and green formed by slow precipitation in karstic environments.
From a commercial standpoint, it is a natural stone (as described above) that cannot be polished; it can also present itself as “onyx”, a compact banded variety consisting of coloured and transparent layers of calcite or aragonite that takes a polish.


Detail of a travertine from Rapolano Terme.

For the American standard 3 travertine is a crystalline or microcrystalline limestone distinguished by layered structure in which pores and cavities are concentrated in some of the layers, thereby producing an open texture. The material can also be defined as “travertine marble” if it meets the technical requisites specified by the ASTM C503 standard 4 and consists of a layered, porous or spongy, partially crystalline calcite of chemical origin. According to the American standard it is formed by precipitation from generally hot solutions of carbonated spring water, usually at the bottom of shallow pool.
All the standards agree on the chemical-evaporitic origin of the sedimentary rock and on its porous fabric; there is also complete agreement on the denomination “travertine”, the internationally accepted name derived from that used by the ancient Romans to indicate the stone quarried at Tivoli: lapis tiburtinus 5. For more than two thousand years this term of Latin origin has been adopted as the scientific and commercial name of stones throughout the world with the same aesthetic characteristics as the stone from Tivoli, although other local terms may be adopted, for example calcareous tufa in English, tuf calcair in French, Kalktuff in German, or tufa, kankar, sinter. Another interesting basic definition of travertine is found in the exhaustive text by Allan Pentecost entitled “Travertine” 6. According to the author, travertine can be defined as a chemically-precipitated continental limestone consisting of calcite or aragonite formed around seepages, springs and along streams, rivers and, occasionally, in lakes. With a low to moderate intercrystalline porosity and often a high mouldic or structural porosity, it originates within a vadose environment or, occasionally, in a shallow phreatic environment. Precipitation primarily occurs through the transfer of CO2 from or to a source of groundwater that becomes supersaturated in calcium carbonate, with nucleation and growth of crystals occurring in an underwater environment. We could more simply state that it is a concretionary limestone formed thanks to the encrusting power of calcium carbonate dissolved in water. How and why is it possible to find calcium carbonate dissolved in waters? Furthermore, is this element present in all the waters?


Detail of a travertine from Rapolano Terme (foto Enrico Geminiani).

No doubt all the waters in the hydrosphere can act as solvents in the presence of certain salts, and of all the salts that make up rocks, calcium carbonate (CaCO3) is certainly the most soluble. Although the solubility of calcium carbonate is generally equal to 14 mg/litre, it is far from constant. It varies with the concentration of CO2 dissolved in water, the flow pressure of water, water temperature, pH and eH values. Once dissolved in water, carbon dioxide forms an acid (“carbonic acid”) that can attack the limestone in rock masses.
CACO3 +CO2+H2O ? Ca2+ + 2(HCO3)-
Water thus acts as a true solvent, dissolving the carbonate rock within which or above which it flows when, due to a variation in its physical parameters, it becomes supersaturated in calcium carbonate. To re-equilibrate its parameters it precipitates CaCO3, which encrusts all what it touches, forming a layer of travertine.
Waters supersaturated in CaCO3 can form in various ways. For example, the CO2 content of water decreases in the presence of vegetation, causing the precipitation of dissolved CaCO3 (travertine formed from waters at ambient temperature or “meteogene travertine”). Variations in water temperature are also important: a rapid increase in temperature determines an increase in CaCO3 salt concentrations in water, whereas a sudden decrease in temperature causes supersaturation and precipitation.
As in the case of travertine from central Italy, the carbon dioxide present in the water percolating through the carbonate rock mass may also originate through mineralization processes linked to magmatic/volcanic events. Such processes can determine an increase in the dissolution of calcium carbonate which is up to ten-fold that obtained with meteoric carbon dioxide. This phenomenon leads to the formation of widespread travertine deposits (“thermogene travertine”) with a thickness of up to several hundred meters. Their formation can therefore be linked to more or less active volcanism at variable depth.


Sedimentary stratigraphy of a travertine deposit in Rapolano (foto Enrico Geminiani).

Travertine typologies
Travertine is therefore a rock of chemical origin formed through the precipitation of excess CaCO3 dissolved in waters, whose presence may be ascribed to various factors, the most important of which is linked to magmatic activity. The continental environment and conditions in which this carbonate precipitates – waterfalls, running waters, lakes or ponds, springs, sloping mounds, terraced mounds with basins of different size and fissure ridges – along with the type of encrusted organic material, determine the formation of different types of travertine. It is possible to distinguish not only between meteogene and thermogene travertine, but also between autochthonous and allochthonous types. Autochthonous travertine forms through in situ CaCO3 precipitation and encrustation without the subsequent transport of the encrusted material. Depending on the encrusted material and the appearance of travertine, one speaks of autochthonous stromatolitic travertine (superimposed millimetric laminations ascribed to algal or bacterial activity), microhermal travertine (encrusted briophytes generating tiny branched tubular structures) or phytohermal travertine (encrusted microphytes and macrophytes, such as moss and lichens, which form rigid frameworks).
Allochthonous or detrital travertine develops when encrustation occurs on organic or inorganic fragments that can be subsequently transported. They can have different grain sizes and, depending on the kinetic energy of water, may be deposited far from the source of encrusting waters.
Given its process of formation, one can state that travertine is possibly the only material to form quickly in geological time: the continuous flow of supersaturated waters allows the formation of several millimetres of rock per year. Climate factors can affect growth rates: the warm seasons as well as the alternation of day and night favour the deposition of CaCO3, whereas in cold periods, when vegetation is dormant, the decrease in the production of CO2 determines a decrease in the mineralization of water and precipitation of carbonates. Another characteristic aspect of this material is that it begins to evolve as soon as it forms: the organic matter it encrusts quickly decomposes, thereby generating widespread porosity. The salts more soluble than calcium carbonate possibly present in the mass may be dissolved, leading to the formation of secondary porosities, and the percolation of supersaturated waters determines the total or partial recrystallization of primary porosities. This process is responsible for the generally spongy appearance of the upper layers and the normally less porous, more compact nature of the base of the formation.
Colour is one of the most variable characteristics of travertine. Precipitated calcite is white and travertine tends to be of this colour, which can be modified by the presence of coloured pigments. Yellow travertine forms in the presence of limonitic oxides, and red travertine in the presence of hematite. Black travertine forms when magnetite or organic material precipitates along with CaCO3, whereas banded travertine develops due to the presence of different structures and shades of colour.


Detail of a travertine from Viterbo.

Geology
The travertine investigated herein is all thermogenic. Although it derives from different areas and is of variable thickness, its origin is always linked to magmatic activity within the context of Apennine orogenesis, responsible for the more or less intense Cainozoic volcanism throughout the area.
The Apennine Mountains are a structurally complex orogenic belt that began to form in the Late Cretaceous and is still developing to this day. Its evolution 7 can be subdivided into different phases triggered by the migration of the African plate toward the European one, with an initially highly complex setting due to the presence of microplates between the two main ones. Two of these, the Iberia and Adria microplates, have affected Apennine orogenesis the most.
In the Mid-Late Jurassic, the opening of the central Atlantic led to the eastward migration of the African Plate, which veered northward starting in the Late Cretaceous in response to the opening of the North Atlantic Ocean. The Ligurian-Piedmont oceanic basin initially separated Europe and Iberia (at the time joined together), from the African promontory of Adria. About ninety million years ago, a series of break-ups and rotations separated the Iberia and Adria microplates, determining the consumption of the Ligurian-Piedmont Ocean, whereas Africa collided with Europe. As a result, tectonic units were stacked into a pile of increasing height within the area occupied by the present Apennines.


Maps illustrating the rotation and translation of tectonics blocks in the western Mediterranean that led to the formation of the Ligurian-Provencal and Tyrrhenian basins.

Oceanic convergence terminated in the Late Eocene, accompanied by the suture and closure of the Ligurian-Piedmont Ocean, the west-southwestward subduction of the Adria plate below the Iberian plate, and the development of a series of east-northeast trending tectonic processes linked to orogenesis. From the Late Eocene to the present, the Apennine belt developed and evolved in the so-called zone of ensialic convergence, and the belt – foredeep system and undeformed foreland developed adjacent to the present-day Adriatic Sea. The Tyrrhenian Sea is considered to be an extensional back-arc basin characterized by the juxtaposition of slightly raised and lowered structures that recall larger scale horst and graben systems and are aligned in an Apennine direction interrupted by faults. The most important volcanic systems of central Italy developed along these structures. A study of the deep structure of the central Apennines confirms the presence of a thinned crust, with the Moho discontinuity at a depth of some twenty kilometres, and high thermal flows which can locally determine anomalous temperature gradients; for example, northeast of Rome the temperature at a depth of 3 kilometres reaches 150 – 300°C, i.e. it is five times higher than in other regions.
The travertine of central Italy forms within a highly complex, volcanically active geological setting. Areas under extension also experience a series of volcanic events that are not necessarily extrusive nor quiescent; their interaction with infiltrated surface water leads to mineralization processes, interaction with carbonate sediments and the formation of thermal travertine*.

di Anna Maria Ferrari

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Notes
1 UNI 8458 – Building stone. Terminology and classification.
2 EN 12670 – Terminology of natural stone.
3 ASTM C 119 – Standard definitions of terms relating to natural building stone.
4 ASTM C 503 – Standard specification for marble dimension stone (exterior). The physical requirements listed in table 1 of the standard for defining a travertine as “travertine marble” include water absorption (maximum value of 0.20%), density (minimum value of 2305 kg/m3), compressive strength (minimum value of 52 MPa), breaking load (minimum value of 7 MPa), abrasion resistance (minimum value of 10) and flexural strength (minimum value of 7 MPa).
5 Giorgio Blanco, Dizionario dell’Architettura di Pietra, Rome, Carocci, 1999, pp. 299; Faustino Corsi, Delle Pietre Antiche, Verona, Zusi, 1991, pp. 224 (I ed. 1845); Enrico Dolci (edited by), Il marmo nella civiltà romana. La produzione e il commercio, Conference Proceedings, Carrara, IMM, 1984, pp. 185; Patrizio Pensabene (edited by), Marmi antichi. Problemi di impiego, di restauro e d’identificazione, Rome, L’Erma di Bretschneider, 1993, pp. 255; Mario Pieri, I marmi d’Italia, Milan, Hoepli, 1964, pp. 435; Pieri Mario, Marmologia. Dizionario di marmi e graniti italiani ed esteri, Milan, Hoepli, 1966, pp. 693; Francesco Rodolico, Le pietre delle città d’Italia, Florence, Le Monnier, 1953, pp. 500.
6 Allan Pentecost, Travertine, Berlin, Springer, 2005, p. 16.
7 AA.VV, Guide Geologiche Regionali. Lazio, Società Geologica Italiana (edited by), Milan, Bema, 1998, pp. 377; AA.VV, Guide Geologiche Regionali. Appennino umbro marchigiano, Società Geologica Italiana (edited by), Milan, Bema, 2001, 2 voll.; AA.VV, Guide Geologiche Regionali. Appennino tosco emiliano, Società Geologica Italiana (edited by), Milan, Bema, 2004, pp. 331.
* This post was originally published as part of the chapter “From matter to material. Formation, appearance and characterization of travertine”, in Alfonso Acocella, Davide Turrini (edited by), Sienese travertine, Florence, Alinea, 2010, pp. 303.

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10 Giugno 2011

Design litico

Il primo design supermarket alla Rinascente di Milano
Claudio Silvestrin e Giuliana Salmaso


L’open space e la moltitudine di scaffalature basse di progetto.

Alla ricerca di nuove spazialità commerciali per rispondere ad altrettanto nuova esigenza di la Rinascente, Claudio Silvestrin e Giuliana Salmaso hanno trovato risposte accattivanti nell’ibridazione della tipologia del grande magazzino e nella compresenza di quella del negozio. Dalle tipicità dei layout dei supermarket derivano le misure ed i sistemi distributivi principali, su cui s’innestano negozi dedicati secondo l’uso dei centri commerciali. Prende così forma il design supermarket.
Una moltitudine di scaffalature bianche, basse, regolari, luminose, colma il grande open space collocato al piano interrato del centro cittadino milanese; sopra di esse sono in esposizione ed in vendita i migliori articoli internazionali del design per la casa. Il colore bianco, unitamente alle altre tonalità – tenui, uniformi – caratteristiche dello spazio, desidera essere silenziosamente sfondo agli oggetti esposti, veri protagonisti dell’ambiente. L’altezza contenuta permette al fruitore di cogliere l’intera dimensione dell’esposizione al primo sguardo, e di comprenderne serenamente l’organizzazione. La regolarità secondo cui sono disposti contribuisce all’idea di ordine e di chiarezza indotta quale naturale conseguenza sul visitatore. L’integrazione luminosa sulla sommità degli arredi ne accentua le linee direttrici, facilitando il compito della comprensione dello spazio. Come un abbraccio, una nicchia curva cinge lo spazio espositivo principale, eccedendo della metà della propria altezza la sommità degli scaffali, a determinare l’orizzonte visivo del centro commerciale. Tale orizzonte risulta ulteriormente sottolineato dallo stacco cromatico fra il candore di questi ultimi ed il tono giallo lapideo caratterizzante lo scavo nella parete perimetrale.
La presenza litica porta materia naturale solida all’interno dello spazio intriso dei caratteri della produzione industriale. Si contrappone senza prevaricazioni alle durabilità volutamente finite e limitate degli oggetti. Si propone in lastre di grande formato dall’andamento curvilineo, scavato nel maggior spessore originario. Si dichiara sottile sopravanzando leggermente le pareti ospitanti. S’impreziosisce negli effetti di chiaroscuro prodotti dai sistemi d’illuminazione integrata e nascosta. Poco sopra le nicchie, la pietra si replica sotto forma di righe orizzontali, come un’eco di colore a spezzare la continuità dei bianchi; riverbera inoltre nelle imbotti dei grandi varchi fra open space e negozi.
Lo spazio sotterraneo di Rinascente a Milano si estende per circa duemila metri quadrati. Ospita anche libreria e caffetteria, candidandosi quale location per attivita’ ed eventi collegati al design. Si tratta di una prima esperienza italiana, replicabile a breve in altri centri commerciali del gruppo la Rinascente. I materiali lapidei sono forniti da Il Casone.


In evidenza il dettaglio dell’illuminazione in sommità degli arredi.

Traduciamo liberamente dalla lingua inglese la descrizione proposta dai progettisti alla loro realizzazione, completata nell’anno 2009.

L’idea sottesa allo store al piano interrato della Rinascente è quella di un progetto governato da un forte ordine visuale che esalta il potenziale degli oggetti di design esposti.
Gli architetti Silvestrin e Salmaso hanno elaborato un concept fortemente innovativo, allineato all’ambiziosa aspettativa del cliente di creare il primo centro commerciale in Italia in cui fossero raccolti entro unico spazio tutti i migliori oggetti del design internazionale.
L’energia di questo spazio, un supermarket del design, è sostenuta da una rigorosa geometria ripetitiva definita da numerose scaffalature espositive, suddivise su due affacci da divisori bassi.
Ciò offre al cliente una vista ininterrotta, permettendogli di percepire immediatamente la totalità dello spazio e della merce esposta.
Sottili strisce di luce sono posizionate sulla sommità dei divisori bassi. Tale semplice dettaglio enfatizza la prospettiva allungata dello spazio di progetto. Queste prospettive si estendono dalle entrate del centro commerciale tutt’attorno lo spazio espositivo.
Le linee essenziali e le tonalità neutre dell’arredo, del pavimento e delle pareti costituiscono lo sfondo ideale per la colorata moltitudine degli oggetti esposti.
I negozi che si collocano sul perimetro risultano separati dall’area centrale da pareti rifinite con resine color crema, con inserti e nicchie realizzate in pietra del tipo giallo Etrusco. Ad ogni negozio si accede mediante porte ampie quattro metri aperte entro queste stesse pareti.

English version


Le nicchie in sottile materia lapidea.

Alberto Ferraresi

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10 Giugno 2011

English

laRinascente
Milan, Italy
Complition summer 2009

laRinascente
Milan, Italy
Complition summer 2009

The idea behind laRinascente’s lower ground floor store is a design ruled by a strong visual order that elates the potential of the designers’ objects displayed.
Architects Silvestrin and Salmaso delivered a strong innovative concept, aligned with the ambitious client’s vision of creating the first store in Italy where all the best international design objects are displayed under one roof.
The energy of this space, named the design supermarket, is provided by a rigorous repetitive geometry of extended display counters divided by dwarf walls.
This gives to the customer an uninterrupted view, allowing them to immediately seize the totality of space and of exhibited merchandise.
Thin strips of light are located on the top of the dwarf walls. This subtle detail emphasizes the stretching prospective of the design. These prospectives extend to the entrances of the stores surrounding the open space.
The essential lines and the neutral tones of furniture, floors and walls, make for the ideal background for the colorful variety of the displayed objects.
The stores that line the perimeter, are divided from the central area by walls finished in warm-white resin, with inserts and niches made of beige Etrurian stone. Each store is accessible via a four-meter wide doorway gaping through these walls.

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7 Giugno 2011

Design litico

Manuel Aires Mateus e il design dell’ambiente bagno

English version


Lavabo e vasca in pietra progettati da Manuel Aires Mateus per Pibamarmi.

Di frequente Manuel e Francisco Aires Mateus accompagnano le presentazioni dei loro progetti con fotografie di cave o paesaggi rocciosi, in cui si percepisce chiaramente l’alto valore assegnato dagli architetti non tanto alla massa in sé, vista nella sua interezza, quanto piuttosto alla forma solida erosa e scavata, e quindi al vuoto che in essa si apre.1
Come sottolineano una volta di più anche queste immagini fortemente evocative, la cavità – o meglio la massa in negativo – è un tema di studio ricorrente nelle architetture dei fratelli portoghesi e di recente è stata declinata da Manuel alla scala del progetto di design, nella realizzazione di una collezione di elementi per il bagno in pietra naturale. La serie, ideata per il brand Pibamarmi, è caratterizzata da un design pragmatico, semplice e concettualmente immediato, che propone figure archetipiche di contenitori per l’acqua come il secchio, la tinozza, il catino. Si tratta di oggetti elementari, per certi versi rudimentali, che tuttavia sul bordo assumono la raffinatezza dei profili sottili e incurvati propri dei vasi e delle stoviglie di porcellana.


Manuel Aires Mateus, schizzi per una collezione di oggetti in pietra per l’ambiente bagno.

Il progetto di design di Aires Mateus si è infatti concentrato sul contrasto tra essenzialità della massa e complessità del vuoto, sull’individuazione di volumi negativi svasati, disegnati secondo un profilo continuo e sinuoso, che smaterializzano monoliti troncoconici o parallelepipedi; in prossimità dei bordi le cavità così ottenute seguono un andamento flessuoso e affilato, ispirato alle forme di antiche porcellane orientali, sì arcaiche ma estremamente accurate ed eleganti nelle consistenze materiche e nei dettagli dei contorni.
In questa sua prima esperienza di design Manuel Aires Mateus continua a rielaborare le figure care al suo mondo formale: esse prendono corpo come masse plastiche, o come volumi cavi, ottenuti attraverso un processo di asportazione di materia, nella fattispecie ancor più esplicito e ancor più enfatizzato poiché espresso in un contesto monomaterico unicamente dominato dalla presenza della pietra.2


Vasche in pietra progettate da Manuel Aires Mateus per Pibamarmi.

Le cavità degli elementi, per la loro particolare sezione, giocano con la luce in una gamma di penombre e ombre che si intensificano dal bordo, quasi piano, fino al fondo, teso e incurvato; anche alla scala oggettuale il progetto dell’architetto lusitano affronta la complessità dei caratteri sottesi al disegno del vuoto, alle sue diversificate morfologie e dimensioni, alle sue condizioni di illuminazione e, soprattutto, alle dinamiche con cui esso viene percepito ed esperito dal fruitore.
Dalla serie di elementi tecnici allo spazio del bagno, per Aires Mateus il design di prodotto si integra poi organicamente con l’interior design, approdando ad un concetto di total design dell’ambiente dedicato all’igiene e alla cura del corpo: il valore complessivo dell’azione progettuale sta ancora una volta nella chiusura, nell’enucleazione spaziale, nell’individuazione di un ambito definito da superfici litiche in cui gli oggetti sono collocati in un rapporto di dialogo con il vuoto e con le pareti che lo circoscrivono. Più che mai i lavabi, le vasche e i piatti doccia non si configurano come protagonisti avulsi dal contesto, bensì come coprotagonisti addossati ai muri, o da essi parzialmente inglobati, o ancora incassati nei piani pavimentali; a tratti rivelati, a tratti occultati dall’involucro in pietra delle stanze.


Manuel Aires Mateus, schizzi per una collezione di oggetti in pietra per l’ambiente bagno.

In questa idea di bagno coordinato, costituito da collezioni di oggetti e da superfici litiche è possibile trovare ricorrenze di moduli dimensionali di 35, 45, 90, 110 centimetri, a caratterizzare i bacili, i piatti doccia che affondano nel massetto al di sotto della quota pavimentale, le lastre di rivestimento che si distendono in verticale. Tali modularità sono finalizzate a garantire la maggiore flessibilità possibile nel poter ricoprire in continuità vani di tipologie differenti.
Come si addice alle forme scavate nella pietra, i bordi e le pareti delle vasche e dei lavabi sono pieni e netti ma non eccedono nello spessore, i volumi monolitici sono ben proporzionati, le finiture delle superfici lapidee sono levigate e setose, morbide al tatto. Ogni elemento tecnico, in forma autonoma o in composizione binata, può trovare una collocazione appropriata in un bagno esistente, ogni oggetto della collezione – di per sé rigoroso e laconico – ha una funzione precisa in un arcipelago di elementi tecnici che può essere distribuito con molteplici configurazioni in uno spazio che non necessita di un apposito dimensionamento. Al di fuori delle mode, gli oggetti di Manuel Aires Mateus non sono pensati per essere esibiti in un’ambientazione da catalogo, ma per costituire nuovi archetipi formali e funzionali, capaci di ricoprire un ruolo effettivo nel mondo reale, in una quotidianità possibile, innescando un’interazione autentica e diretta con l’utente e le sue più immediate esigenze.*

di Davide Turrini

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Aires Mateus
Pibamarmi

Note
1 Si rimanda in proposito a Juan Antonio Cortes, “Building the mould of space. Concept and experience of space in the architecture of Francisco and Manuel Aires Mateus”, El Croquis n. 154, 2011, p. 25 e p. 41.
2 Sul tema della massa monomaterica scavata si vedano anche le considerazioni dei Mateus riportate in Ricardo Carvalho, “On the permanence of ideas. A conversation with Manuel and Francisco Aires Mateus”, El Croquis n. 154, 2011, p.7 e p. 15.
* Il post riedita il capitolo “Cavità litiche” contenuto in Davide Turrini, Manuel Aires Mateus. Un tempio per gli Dei di pietra, Melfi, Libria, 2011, pp. 93

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