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5 Novembre 2016

News

Al Bright Cloister di Pibamarmi il Best Communicator Award

Il padiglione Bright Cloister, disegnato dall’architetto giapponese Go Hasegawa per Pibamarmi, si è aggiudicato il Best Communicator Award all’ultima edizione Marmomacc di Verona. In questa videointervista, curata da Davide Turrini e prodotta da Tofufilms, l’architetto illustra la sua opera.

Vai a Pibamarmi

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3 Novembre 2016

Opere di Architettura

Alle radici dell`architettura: la costruzione in pietra a secco

Per descrivere le sensazioni suscitate dalla vista delle costruzioni in pietra a secco, mi sia consentito di citare il grande storico dell’arte, Cesare Brandi1. Nel momento in cui si accinge a descrivere i trulli sparsi a vista d’occhio nelle campagne tra Locorotondo e Martina, lo assale il ricordo di un suo viaggio in Siria. Egli sta percorrendo le strade impervie che vanno verso Palmira; il terreno è pietroso e arido per la mancanza di corsi d’acqua e il sole incombente. All’improvviso si presentano ai suoi occhi delle costruzioni molto simili a quelle pugliesi… Grande è la sua sorpresa, ma, poi, qualcuno gli spiega che quei piccoli edifici non costituiscono un caso isolato: essi sono tipici esempi di costruzioni rurali siriane.
Si potrebbero aggiungere, a questa, molte citazioni, tutte simili, tratte dai ricordi di altri viaggiatori. Tutte esprimerebbero quella stessa sorpresa, sfumata poi in una sensazione vagamente nostalgica. Pur essendo strettamente legate alla natura dei singoli luoghi, queste costruzioni rievocano regioni e tempi lontani, dando l’impressione di esistere da sempre e dappertutto, in forme identiche. Chi le nota, non manca di pensare a un substrato mitico, intermedio all’abitare e al costruire, sopito nella coscienza dell’uomo ma pronto ad emergere ogni volta che le condizioni geografiche e sociali siano favorevoli. Possiamo cogliere lo stesso fenomeno in un altro genere di viaggi, digitando su un motore di ricerca una delle seguenti espressioni: “pietra a secco”, “pierre sèche”, “dry stone”, “piedra seca”, ecc… Anche in questo caso ci sarà la sorpresa di vedere apparire sullo schermo una grande quantità di costruzioni in luoghi distinti l’uno dall’altro, tenuti assieme dalle passioni e dagli interessi di soggetti diversi: studiosi, cultori di storia locale, operai, contadini, pastori, piccoli proprietari, acquirenti e venditori di seconde residenze…
Perché queste forme di esasperato localismo hanno tanto successo nella rete globale? E perché la costruzione in pietra a secco ha generato forme simili in tutti i luoghi dove ha trovato condizioni favorevoli per la sua applicazione?
Lasciando queste domande sul fondo, provo a fare, qui, una serie di riflessioni sul versante architettonico della tecnologia. Il mio riferimento sarà la Puglia. Questa regione, per il suo ricchissimo e variegato patrimonio di costruzioni in pietra a secco, può costituire un utile termine di confronto per studiare le altre aree di diffusione.


Costruzioni derivate da spietramento. Da sinistra a destra: Specchia dei Mori a Martano, Lecce; Muragghio del Ragusano, Sicilia; Specchia a ripiani presso Castellana Grotte, Puglia

Un tentativo di definizione
Per intendere correttamente il senso2 dell’espressione “costruzione in pietra a secco”, si devono, innanzi tutto escludere le tecniche di montaggio che realizzano la coesione delle parti elementari tramite chiodi e bulloni e simili connessioni, e riferirsi, più che a precisi caratteri distintivi, a tendenze, da un lato, relative agli aspetti tecnici, nella scelta dei materiali e nel modo di porli in opera, e dall’altro, relative all’ambiente fisico e sociale.
Sotto l’aspetto tecnico, la costruzione in pietra a secco impiega materiali litici di non grandi dimensioni, spesso estratti dal luogo stesso della costruzione, li pone in opera dopo una lavorazione minima, senza leganti e connessioni. Sotto l’aspetto ambientale, dobbiamo osservare che il campo di applicazione della tecnologia è prevalentemente fuori le mura della città, ed è costituito dai pascoli e dai territori sottoposti alla bonifica e alla colonizzazione, purché le loro caratteristiche pedologiche siano favorevoli, per la presenza di rocce affioranti e per l’abbondanza di materiali lapidei, eventualmente portati in superficie dai lavori agricoli. In queste situazioni la tecnologia ha il vantaggio di rendere minimi i costi dei materiali, spesso raccolti negli stessi luoghi della costruzione dai coloni, che possono essere impegnati, pertanto, oltre che nel recupero, anche in una forma parziale di autocostruzione.
Il primo utilizzo degli accumuli di sassi e di spezzoni di roccia divelta, è la delimitazione dei campi, poi vengono le costruzioni funzionali e le abitazioni e queste operazioni riguardano, sia le grandi proprietà soggette ad imponenti trasformazioni agrarie, che i piccoli appezzamenti dati in enfiteusi ai coloni che vi investono, al lungo termine, le loro energie lavorative. In sostanza, l’ambito in cui la tecnologia si è qualificata in senso ambientale e di recupero, è essenzialmente rurale, apparendo inadatta alla città e alla sua edilizia civile e religiosa. Quando le sue produzioni sono state finalizzate all’abitazione, sono oggetto di un pregiudizio di povertà e di precarietà. Un mutamento avviene alla metà dell’Ottocento, quando le leggi di eversione feudale e di soppressione degli enti ecclesiastici contribuiscono a redistribuire il possesso dei suoli agricoli su diverse classi sociali. Prende avvio, allora, una grande trasformazione delle campagne pugliesi e, in particolare si forma il paesaggio della cosiddetta Valle D’Itria, interamente basato sulla costruzione in pietra a secco e sulla proliferazione dei trulli nella forma evoluta adatta all’abitazione permanente. Rinviando alle pubblicazioni specialistiche per il singolare3 insediamento di Alberobello, non posso qui esimermi da un breve cenno su questo grande raggruppamento di case interamente costruito in pietra a secco. Le alterazioni e l’involgarimento purtroppo dovuto allo sfruttamento turistico dell’immagine dei trulli riducono notevolmente il godimento di questo bene culturale, che pure è stato recentemente dichiarato Sito UNESCO. Gli storici hanno descritto la nascita di questo abitato in una grande area boschiva che i feudatari hanno tentato di colonizzare infrangendo le leggi dell’antico regime contrarie alla fondazione dei nuovi borghi e al taglio indiscriminato degli alberi. Nel racconto di queste prime vicende, il ruolo della costruzione in pietra a secco appare quasi favoloso, ma è un dato di fatto che essa era un obbligo imposto ai coloni, per fare apparire precarie le loro case e potere, all’occorrenza, demolirle più facilmente. La tecnologia della pietra a secco si adattava poi, allo scopo, per l’assenza del legno nella produzione, non solo, come combustibile per la preparazione della calce, ma anche per i ponteggi, le puntellature e le centine, e, infine, per le parti strutturali, come travi, solai, incavallature dei tetti. Si comprende, quindi, come sia poco appropriato l’attributo di “spontaneità” che si è dato anche a questa produzione, ma ci si rende conto, anche, di quanto siano ricche di implicazioni, le varianti vernacolari dell’uso della pietra. Principi formali Ma per fare chiarezza su queste ultime osservazioni è necessario ragionare per differenze e per confronti sul tema della costruzione.


In alto: costruzioni in pietra a secco con coperture a zolle di terra; sotto, a sinistra: pajaro nella campagna di Presicce; a destra, truddi gemellati a Monacizzo, Taranto

La malta, con la sua presenza, tende a restituire ai materiali la continuità e la stabilità possedute prima dell’estrazione dalla cava; questo effetto è raggiunto, sia attraverso il riempimento dei vuoti tra le superfici di contatto, che con la consistenza lapidea della malta al termine della sua presa. I materiali hanno, tuttavia, una temporanea e precaria stabilità, prima di essere utilizzati nella costruzione, quando sono depositati a piè d’opera, talvolta gettati uno sull’altro, e, in altri casi, distribuiti secondo un ordine congruente con la loro forma e al loro futuro impiego. In questi insiemi, le singole parti si assestano in una posizione di mutuo contrasto e di equilibrio tra le forze di gravità e l’attrito, oppure, con la loro forma, suggeriscono il loro impilamento, restando immobili nell’attesa della messa in opera. Si direbbe che il costruttore in pietra a secco, nella sua azione, tragga ispirazione da questi depositi monomaterici e discontinui: di fatto egli alterna getti disordinati di pietre, a disposizioni ordinate dello stesso materiale, ricercando la stabilità nella discontinuità. La diversità del procedimento costruttivo diventa ancora più evidente quando vediamo il maestro murario cercare la pietra. Avendo disponibile un solo materiale, egli volge il suo sguardo ai frammenti lapidei sparsi sul terreno, per sfruttare di ogni pietra l’occasionalità in rapporto al vuoto da occupare in quel determinato momento di sviluppo dell’accumulo.
A questo modo di costruire per accumuli4, sembra corrispondere, al livello architettonico, un modo di riunire, nell’icona dello stesso edificio, archetipi diversi, come la grotta, il tumulo, la torre a gradoni, la tenda, la capanna circolare a tetto conico, quella quadrata o rettangolare col tetto a due o a quattro falde, ecc…; la costruzione in pietra a secco interagisce con questi archetipi non tanto per configurarsi secondo uno schema tipologico, ma assumendo su di sé i loro “principi formali”, nel senso che l’icona dell’edificio emana suggestioni visive percepibili come scritture sovrapposte in una sorta di palinsesto.
Osservando una foto panoramica degli anni Cinquanta del XX secolo, della cosiddetta Valle d’Itria, si scorgono due sistemi di segni che, poi, l’incremento della vegetazione arborea originaria con piante ornamentali, ha completamente occultato: il primo è un estesissimo reticolo di segni lineari corrispondenti alle divisioni delle proprietà e ai muri di sostegno dei terreni e di fiancheggiamento delle strade vicinali, il secondo è una diaspora di segni puntiformi qui rappresentati delle case sparse, altrove dagli accumuli di spietramento, indicati nei dialetti pugliesi con il termine specchia. A riprova del coinvolgimento mitico e nostalgico prodotto dall’immagine della costruzione in pietra a secco, gli eruditi locali5, quando si sono trovati davanti ad accumuli di una certa dimensione, non hanno esitato a considerarli molto antichi e a darne delle interpretazioni non strettamente connesse con lo spietramento dei lavori agrari. Per Antonio De Ferraris, detto il Galateo6, erudito vissuto tra XV e XVI secolo, le più grandi specchie salentine erano monumenti funerari eretti per importanti personaggi, poiché, a suo dire, esisteva una tradizione, presso gli Iapigi, prima ancora che presso i Greci, di accumulare sulle spoglie mortali di uomini illustri grandi quantità di pietre e di terra, in modo da formare dei tumuli. Questa tesi, confermata, in parte, dagli scavi archeologici più recenti, si alterna con l’altra che pone il termine specchia in relazione etimologica con il latino specula, cioè luogo elevato per osservare il territorio. Non sono mancate, anche in questo caso, interpretazioni tendenti a considerare remotissima la costruzione di questi manufatti che sarebbero stati, già in origine, collegati ad altri accumuli lineari detti in dialetto paretoni per la loro grande lunghezza e per la disposizione, talvolta, avvolgente rispetto ai centri abitati collinari.


In alto a sinistra talayot a Minorca; a destra, Naveta des Tudons, Ciutadella, Minorca; in basso barraca a Minorca

In effetti, gli accumuli costituiti da progressivi accrescimenti contenuti da pareti periferiche a scarpata, sono talvolta conformati a ripiani collegati da scale che consentono di raggiungere la sommità costituita dalla piccola terrazza terminale che, per la sua altezza, è particolarmente adatta all’osservazione del territorio. È interessante, in questo senso, una specchia a ripiani nell’agro di Castellana, la cui sommità è accessibile con una scala ricavata in un incasso della massa di pietrame. L’icona della torre a terrazze degradanti, accessibili mediante rampe di scale che si avvolgono a elica sui fianchi, è, anche, il motivo ricorrente delle rappresentazioni della torre di Babele di cui è ricchissima la storia dell’arte europea, che ha conservato, al livello di immagine, la tradizione architettonica di alcuni tra i più grandi edifici funerari e templari della remota antichità, come le piramidi, le mastabe, le ziggurat e le torri a gradoni, ancora oggi visibili in Egitto, Asia Minore e America meridionale. Perciò, se, da un lato, la torre a terrazze degradanti rientra in una visione deterministica, come espressione architettonica di un procedimento costruttivo per accumuli e contenimenti strutturati, dall’altro, è sorprendente che questo “principio formale” sia stato adottato dalla costruzione in pietra a secco di ambiente rurale in tutto il bacino del Mediterraneo che presenta un’infinità di piccoli edifici con o senza vano interno, con l’aspetto, o di semplici torri tronco-piramidali o tronco-coniche, o di torri gradonate con una successione di ripiani. Ritroviamo queste tipologie con diverse varianti e denominazioni ad esempio, in Puglia, nel Salento (pagghiari) e a Nord di Bari, nei monti Iblei, in Sicilia, presso Ragusa7 (Muragghi), nelle Baleari (Barraques)… Per quanto possa apparire vana e difficile, la ricerca su questa diffusione, forse vale la pena di tentarla, cominciando l’indagine su aree limitate, poiché potrebbe portare all’evidenza una storia minore, ma di grande interesse, di flussi migratori e di trasferimenti di maestranze.
Il materiale gettato tra le pareti di contenimento può essere mischiato a zolle di terreno. Questo strato, trattiene l’umidità, arrestando le infiltrazioni nell’ambiente sottostante e consente la crescita della vegetazione in continuità con l’ambiente circostante. Il basamento dà un aspetto unitario alla composizione, anche se l’interno può avere due o più ambienti variamente distribuiti e articolati. Il cumulo di terra risponde allo stesso principio formale di una tenda, poiché sovrasta le strutture sottostanti inviluppandole. È bene osservare che, a prescindere dalle loro dimensioni e dal loro aspetto arcaico, questi edifici non sono più antichi di duecento anni. Anche per questi manufatti, non sono mancati gli eruditi, soprattutto stranieri, in cerca di testimonianze classiche, che hanno creduto di vedere in essi tombe greche o romane, mentre erano ancora all’opera maestranze itineranti nei latifondi intenti a recuperare il pietrame rimosso dall’impianto delle nuove colture per farne dei ripari per i braccianti impegnati nella stagione dei raccolti, tra settembre e novembre, soprattutto nelle Murge del Nord di Bari. Architetti, geografi e cultori di studi locali hanno studiato soprattutto gli edifici dotati di spazio interno, assimilabili per forma e funzioni alle capanne, anche se costruite interamente in pietra a secco. Rinvio alle tavole qui presenti e alle pubblicazioni specialistiche per i tentativi di classificazione delle forme assunte da questo genere di manufatti, precisando che, a questo tema, è strettamente collegato quello della cosiddetta “falsa cupola”. È questa una soluzione coerente con la tecnologia della pietra a secco, poiché consente, in teoria, di coprire il vano con un unico materiale, senza malta, né centine e impalcature. Nella costruzione della tholos8 possono distinguersi tre modi di porre in opera le parti elementari, che spesso troviamo combinati insieme. Una prima possibilità consiste nel porre ogni pietra a sbalzo su quelle inferiori in modo da conservare l’equilibrio statico per il contrappeso della parte posteriore che resta, poi, inserita nella massa muraria in costruzione. Una seconda consiste nel coprire, con ogni pietra, la porzione di vuoto formato da due pietre sottostanti, sovrapponendosi di sguancio sull’angolo da esse formato. Infine, un altro procedimento, forse più evoluto, utilizza pietre, opportunamente regolarizzate, disposte su anelli orizzontali di minor raggio al crescere della quota, messe opportunamente in contrasto sulle superfici laterali, in modo da evitare il ribaltamento e la caduta. Non vanno trascurate le relazioni della falsa cupola vernacolare con le tholoi megalitiche e con le cupole in generale, anche in rapporto alle soluzioni adottate per passare dal quadrato della pianta, alla circonferenza della cupola. Rinviando tali complesse questioni ad altra sede, osserviamo che, se, da un lato, la pietra a secco si presenta come una tecnologia di “recupero”, “povera“ o “popolare”, ciò nondimeno essa ha un suo linguaggio, nello stesso tempo radicale e universale. Se questo è ciò che si pensa sia avvenuto, quando, dall’imitazione della capanna primitiva, è scaturito il sistema di segni e significati degli ordini architettonici, anche per i manufatti in pietra a secco, possiamo dire che la loro qualità architettonica è quella di essere vettori di messaggi relativi all’origine della loro costruzione intesa nel significato più generale del termine.


Muragghiu di Villa Trippatore, Sampieri, Ragusa, Sicilia

Questa espressività è ottenuta con mezzi in apparenza semplici: un certo modo di unire tra loro le pietre, sbozzare i blocchi, lasciare prive di rivestimento le pareti, alzare i muri a scarpata, risolvere gli estradossi delle coperture dei vani o separandoli, nell’esaltazione della geometria conica, o unendoli, in un complesso raccordo di superfici, ecc. Perciò, la costruzione in pietra a secco, oltre ad avere dei propri “principi formali”, ha anche dei propri stili che possono caratterizzare, in modo specifico, l’icona di uno singolo edificio o la produzione di una determinata zona. Alcuni studiosi hanno considerato il tipo Alberobello, come l’esito finale dell’evoluzione della “capanna ad alveare” nella combinazione con le forme derivate dall’accumulo. In sostanza, queste forme andrebbero progressivamente dal semplice riparo costruito in pietra a secco, alla casa contadina, fino al villino del primo novecento della Selva di Fasano che conserva qualche principio formale, allontanandosi nelle caratteristiche tecnologiche. Si deve considerare però che gli archetipi sono ancora vitali e che li ritroviamo, anche se sporadicamente, in manufatti recenti, come le pinnettas sarde il cui tipo è presente anche in Puglia, riconoscibile dal basamento di pietra a secco costruito intorno ad un unico vano e dalla soprastante copertura conica, fatta di fogliame steso su rami rettilinei uniti al vertice. La separazione tra la parte inferiore e quella superiore è presente nel tipo Alberobello nella sua forma unicellulare, che, forse, può essere considerato la versione lapidea di questa capanna a tetto vegetale, presentando lo stesso “principio formale”, negli strati di lastre più sottili del tetto conico e nella soluzione terminale della cuspide, spesso segnata da un triangolo o da un cono rovesciato o da una sfera. È rievocato, qui, sia il palo centrale, che il fascio dei rami salienti che dalla base convergono verso un punto centrale in alto, dove sono raccolti in un nodo. Il tetto conico, facendo corrispondere una copertura ad ogni singolo vano, ricorda il “principio formale” dell’edicola isolata a pianta centrale, in genere eretta per svolgere una funzione commemorativa. Un’altra conseguenza del principio formale del tetto conico è la tendenza generalizzata a distribuire il tutto sul piano terreno, in modo possa crescere in funzione delle esigenze familiari aggiungendo altri coni, per cui, il loro numero rende immediatamente percepibile la consistenza e l’importanza dell’edificio. Ritornando a guardare, pertanto, la fotografia panoramica della Valle D’Itria, ci si rende conto come ogni singolo vano, con la cuspide del suo tetto conico, partecipi all’immagine complessiva e generale del territorio, diventando il simbolo di un ideale rapporto tra l’individuo e la natura domata dal duro lavoro contadino.

Conclusioni
Ritornando alle considerazioni iniziali, osserviamo che l’elencazione delle forme pugliesi è valida per tutte le aree di diffusione, sia pure con notevoli varianti. Ritroviamo costruzioni in pietra a secco in molte aree circostanti al bacino del Mediterraneo: oltre alla Puglia, esse sono presenti in varie zone dell’Italia peninsulare, in Sicilia, in Liguria, in Abruzzo, in Sardegna, in Grecia, in Croazia, in Turchia, nell’Africa settentrionale, nelle Baleari, nella Spagna, nella Provenza. Superando l’idea di un carattere esclusivamente “mediterraneo” della tecnologia, si devono citare come aree di diffusione, sia pure sporadica, varie zone dell’Europa centrale, Svizzera e Francia, e dell’Europa del Nord, Scozia e Irlanda, fino alla sperduta isola di Skellig Michael.


Muragghiu in Villa Ottaviano, Sampieri, Ragusa, Sicilia

Di fronte a questa diffusione e alla sostanziale uniformità della costruzione in pietra a secco lo studioso può cercarne le ragioni nelle invarianti della storia dei luoghi, interessandosi al primo possesso dei territori e alle diverse riforme agrarie, non trascurando gli eventuali scambi culturali e i trasferimenti di coloni e di maestranze. Gli aspetti fisici sono, infatti, solo uno dei fattori concomitanti al manifestarsi di un fenomeno che è essenzialmente culturale. La ricerca è difficile per mancanza di documenti scritti, ma, a ben riflettere, la costruzione in pietra a secco, proprio per il suo stretto legame con le modifiche del territorio, è frequente oggetto di registrazioni notarili ed è spesso rappresentata nelle cartografie storiche fino al dettaglio. C’è poi l’idea che queste formule costruttive e architettoniche siano già presenti, quasi geneticamente, nella mente dell’uomo, pronte a manifestarsi in determinate condizioni ambientali e in particolari situazioni di sopravvivenza e di emergenza abitativa entrando così nella tradizione e perdurando fino ad una eventuale sparizione, per sorgere poi a nuova vita in forme che per quanto modeste possono apparire monumentali, perché legate al ricordo di avvenimenti lontani. Si tratta, evidentemente, di una suggestione, che non deve essere rifiutata a priori, poiché la ricerca di continuità tra costruzioni in pietra a secco e testimonianze preistoriche o medievali, può rivelarsi feconda di risultati.

di Angelo Ambrosi

Per una documentazione completa dell’opera Download PDF

Rieditazione tratta da RE-LOAD Stone, a cura di Vincenzo Pavan pubblicato da Marmomacc

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21 Ottobre 2016

Opere di Architettura

Ricamo sudafricano per l’Ambasciata gialla

Gli alberi alti del verde Tiergarten custodiscono una passeggiata silenziosa, che dispiegandosi verso il centro della città, guarda ad una serie di architetture, in mostra e silenziose. Le ambasciate di Berlino tentano di portare, ognuna in modo distinto dall’altra, i colori del Paese cui rappresentano sfruttando l’ammirabile eterogeneità del luogo in cui si trovano. Una di queste è vestita di giallo, della tonalità di una pietra africana chiamata Sunrise.
Berlino esercita la sua stimabile capacità di accogliere tutti allo stesso modo, senza la preoccupazione di dover perdere qualcosa ma con la consapevolezza di aumentare ancora una volta la sua ricchezza.


L’Ambasciata sudafricana vista dal Tiergarten (Ph. Erika Pisa)

Tra le diverse funzioni che svolge un’ambasciata all’estero, la più considerevole, com’è noto, è quella di rappresentare lo stato a cui appartiene. Lo spazio di questo edificio è concepito come una serie di primizie culturali, che ricordano il fare artigiano di una precisa area dal clima africano. Le tipiche tessiture e pattern geometriche sudafricane ricamano quest’architettura con disegni preziosi, con l’intenzione di dialogare in toni sereni con il contemporaneo e internazionale contesto berlinese.


Dettaglio in facciata (Ph. Erika Pisa)

Il principale studio di progettazione, che ha concepito e disegnato gli spazi, è MMA Studio, di Johannesburg in Sudafrica, con Luyanda Mpahlwa come direttore in collaborazione con Braun Schockermann & Partner, ufficio con sedi nelle città di Frankfurt am Main e di Berlino.
La chiara appartenenza al luogo in cui ha sede oggi l’Ambasciata sudafricana deriva dai caratteri condivisi dagli studi che si sono occupati di progettare l’edificio. Ciò che accomuna i progettisti impegnati nella costruzione di questa ambasciata è la formazione tedesca, infatti Mpahlwa studiò architettura presso la University of Natal, la Natal Technikon, e successivamente alla Technische Universität di Berlino, così come Tilman Lange e Ulrich Borgert di Braun Schlockermann & Partner hanno frequentato rispettivamente la TU di Darmstadt e la Universität der Künste di Berlino. La conoscenza del luogo e della cultura sudafricana da parte dei progettisti ha lasciato al progetto la possibilità di giovare dei valori culturali che la committenza chiedeva di rappresentare.


Interni (da Embassy of the Republic of South Africa Berlin, Stadtwander Verlag, Vol. 49)

L’idea progettuale affronta il disegno del percorso principale come un racconto diviso per passi, tre sezioni che si distinguono in base alle funzioni che accolgono. I locali più vicini all’accesso principale, sono caratterizzati dalla piccola dimensione, bassi e ridotti nelle misure.
Il grosso atrio centrale si pone come fulcro per lo smistamento verso la direzione che si desidera prendere. La luce è convogliata in questo spazio centrato e verticale al contempo; qui il progetto racconta la maggior parte dei suoi elementi: i quattro livelli in verticale, i pregiati artefatti sudafricani, i percorsi che portano agli uffici. Ogni cosa è descritta chiaramente alla luce di un Sole nordeuropeo.
Il filo che conduce i flussi corre dunque dalla fontana posta all’esterno fino alla parte amministrativa in fondo, costituendo, di fatto, un testo narrativo ed espositivo alimentato da una luce solo interna, quella della cupola.


L’Ambasciata sudafricana e la vicina Ambasciata indiana (Ph. Erika Pisa)

Tiergartenstraße restituisce di ogni ambasciata immagini molto differenti. Ogni edificio di rappresentanza molto spesso è rivestito di un materiale identificativo per il Paese che sta rappresentando, con lo scopo di costruire un rapporto diretto con quella specifica cultura.
Il volume dell’Ambasciata sudafricana richiama i toni delle pietre cavate in Sudafrica e più precisamente della regione a nord, nel Mookgophong non distante da Johannesburg. La vocazione estrattiva della zona risale ai primi del Novecento, stando alle date in cui le prime aziende di fatto commerciavano i loro prodotti; naturalmente non sono escluse in epoche precedenti attività di questo genere seppure con strumenti meno innovativi. I nomi commerciali con cui è indicato il materiale variano da Golden Sunrise Sandstone a Golden Dawn Sand, nonostante le caratteristiche rimangano generalmente oscillanti tra valori ricorrenti. Presenta una resistenza a compressione pari a circa 110 N/mm2 e assorbe acqua per il 5-10% del suo peso, per questo risulta relativamente più leggera se comparata al resto delle pietre usate di solito per gli esterni in architettura.


L’accesso da Tiergartenstraße (Ph. Erika Pisa)

I materiali che compongono le vesti di quest’architettura danno all’Ambasciata del Sudafrica i dettagli attraverso i quali è possibile rintracciare simboli strettamente correlati a particolari geografie. Leggendo l’edificio attraverso colore e tatto potrebbero distinguersi cinque caratteristiche principali: le tonalità della pietra, la forgiatura del metallo, l’intaglio del legno, la trama degli intrecci, la scultura del gesso. I colori e i materiali fanno riferimento ad una cultura conosciuta più per le fotografie che per i viaggi. La cultura sudafricana, come mille altre, ha trovato grazie a questa occasione il modo di aggiungere una parola in più al brano che da stranieri tentiamo di leggere e rileggere.
Dalla lezione architettonica tratta dall’Ambasciata gialla emerge l’importanza che l’artigianato assume per ogni civiltà, indipendentemente dalla lingua o dalle abitudini di un determinato contesto. I disegni, le trame e le tecniche costruttive ripetute nel tempo dai costruttori e i loro maestri hanno consolidato un certo immaginario diventato identità per alcuni luoghi. Il “fare artigiano” è il modo più diretto di capire e al tempo stesso di rappresentare una cultura, evitando reiterazioni e finte allusioni.

di Nicola Violano


Vista aerea del contesto (Google Map)

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11 Ottobre 2016

News

Miniatures Exhibition
Ferrara 13-25 ottobre 2016, Palazzo Tassoni Estense

Dal 13 al 25 ottobre, le sale del prestigioso Palazzo Tassoni Estense, sede del Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara, ospiteranno la mostra Miniatures Exhibition.
Verranno esposte 100 miniature di sedute classiche: dai primi esempi di produzione industriale ottocenteschi, fino alle icone moderne e post-moderne.

Il giorno 13 ottobre 2016 alle ore 18,30 sempre presso gli spazi di Palazzo Tassoni Estense si svolgerà la conferenza di inaugurazione “Vitra e il design contemporaneo” tenuta dal prof. Vanni Pasca, professore ordinario di Storia e teorie del disegno industriale, introdotto dal prof. Dario Scodeller, docente presso il Corso di Design del prodotto industriale di Ferrara.

La mostra Miniature Exhibition presenta 100 miniature di sedute classiche progettate e prodotte negli ultimi 150 anni.
I modelli in miniatura, realizzati da Vitra a partire dal 1992 sulla base di disegni storici, riproducono i pezzi più significativi della collezione del Vitra Design Museum.
Le miniature, realizzate in rapporto 1:6, rendendo facilmente comprensibile le proporzioni della sedia originale e permettono di orientarsi all’interno delle diversità di approccio allo studio dei materiali e dell’ergonomia delle sedute.
La mostra rappresenta un utile percorso didattico all’interno della storia del design dell’arredo e del contesto culturale, sociale e produttivo che ha originato alcuni tra i più significativi prodotti – icona dell’industria contemporanea.

Nel periodo di mostra è possibile visitare l’esposizione Vitra Home Collection presso Studio Beza di Via Ragno 6.

MINIATURES EXHIBITION
13-25 ottobre 2016
Orari aoertura mostra:
lunedì-venerdì 9.00-19.00 | sabato-domenica 14.30-19.30
Dipartimento di Architettura | Palazzo Tassoni Estense | Via Quartieri 8, Ferrara

Scarica Miniatures Exhibition

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30 Settembre 2016

Design litico News

STADTSILHOUETTE: Le quinte di una città come opera collettiva


Stadtsilhouette Verona, Foto Vincenzo Pavan

La scultura di pietra “Stadtsilhouette” è un’opera collettiva di 40 scalpellini italiani che hanno realizzato un progetto dell’architetto Max Dudler in collaborazione con Simone Boldrin. Per la scultura, in esposizione a Verona alla Marmomacc, Fiera internazionale di Marmo, Design e Tecnologie, sono stati lavorati in totale 22 m3 di pietra calcarea. L’opera, situata all’ingresso del padiglione 1, mostra il profilo di una città rappresentata come uno scenario poliedrico secondo la grammatica progettuale dell’architettura di Max Dudler.

La scultura, costituita da blocchi di Pietra di Apricena (fiorito-K66), fresati e incastonati fra loro, raggiunge le imponenti dimensioni 4,50 m x 4,50 m x 4,50 m. Un mondo di pietra interamente raccontato e definito attraverso l’architettura.
Osservandola di profilo, la scultura appare quasi piatta, bidimensionale, ma cambiando angolazione si apre di fronte agli occhi dell’osservatore un panorama urbano di pietra complesso e costituito da molteplici livelli, che trasmette una sensazione di densità, profondità e pluridimensionalità. La città si mostra come quinta teatrale, allo stesso tempo palcoscenico e retroscena. Questa creazione di pietra segue le stesse regole compositive delle opere di Max Dudler: un edificio non è mai a sé stante, ma è sempre parte di un quadro urbano scultoreo che trova la sua realizzazione attraverso l’opera collettiva. Esemplare è in questo senso una delle costruzioni più famose dell’architetto,
il Jacob-und-Wilhelm-Grimm-Zentrum a Berlino, il cui profilo si inserisce perfettamente nella silhouette della città arricchendo l’immagine e l’identità della stessa. Altro esempio, differente ma altrettanto calzante, è rappresentato dagli Edifici a torre in Hagenholzstrasse nel quartiere Oerlikon di Zurigo, con i quali Max Dudler è riuscito a ricreare in una zona periferica una silhouette urbana completa, caratterizzata da densità e pluridimensionalità.


Schizzi di Max Dudler

La città non è opera di un singolo, si sviluppa grazie al contributo concertato di molteplici soggetti. Allo stesso modo la scultura va interpretata come un’opera collettiva. I blocchi di pietra naturale che la costituiscono provengono da una cava di pietra in Puglia e sono stati distribuiti, a gruppi di 3, a 40 scalpellini italiani, ognuno in una città differente, sparpagliati sul tutto territorio nazionale. Tutti i 40 artigiani hanno lavorato i blocchi di pietra grezza con gli stessi macchinari e con lo stesso software. Una volta terminata la lavorazione, i blocchi sono stati portati a Verona e uniti fra loro per dare forma alla scultura finale. In questo modo l’opera diventa espressione del collettivo, così come la città stessa.
Le aziende che hanno partecipato alla realizzazione sono tutte riunite dalla Helios Automazioni ed associate sotto il marchio Tortuga design. Anche la fornitura del materiale (fiorito K66), proveniente dalle cave del comparto lapideo di Apricena, Lesina e Poggio Imperiale è stata messa a disposizione dagli associati della sezione lapidei di Confindustria Foggia coordinata dall’azienda Felice Chirò Marmi. Tutta la lavorazione è stata ottenuta con macchine a controllo numerico utilizzando uno speciale software (galaxy stone) per la gestione degli utensili; un disco diamantato per la rettifica delle superfici ed una fresa su cono per la formazione dell’incastro e la foratura dei conci. Questo ha reso possibile una precisione millimetrica su ognuno dei pezzi, lavorati singolarmente in aziende diverse e successivamente assemblati in opera a Verona. Un’opera tecnologicamente all’avanguardia, capace di rendere efficiente la produzione seriale dei pezzi, sfruttando le caratteristiche avanzate della lavorazione assistita.
Una testimonianza esemplare delle opportunità fornite dall’evoluzione digitale applicata alle macchine, per ampliare la capacità singola degli artigiani.
L’opera, conclusa la fiera di Verona, verrà definitivamente allestita nei luoghi di origine della pietra, all’interno del parco “Baden Powell” di San Severo. Un manifesto di Architettura per un area periferica della città.


Modello in Pietra di Apricena, scala 1:10 (ph. Antonio Fontana) e Assonometria di progetto

Titolo dell‘opera: Stadtsilhouette
Progetto di: Max Dudler con Simone Boldrin
Materiale e dimensioni: conci in Pietra di Apricena – fiorito K66 4,50 x 4.50 x 4.50 m
Collaboratori ufficio Max Dudler: Kilian Teckemeier, Julia Mäckler
Mostra a cura di: Vincenzo Pavan
Coordinamento generale per la realizzazione e l’allestimento: Domenico Potenza
Realizzazione e allestimento: Helios Automazioni
in collaborazione con: Confindustria Foggia, sezione lapidei
Fornitura del materiale: Felice Chiro` Industria Marmi srl
Calcolo statico dell’allestimento: Gianni Duronio
Coordinamento tecnico per l’allestimento: Giuliano Rainone
Lavorazione dei conci: TORTUGA/design
Aceto Marmi s.a.s. Di Aceto Sante & C., Ammirato Gaetano lavorazione marmi, Artemarmi Tuberoni Heros di Tuberoni Luca Stefano & C. s.a.s.., Botta Ezio, Cannito Marmi s.r.l., 2m Marmi s.n.c. di Di Mauro Michele e Manocchia Michele, Edil Marmi s.a.s. di Vizzarri Mirko & C., Euromarmi di Lofrano Pasquale Giovanni, Fe.Ro. Marmi s.r.l., Figli di Giacomo Poggi s.a.s di Grasso Fabrizio & C., Foresti Santino, F.lli Messina s.n.c. di Messina Nello Orazio e Messina Rosario, General Marmi s.r.l., Gusberti s.r.l., Iezzi Tommaso Lavorazione Marmi, La.Mar. di Giuseppe Di Nola, La Neolitica s.r.l., La Principessa Marmi di Pio Angelo Isaia Salemi, Lello Tatullo, Lem Costruzioni s.r.l., Mar-Marmi di Martra Gualtiero, Marmeria De Bari s.n.c., Marmi Alfonso di Alfonso A. & Tamilia L. & C. s.n.c., Marmi San Giorgio s.r.l., Marmi Sacco s.r.l., Meduso Marmi del Geom. Agostino Meduso & C. s.n.c., M.&R. di Masutti & Rusalen s.n.c., Morasca s.r.l., Arte Del Caminetto s.r.l., Nuova Edilmarmi di Lumieri Francesco s.r.l., Nuova Golden Marmi s.r.l., Nicodemo Marmi s.r.l., Parlante Alessandro, Petraroia Marmi srl, Progetto Marmi di Talamo Antonio, Puglisi Marmi srl, Soverchia srl, Torti Alfonso srl

Leggi anche Max Dudler Talk

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29 Settembre 2016

News

THE POWER OF STONE
coordinated by Raffaello Galiotto

La mostra The Power of Stone è un’esposizione di materiali e artefatti lapidei ed ha lo scopo di provare a dimostrare cosa sia possibile realizzare oggi con le macchine a controllo numerico senza intervenire manualmente. La mostra è costituita da dieci penisole espositive, rivestite a pavimento e a parete, da marmi e pietre in lastre. Al centro di ciascuna area vi è collocata un’opera, singolarmente lavorata con una precisa tipologia di macchina a controllo numerico: fresa, water jet, tagliatrice a filo.
La realizzazione di queste opere-sfida, è stata compiuta da squadre di aziende italiane, produttrici di software, utensili, macchine, da aziende cavatrici e laboratori di trasformazione e grazie all’entusiasmo di tecnici competenti e imprenditori lungimiranti.


AGAVE
produced by Marmi Strada
material: Verde Guatemala by Marmi Strada
floor and cladding material: Orosei Daino by La Quadrifoglio Marmi e Graniti


CALEIDO
produced by Gmm
software: Licom Systems
tools: Adi
material: Palissandro by Gruppo Tosco Marmi
floor and cladding material: Ombra di Caravaggio by Piero Zanella


COROLLA
produced by Donatoni Macchine
software: DDX
material: Travertino by Rete Travertino Piceno
floor and cladding material: Travertino by Rete Travertino Piceno


ISOPODE
produced by T&D Robotics
material: Zandobbio Nuvolato by Marmo Zandobbio
floor and cladding
material: Zandobbio Classico by Marmo Zandobbio


ORGANIC
produced by Margraf
tools: Nicolai Diamant
material: Crema Nuova by Margraf
floor and cladding material: Radika by Margraf


SOL
produced by Alliance of Stone – Euro Porfidi
machine: Pellegrini Meccanica
material: Porfido Rosso by Alliance of Stone – Euro Porfidi
floor and cladding material: Porfido Viola by Alliance of Stone – Euro Porfidi


SPONGIA
produced by Helios Automazioni
tools: Digma
material: Maljat by Helios Automazioni
floor and cladding material: Dolomia by Marini Marmi


THORN
produced by Intermac
material: Cremo Delicato by Intermac
floor and cladding material: Arabescato Orobico by Cave Gamba


TORSO
produced by Omag
material: Arabescato Altissimo by Henraux
floor and cladding material: Pietra Lavica Vulcanica by Fratelli Lizzio


ZENIT
produced by Antolini
machine: Prussiani Engineering
material: Sodalite Blue by Antolini
floor and cladding material: Calcite Azul by Antolini

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28 Settembre 2016

News

50 YEARS OF LIVING OF STONE
a cura di Vincenzo Pavan

La presenza di pietre e marmi nel design italiano ha una storia prestigiosa sia per il livello delle personalità che hanno contribuito a questa vicenda progettuale – creativa, sia per il significativo sforzo imprenditoriale delle aziende che hanno editato e realizzato i prodotti.
Dagli anni ’60 a oggi numerosi oggetti e complementi di arredo in marmo, divenuti icone del made in Italy nel panorama internazionale, sono stati inseriti nei cataloghi delle più rinomate marche italiane di design con la firma di autori prestigiosi.
Inserita negli eventi progettuali di “The Italian Stone Theatre” la mostra si propone come rassegna storico-antologica del design di prodotto litico italiano. L’esposizione, composta di oggetti in marmo provenienti dalle collezioni e dagli archivi delle aziende editrici storiche del design e da altre del settore lapideo orientate al design di prodotto, mira ad effettuare un efficace raffronto con design litico attuale – che utilizza sofisticate tecnologie di lavorazione – con i prodotti della “generazione artigianale”. Intende inoltre offrire una preziosa occasione di riflessione sulle vicende culturali, tecniche e commerciali che hanno accompagnato la controversa ma feconda presenza questi materiali nel design italiano.

Aziende | Designer
Agape | Angelo Mangiarotti
Bigelli Marmi | Tom Dixon, Karim Rashid
Budri | Patricia Urquiola
Casigliani | Giulio Lazzotti
Citco | Zaha Hadid
Flos | Tobia Scarpa, Achille e Pier Giacomo Castiglioni
Lithea | Marco Piva
Lithos Design | Raffaello Galiotto
Marsotto Edizioni | James Irvine, Konstantin Grcic
Pibamarmi | Michele De Lucchi
Robot City | Paolo Ulian

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27 Settembre 2016

News

TECHNOLOGY FOR CREATIVITY + MAX DUDLER TALK

Tavola rotonda
TECHNOLOGY FOR CREATIVITY
Nuovi scenari per il design litico italiano
Giovedì 29 settembre – ore 10.00

Legati alle mostre di sperimentazione sul progetto di design litico, organizzate da Marmomacc per la sua 51° edizione si svolgeranno a Veronafiere incontri e dibattiti che avranno come focus le opportunità offerte dalle attuali tecnologie di sviluppare nuovi spazi di creatività e mercato.
Il ruolo di marmi e pietre nei prodotti del moderno design, l’evoluzione dei linguaggi progettuali e la creatività dei progettisti, la transizione dal sapere artigiano alla super-tecnologia, i mercati dei prodotti “quotidiani” e “eccezionali”, la complessità e la semplificazione delle macchine, il potere della comunicazione e il valore iconico del marmo, sono alcuni dei temi che saranno dibattuti nella tavola rotonda che si svolgerà a Marmomacc nella Forum Area, lo spazio nella Hall 1 integrato alle mostre e dedicato al confronto delle idee e dei saperi.
Nel confronto di idee e competenze saranno coinvolti personalità del design, progettisti, storici e figure rappresentative del mondo professionale, esponenti di aziende leader del design e di aziende emergenti del marmo impegnate nella edizione di nuovi prodotti di design litico, esperti di comunicazione e marketing, tecnici impegnati a innovare software e macchine in funzione delle nuove complessità del progetto litico.

Coordinamento
Spartaco Paris Rivista Domus
Parteciperanno
Luciano Galimberti Presidente ADI
Massimo Iosa Ghini Architetto e Designer
Daniela Baldo Studio Marco Piva
Raffaello Galiotto Designer
Giampaolo Benedini Designer fondatore Agape
Damiano Steccanella Director Piba Marmi
Lorenzo Verdini Product Manager Intermac

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Conferenza – colloquio
MAX DUDLER TALK
Conversazione con Simone Boldrin
Giovedì 29 settembre – ore 12.00

Max Dudler, autore di opere esemplari costruite con materiali litici, si è cimentato per Marmomacc nel progetto di una grande opera scultorea formata da blocchi di Pietra di Apricena.
Stadtsilhouette è il nome della possente struttura muraria che disegna una sequenza di profili urbani composti secondo la poetica progettuale minimalista dell’architetto svizzero-tedesco e che rimanda ad alcune sue opere recenti a scala urbana.
La concezione e la realizzazione dell’opera, che ha coinvolto un network di quaranta scalpellini italiani coordinati dall’azienda Helios Automazioni e Tortuga Design, sarà raccontata da Max Dudler in una conversazione con Simone Boldrin, suo collaboratore e coautore dell’opera stessa.

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27 Settembre 2016

News

NEW MARBLE GENERATION
a cura di Raffaello Galiotto e Vincenzo Pavan

CONVEGNO

Presentazione opere mostra
NEW MARBLE GENERATION
Mercoledì 28 settembre – ore 15.00

L’ampia esperienza sperimentale compiuta da designer e architetti, in collaborazione con aziende del settore marmifero e delle macchine nella mostra di progetti di design litico New Marble Generation sarà raccontata dai protagonisti.
Gli autori delle opere esposte nella Hall 1 di Marmomacc si alterneranno in una serie di interventi nei quali racconteranno il loro approccio alla progettazione litica e il percorso compiuto per la realizzazione dei prototipi prodotti nei laboratori delle aziende partner.

Coordinamento
Vincenzo Pavan

Interverranno
Giorgio Canale
Giuseppe Fallacara
Massimo Iosa Ghini
Setsu & Shinobu Ito
Marcello Morandini
Philippe Nigro
Marco Piva
Denis Santachiara
Paolo Ulian

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MOSTRA

La disponibilità sul mercato di nuove tecnologie di progettazione e lavorazione ha messo in evidenza le straordinarie opportunità di trasformare i materiali lapidei in artefatti complessi sotto il profilo tecnico e formale. In particolare si è resa manifesta la loro rispondenza a una progettazione assai sofisticata, potenzialmente in grado di realizzare con l’impiego delle sole macchine, e quindi con automatismo seriale, prodotti fino a oggi realizzati con sistemi meccanici di tipo artigianale. Attraverso l’ausilio dei sistemi digitali di nuova generazione è possibile applicare anche alla lavorazione dei materiali litici quelle funzioni tecniche (precisione, velocità esecutiva, riduzione degli scarti, ecc.) fondamentali per produrre serialmente oggetti d’uso formalmente complessi e raggiungere livelli di prestazione analoghi ad altri materiali più leggeri.
Attraverso la collaborazione tra designer, architetti di livello internazionale, aziende del settore lapideo e delle macchine di lavorazione, sono stati realizzati prototipi di design litico proiettati verso nuovi prodotti per il mercato e aperti a nuovi percorsi di ricerca e sperimentazione.

Designer | Aziende
Giorgio Canale | Cereser Marmi
Denis Santachiara | Paolo Costa
Philippe Nigro | Euro Porfidi
Setsu & Shinobu Ito | GDA Marmi & Graniti
Massimo Iosa Ghini | Grassi Pietre
Marco Piva | Helios Automazioni
Giuseppe Fallacara | MGI- Marmi e Graniti d’Italia Sicilmarmi
Paolo Ulian | Nikolaus Bagnara
Giuseppe Fallacara | Pimar
Marcello Morandini | Remuzzi Marmi Bergamo
Giorgio Canale | Tenax

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26 Settembre 2016

News

MARMOMACC STONE ACADEMY Un programma di seminari per 100 professionisti internazionali

33 CREDITI FORMATIVI PER GLI ARCHITETTI STRANIERI E 19 PER QUELLI ITALIANI
Anche quest’anno Marmomacc accoglierà architetti internazionali grazie alle attività di incoming promosse attraverso la Marmomacc Stone Academy in collaborazione con MISE, ICE-Italian Trade Agency e Confindustria Marmomacchine nell’ambito del Piano per la Promozione Straordinaria del Made in Italy.

Sono infatti attesi 100 architetti provenienti da diversi paesi del mondo (Arabia Saudita, Brasile, Dubai, Iran, Canada, Egitto, Russia, Messico, Indonesia, Qatar, Giappone, Belgio, Danimarca, Estonia, Lettonia, Lituania, UK, Svezia, USA, Sud Africa, Azerbaijan, Kazakhistan, Australia, Tailandia, Laos, Etiopia) che parteciperanno a un programma di seminari per i quali è prevista l’erogazione di 33 crediti professionali.
Sono invece 19 i crediti che, in totale, gli architetti italiani potranno acquisire partecipando al programma di convegni e seminari organizzati da Marmomacc all’interno della Forum Area, cuore del padiglione 1 – The Italian Stone Theatre.

Tra i numerosi appuntamenti in calendario, nella giornata di giovedì 29 settembre si segnala in particolare un talk di Max Dudler (alle ore 12) che dialogherà con l’architetto Simone Boldrin prendendo spunto dalla scultura di pietra “Stadtsilhouette”, un’opera collettiva di 40 scalpellini italiani realizzata su progetto dell’architetto svizzero in collaborazione con Simone Boldrin ed esposta all’esterno del padiglione 1. L’opera, per cui sono stati lavorati 22 m3 di pietra calcarea, mostra il profilo di una città rappresentata come uno scenario poliedrico secondo la grammatica progettuale dell’architettura di Max Dudler.
In mattinata alle 10.00, a compendio delle mostre di sperimentazione sul progetto di design litico, sarà organizzata una tavola rotonda dal titolo “Technology for Creativity”: il ruolo di marmi e pietre nei prodotti del moderno design, l’evoluzione dei linguaggi progettuali e la creatività dei progettisti, la transizione dal sapere artigiano alla super-tecnologia, i mercati dei prodotti “quotidiani” e “eccezionali”, la complessità e la semplificazione delle macchine, il potere della comunicazione e il valore iconico del marmo, sono alcuni dei temi che saranno dibattuti.
Il pomeriggio, infine, dalle 14.30 sarà dedicato al convegno “The future of design: materials, sustainability and context” organizzato da Marmomacc in collaborazione con la prestigiosa rivista americana Architectural Record. Nel corso dell’incontro si parlerà dei trend in architettura, mettendo in evidenza i metodi costruttivi, gli aspetti di sostenibilità e le strategie adottate per adattare i progetti al contesto locale in cui vengono realizzati.
Il primo giorno di fiera, mercoledì 28 settembre, alle 15.00 ci sarà invece la presentazione della mostra New Marble Generation alla presenza degli autori Giorgio Canale, Giuseppe Fallacara, Setsu & Shinobu Ito, Marcello Morandini, Philippe Nigro, Marco Piva, Denis Santachiara, Paolo Ulian.
Oltre a questi incontri, è prevista l’erogazione dei crediti partecipando alle due giornate di casting di Archmarathon (venerdì 30 settembre e sabato 1 ottobre).

Ecco in dettaglio:
1 cpf per ingresso Marmomacc
2 cpf per partecipazione al convegno “The future of design: materials, sustainability and context” in collaborazione con Architectural Record
3 cpf per partecipazione alla presentazione di “New Marble Generation”
3 cpf per partecipazione alla tavola rotonda “Technology for Creativity” e al talk con Max Dudler

Ad Archamarathon avranno 10 cfp totali suddivisi così:
3 cfp prima sessione (30 settembre dalle 10:00 alle 13:00)
4 cfp seconda sessione (30 settembre dalle 14 alle 18:00)
3 cfp terza sessione (1 ottobre dalle 10:00 alle 13:00)

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