novembre 2024
L M M G V S D
« Dic    
 123
45678910
11121314151617
18192021222324
252627282930  

Ultimi articoli

Ultimi commenti

Rubriche

Pubblico dei lettori

 

rss

 

Notizie

7 Marzo 2012

Opere di Architettura

Claudio D’Amato
Facoltà di Agraria
Feo di Vito, Reggio Calabria, Italia*

English version


Dettaglio del fianco verso le testate.

Tra passato e presente
L’architettura dei paesi mediterraneièessenzialmente connessa con l’uso della pietra come materiale da costruzione primario. Certamente la pietra nonèuna cosa sola, e anche i luoghi doveèimpiegata differiscono notevolmente per carattere. Fra le molte varietàesistenti, possiamo ricordare la solidità rustica delle case alpine, le forme morbide del mondo del tufo nell’Italia centrale, e le costruzioni articolate e corpose del profondo sud. In generale, la pietra possiede un potenziale classico.
Al contrario delle scheletriche strutture in legno dell’Europa centrale e settentrionale, l’architettura di pietra mediterranea è sostanziale e le sue forme ottengono presenza corporea nella luce solare che le avvolge. All’interno, invece, le costruzioni contengono un mondo diverso, dove il massiccio guscio esteriore cede a superfici più lisce e colori più chiari, come pure ad aperture verso il cielo.
Nella sua Facoltà di Agraria a Reggio Calabria Claudio D’amato offre una nuova, valida interpretazione delle qualità tradizionali sopra richiamate. In primo luogo, la grande costruzione possiede una forte presenza in relazione al paesaggio circostante, sia a causa della sua gestalt coesa, benché articolata, sia a causa del materiale impiegato. Il colore caldo delle superfici in pietra locale ha un effetto unificante, mentre i corsi orizzontali in cemento e travertino suddividono la massa in sezioni sovrapposte aventi scala umana. Lungo i muri laterali viene introdotto un ritmo distinto per mezzo di pilastri verticali. Il ritmoè interrotto da tre trasversali aperte su ambedue i lati, che offrono visuali sul cortile fra le due ali, mentreè intensificato sulla testa all’edificio. In questo modo si raggiunge una bella integrazione fra organizzazione spaziale e articolazione formale. Entrando nella vasta struttura, per primo attraversiamo il cortile tutto bianco che allinea su ambo i lati finestre tradizionali all’italiana. Lo spazio appare come un’eco dei paesi bianchi del sud, e insieme agisce come una specie di pausa, prima che entriamo nella grande hall impostata sull’asse maggiore, fra due spazi secondari che contengono le scale per il piano superiore. In questi spazi interni le pareti sono in mattoni chiari, ancora con suddivisioni in travertino. Una elaborata struttura di copertura in acciaio dà agli spazi un forte effetto verticale, accentuato dai lucernari laterali. In generale la Facoltà di Agraria possiede un forte senso di unità, e ad un tempo le sue parti sono ben differenziate in termini di spazio e di carattere. E soprattutto qui il passato continua a vivere in una costruzione veramente moderna. Questo passato è tanto generale quanto locale nella sua severa simmetria e nelle sue reminiscenze romane, così come nei riferimenti alle forme delle fabbriche tradizionali locali. Così Claudio D’Amato ha dimostrato come le qualità architettoniche fondamentali possono essere richiamate in vita senza rifugiarsi nell’imitazione o nel pastiche.


Vista delle testate terminali di chiusura della grande piazza

Facoltà di Agraria di Reggio Calabria
Il progetto fa parte del programma di campus dell’Università degli Studi di Reggio Calabria reso possibile da un finanziamento pubblico dell’87 e affidato ai professori della facoltà di Architettura. La progettazione prevedeva due fasi: quella generale (edificio per la didattica e altri due per la ricerca) e del progetto di massima tra l’87 e l’89 e quella esecutiva dall’88, con prosecuzione in corso d’opera fino al ‘95. Le necessarie opere di consolidamento del terreno in zona altimetricamente elevata, di complessa natura orografica e sottoposta ad una rigida normativa antisismica hanno ritardato l’avvio dei lavori.
Di suggestione “acropolica”, l’organismo mostra come D’Amato abbia accolto la lezione di Kahn sulle istituzioni. L’impianto riccamente articolato si impernia intorno ad una piazza interna in leggera pendenza che consente di superare un dislivello di 4 m., sotto la quale nel progetto originario trovava posto l’aula magna ipogea, non realizzata; la didattica occupa le ali dell’edificio e i servizi le testate e il corpo di raccordo fra le ali. La grande attenzione ai percorsi interni (rampe, ponte, scale) introduce nel complesso una sorta di carattere urbano.


Rampe di distribuzione dall’atrio all’aula magna.

All’apertura verso la città dell’impianto si oppone l’apparenza difensiva della parete massiccia, listata dai marcapiani che segnano la scansione regolare delle finestre. La struttura, in cemento armato antisismico,è stata infatti pensata come “negativo” di una struttura muraria avvolgente: l’ornato della fabbrica, in corrispondenza dei nodi tettonici, esprime l’impatto fra i due modi di costruzione. Grande attenzioneèdedicata al benessere interno bioclimatico, per il quale si combinano l’alta tecnologia degli impianti al massimo sfruttamento
delle caratteristiche di materiali e tecniche tradizionali, anche in relazione alla struttura del cantiere in Calabria: pareti esterne da 35 cm con faccia a vista in pietra da 9 cm, dotate di forte inerzia termica; finestre su più affacci per favorire la completa ventilazione; dispositivi manuali di oscuramento; percorsi meccanici ridotti al minimo e grande comoditàdi rampe e scale.
L’edificio è stato pensato per durare al meglio nel tempo e limitare il più possibile i costi di gestione. Nei diversi corpi per i paramenti esterni vengono utilizzati il mattone, l’intonaco e la pietra di tamponamento del tipo “carparo”, un materiale naturale della Puglia molto resistente e con calde tonalità gialle. Un elemento caratteristico è quello delle cornici frangisole in cemento vibrato e colorato con copertine di travertino. Per i pavimenti interni negli ambienti collettivi (atrio, corridoi e biblioteca) è stato impiegato il marmo artificiale, il gres ceramico in tutti gli altri ambienti. Il sistema dei percorsi orizzontali è caratterizzato da un lambris di protezione, anch’esso in marmo artificiale. La piazza interna è pavimentata secondo un disegno proiettivo a raggi di travertino che recinge campi di cemento con piccoli ciottoli di fiume. Le superfici interne sono tutte intonacate tranne quelle dell’atrio a tutta altezza, in mattoni a faccia a vista.


Pianta del piano d’ingresso e sezione longitudinale.

[photogallery]agraria_rc_album[/photogallery]

Note
Località
Feo di Vito, Reggio Calabria, Italia
Committente
Universitàdegli studi di Reggio Calabria
Data di progettazione
1987-1995
Data di realizzazione
1993-1997
Progettazione
Claudio D’Amato
Collaboratori
Sergio Bollati, Mario Giovinazzo, Vincenzo Squillace
Consulenze
Felice Medici (direzione lavori) Giuseppe Arena, Roberto De Salvo (strutture) Domenico Squillaci (impianti tecnici)
Impresa di costruzione
Societàconsortile Feo di Vito (Agrusti Costruzioni)
Direzione del cantiere
Paolo Sottilotta
Materiali lapidei utilizzati
Carparo, Cave di Parabita, Lecce, Italia (paramento esterno) Travertino, Italia (copertine dei brise-soleil, soglie, cieletti)
Marmoresina Rosso Sicilia (pavimentazioni esterne e lambris)
Ditte fornitrici pietra
Bruno Stefanelli, Parabita, Lecce (paramento esterno in carparo) Societàdel Travertino Romano, Tivoli, Roma (brise-soleil, soglie, finestre) ROVER spa, Verona (pavimentazioni esterne e lambris)
Installazione pietra
Societàconsortile Feo di Vito

* Il saggio è tratto dal volume Luoghi e Culture della Pietra

commenti ( 0 )

6 Marzo 2012

News

Mario Zaffagnini
Una scuola di architettura fondata sulle necessità dell’uomo

CONVEGNO
martedì 13 marzo 2012

Palazzo Tassoni
Via della Ghiara, 36
44121 Ferrara

Il Convegno dedicato alla memoria di Mario Zaffagnini rappresenta un’occasione significativa per ricordare la figura di uno dei fondatori della Facoltà di Architettura di Ferrara allo scadere dei vent’anni di vita della Scuola e a quindici anni dalla sua prematura scomparsa.
A ripercorrere, entro le celebrazioni culturali XfafX, i tratti salienti della sua statura di accademico, di architetto, di maestro sono i suoi allievi molti dei quali docenti nell’Università ferrarese.

Mario Zaffagnini (1936-1996) bolognese, architetto di fama, dopo aver fondato assieme ad alcuni giovani colleghi bolognesi il Gruppo Architetti Urbanisti Città Nuova e poi la società Edinricerche, è sotto la guida di Pierluigi Spadolini fra i protagonisti dell’introduzione e dell’affermazione dei processi di industrializzazione dell’edilizia in Italia, diventando uno dei massimi interpreti dell’architettura prefabbricata e poi anche intellettuale che si pose il problema di un bilancio critico di tale esperienza.
Mario Zaffagnini è stato un insegnante per vocazione.
Professore Ordinario della Facoltà di Architettura di Firenze, poi dal 1991 di Ferrara fino alla sua prematura scomparsa nel 1996.

Alfonso Acocella

Vai al Programma

commenti ( 0 )

1 Marzo 2012

Design litico

Pietra e marmo nel design di Carlo Mollino


Carlo Mollino, tavolo a fratina con sostegni in marmo e ripiano in cristallo per Casa Devalle, pezzo unico, 1939. Vista e schizzo progettuale

Una parte consistente della poliedrica attività progettuale di Carlo Mollino si esplica nell’architettura d’interni e nel design di arredi contrassegnati da forme sinuose, in cui fantasie surrealiste sono fuse a suggestioni organiche mutuate dal mondo naturale. Tra il 1937, con l’esordio progettuale nell’edificio per la Società Ippica Torinese, e il 1973 – anno della sua morte e dell’inaugurazione del Teatro Regio di Torino, suo ultimo capolavoro – l’architetto realizza visioni dinamiche ed eclettiche, portate a compimento con sicuro e concreto controllo della configurazione costruttiva e declinate in molteplici mondi materici tra cui spiccano quelli del legno scolpito, del compensato curvato, del vetro e degli specchi, dei materiali litici sofisticati e preziosi.
Il processo creativo di Mollino è decisamente sperimentale e si radica con pragmatismo in complesse e innovative ricerche sui materiali e le tecnologie; egli realizza i disegni esecutivi e cura relazioni dirette e continuative con il contesto produttivo dell’alto artigianato torinese: le manifatture e i fornitori di materiali sono la falegnameria Apelli e Varesio; Viarengo per gli ottoni e Giorsini per le parti in ferro; la tappezzeria Sitia; la vetreria Cristal-Art.
Il design molliniano si colloca sempre nella prospettiva del pezzo unico o della ridottissima serie e, con vero “atteggiamento rinascimentale”, elegge l’artigiano ad interlocutore privilegiato, poiché detentore di un magistero ammirato e profondamente introiettato attraverso un’esperienza personale prolungata e diretta.


Carlo Mollino, tavolino con ripiani in marmo e struttura in metallo per CADMA, pezzo unico, 1947.

«La comunicazione e la discussione avvengono tra professionisti e Mollino pare essere professionista in tutti i tipi di mestiere. […] Un falegname racconta che solo l’architetto realizzava disegni esecutivi in cui assolutamente tutto era definito, incluso l’esatta posizione e quantità delle viti necessarie all’assemblaggio delle componenti del mobile e ancora un amico ingegnere, Guido Barba Navaretti, esecutore dei lavori di rinnovo della farmacia Boniscontro nel 1954, descrive la precisa scelta di Mollino di un marmo raro, contenente fossili marini, per il bancone di vendita delle specialità medicinali: con la sua natura geologica avrebbe dato un tono di rassicurante scienza alle pozioni vendute»1.
In questo contesto, di forma curva o spigolosa e spezzata, di superficie rustica o liscia che sia, l’oggetto in pietra di Mollino è quasi una scultura barocca, sempre irripetibile e carica di effetti stupefacenti; esso nasce per appartenere ad un luogo soltanto ed instaura con lo spazio dell’ambiente domestico un rapporto osmotico fondante ed imprescindibile. Emblematici in proposito sono i primi pezzi realizzati per Casa Devalle (1939); si tratta di una console e di un tavolo con piani di appoggio in cristallo e basi scultoree. Nel primo caso la forma plastica è quella della Trinacria realizzata da Italo Cremona, nel secondo caso due masselli in marmo statuario di forme mistilinee costituiscono i supporti verticali di una rivisitazione del tavolo a fratina.
Tra il 1945 e il 1947 si apre per Mollino la parentesi dell’esperienza di CADMA2, in cui l’architetto affronta il progetto di elementi di design astratti da un preciso contesto spaziale, da replicare e proporre al mercato americano. Anche in questo caso, come del resto nelle altre limitate occasioni finalizzate alla riproducibilità in serie (mobili per la competizione Garzanti e per Spartaco Fazzari), Mollino realizza oggetti fantasiosi, che attraggono l’attenzione dell’utente trasfigurando di frequente la loro funzione: accanto a poltrone imbottite, a lampade e a carrelli portavivande in ferro, egli progetta un tavolino con doppio ripiano in marmo venato di forte spessore, e un camino da centro con focolare in onice e cappa metallica.


Carlo Mollino, camino a doppio affaccio con base e apertura in pietra e legnaia in marmo, Casa F. e G. Minola, 1945. Vista e sezione.

Nel tavolino rielabora la dinamica delle forme curve, ruotate o contrapposte, già presente nell’analogo mobile con piani in cristallo per Casa Miller (1936), accostando però la materia litica non al legno, ma ad un arabesco strutturale metallico con tiranti riuniti in un “nodo” centrale; nel camino lastre lapidee dal disegno “a stella” formano un basamento spigoloso su cui è innestata la cappa sinuosa e fortemente verticalizzante.
Si tratta di oggetti che rappresentano una «tendenza a concepire il mobile modellandolo come fosse una scultura, comune, sul finire degli anni Quaranta, a tutto il mondo occidentale, […]. Al seguito o al fianco di Mollino, De Carli, Parisi, Ponti e molti altri architetti disegnano mobili dalle forme plastiche tanto libere da trascendere spesso il limite funzionale. Mollino, il più geniale ed estroso, definisce il suo stile percorrendo una strada culturale del tutto autonoma che passa attraverso il surrealismo, Gaudì, l’aeronautica, il tutto filtrato dalla lente della macchina fotografica che fissa un corpo nudo femminile»3.
In questo modo gli oggetti molliniani diventano iper-oggetti, carichi di significati e fortemente personalizzati; se lo scopo del design è quello di creare pezzi replicabili e in un certo senso aspecifici, Mollino opera al contrario una caratterizzazione fortissima dei suoi mobili e dei suoi arredi fissi, che si configurano come protagonisti conchiusi nella scena di appartamenti introversi e isolati dal mondo esterno.


Carlo Mollino, camino a doppio affaccio della casa F. e G. Minola, 1945 (a sinistra).
Carlo Mollino, camino da centro con base in onice per CADMA, pezzo unico, 1947 (a destra).

Ecco allora rivelarsi i camini per le case Minola (1944-46), elementi totemici dalle forme morbide ed organiche che agiscono da catalizzatori di attenzione e di attività domestiche, in un arcipelago di oggetti tridimensionali innovativi per struttura e tipologia funzionale: isolato e sospeso su di un basamento litico tornito quello dell’appartamento per Ada e Cesare; plastico, bifronte e con legnaia fiancheggiante in marmo, quello per la casa di Franca e Guglielmo Minola. Nelle bocche di questi focolari il gusto di Mollino per il colore e il polimento di onici e marmi lascia il posto alla preferenza per la pietra rustica a spacco, a lungo osservata e sperimentata nelle tanto amate architetture di montagna e qui lasciata libera di irrompere, scabra ed essenziale, sulla scena abitativa dell’alta borghesia cittadina.
Un progetto dopo l’altro, Mollino dissemina nei suoi interni preziosi pezzi litici fino all’ultimo arredamento che realizza per la casa da lui affittata e ristrutturata in Via Napione a Torino a partire dal 1960. Le immagini storiche di Casa Mollino mostrano un tavolino tornito monolitico in marmo bianco e una grande mensola anch’essa di marmo, caratterizzata da una forma mistilinea asimmetrica e dal bordo a triplo bisello; quest’ultimo elemento ribadisce la consuetudine – già espressa dall’architetto nelle case Minola e in Casa Orengo (1949) – nel realizzare console litiche a sbalzo con piani di forte spessore e di forme spezzate o a vassoio ellittico. Tali pezzi sono da riguardare ancora una volta come presenze scultoree surreali ed ambigue, sdoppiate nell’immagine poiché aggettanti da specchiere antiche o sospese su intere pareti riflettenti.


Carlo Molino, tavolo in marmo statuario e marmo venato per Casa Mollino, pezzo unico, 1960 circa.

Nella sala da pranzo della casa in Via Napione è collocato l’ultimo mobile disegnato da Mollino: si tratta di una scultura fortemente statica, di un grande tavolo in cui la materia lapidea dà vita ad un poderoso trilite: la mensa in marmo statuario ha la forma stondata del varco-boccaporto navale già proposto nelle case D’Errico (1937) e Devalle ma ribaltato, questa volta, sul piano orizzontale; le gambe rudentate in marmo venato sono un’evocazione classica, quasi archeologica, di colonne che riconnettono ad una storia passata ben conosciuta e apprezzata soprattutto in maturità dall’architetto, come ingrediente indispensabile per una visione demiurgica che fonde, in continuità, antico e moderno.


Carlo Mollino, mensola in marmo statuario per Casa Mollino, due pezzi, 1962 circa. Vista e schizzo progettuale.

Mollino propone pezzi di design litico anche al di fuori dalle “scatole magiche” degli interni privati: nella continuità geometrica e relazionale degli ambienti pubblici da lui progettati, pietre e marmi sono impiegati ancora una volta per preziosi dettagli, come nel caso delle specchiature in onice nell’atrio dell’auditorium RAI a Torino (con Aldo Morbelli, 1950), o più spesso per stesure o super-oggetti che compartecipano a pieno titolo alla definizione delle sue morfologie spaziali esperienziali, fortemente dinamiche e sinestetiche4.
Nella Sala da Ballo Lutrario a Torino (1959-60) cadono le partizioni, si moltiplicano gli effetti di dilatazione ottica e il piano pavimentale policromo in macro-mosaico lapideo è il luogo privilegiato per sviluppare una creatività disegnativa finalizzata all’ottenimento di una potente continuità di percezione; il banco bar ellittico in marmo arabescato del Teatro Regio (1965-73), incastonato nel foyer foderato di rosso, è un grande arredo fisso polifunzionale, progettato per contenere ed appoggiare oggetti oltre che per accogliere inservienti e clienti; oltre ad assolvere a tali esigenze – completamente sganciato dal perimetro dell’architettura – esso dialoga con l’ulteriore cellula isolata della cassa, proiettando all’intorno le sue intense qualità spaziali.


Carlo Mollino, banco bar in marmo arabescato, Teatro Regio di Torino, 1965-73.

In tutto ciò, nella dimensione privata come in quella pubblica, appare chiara una concezione del design che vede prevalere l’arte e l’artigianato sull’industria, la libertà espressiva sulla norma unificante, la proiezione “utopica” del singolo sulla ragione collettiva, in un approccio contemporaneamente visionario e operativo i cui caratteri, del tutto originali, emergono chiari e definiti nelle parole programmatiche dello stesso Mollino:

«…Ben sappiamo che la casa deve “costare poco” e perciò essere prefabbricata e in serie […]. Per contro la nostra tecnica costruttiva è ben ferma nella concezione dell’opera “singola”, anche tecnicamente modernissima, ma eseguita con sistemi produttivi a impronta nettamente artigiana. Al superamento di questa deficienza non basta accorrere con soli studi teorici e tabelle di unificazione con desolante destino di arenamento, ma è necessaria la formazione di “una mentalità produttiva che la nostra industria edilizia ignora assolutamente”. Purtroppo non sarò io l’ultimo ingenuo a pensare di poter forzar questa situazione […].
Passando all’aspetto sociale del problema, la casa che costruiremo dovrebbe soddisfare a quella inguaribile componente utopica che è al fondo delle speranze terrene dell’umanità. […] La casa “deve consentire” la massima libertà all’individuo senza “nuocere” al prossimo […]. Questa libertà non deve essere intesa come livellamento specializzato d’alveare ma essere proporzionale al valore del singolo […]. La casa è una conchiglia che dovrà consentire ad ogni organismo la sua libera e “ben differenziata” vita individuale: sognare, godere di un bel quadro o di un mobile “fuori serie”…»
5.

di Davide Turrini

Note
1 Fulvio e Napoleone Ferrari, I mobili di Carlo Mollino, Londra, Phaidon, 2006, p. 20.
2 Centro Assistenza Distribuzione Materiali Artigianato, con sede a Firenze sotto la direzione di Carlo Ludovico Ragghianti. I prototipi di Mollino, unitamente a quelli di altri architetti italiani, saranno esposti in mostre a New York e Chicago fino ai primi anni ’50.
3 Irene De Guttry, Maria Paola Maino, Il mobile italiano degli anni ’40 e ’50, Bari, Laterza, 2010, pp. 39-40.
4 Sugli aspetti della spazialità continua e dinamica nelle architetture di Mollino si veda Manolo De Giorgi, Carlo Mollino. Interni in piano-sequenza: Devalle Minola Lutrario, Milano, Abitare Segesta, 2004, in particolare le pp. 7-22; si rimanda anche al saggio di Michele Bonino, Bruno Pedretti, “Lo spazio e l’esperienza: interni, allestimenti, ambientazioni di Carlo Mollino”, pp. 125-135, in Carlo Mollino architetto 1905-1973. Costruire le modernità, a cura di Sergio Pace, Milano, Electa, 2006, pp. 303.
5 Carlo Mollino, “Testimonianza della casa” (1946), cit. in Carlo Mollino. Architettura di parole. Scritti 1933-1965, a cura di Michela Comba, Torino, Bollati Boringhieri, 2007, pp. 271-274.

commenti ( 0 )

29 Febbraio 2012

News

Stone Suite
Il Casone ad Expocasa con Mile Stone

Dal 3 all’11 marzo a Torino avrà luogo la 49a edizione di Expocasa, l’evento più importante del nord-ovest dedicato all’arredamento e alle soluzioni per la casa. Passione, gusto e stile dell’abitare: queste le parole chiave dell’edizione 2012. In questa cornice IL CASONE ha scelto di affidarsi allo stile di Mile Stone Ambient che, specializzato nella fornitura di materiali naturali di design, ospiterà il 3 marzo, nel proprio stand, Andrea Castrignano, nel contesto di una suite dallo stile contemporaneo ideata proprio dal famoso interior designer milanese.
Il noto professionista, celebre per i suoi progetti di interior design in trasmissioni di successo dedicate al restyling delle abitazioni, – Vendo casa disperatamente e Cambio Casa, Cambio Vita! – ha pensato ad un ambiente contemporaneo che mette in luce l’uso dei materiali lapidei nella zona notte e nell’ambiente bagno.
Con il suo cromatismo grigio azzurrognolo e l’eleganza delle texture, la Pietra Serena incontra le esigenze di un mood metropolitano. Una scelta non casuale, dato che, come spiega Andrea Castrignano nel suo libro “le pietre hanno cromie che interpretano le tendenze dell’interior design contemporaneo.”
Il formato scelto per le pavimentazioni è quello delle doghe, nella misura di 90/180/270 cm ed una larghezza di cm 14,8, intervallate da lastre più piccole in formato 90×50 cm. Le finiture scelte sono tre (fiammata, sabbiata e levigata) per raccontare, attraverso le superfici, effetti e sensazioni diverse.
Protagonista dell’ambiente bagno, la Pietra Serena è presente nello spazio doccia con un rivestimento a casellario e nel piatto doccia, realizzato su disegno dell’interior designer. Castrignano. Completano la scenografia: un top in Pietra Serena che fa da base a due lavabi in appoggio realizzati con la pietra “Crema Avorio” IL CASONE, e una grande vasca in marmo firmata Mile Stone Ambient.

Sabato 3 marzo l’interior designer Andrea Castrignano sarà presente in fiera per accogliere i visitatori della suite. Sarà l’occasione anche per scoprire suggerimenti e idee contenute nel nuovo libro “Cambia casa con Andrea” (edito da Vallardi).

Vai al sito Casone

commenti ( 0 )

28 Febbraio 2012

News

Giornata della Ricerca

Venerdì 2 marzo 2012
Palazzo Tassoni

Via della Ghiara, 36 Ferrara

Alla vigilia della costituzione del nuovo Dipartimento di Architettura la Giornata della Ricerca ha lo scopo di promuovere un momento di discussione e confronto sullo stato della ricerca, sulle prospettive di sviluppo e sulle strategie da mettere in atto in vista del processo di trasformazione e riorganizzazione che dovremo affrontare nei prossimi mesi.
Ciò significa, in primo luogo, individuare i settori strategici sui quali concentrare l’attività di ricerca.
In tal senso la prima parte della giornata sarà dedicata a una rassegna delle attività e dei programmi dei centri dipartimentali, dei laboratori e delle unità di ricerca; verranno presentate le linee di ricerca, i risultati raggiunti, le posizioni conquistate e consolidate, il quadro dei rapporti internazionali.
Il dibattito si concentrerà inoltre sugli strumenti e i metodi per la comunicazione, la divulgazione e la valorizzazione dei risultati e dei prodotti della ricerca. Tematiche nelle quali entrano in gioco le novità introdotte nel sistema universitario dalla Legge 240 e che impongono una riflessione sul rapporto tra ricerca e didattica, ovvero sul trasferimento delle conoscenze, sulla convergenza degli obiettivi, sul reciproco arricchimento.

Maggiori informazioni e il programma su Materialdesign

commenti ( 0 )

27 Febbraio 2012

Paesaggi di Pietra

Il Castello della Pietra


Il Castello della Pietra, Val di Vobbia (foto: Mauro Benzi)

“Grixio dragon lasciù pietrificòo,
ch’o tegne ancon potense de magia,
ecco da Vobbia rapida e sonante,
da o pontetto de Zan,
o Castello da Prïa. […]
L’origine so primma a resta ignota;
[…] solitario comme
ne a valle d’un pianeta abbandonòo,
misterïoso, tetro, senza gloria
taxe in sce lë comme ‘na Sfinge a Storia”.

Edoardo Firpo, A o castello da Prïa

In Val di Vobbia, nell’entroterra genovese del Parco dell’Antola, la montagna custodisce tra i suoi speroni di roccia un castello, quasi mimetizzato nell’affioramento lapideo e per questo conosciuto come “Castello della Pietra”.
Classificabile tra i più straordinari edifici fortificati della Liguria, il castello risulta essere un’importante emergenza paesaggistica di questo territorio, tanto aspro quanto amato dalla sua popolazione, un esempio discreto del difficile rapporto tra il popolo ligure e la sua terra, spesso ingrata. L’edificio fortificato è costruito nella bassa valle, stretta tra pareti rocciose e dirupi dove, a differenza delle argille e dei “Calcari di Monte Antola” della parte soprastante, affiorano le cosiddette “puddinghe” o “Conglomerati di Savignone”, formanti anche il Promontorio di Portofino. Il termine “puddinga”, ormai in disuso, deriva dall’inglese “pudding”, budino, e indica una formazione rocciosa sedimentaria, formatasi circa 25 milioni di anni fa (Oligocene), caratterizzata da ciottoli particolarmente arrotondati di diametro variabile, tra i 5 e i 10 cm, composti da calcari marnosi, calcari arenacei o arenarie legate da una malta calcareo-argillosa più fine.
Nonostante l’aspetto detritico, tale formazione risulta poco erodibile e in alcune zone, come appunto presso il Castello della Pietra, particolarmente compatta. In questo punto la valle, in corrispondenza del Ponte di Zan, dopo un tratto accogliente di folti boschi si stringe progressivamente fino a chiudersi tra strette pareti rocciose, alla base delle quali scorre il torrente Vobbia. Si configura così un’atmosfera antica e misteriosa.
È qui che il castello domina strategicamente la vallata, incastonato tra due torrioni di puddinga e severo nella sua presenza simbiotica con la natura.


Il Castello della Pietra in due immagini storiche: un disegno settecentesco del cartografo Matteo Vinzoni; un affresco dell’Oratorio di Ronco Scrivia (GE)

Sfortunatamente, non conosciamo molti documenti relativi alla sua storia. Si suppone che il castello sia stato edificato intorno all’anno 1000 d.C. dai Vescovi di Tortona per combattere i Saraceni, che lo edificano in forma di sentinella della strada che collega Vobbia a Isola del Cantone, la cosiddetta via del Sale che da Genova conduceva alle città della Pianura Padana. Nel 1050 circa il castello passa ai Marchesi di Gavi e poi ai Malaspina fino a diventare, nel 1252, proprietà di Opizzone della Pietra, il cui appellativo deriva proprio dall’acquisizione di questo feudo. In seguito passa agli Spinola e nel 1518 agli Adorno che lo conservano fino al 1797, anno della soppressione dei Feudi Imperiali Liguri e dell’inizio della decadenza della fortezza.
Nel 1919 il castello viene acquistato dalla famiglia Beroldo di Torre i cui eredi, nel 1979, lo donano al Comune di Vobbia. A partire da quel momento, l’amministrazione comunale, insieme alla Provincia di Genova, al Centro Studi Storici per l’Alta Valle Scrivia, alla Soprintendenza ai Beni Archeologici della Liguria e ad un cospicuo numero di volontari, avvia un importante opera di restauro che dura circa dieci anni e che permette, dal 1994, l’apertura del complesso al pubblico.
È così possibile, oggi, visitarlo accedendovi dal piazzale sterrato ricavato dalla strada provinciale alla base dei torrioni, da qui parte l’itinerario didattico che ne illustra la storia e il territorio. Si sale a piedi verso il misterioso maniero, prima immersi nel bosco, poi circondati dalla roccia, fino a raggiungere il corpo di ingresso che introduce all’edificio costruito interamente in materiale lapideo e legno. La visita si articola così in cinque sezioni: il primo avancorpo trapezoidale, protezione al corpo principale e probabile magazzino o prigione, il salone centrale, dove si svolgeva la vita sociale, il camminamento di ronda, il salone superiore e l’accesso al torrione maggiore.


Il Castello della Pietra, vista dall’alto (foto: Mauro Benzi)

[photogallery]castello_pietra_album[/photogallery]

Un percorso affascinante, questo, più simile a un viaggio nel tempo e nei misteri della storia che ad una semplice visita di un monumento dell’entroterra genovese, capace di far gustare il fascino del rapporto dell’uomo con il proprio territorio oltre che di far scoprire un patrimonio storico-artistico ancora poco conosciuto.

di Sara Benzi

Come arrivare:
Autostrada A7 Milano – Genova, uscita Isola del Cantone, direzione Vobbia; l’ultimo tratto, pedonale, sale fino al castello con un percorso della durata di 20 minuti circa.
In alternativa, il sentiero dei Castellani parte dalla località Torre di Vobbia e raggiunge il castello tramite un percorso della durata di due ore circa.

Vai a:
Altavallescrivia
Parcoantola

commenti ( 2 )

23 Febbraio 2012

News

Marmomacc 2011
Intervista a Philippe Nigro

Vai a Marmomacc

commenti ( 0 )

20 Febbraio 2012

Opere di Architettura

Villa a Lugano, Svizzera
Architettura, arch. Antonio Antorini
Interiors, arch. Carlo Colombo


La villa organizza gli spazi in base alle visuali panoramiche sul lago.

La Svizzera è tra i paesi europei in cui maggiormente lo stile internazionale ha raggiunto anche le sensibilità delle persone comuni, specialmente nella sua accezione modernista declinata secondo le migliori modalità espressive concesse dal beton. Il termine proposto in lingua francese, come scelto da Alberto Caruso nell’editoriale del numero monografico dedicato recentemente da Costruire in Laterizio, allude direttamente all’esperienza transalpina, alla ricerca sul materiale operata da Le Corbusier, al secolo scorso. Rino Tami, poi la generazione di Aurelio Galfetti (nato a Lugano nel 1936), Luigi Snozzi (nato a Mendrisio nel 1932) e Livio Vacchini (nato a Locarno nel 1933) sono primari interpreti di quest’orientamento. Antonio Antorini, pure ticinese, nasce nel 1936; le prime esperienze professionali sono all’interno dello studio di Rino Tami; lega poi frequentemente la propria attività a quella del coetaneo Galletti. Con una ricercata matrice razionalista – strategia d’ordine dopo il disorientamento provocato dalla seconda guerra mondiale – progetta edifici di notevole contenuto tecnico e linguistico. È suo il progetto architettonico di quest’abitazione.
Per composizione fisico-chimica, seppur con processo naturale sviluppatosi ovviamente nell’arco di millenni, le pietre arenarie costituiscono il materiale di cava in assoluto più vicino al beton, poiché frutto della miscela di sabbie divenute pietra per calcificazione, mediante leganti. Del resto convintamente pure Luigi Snozzi dichiara di trarre dalla natura i motivi della propria architettura, di fatto affidandosi comunque quasi esclusivamente all’estetica dei cementi. Ha sostenuto, in un recente intervento a Como: “La varietà è il preludio alla monotonia, se si vuole evitarla è necessario ripetere lo stesso elemento.” Tale pervicace sforzo di riduzione a poche componenti lo avvicina, ma per scelte su altri materiali e forme, a Mario Botta. Per entrambi conseguentemente le eccezioni alla regola in assoluto si distinguono con maggiore forza.


I cristalli costituiscono l’unico elemento di divisione fra esterni ed interni.

Forti di questa consapevolezza sull’origine del materiale, in logica continuità con la tradizione locale più recente, per gli esterni di quest’abitazione affacciata sul panorama del lungolago sono state scelte lastre litiche di Il Casone con finitura sabbiata, posate su disegno a casellario per lo più a secco, così da occultare le sottostanti raccolte dell’acqua meteorica per le terrazze ed i bordo-piscina. Occasionalmente i lapidei pure risalgono verticalmente ad abbracciare le fioriere disegnate entro gli spazi aperti pavimentati. La sabbiatura cerca un morbido dialogo con la naturalità dell’intorno, ulteriormente ingentilendo le linee rigorose dell’abitazione, in parte rispettose della migliore tradizione elvetica contemporanea, in parte forse pure orientate agli esiti tecnici e formali di alcune ricerche architettoniche di respiro ancor più internazionale. L’installazione delle parti in pietra è di ArcStudio.
All’interno le lievi asperità tipiche delle sabbiature lasciano spazio a lucide finiture levigate e spazzolate, in accordo con la maggiore lucentezza delle doghe lignee e dei riflessi delle ampie vetrazioni in cristallo, poste a proiettare gli interni nel panorama circostante e, allo stesso tempo in direzione opposta, ad accogliere all’interno la liquidità del lago e la solidità dolomitica.
L’architettura degli interni è progettata da Carlo Colombo, firma italiana molto nota nell’ambito del design industriale per le importanti numerose collaborazioni con aziende primarie e per i riconoscimenti ottenuti nel settore: in particolare con i contenitori Speed per Zanotta, con il tavolo Nicolò per Ycami, con il letto Prins per Flou, con il divano Femme e la collezione Cloud per Arflex, con una lampada da tavolo per Waestberg, e con il tavolo Air per Poliform.


Gli accostamenti naturali interni.

[photogallery]antorini_album[/photogallery]

di Alberto Ferraresi

Vai all’editoriale di Costruire in Laterizio
Vai al post su Rino Tami
Vai al sito di Antonio Antorini
Vai al resoconto dell’intervento a Como
Vai al sito Casone
Vai al sito di ArcStudio
Vai al sito di Carlo Colombo

commenti ( 0 )

17 Febbraio 2012

Post-it

Cardboard Pavilion Intervista a Luigi Alini

Cardboard Pavilion è il risultato di una ricerca sull’uso innovativo in architettura di materiali non convenzionali realizzata in partnership con International Paper di Catania e lo studio AION di Siracusa. La ricerca aveva anche l’obiettivi di trasferire nella didattica del Laboratorio di Progetto, di cui sono responsabile presso la Facoltà di Architettura di Siracusa, un modo alternativo di fare didattica, portando gli studenti all’interno dell’esperienza concreta del fare, realizzando quella ineludibile continuità tra progetto e costruzione.

Continua la lettura

commenti ( 0 )

16 Febbraio 2012

Osservatorio Litico

al bordE, Atelier d’inverno,
Machachi, Ecuador 2007


Particolare del muro

Un atelier d’artista, incastonato a 3.500 m di quota nel paesaggio dominante e incontrastato della montagna ecuadoreña: un luogo prima di tutto “interiore” da cui osservare “in punta di piedi” l’infinita potenza della natura, essenziale fonte di ispirazione pittorica per il committente.

L’evocatività di questo piccolo, frugale intervento non consiste solo ovviamente nella spettacolare collocazione scenografica da cui attinge gran parte del suo appeal ma soprattutto nella visione progettuale che trova nella schietta semplicità un valido strumento di caratterizzazione espressiva e funzionale.
L’atelier è concepito come un “rifugio” scavato nella terra e, infatti, proprio nei materiali naturali trova la sua genesi compositiva: involucri murari portanti in pietra e terra cruda compattata avvolgono un ambiente intimo e umbratile, emergendo senza cesure né conflitto dalla ruvida orografia montuosa che circonda l’edificio; finiture in legno autoctono di pino ed eucalipto esaltano il “calore” dell’ambiente interno; un solo squarcio visivo, interamente vetrato, dischiude un’ intensa prospettiva verso la vallata.
Sul basamento massivo che ospita l’atelier, come su un piedistallo saldamente ancorato al terreno, si imposta il volume aereo e smaterializzato del giardino d’inverno: un “belvedere” che sembra quasi fluttuare, nella sua leggerezza, tra le nuvole e i venti della brughiera.


Prospetto frontale

La costruzione, a bassissimo costo e frutto di un processo di auto-costruzione da parte degli stessi progettisti, è il brillante risultato di un approccio tecnicamente apprezzabile dal punto di vista dell’efficienza energetica e del minimo impatto ambientale. Secondo il principio di attivazione termica delle masse, la vetrata e il volume della serra in sommità fungono da superfici di captazione dell’energia solare che viene lentamente immagazzinata nel corso della giornata dalle pareti (in pietra e terra), dal pavimento e dal solaio (in cls), dotati di elevata inerzia termica, e gradualmente rilasciata nelle ore serali in modo da garantire il benessere termico senza emissioni di gas climalteranti. L’utilizzo della terra cruda nelle murature favorisce poi buone condizioni di isolamento termo-acustico e di igroscopicità.

Un gesto progettuale minimo e delicato, sia per il rispetto con cui l’intervento artificiale si rapporta con l’ambiente naturale sia per la concezione di “architettura” che adombra, e cioè di un luogo che non ha bisogno di “clamore” per svolgere il suo compito primario e archetipico: accogliere, proteggere e appagare le più sincere emozioni di chi lo abita.

Chiara Testoni


Vista di scorcio

[photogallery]alborde_album[/photogallery]

Scheda tecnica
Progetto architettonico: al bordE/ Pascual Gangotena
Localizzazione: Machachi, Ecuador
Committente: Iñigo Salvador
Consulente: Bolívar Romero
Costruzione: al bordE, Pascual Gangotena & Miguel Ramos
Superficie edificata: 61.95 mq
Data di progettazione: 2006
Data di esecuzione: 2007
Fotografie: Pascual Gangotena & Iñigo Salvador

Vai aAl Borde

commenti ( 0 )

stampa

torna su