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19 Giugno 2012

Appunti di viaggio

Il Ladakh e la valle dello Zanskar


Lamayuru.

Questo è un viaggio. Anzi, sono due viaggi.
Il primo è nel luogo più incredibile e fantastico che abbia mai visitato. Il secondo è un viaggio nel tempo: venticinque anni fa. “Il VIAGGIO”, voluto e vissuto con il profondo desiderio di un’esperienza unica: Ladak, perla preziosa dell’Himalaya.
Sono passati tanti anni ormai – ero una giovane universitaria – e tanti viaggi, luoghi e genti, ma è innegabile, il mio cuore è ancora là, tra quelle cime e quelle persone sorridenti: il loro ricordo è il più intenso della mia memoria. Le emozioni di allora, fatte di attimi cristallizzati, di colori, odori, sguardi, sono lì, pure e incorruttibili

Ci ho pensato molto prima di scrivere queste righe. Da giovane perché chi ascoltava un’entusiasta dell’India traeva sempre la stessa conclusione (nel mio caso errata):…. mmm chissà quante canne!!! (e chi ne ha mai viste?). Da “grande” perché temevo che parlare dei ricordi potesse sembrare un resa all’età. Ebbene no, e chi è stato in Ladakh sicuramente lo capirà.


Om Mani Padme Hum, il mantra dei mantra scolpito nella roccia.

L’India è un paese ancora oggi di grandi contrasti; allora, alla fine degli anni ’80, l’arrivo a Delhi è stato per me troppo gravoso: un vago sentore di morte che aleggiava su una povertà palesata in maniera quasi oscena. Io, giovane donna che al di fuori dell’Italia aveva visto solo l’America, New York e i suoi negozi scintillanti…, mi ritrovavo improvvisamente in una metropoli dove il confine tra povertà, malattia, visi sfigurati dalla lebbra ed una normalità così dissimile dalla nostra mi sembrava troppo aleatorio. È stata l’unica volta in cui, durante un viaggio, mi sono sentita spaventata, e se avessi potuto sarei tornata immediatamente a casa. Ma ormai il dado era tratto, ero lì, e come per fortuna ho imparato fin da piccola, ho fatto buon viso a cattivo gioco. Quindi “tasi e tira” e via, in cerca di un passaggio su un bus, per un trekking nel nord. Prima tappa Srinagar con un viaggio di quelli infiniti, lunghi decine di ore, dove sembra che la meta giochi a rimpiattino allontanandosi sempre più ad ogni ora che passa, e dove impari a dormire a comando appena il mezzo – qualsiasi esso sia – si mette in movimento: troppo rischioso vedere a cosa si sta andando in contro.


Houseboats sul lago Dal.

Finalmente ecco Srinagar, capitale estiva dello stato del Jammu e Kashmir, conosciuta anche come la Venezia indiana; adagiata lungo il lago Dal dove si trovano le più belle houseboats, geniali soluzioni di un delicato problema diplomatico, oggi prevalentemente trasformate in hotel. Il maharaja, infatti, non concedeva agli inglesi del British Raj di soggiornare sulla terraferma. D’altro canto, per non essere “troppo” scortese concesse loro la possibilità di costruire queste dimore galleggianti di gran lunga più affascinanti di qualsiasi hotel sulla terraferma; con arredamenti spesso in stile inglese, tappeti, poltrone, un persistente profumo di cedro ed attorno, tra le ninfee del lago, un brulicare di shikara che alla mattina danno vita ad un vero e proprio mercato su barche, in mezzo al lago.


Il tetto dello Spituk Gompa (a sinistra) e il Maitreya del Thikse Gompa (a destra).

Poi via di nuovo, in autobus verso il Ladak. Un viaggio spettacolare ed indimenticabile, di più di 15 ore, passando per una retata effettuata da militari sull’autobus per arrestare un uomo.
Ecco prima Kargil e poi Leh, attraversando lo Zoji La ( La = passo), a 3.450 metri sull’altopiano infinito del Kharbathang; qui l’autista, senza tanti preamboli, ci fa scendere nei pressi di una improbabile pompa d’acqua per lavare l’autobus.
Poi ancora i tanti monasteri: Shey Palace, Hemis, Lingshet, Thiksey Gompa. Luoghi in cui l’animo si riconcilia col mondo, dove tutto trasuda serenità e pace e si è sempre ben accolti; luoghi dove è irrispettoso rifiutare il te condito con burro di jak e farina, dal cui contenitore può succedere che faccia capolino un irriverente scarafaggio…
E, dopo i monasteri, via per il trekking nella valle dello Zanskar, dove le tremende alluvioni di quest’anno hanno ahimè mietuto vittime e distruzioni.


Ruote della preghiera nel monastero di Hemis.

Il percorso va da Lamayuru a Padum, 177 km a piedi in otto tappe, con dislivelli che superano i 4.000 metri; zaino in spalla ad attraversare il Sirsir-La (4.900 m), il Singi-La (5.200 m), Hulumala (5.000 m). Un alternarsi di rocce dai colori incredibili, che rendono strepitoso l’ambiente desertico di queste alte quote; dove una semplice ed esile rosa canina ha il coraggio di diffondere il suo profumo a centinaia di metri di distanza; dove la luna è così splendente e grande, ma così grande da lasciare attoniti.
Il sorriso dei residenti parla di serenità e contentezza del nulla: che vergogna, e che senso di inadeguatezza per me europea abituata a lamentarmi per le inesistenti difficoltà quotidiane…
Ed il festival nel Linshat Gompa, centro religioso e culturale dell’area, ed ancora i Gompa, i chorten e i muri mani (mani = pietra preziosa) detti anche mendong, a secco o cementati col fango, la cui superficie è interamente costituita da pietre scistose o da ciottoli sui quali sono state scolpite figure sacre o le sacre lettere dei mantra. Om Mani Padme Hum, il mantra dei mantra. O ancora le nostre canzoni, rigorosamente degli anni settanta, stonate al cielo mentre in fila indiana percorrevamo la valle dello Zanskar.


Nel monastero di Linshat.

[photogallery]ladakh_album[/photogallery]

Tornerò ancora nel Ladakh? Non so. Se ne parla per il prossimo anno, ma ho la grande, grandissima paura che anche là – giustamente – il mondo sia cambiato. Mi hanno raccontato di una strada nella valle dello Zanskar, di centri commerciali dove è estremamente conveniente acquistare attrezzature alpinistiche, di ristoranti dove si mangia italiano (!?!), di agenzie di viaggio che portano nei santuari più mistici, turisti caciaroni e mentalmente poco preparati alla sacralità di quei luoghi.
Mi hanno raccontato che sono passati venticinque anni, e che forse posti così non ce ne sono più …, ma nel mio cuore e nella mia memoria esistono ancora.

di Anna Maria Ferrari

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18 Giugno 2012

News

RECUPERA / RIABITA
Salviamo i piccoli borghi dell’appennino

ABBAZIA del GOLETO, Sant’Angelo dei Lombardi (AV)
Stati Generali dell’Alta Irpinia

Sabato 23 giugno 2012
Apertura della Mostra BIOARCHITETTURA® IN TOUR _ aperta dal 23 al 29 giugno 2012
Convegno “RECUPERA / RIABITA Salviamo i piccoli borghi dell’Appennino”

…il Goleto è un luogo di “accoglienza del profondo”; … le pietre parlano se le sai ascoltare per poi “restaurare” il mistero che vi è racchiuso dentro, come in un’urna; … bisogna restaurare primariamente il Silenzio che c’è dentro le rovine, le ferite architettoniche: questo il punto chiave per un giudizio sulla qualità dell’opera in corso; restaurare con amore l’immateriale, il mistero, la cui radice greca è appunto “silenzio”. Non posso scassinare la parola di Dio ma posso mettermi umilmente in un percorso di ascolto. … Più che apparire forse bisogna “Esserci”; essere ogni giorno umilmente sul cantiere, discutere di piccole cose che fanno le grandi cose, un modo di Essere…
Fratel Wilfried Krieger, Comunità Jesus Caritas, in un’intervista di E. Alamaro su PresS/Tletter n°17_2007

Si rinnova l’appuntamento dedicato all’Architettura in Alta Irpinia sulla scia degli ‘Incontri Itineranti di Architettura’ (2008-2009) e di ‘Cairano 7x’ (2009-2011). Quest’anno si intrecciano nuove relazioni tra i piccoli paesi degli ‘Stati Generali dell’Alta Irpinia’ e prende il via, proprio con l’appuntamento del 23 giugno al Goleto, il ‘Cammino di Guglielmo’.
Il convegno non sarà di tipo ‘frontale’, relatori ed uditori, ma cercherà –attraverso interventi di sintesi comunicativa- di far interagire esperti esterni con cittadini e amministratori locali. Non ci sarà il ‘tavolo’ ma sedute poste in circolo; sono previste inoltre azioni coreografiche e testimonianze del territorio che lavora. I temi sono quelli a cuore delle nostre comunità appenniniche in via di spopolamento: recuperare e riabitare. Unire i Comuni per chiedere a Regione e Governo di : -fermare l’ulteriore espansione delle già devastate e inquinate aree metropolitane; -fermare l’avanzare delle periferie per poter continuare a coltivare la campagna; -bloccare il ‘piano casa’ e l’ulteriore consumo dei suoli; -sviluppare il trasporto pubblico su ferro nelle aree interne e non solo sulle poche dorsali dell’alta velocità; recuperare la ferrovia esistente come linea metropolitana; -favorire, attraverso una premialità socio-economica (casa-servizi-asili nidi-scuole) l’insediamento di giovani coppie –provenienti dalle già disastrate periferie metropolitane- nei piccoli paesi della dorsale appenninica. Rafforzare il distretto delle energie alternative a vantaggio degli enti locali. Rafforzare infine le industrie insediate nel dopo-terremoto e premiare l’artigianato e tutto ciò che veicoli bellezza e qualità.
Riequilibrare il territorio significa utilizzare al meglio le risorse già disponibili; significa vivere meglio in un ambiente ecologicamente sano e a misura d’uomo. Significa creare nuovi posti di lavoro, riprendendo l’agricoltura e innescando finalmente quell’indotto turistico che merita questo nostro paesaggio ricco di ‘tesori’ eno-gastronomici.

Partecipano :
Wittfrida Mitterer, Angelo Verderosa, Luca Gibello, Diego Lama, Massimo Pica Ciamarra,
Hans Vanderbaan, Ingeborg Scheffers, Maria Grazia Santoro, Fulvio Fraternali, Antonio Guerriero, Dario Bavaro, Antonio Vespucci, Michele Forte, Tarcisio Luigi Gambalonga, Agnello Stoia, Michele Esposto, Luigi Pucciano, Massimo Di Silverio, Giorgio Bignotti, Gianni Marino, Mario Marciano, Agostino Della Gatta, Raffaele Capasso, Salvatore Pignataro, Antonio Luongo, Valentina Pirone.

sostegno Holzbau Sud
patrocinio Bioarchitettura® / Ordine Architetti PPC Provincia di Avellino / Cocerest s.c.
e con Il Giornale dell’Architettura / Evento Borghi&Centri Storici MADEexpo 17-20 ottobre 2012
Irpiniaturismo / Piccoli Paesi / Cairano 7x / Abbazia del Goleto / Il Cammino di Guglielmo

Programma completo della 3 giorni

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12 Giugno 2012

Opere Murarie

Muri irregolari contemporanei*

English version


Casa a Cene (1993-95) di Antonio Citterio e Terry Dwan

Ci siamo chiesti, più di una volta, se è ancora di qualche utilità, di qualche senso architettonico, dare ascolto alla narrazione, allo spettacolo dei muri dell’antichità sin qui evocati valutandoli quali presenze utili al lavoro progettuale contemporaneo?
Abbiamo sollevato questa domanda prima di ogni ulteriore svolgimento sulla condizione del presente cercando di dare una risposta a noi stessi, per poi rivolgerci, eventualmente, al lettore al fine di consegnargli un orizzonte intellegibile entro cui collocare le possibili sorti delle risorse litiche ancora oggigiorno in disponibilità del progetto d’architettura. Lungo quest’azione di riflessione, nella prima parte del capitolo, ci siamo mossi a partire dalla pietra quale materia dell’architettura per esprimere le “formule” murarie degli Antichi, per ricongiungerle e confrontarle idealmente con quelle dell’esperienza contemporanea senza voler avanzare visioni nostalgiche, ma evitando al contempo la perdita dei significati, dei caratteri tecnici ed architettonici intensi ed autentici dei modi d’origine.
D’altronde il mondo attuale ha forse variato le caratteristiche costitutive della materia, della pietra in particolare? Riteniamo proprio di no. Seguendo il senso solo apparentemente provocatorio di un aforisma di Nietzsche, contenuto in Umano troppo umano, affermiamo attraverso le parole del filosofo: “La pietra è più pietra che una volta”. La materia litica si ripresenta a noi, in un eterno presente, riconoscibile ed identica a se stessa come quella del passato; pietra che attende di ricevere oggi – al pari di ogni passato – un’interpretazione, una modalità applicativa specifica, una valorizzazione.
In un’epoca in cui i materiali sembrano perdere ogni consistenza, assottigliandosi, alleggerendosi – a volte addirittura negandosi – la “pietrosità della pietra”, la sua materiale compattezza e pesantezza, sta ancora oggi a sostanziare un significato che può apparire scontato, ovvio, ma che in realtà ci restituisce il senso più autentico e peculiare della materia.
La logica combinatoria delle pietre, al di là di ogni specifica configurazione geometrica di partenza, è ancora oggi quella del “cumulo”, del “concatenamento” murario; ciò che conta, sotto il profilo statico, è che i materiali rispettino le regole di “legamento” collaudate e codificate dal tempo, da una secolare tradizione, da un canone costruttivo.
Ma se la logica assemblativa e la stratificazione della materia stanno a rappresentare il “dire costruttivo”, vi è sempre la necessità di “rappresentare” la strategia attraverso cui il muro viene fatto crescere verso l’alto, risolto verso gli angoli, articolato intorno ai vuoti; ciò che definiamo la figurazione del muro, ovvero il suo “dire architettonico”. Su questo “dire architettonico”, più che sulle regole di costruzione difficilmente trasgredibili od eludibili (più realisticamente da rispettare e perpetuare), si incentra il lavoro di aggiornamento dell’opera muraria in epoca contemporanea.
In via preliminare ci muoveremo, per dare visibilità all’orizzonte dell’architettura muraria dell’oggi, lungo i sentieri e le sorti della materia lapidea grezza, informe, povera per cogliere le permanenze e gli aggiornamenti in una visione unitaria. Le immagini di architetture attuali, a volte, ci aiuteranno lungo lo svolgimento di questa seconda parte del capitolo sui Muri di pietra a rafforzare, a “mettere in forma” il senso delle nostre tesi, mostrando ciò che spesso le parole – da sole – non riescono a dire o a comunicare.


Uffici giudiziari di Alba (1982-87) di Gabetti e Isola con Guido Drocco

[photogallery]muri_irregolaroi_album_1[/photogallery]

I modi attraverso cui la risorsa litica si è presentata storicamente all’uso murario esprimono ancora oggi tratti e valenze architettoniche dati in continuità di esperienza e di magisteri costruttivi.
La pietra come materia grezza – ovvero così come la si ritrova in natura, “brutale”, non lavorata e “raffinata” – ha continuato ad alimentare un lavoro costruttivo che la lascia allo stato d’origine, accettandola e valorizzandola per quella che è. In questo caso si rimane all’interno della concezione dei muri irregolari in cui gli elementi litoidi (con dimensioni e forme variabili derivanti da uno stato di completa naturalità o di minima modificazione) disattengono alla disposizione in filari orizzontali – come avviene invece per i muri regolari – per essere “combinati” e “correlati” fra loro nel modo più conveniente e specifico al fine di creare un “aggregato” con minor numero di vuoti.
Il carattere dei muri – in tale ipotesi di lavoro costruttivo – è fortemente influenzato dalla tipologia della roccia selezionata, dalla sua costituzione mineralogica e geologica, E’ la natura della pietra, più che la sua lavorazione o la sua disposizione-combinazione, a produrre specificità e figuratività architettonica che vengono trasferite alla stratificazione parietale o, più precisamente, all’aggregato murario (termine che, secondo noi, esprime con maggiore efficacia il dispositivo tecnico che presiede all’opera irregolare).
La pietra usata nelle sue configurazioni naturali, grezze, offre molteplici possibilità nell’alimentare una concezione costruttiva composita, affatto codificabile secondo canoni fissi. Attraverso la compenetrazione, la sovrapposizione, l’adiacenza dei bordi degli elementi litici – dove i margini a volte si toccano, si mescolano, altre si allontanano – vengono composte unità geometricamente indeterminate dove le pietre irregolari (in genere diverse l’una dall’altra, dotate di singolari “personalità”) nell’insieme formano strutture eterotopiche di stratificazione e di interconnesione reciproca.
Da questo carattere di irregolarità, di relativa “instabilità” deriva la condizione inderogabile per l’opera rustica di uno spessore, di una sezione strutturale maggiore che finisce per conferire massa e profondità reale dei manufatti trasmessa, anche visivamente al fruitore dell’opera, attraverso i vuoti delle porte, delle discontinuità delle aperture in genere.


Biblioteca di Morbegno (1965) di Luigi Caccia Dominioni

Nell’opera irregolare si assiste, in particolare, al “racconto” delle pietre, al discorso originato dalle caratteristiche geologiche del luogo in cui la costruzione attinge i propri materiali di base.
Ci si trova in questi casi di fronte alla “generosità” della natura, alla variegata offerta di “scapoli”, di “scheggioni” a spigoli vivi (erratici o derivanti dalla frantumazione di cava), di massi con facce perfettamente parallele, o ancora – nei territori attraversati da torrenti e fiumi – di grossi ciottoli morbidamente modellati e arrotondati dall’acqua.
Il carattere rustico che contraddistingue l’opera irregolare mostra frequentemente figure murarie in cui è la materia, la pietra, ad esprimere il “valore” architettonico attraverso la costitutività formale dei litotipi d’origine, le compenetrazioni reciproche, la tessitura del disegno d’insieme. Semplicità e naturalità dei dispositivi connettivi, più di ogni altro carattere, stanno a “segnare” questa famiglia variegata ed allargata di muri dotati di minore aulicità, ma non certo privi di carattere e di vigore architettonico.
Il fascino che contraddistingue i materiali litici più poveri – frequentemente di estrazione locale, fortemente rappresentativi del senso del luogo, dei valori paesaggistici formatisi nella lunga durata – viene consegnato spesso, senza clamori, a queste figurazioni sobrie dell’opera muraria in pietra; tale bellezza è difficile da descrivere e raccontare. Forse è per questo motivo che nei manuali, nei trattati di progettazione non se ne parla (se non incidentalmente) relegando tali modi costruttivi prevalentemente al mondo appartato e periferico dell’architettura “minore”; di quell’edilizia spontanea inscritta nei territori collinari, montani ricchi di pietre o di quelli rivieraschi – più limitati – dove le rocce strapiombano sul mare.
Chiaramente, nell’evidenziare i caratteri salienti dell’opera rustica, non ci si può fermare all’aspetto litologico, alle sole configurazioni del materiale grezzo; altri elementi emergono nel suo farsi figura architettonica; fra questi, in particolare, le implicazioni di maestria connesse al savoire-faire costruttivo.
Il vocabolario dell’opera irregolare – versione moderna degli opus murari romani, a loro volta evoluzione dei dispositivi megalitici di tradizione greca – è sempre quello della messa in valore della materia lapidea grezza, della disposizione informale dell’apparecchio, dell’incisione lungo i bordi delle pietre a mezzo del contrasto delle giunzioni di malta (queste ultime spesso intenzionalmente “scavate” o “riportate” in aggetto, per risultare evidenti ed autonome rispetto al valore espresso dalla liticità).
La selezione delle forme delle pietre, la loro disposizione come “ordine costruttivo” – che diventa, allo stesso tempo, “partitura” architettonica – alimenta la passione per la figurazione del muro rustico, brutale, essenziale, sincero. Ciò che si conserva è quel carattere primitivo, grossolano, di massa, di chiusura; l’essere del muro rustico, più che articolazione delle parti, è generalmente omogeneità pesantezza, spessore.


Deposito di canoe a Pontecuti (1993-95) di Francesco Cellini

Agli apporti della forza materica della pietra, della tessitura combinatoria, nell’opera irregolare si associa un carattere complementare, ma decisivo sotto il profilo figurativo, derivante dalle modalità di esecuzione dei giunti, delle “commessure”, dello “spazio” di cesura compreso fra i diversi elementi costitutivi della struttura muraria. Lo stesso “rilevante” spessore da assegnare ai giunti – al fine di assorbire le tolleranze dimensionali e la singolarità degli elementi di pietra – fa si che la loro incidenza visiva sia maggiore che in qualsiasi altra tipologia di muro.
La malta può risultare “arretrata” ma anche essere “stesa” in modo che sporga rispetto al perimetro delle pietre o, addirittura, che ricopra (come avviene nella tecnica della muratura a “rasapietra”) ampie porzioni del piano litico. Mostrarsi, in sostanza, in rilievo proponendo un’accentuazione del disegno complessivo della rete dei giunti (anche attraverso la caratterizzazione cromatica della malta) oppure – assecondando un atteggiamento oppositivo – “ritirarsi” verso il nucleo interno del muro, segnando in negativo e in profondità i giunti stessi, capaci così di catturare la luce e le ombre che ad essa sempre si accompagnano. Nel momento stesso in cui evidenziamo la forza espressiva, dei giunti ci preme, comunque, sottolineare anche la loro latente, pericolosa invadenza; sia il rilievo che l’incisione sottraggono sempre qualcosa alla forza della pietra; è auspicabile, conseguentemente, evitare, in generale, un’eccessiva enfatizzazione dei giunti di malta.
In queste particolari condizioni di lavoro – a differenza di quanto normalmente avviene nei muri a conci squadrati che si presentano attraverso rigorose e controllate geometrie definite in fase di progetto architettonico – è evidente come il vero protagonista della scena risulti l’esecutore di cantiere, il “maestro” muratore che scandisce i ritmi costruttivi e l’assetto morfologico di crescita dell’opera muraria.

«Il muro in opus quadratum, sia isodomo che pseudoisodomo, – avverte Antonino Giuffré – è definito in modo preciso. Il taglio parallelepipedo delle pietre, le loro dimensioni, la loro posizione nel muro, sono regole non modificabili. Il compito del costruttore consiste nel precisare questi dati con riferimento alla geometria complessiva dell’opera e poi rispettarli con scrupolo. (…)
Le pietre del muro medioevale e moderno sono ben altra cosa, non partecipano al disegno complessivo come i conci pentagonali degli archi del Colosseo, e non richiedono difficili operazioni di stereotomia per essere tagliate e collocate, come i conci degli acrobatici intrecci di nervature nelle strutture gotiche. Il muro di pietra grezza non è progettato dall’architetto assieme all’opera architettonica, ma è formulato, pietra dopo pietra, dal muratore la cui cultura, pur digiuna di geometria, procede sul filo di una logica organica.
Prima di mettersi al lavoro egli osserva il mucchio delle pietre con le quali dovrà lavorare e ne fissa in mente le forme e le dimensioni: quella piatta, quella oblunga, quella informe. E in cima al muro realizza la sua opera di incastro, richiamando per ogni figura in muratura che la posa gli propone la controforma positiva che aveva scorto nel mucchio; e compone il suo discorso alternando la pietra posta “di fianco” a quella sovrapposta di “punta”, colmando un vano irregolare con il pezzo lasciato in disparte in attesa della sua occasione, recuperando il piano con i frammenti e il tegolozzo.
Il muro cresce tanto più compatto e ordinato quanto più il muratore è padrone della sua arte; arte di esprimere con elementi rozzi ma vari il discorso del monolitismo e dell’orizzontalità che è requisito fondamentale di una corretta muratura».
1

Gli aspetti sinora evidenziati rappresentano alcuni dei caratteri generali dell’opera rustica. Risulta di qualche interesse – a questo punto – avvicinarsi maggiormente ai diversi tipi di muri irregolari per segnalare peculiarità e regole specifiche di costruzione portatrici nel loro insieme di espressioni architettoniche distinte.

Alfonso Acocella

Note:
* Il saggio è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624.
1 Antonino Giuffré, “La regola d’arte” p.27, in Lettura sulla meccanica delle murature storiche, Roma, Edizioni Kappa, 1991, pp.86.

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12 Giugno 2012

English

Contemporary irregular masonry*

Versione italiana


House in Cene (1993-95) designed by Antonio Citterio e Terry Dwan

On numerous occasions we have wondered about the utility of analysing ancient walls in terms of their significance for contemporary architecture. We have asked ourselves this question prior to any further discussion of present-day masonry walls in order to try and understand the potential importance of stone materials currently available to architects: during the first part of the present chapter, we began by discussing the architectural role of stone in expressing the masonry “formulae” invented by the inhabitants of the ancient world, so as to be able to link this up to, and compare it with, the use of stone in contemporary architecture, without wishing to present a purely nostalgic account, while at the same time attempting to conserve the meaning, and the technical and architectural characteristics, of the original forms of masonry wall.
The constituent elements of stone can hardly be considered to have changed in recent times; indeed, as Nietzsche claims in his work ‘Human, all-too-human’: “Stone is more stone-like than it was before”. Stone reappears in a never-ending present, recognisable as, and identical to, its past form; stone that awaits, today like in the past, to be interpreted, utilised and valorised for what it is.
In an age in which materials seem to lose their very consistency, are made thinner and lighter than ever – sometimes to the point where their very essence seems to be negated – the “stoniness of stone”, its material compactness and heaviness, still gives it a meaning which may be taken for granted, but which in truth underlines the true essence and authentic quality of this precious material.
The underlying logic of building with stone, regardless of the specific initial geometrical configuration, remains that of the “heaping” and “linking” of the masonry: from the static point of view, the important thing is that the materials observe the tried and tested rules of “binding”, the result of centuries of building experience.
However, while the assembling and stratification of the material represents the “constructive essence”, there is always a need to interpret the methods by which walls are built, corners are created and masonry is arranged around openings; in other words, the techniques employed to create the configuration of the wall – that is, its “architectural essence”. The updating of contemporary masonry focuses more on this “architectural essence” than on any set of rigid rules (or, more realistically speaking, of rules to be abided by and passed on from generation to generation). In order to present a clear picture of contemporary wall design and construction, we are initially going to be examining the use of stone in its rough, unrefined state, in order to get an idea of the continuity and innovation witnessed from the ancient past to the present day. Sometimes the images of contemporary architecture will be used in this, the second section of the chapter on Stone Walls, to reinforce and give substance to our hypotheses – often illustrating what proves difficult to describe using mere words.


Court offices in Alba, Italy (1982-87) designed by Gabetti e Isola together with Guido Drocco

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Stone in its raw state, that is, as it is found in nature prior to being dressed and “refined”, has continued to be employed in architecture in the construction of what we may call irregular walls, where the stone elements (of varying shapes and sizes according to their natural state or after the very minimum of dressing) are not laid in regular horizontal courses, as they would be in the case of regular walls, but are matched and laid in the best possible way in order to create an “aggregate”, that is, an irregular composition with the fewest number of empty spaces.
The nature of walls is strongly influenced by the type of stone chosen (in terms of its mineralogical and geological characteristics). It is the nature of stone, rather than its working or its arrangement, that gives architectural specificity and figurativeness to the stratification of the wall, or rather, to the parietal aggregate (we believe this term to be the most appropriate expression for the technical system underlying irregular masonry walls).
Rough stone offers a variety of compositional options ungoverned by codified rules. The adjacency, touching and superimposition of the stones’ edges gives rise to indeterminate geometrical compositions, where the irregular stones (generally different from each other – with their own “personality”) form heterotopic structures characterised by stratification and reciprocal interconnection. This irregularity, this relative “instability”, explains the thickness of such walls, that is, their mass and depth which can be seen in doorways and in openings in general.


Morbegno Library (1965) designed by Luigi Caccia Dominioni

Irregular masonry “recounts” the story of the stone, of the geological characteristics of the place where the material used for construction originated from. In such cases, we find ourselves faced with the “generosity” of nature itself, with the variegated range of rough stones (either erratic or quarried), of boulders with perfectly parallel faces, or – in those areas crossed by rivers and streams – of large pebbles smoothed and rounded by the water’s action.
The rustic character of irregular masonry often displays patterns in which the material itself – the stone – expresses the architectural value of the construction, through the consistency of the stones themselves, their reciprocal interpenetration and their weaving an overall design.
The simplicity and naturalness of the connecting elements are what characterise, more than anything else, this extensive category of walls that despite being less elegant, are not without their own distinctive character and architectural vigour.
The fascinating character of poorer stone materials – often quarried or found locally, and thus strongly representative of the local landscape and history – is often transposed to these sober stone wall designs, and their intrinsic beauty is indeed difficult to describe. This is perhaps why architectural manuals and other written works seldom mention this kind of wall, generally relegating it to the margins of “minor” architecture, that is, of those spontaneous constructions present in hills and mountains rich in stone, or along rugged coastlines (albeit less frequently).
Of course, when analysing the salient characteristics of rough stone masonry, we need to go beyond the configuration of the stone itself and focus on its other aspects, and in particular on the implications of the stonemason’s skills and knowledge.
The vocabulary associated with irregular masonry walls – a variation on the Romans’ masonry opus, which in turn is sometimes derived from Greek tradition – is always that of the informal arrangement of rough stones, of the incision along the stones’ edges represented by the contrast with the mortar joints (the latter often being intentionally “gauged out” or protruding, so as to highlight their separateness from the wall itself).
The choice of shape of the stones employed, together with their constructive arrangement (and thus their architectural design), furthers interest in the figurative qualities of the rustic wall – this primitive, essential construction, with its homogeneity, heaviness and thickness.


Canoe store in Pontecuti (1993-95) designed by Francesco Cellini

The material force of the stones and their woven arrangement within the wall are accompanied by an additional factor of vital importance from the figurative point of view: the way the joints between the stones are designed, that is, the distance left between one stone and the next. This crucial feature, where wider gaps than normal are left, to underline the singularity of each stone, is more evident than in other types of masonry wall.
Moreover, the mortar may be laid so that it remains below the surface of the stones (giving an indented effect), or it may be applied in such a way as to protrude with respect to the edges of the stones, or it may even be laid flush to the surface of the stones (thus covering a part thereof). In other words, the mortar pointing can either be clearly evident, thus highlighting the network of joints (which can be further accentuated by the use of mortar of a different colour from that of the stone), or somewhat “hidden” in the deeper recesses of the wall (as when set back into the gaps between the stones), thus marking the negativity and depth of the joints themselves, and capturing the light and its accompanying shadows. When we decide to emphasise the expressive force of the joints, we automatically underline their latent intrusiveness as well; both relief and engraving detract from the natural force of the stone itself to a certain degree, and for this reason, mortar joints should not be overemphasised.
In the case of this rather singular type of masonry wall – unlike that of walls built from square ashlars with their regular geometrical design already established at the planning stage – the real protagonist is the person who physically lays the stones and thus builds the wall: the “master” mason, the one person responsible for the constructive rhythms and appearance of the finished wall.
As Antonio Giuffré reminds us:
The opus quadratum wall, be it isodomic or pseudisodomic, is defined in a precise manner. The parallelepiped cut of the stones, their size and position in the wall, constitute immutable rules. The builder’s task consists in deciding the overall geometry of the wall and then strictly observing the said rules. (…). The stones in a medieval or a contemporary wall are very different, however, as they are not part of an overall design as the pentagonal ashlars in the Coliseum’s arches are, and they do not need to be accurately dressed and arranged as did the ashlars in the acrobatic weave of Gothic structures. The rough stone wall is not designed by the architect together with the overall architectural design of the building, but is built, one stone at a time, by a mason who, although no surveyor or architect, expertly follows the coherent logic underlying this kind of construction.
Before beginning work, he carefully examines the pile of stones he has to work with, and tries to remember their shape and size: the flat ones, the oblong ones, the irregularly-shaped ones. As he proceeds to lay the stones, he inserts stones according to the requirements of those already laid, alternating stones laid on their sides with those laid upright, filling gaps with those smaller pieces set aside, and using small wedges and shards to lay irregular stones as level as possible.
The wall rises in a more compact, ordered manner, the more skilful the mason; the latter adapts rough stone elements in order to create a horizontally-oriented, single structure, which in turn represents the fundamental requisite for the construction of a proper wall.
1

Those aspects highlighted so far represent some of the general characteristics of the rustic wall. At this point, we may like to look closer at the various types of irregular wall.
Construction usually involves the laying of horizontal bands: first the external facing is laid, then the internal section of the wall is completed. Despite the informal character and irregular size of the various stones employed, such walls are not built without following any rules at all: on the contrary, such rules as exist have to be strictly observed, and in fact significantly influence the finished work.

Alfonso Acocella

Notes
* The re-edited essay has been taken out from the volume by Alfonso Acocella, Stone architecture. Ancient and modern constructive skills, Milano, Skira-Lucense, 2006, pp. 624.
1 Antonino Giuffré, “La regola d’arte”, in Lettura sulla meccanica delle murature storiche (Rome: Edizioni Kappa, 1991), p.27.

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7 Giugno 2012

Design litico

Drappi di pietra.
Rivestimenti lapidei sostenibili e leggeri come tessuti.

Lithos Design presso il Salone del Mobile, Milano, 2012
Lithos Design presso il Salone del Mobile, Milano, 2012

In occasione del Salone Internazionale del Mobile di Milano 2012, l’azienda vicentina Lithos Design ha presentato in anteprima la collezione Drappi di Pietra, una affascinante serie di rivestimenti lapidei modulari di nuova concezione progettati dal designer Raffaello Galiotto.
La collezione Drappi di Pietra è composta da cinque modelli le cui denominazioni richiamano il mondo dei tessuti per l’evidente analogia dei rivestimenti lapidei con le caratteristiche di leggerezza e di sinuosità delle stoffe.
Ogni tipologia è un progetto, un percorso a sè, di pura matericità, di effetti plurisensoriali, di luci e ombre, di forme e dimensioni che affiorano dalla lavorazione della materia litica.
Le perfette pieghe ottenute attraverso la sofisticata tecnica di lavorazione digitale e l’attento studio delle proprietà tecniche e espressive della pietra, conferiscono a questi rivestimenti modulari un’inedita aura di levità.


Lithos Design presso il Salone del Mobile, Milano, 2012

Drappi di Pietra rappresenta un progetto di design litico d’avanguardia perché consente di realizzare, a partire da un unico blocco, forme simili alle naturali ondulazioni dei tessuti riducendo al minimo gli scarti di lavorazione. La macchina legge e traduce il drappeggio, ogni taglio produce il negativo di un pezzo e il positivo del successivo: il risultato è un rivestimento dalle caratteristiche sorprendenti, un susseguirsi di pieghe, onde e increspature dall’originale leggerezza e fluidità estetica.

Un approfondito studio è stato inoltre dedicato al sistema di posa, per renderlo il più semplice possibile nonostante l’ingegnosa composizione dei modelli di rivestimento; questa metodologia ne incrementa, inoltre, le già ottime proprietà di isolamento termico.


Lithos Design presso il Salone del Mobile, Milano, 2012

L’eccellenza del progetto Drappi di Pietra rappresenta il nuovo climax della narrazione produttiva che Lithos Design ha intrapreso negli anni e che va a valorizzare le qualità e i valori della materia litica con impareggiabile sensibilità e competenza,  riformulandone i codici estetico-formali in chiave contemporanea.

In occasione del salone milanese Lithos Design ha inoltre presentato il volume “Raffaello Galiotto. Design digitale e materialità litica”, di Veronica Dal Buono, edito dalla casa editrice Librìa.
Il quinto volume della collana Lithos diretta da Alfonso Acocella e dedicata ad opere di design litico, narra il percorso progettuale svolto negli anni dal designer Raffaello Galiotto con l’Azienda vicentina.


Lithos Design presso il Salone del Mobile, Milano, 2012

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5 Giugno 2012

Design litico

Disegnare il Marmo, Carrara, 1986.
Progetti e prototipi di design per l’abitare

Aggiornata la Lithospedia Interior Design


Egidio Di Rosa, Pier Alessandro Giusti, studi grafici per fontane in pietra.
Carrara, Mostra Disegnare il marmo, 1986.

Tra il 28 maggio e il 2 giugno 1986 si tiene a Carrara la mostra “Disegnare il Marmo. L’abitare”, realizzata dall’Internazionale Marmi e Macchine di Carrara in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti locale e con l’ADI. L’iniziativa intende promuovere attività progettuali e produttive focalizzate su elementi di arredamento e componenti edilizi in pietra, così da sollecitare una domanda che trovi riscontro in una produzione di tipo industriale caratterizzata da connotazioni di elevata qualità formale.
L’evento espositivo crea infatti l’occasione per realizzare o perfezionare progetti e prototipi di oggetti litici legati a nuove funzioni e a nuove tecnologie di lavorazione: sezioni specifiche della mostra sono dedicate all’arredo domestico, al bagno, alla cucina, a terrazze e giardini, ai componenti edilizi. A partecipare, in un legame diretto con realtà produttive del comprensorio lapideo apuo-versiliese, sono designer come Angelo Mangiarotti, Aldo Pisani, Egidio Di Rosa e Pier Alessandro Giusti, De Pas-D’Urbino-Lomazzi, Pier Luigi Spadolini.


Angelo Mangiarotti, tavolo Asolo, produzione Skipper (poi Agape), dal 1981.

Mangiarotti presenta il tavolo Asolo in cui prosegue le ricerche sui giunti ad incastro per gravità già avviate negli anni ’70 con i tavoli delle serie Eros e Incas per Skipper: nella relazione del progetto scrive «Credo che il significato di un’iniziativa come quella dell’Internazionale Marmi e Macchine di Carrara vada ritrovato nella progettazione di un oggetto inconsueto, al di fuori della produzione di tanti altri operatori nel settore, sfruttando al massimo le possibilità del materiale e la tecnologia a disposizione per la sua lavorazione. Il progetto che viene proposto è infatti il risultato di studi sul materiale – in questo caso il granito – e sulle possibilità offerte dalle sue prestazioni-limite»1.
Il nome derivato dalla definizione “A solo” sottolinea l’eccezionalità di un progetto in cui a sostenere il grande piano litico non sono più robuste gambe troncoconiche o tronco piramidali come accadeva nelle serie di tavoli litici precedenti, ma lastre di forma lievemente trapezoidale, in un delicato assetto di equilibri che scaturisce dalla conoscenza profonda delle qualità fisiche e strutturali del materiale e da una corretta applicazione delle tecnologie.


Aldo Pisani, progetto per un tavolo in lastre di marmo.
Carrara, Mostra Disegnare il marmo, 1986.

Anche Aldo Pisani lavora sul tema della composizione di elementi sottili ed espone un tavolo con base centrale costituita da sette lastre lapidee, una lampada traslucida studiata in origine per Venini ed alcuni arredi in legno per il bagno con impiallacciature in marmo.
Egidio Di Rosa e Pier Alessandro Giusti, direttori artistici fino al 1984 del marchio di design litico Up & Up e attivi nella produzione di Memphis, approfondiscono la loro ricerca sulla progettazione di elementi scultorei quali fontane, vasche e sedute, tutte ottenute da masselli scavati con una macchina appositamente messa a punto dalle Officine Meccaniche Domenico Tongiani: si tratta di un filo sagomatore con supporto mobile che consente tagli in curva spaziale secondo generatrici coniche. Di Rosa e Giusti rielaborano così oggetti ed arredi in pietra tradizionali, fino a questo momento realizzati per la quasi totalità grazie al lavoro manuale di artigiani scalpellini.


Jonathan De Pas, Donato D’Urbino, Paolo Lomazzi, progetto per una collezione di caminetti componibili in pietra.
Carrara, Mostra Disegnare il marmo, 1986.

Per Jonathan De Pas, Donato D’Urbino e Paolo Lomazzi l’occasione della mostra di Carrara è utile per approfondire la loro ricerca sul tema del camino che da pura cornice decorativa diventa elemento funzionale ed estetico articolato, capace di instaurare un rapporto con lo spazio circostante e con l’utente. Già negli anni ’70 i tre designer elaborano camini in ceramica dove il volume del focolare è trattato come forma plastica complessa e fortemente tridimensionale, in cui il disegno delle piastrelle enfatizza la geometria della composizione2. Per “Disegnare il Marmo” i progettisti realizzano un sistema modulare di solidi elementari in pietre di vari colori che ogni cliente può comporre a suo piacimento. La base, l’architrave e la cappa diventano cubi, parallelepipedi e cilindri ispirati alle forme dei giochi di Fröbel, e il fronte del caminetto – pur essendo personalizzabile – si trasforma in oggetto industriale al pari del corpo del focolare in genere prefabbricato.
Il tema dell’industrializzazione dell’oggetto in pietra, che domina la mostra di Carrara, è ribadito anche nel progetto di Pierluigi Spadolini. L’architetto applica al marmo la logica progettuale sistemica e la ricerca sulla modularità aggregativa che caratterizzano la sua opera, ideando una seduta per esterni esposta nella sezione dedicata a terrazze e giardini. Gli elementi standardizzati della panca dai bordi smussati si arricchiscono di alcuni pezzi speciali “significativi”, di snodo o di testata, a formare un sistema complesso e flessibile con il quale è possibile ricavare ambiti e percorsi di svariate morfologie.


Pierluigi Spadolini, schizzi di una seduta componibile in marmo per esterni.
Carrara, Mostra Disegnare il marmo, 1986.

Da Mangiarotti a Pisani, da Di Rosa e Giusti a Spadolini, aldilà dei linguaggi le proposte della mostra di Carrara prefigurano nell’insieme le linee di sviluppo attuali del design litico, segnate da una concezione tecnologica certamente industriale dell’oggetto in pietra eppure pienamente calate negli scenari di personalizzazione del prodotto, propri di una riproduzione in piccola o piccolissima serie. I caratteri di tale fenomeno, significativo anche dal punto di vista economico non tanto per le dimensioni quantitative quanto piuttosto per i valori qualitativi, sono già delineati nelle parole scritte da Licisco Magagnato in occasione della terza Mostra Nazionale del Marmo del 1968 e citate da Pier Carlo Santini nella introduzione al catalogo di “Disegnare il Marmo”: «Dall’eventuale produzione dell’industrial design non sarà assorbito forse in nessun caso più del 5-10 per cento del marmo. Ma non è in questo campo, ripetiamo, la quantità che conta; l’importante è che sia creata un’immagine nuova del marmo, che lo riproponga all’attenzione di coloro che quasi più non lo conoscono, e perciò lo espungono dall’elenco dei materiali nel loro operare»3.
Così, se sono innovazione e qualità a contare più che mai per il design del marmo, la mostra del 1986 riconferma il suo valore nel presentare anche prototipi di tavoli in pietra di Marcel Breuer e Carlo Scarpa, i due maestri che già nel 1969 hanno firmato congiuntamente il tavolo litico Delfi per Simon. Per l’occasione infatti, grazie ad una collaborazione tra la Simongavina – depositaria dei disegni originali – e le aziende Henraux e Imeg, vengono eseguiti per la prima volta i raffinati progetti del tavolo Fiesole di Breuer e del tavolo Maser di Scarpa.
Collocata temporalmente in posizione baricentrica tra le prime esperienze del design litico contemporaneo di Officina e Forme 67 e le recenti iniziative di rilancio dell’industrial design applicato ai lapidei rappresentate dalle edizioni veronesi di Marmomacc Meets Design, la mostra “Disegnare il Marmo” del 1986 entra a pieno titolo nel novero delle rare occasioni in cui è stato possibile creare un laboratorio progettuale e sperimentale di alto livello, capace di unire in maniera proficua la vitalità creativa dei designer e quella operativa delle industrie del marmo.

di Davide Turrini

Note
1Angelo Mangiarotti, cit. in Disegnare il marmo. L’abitare, catalogo della mostra di Carrara 28 maggio-2 giugno 1986, Pisa, Pacini, 1986, p. 28;
2Si veda in proposito l’interessante camino in ceramica di De Pas-D’Urbino-Lomazzi pubblicato in Il vostro caminetto. Selezione di caminetti nell’arredamento rustico, moderno, in stile, Milano, Cavallotti, 1976, p. 108.
3Licisco Magagnato, cit. in Pier Carlo Santini, “Per un design del marmo”, p. 12, in Disegnare il marmo. L’abitare, op. cit. 1986.

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31 Maggio 2012

XfafX

Diébédo Francis Kéré

Nato a Gando, un piccolo paese del Burkina Faso, Diébédo Francis Kéré, in quanto primogenito del capotribù, ha la possibilità di accedere alla scuola. Dopo il diploma, riceve una borsa di studio per continuare la propria formazione in Germania nell’ambito dei programmi di aiuto tedeschi. Kéré – dopo l’apprendistato – studia Architettura a Berlino dove fonda lo studio Kéré Architecture e l’associazione no profit Schulbausteine Für Gando. Dopo l’Università torna nel suo paese di origine per mettere a servizio della sua gente la conoscenza acquisita. Il fulcro del suo lavoro verte sull’uso e sullo sviluppo di materiali locali e delle relative tecniche costruttive, sulla declinazione delle nuove tecnologie in maniera semplice e sullo svilluppo del potenziale della comunità locale. Oggi Diébédo Francis Kéré è un esperto di conservazione e sviluppo delle tecnologie tradizionali basate sull’uso dell’argilla. Per Kéré l’istruzione è il fondamento di ogni sviluppo sociale, tecnico ed economico. La prima opera, una Scuola Elementare nel suo villaggio d’origine, terminata nel 2001, riceve il premio Aga Khan Award for Architecture of Today. Successivamente l’edificio scolastico è stato completato con le residenze per gli insegnanti, con un ampliamento della scuola stessa e una biblioteca, progetti premiati con numerosi e importanti riconoscimenti come il BSI Swiss Architectural Award – giugno 2010 –, il Marcus Prize – giugno 2011 – e il Regional Holcim Award for Africa and Middle East nel settembre 2011.

Regesto selezionato dei progetti
– Scuola superiore, Gando, Burkina Faso, 2011
– Centro per le donne, Gando, Burkina Faso, 2010
– Biblioteca, Gando, Burkina Faso, 2010
– Esposizione permanente per il Red Crescent Museum, Ginevra, Svizzera, 2010
– Centro di educazione in collaborazione con DAZ e. V., Dapaong, Togo, 2010
– Opera village Remodoogo, laongo, Burkina Faso, 2009
– Fondazione Aga Kahn: Museo per l’architettura della Terra, Mopti, Mali, 2010
– Fondazione Aga Kahn: Parco Nazionale, Bamako, Mali, 2009-2010
– Ampliamento di una scuola, Gando, Burkina Faso, 2008
– Scuola superiore, Dano, Burkina Faso, 2007
– Centro congressi internazionale, Fuerteventura, Spagna, 2007 (concept)
– Prototipi di scuole in tre diverse fasce climatiche, Yemen, 2005 (concept)
– Residenze per docenti, Gando, Burkina Faso, 2004
– Scuola elementare, Gando, Burkina Faso, 2001

Regesto selezionato delle pubblicazioni
– Sustainable Design II – Towards a new Ethics for Architecture and the City, 2011
– Actes Sud / Editor: Marie-Helene Contal, Jana Revedin, 2011
– Moderators of Change – Architecture that helps / Editor: Andres Lepik, Hantje Cantz, 2011
– A+U, Diversified Solutions – A new beninning in architecture, 2011
– BSI Swiss Architectural Award 2010, a cura di Nicola Navone, Mendrisio Academy Press, Silvana Editoriale, Mendrisio-Milano, 2010
– Arquitectura Viva, VII-VIII, 2010
– Green Source Magazine. Buildings without borders, May-June 2010
– Topos. The International Review of Landscape Architecture and Urban Design, 2010
– Ecologik. Architecure, ville, 2009
– Harvard Design Magazine, Harvard University Graduate School of Design, 2008-2009
– African Architecture 2008. Digest
– The Phaidon Atlas of 21st Century World Architecture, Phaidon Verlag, New York, 2008
– Arquitectura Viva. Architectures for a Sustainable Planet, 2008
– Architecture of change / Editors: Kristin Feireiss, Lukas Feireiss, 2008
– Updating Germany, 100 Projekte fuer eine bessere Zukunft / Editors: Friedrich von Borries und Matthias Boettger, Raumtatik, Hantje Cantz, 2008
– Design Like You Give a Damn: Architectural Responses to Humanitarian Crises. Architecture for Humanity (Editor), Metropolis Books, Newyork, 2006

Regesto selezionato delle mostre
– BSI Swiss Architectural Award 2010, a cura di Nicola Navone, Mendrisio, Galleria dell’Accademia di architetura, 19 novembre 2010-30 gennaio 2011
– “Small scale, big change”, Museum of Modern Arts, New York, USA, 2011
– “12 Biennale di Architettura”, Padiglione Ruanda, IUAV, Venezia, Italia, 2010
– “The future has arrived”, Louisiana Museum of Modern Art, Copenhagen, Danimarca, 2009
– “Biennale Internazionale di Rotterdam”, Squat City, Rotterdam, Paesi Bassi, 2009
– “Afrika Baut Seine Zukunft”, Dipartimento per gli Affari Esteri, Berlino, Germania, 2008/2009
– “11 Biennale di Architettura”, Mostra e conferenza, Venezia, Italia, 2008
– “After Ward Ceremony”, Premio Aga Khan per l’Architettura, Ouaga, Burkina Faso, 2008
– “Architecture Richness and Poverty”, Parma, Italia, 2000

Selezione dei principali riconoscimenti
– Global Hocim Award (vincitore), 2012
– Regional Holcim Award for Africa and Middle East, Marocco (vincitore), 2011
– Premio Marcus, Milwakee, USA, 2011
– Premio Detail 2011, Premio speciale per la “Green Architecture”, Germania, 2011
– BSI Swiss Architectural Award, Mendrisio, Svizzera, 2010
– Membro del Royal Institute of British Architects (RIBA), Londra, UK, 2009
– Global Award for Sustainable Architecture, Parigi, Francia, 2009
– Premio Architettura Sostenibile (menzione d’onore), 2009
– Premio Zumtobel per l’Architettura Sostenibile (menzione d’onore), 2007
– Cavaliere di primo ordine nazionale, Burkina Faso, 2006
– Aga Kahn Award for Architecture, 2004

PROMOTORI XFAFX
Università degli Studi di Ferrara
Facoltà di Architettura di Ferrara


SOSTENITORI GENERALI XFAFX
AHEC American Hardwood Export Council
Casalgrande Padana
Il Casone
Lithos Design
Pibamarmi
Giuseppe Rivadossi
Viabizzuno

PATROCINI E COLLABORAZIONI XFAFX
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Regione Emilia Romagna / Provincia di Ferrara
Comune di Ferrara
ADI / SITdA / CNA
Ordini Architetti, Pianificatori Paesaggisti e Conservatori
Province di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Modena,
Piacenza, Ravenna, Reggio Emilia, Rimini, Rovigo, Verona

PARTNER XFAFX
Fassa Bortolo
Libria
Nardi
Sannini

MOSTRA PROMOSSA DA
BSI Architectural Foundation

ORGANIZZATA DA
Università degli Studi di Ferrara, Facoltà di Architettura
Archivio del Moderno dell’Accademia di Architettura, Università della Svizzera Italiana

NELL’AMBITO DI
XfafX Festival To design today

CON IL PATROCINIO DI
Accademia di Architettura, Università della Svizzera Italiana

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30 Maggio 2012

XfafX

Lectio magistralis Diébédo Francis Kéré
Mostra BSI Swiss Architectural Award 2010

Lectio magistralis
Diébédo Francis Kéré

Inaugurazione mostra
BSI Swiss Architectural Award 2010
4-17 giugno 2012

4 giugno 2012
Palazzo Tassoni Estense
Via della Ghiara 36, Ferrara

Programma

16,30 Introduzione
Alfonso Acocella
Facoltà di Architettura di Ferrara

16,45 Presentazione della mostra
Nicola Navone
Università della Svizzera Italiana

17,00 Presentazione critica lectio
Gabriele Lelli
Facoltà di Architettura di Ferrara

17,15 Lectio Magistralis
Bridging the gap
Diébédo Francis Kéré

Iscrizioni alla lectio magistralis: relazioniesternefaf@unife.it
(fino ad esaurimento posti)

La lectio sarà fruibile in livestreaming all’indirizzo:
http://web.unife.it/unifetv/xfafx.html


PROMOTORI XFAFX
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BSI Architectural Foundation

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Archivio del Moderno dell’Accademia di Architettura, Università della Svizzera Italiana

NELL’AMBITO DI
XfafX Festival To design today

CON IL PATROCINIO DI
Accademia di Architettura, Università della Svizzera Italiana

Scarica l’invito alla mostra e conferenza

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28 Maggio 2012

Design litico

Up & Up

Aggiornata la Lithospedia Interior Design con
le schede dei prodotti Up & Up


Michele De Lucchi, vaso Sholapur per Up & Up.

Le prime esperienze produttive di Up & Up iniziano alla fine degli anni ’60 del secolo scorso con l’apertura di uno showroom a Massa. Dal 1974 l’azienda viene iscritta alla Camera di Commercio ed inizia ad operare sistematicamente nella produzione di oggetti di design in pietra e in marmo grazie all’incontro tra Egidio Di Rosa e Pier Alessandro Giusti, due architetti di Massa che assumono la direzione artistica del marchio; con Di Rosa e Giusti lavora il tecnico Voltero Tonlorenzi, che trasferisce alla lavorazione dei materiali lapidei tecnologie e applicazioni avanzate mutuate dall’industria meccanica.
Rapidamente il numero dei progettisti che disegnano per Up & Up cresce, come anche le categorie oggettuali e le tipologie di arredi che l’azienda inizia ad esportare dapprima nei mercati europei (Belgio, Francia, Germania, Olanda) poi in quelli asiatici e americani. All’inizio degli anni ’80 le frequenti inserzioni pubblicitarie di Up & Up sulle riviste di design – tra cui spiccano quelle sulle pagine di Ottagono – mostrano vasi, orologi, specchiere, tavoli, consolles, sedute, scaffalature e vetrine firmati da designer quali Mario Bellini, Andrea Branzi, Achille Castiglioni, Michele De Lucchi, Alessandro Mendini, Aldo Rossi, Ettore Sottsass jr. a cui si aggiungono Sergio Asti, Giulio Lazzotti, Luca Scacchetti, Matteo Thun, Marco Zanini.


Ettore Sottsass jr., vaso Gaya per Up & Up.

Dal 1984 la direzione artistica dell’azienda passa ad Adolfo Natalini che per Up & Up firma nuovi arredi in marmo tra cui si ricordano i tavoli Sole & Luna, Apparata, Astra e i tavolini Curvangolo, Re, Regina e Anseatico.
Importanti sono le collaborazioni con i designer stranieri: Martin Bedin disegna per il marchio di Massa il vaso Piotr in Statuario Venato e Verde Alpi; Klaus Hacke i tavoli Hacke O e Hacke S; Kosey Shirotani i vasi e i portaoggetti Yudai e Masa.


Vasi, portaoggetti, orologi e specchiere della produzione Up & Up.
Clicca sull’immagine per ingrandirla

Nel corso degli anni ’80 la produzione si amplia recuperando e reinterpretando forme tradizionali dell’arredamento in pietra come fontane e camini: la Bocca della Verità di Castiglioni è la prima fontana ad essere realizzata ed è ben presto seguita dalla fontanella Martina di Branzi, dalla Colleoni di Thun e dall’Ondina di Ugo La Pietra; i camini sono di Asti, Natalini e Scacchetti.
Oggi la produzione di Up & Up è confluita nell’attività di Up Group e si è arricchita di nuove collezioni per l’ambiente bagno firmate da Marco Romanelli e Marta Laudani, Danilo Silvestrin, Marco Piva, Philippe Starck.


Mario Bellini, tavolo Colonnato per Up & Up.

L’esperienza di Up & Up è la più fertile ed eclatante in un panorama di ricerche sull’oggetto e l’arredo in pietra che si concentrano nell’area apuo-versiliese dalla fine degli anni ’60 per raggiungere la massima vitalità all’inizio degli anni ’80. In questo periodo, accanto al marchio guidato prima da Di Rosa e Giusti, poi da Natalini, operano infatti alcune altre realtà produttive che dopo una fase pioneristica e sperimentale iniziale si strutturano dal punto di vista progettuale e industriale per commercializzare marchi e cataloghi di oggetti litici sui mercati mondiali. Si tratta di Fucina (1973) di Nilo Pasini con pezzi firmati principalmente da Angelo Mangiarotti e Renato Polidori; di Ultima Edizione (1986) per cui disegnano Di Rosa e Giusti, Sottsass, Gregotti Associati, Aldo Cibic; di Primapietra (1989) per cui Aldo Pisani studia arredi e complementi ottenuti con varie configurazioni e assemblaggi di lastre di marmo.


Giulio Lazzotti, tavolo Grata per Up & Up.

Nel contesto che si consolida tra Carrara, Massa e Pietrasanta per tutti gli anni ’80 il design litico si arricchisce in modo sistematico e diffuso degli apporti creativi di progettisti di rilievo nazionale e internazionale, divenendo anche protagonista di sperimentazioni svincolate da mere finalità funzionali. I risultati di tali processi – imprescindibili per gli sviluppi contemporanei dell’oggetto in pietra – sono notevoli in termini di rinnovamento tipologico e formale declinato in un’ampia scelta di pietre e marmi policromi e ottenuto applicando tecnologie di taglio, tornitura, intarsio e assemblaggio fino a questo momento inedite nel settore della lavorazione industriale dei lapidei.

di Davide Turrini

Su Up & Up si rimanda a:
Carlo Giumelli, “Up & Up”, pp. 95-96, scheda in Il marmo. Laboratori e presenze artistiche nel territorio apuo versiliese dal 1920 al 1990, a cura di Giovanna Uzzani, Montespertoli, Maschietto & Musolino, 1995, pp. 254;
Carlo Giumelli, “Up & Up e il rinnovamento tecnologico nella produzione del marmo”, pp. 402-405, scheda in Il primato della scultura. Il Novecento a Carrara e dintorni, a cura di Anna Vittoria Laghi, catalogo della X Biennale Internazionale Città di Carrara, Carrara 29 luglio – 29 settembre 2000, Montespertoli, Maschietto & Musolino, 2000, pp. 423.

Vai a: Up Group

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24 Maggio 2012

XfafX

Mario Zaffagnini alla Fondazione del Monte

In occasione del ventennale della Facoltà di Architettura di Ferrara e il quindicinale dalla scomparsa di uno dei suoi fondatori e docenti, la Fondazione del Monte ospiterà dal 1 al 30 giugno 2012 una mostra retrospettiva di Mario Zaffagnini (1936, 1996) che traccia per la prima volta e a tutto tondo la figura dell’architetto.
Realizzata in stretta collaborazione con la Facoltà di Architettura di Ferrara (XfafX, Centro A>E), e in particolare con la Fondazione Architetti Reggio Emilia, e con il patrocinio dell’Ordine degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Reggio Emilia e di quello di Bologna, la mostra inaugurerà giovedì 31 maggio 2012 alle ore 18.00 con una conferenza a cui interverranno, oltre al presidente della Fondazione Marco Cammelli, l’architetto e urbanista Pierluigi Cervellati, lo storico e critico di architettura Giuliano Gresleri, l’architetto e fotografo di architettura Raffaello Scatasta, i docenti del Dipartimento di Architettura di Ferrara Michele Ghirardelli, Andrea Rinaldi e Theo Zaffagnini. L’Ordine degli Architetti di Bologna sarà presente col Consigliere architetto Stefano Pantaleoni.
Non casuale la scelta di realizzare la mostra a Palazzo Senatorio Paltroni, sede della Fondazione del Monte di Bologna: agli inizi degli anni ’70, infatti, la allora Banca del Monte di Bologna e Ravenna incaricò proprio Mario Zaffagnini prima del progetto di riqualificazione di questa sede storica di Bologna in via delle Donzelle, quindi di quella di Ravenna in via Diaz.
Stimato professionista bolognese, già tra i fondatori del Gruppo Architetti Urbanisti Città Nuova, dopo una lunga e brillante carriera accademica nella “storica” Facoltà di Architettura di Firenze, il professor Zaffagnini, facendo tesoro della propria attività scientifica e didattica maturata a partire dalle prime esperienze con Adalberto Libera, quindi da quelle condotte a Firenze insieme all’amico Pierluigi Spadolini, ha portato a compimento – proprio nel suo ultimo periodo di attività scientifica a Ferrara – l’elaborazione concettuale di quello che potremmo oggi definire il suo lascito culturale, basato sul saldissimo convincimento che l’architettura, per essere di qualità, debba scaturire da processi culturali e creativi che sono la risposta più esauriente alle necessità dell’uomo.

Le cifre distintive dell’intero operato dell’architetto sono la coerenza, l’impegno assoluto, la tensione progettuale uniformemente portata al massimo, a tutte le scale dimensionali (da quella urbanistica al dettaglio esecutivo in scala 1 a 1). Risultati impensabili senza un rimando alla contemporanea attività teorica.
La struttura della mostra mira a dare conto dell’insieme dell’opera e del pensiero dell’architetto.
La prima sezione, infatti, presenta un repertorio cronologico sintetico della pratica professionale, dalle prime esperienze alle opere più importanti per ruolo e dimensione, che ancora oggi possono essere considerate esemplificative della capacità di Mario Zaffagnini di “fare scuola” attraverso il progetto.
A seguire, la seconda sezione – il cuore del percorso espositivo – documenta dettagliatamente i due restauri degli edifici di Bologna e Ravenna per la Banca del Monte. Qui, il tema progettuale contingente diventa occasione per allargare la riflessione a sfere metodologiche e culturali molto più ampie, che interrogano i rapporti tra conservazione e innovazione, tra estetica e tecnologia. Nei due interventi di via Delle Donzelle a Bologna e via Diaz a Ravenna sono particolarmente evidenti i temi di ricerca di una vita: la capacità dei tipi edilizi di rinnovarsi attraverso la storia trovando nuova vitalità per mezzo del progetto di architettura e il rapporto organico tra i tipi edilizi e il tessuto urbano.
In particolare, lo snodo distributivo fondamentale della scala sospesa in acciaio, cristallo e legno, che articola l’intero complesso, è un vero e proprio pezzo di alto design, emblematico della capacità del Progettista: il frutto di un elegante esercizio compositivo esaltato da una declinazione tecnologica di rara qualità esecutiva senza tempo.
La terza sezione, infine, illustra, con una selezione di esempi significativi di una produzione molto più estesa, l’attività scientifica e sperimentale: ricerche, concorsi, pubblicazioni.
Una serie di audiovisivi originali completano il profilo dello Studioso, dell’Architetto, dell’Uomo mediante il repertorio cronologico delle opere e pubblicazioni a cura di Michele Manzella e Theo Zaffagnini, il video “I maestri dell’Architettura e del design: Mario Zaffagnini” del regista Alberto Di Cintio (Unifi), e un prodotto audiovisivo originale creato per l’evento di Theo Zaffagnini e Margherita Bissoni dal titolo “La lunga strada verso la qualità urbana” da un testo di Mario Zaffagnini.

In occasione della conferenza legata all’inaugurazione sarà distribuito ai partecipanti un numero monografico della rivista “ARCHITETTARE” dal titolo “Mario Zaffagnini Architetto e Docente”, che la Fondazione Architetti Reggio Emilia, ha dedicato all’iniziativa grazie anche al supporto della Fondazione del Monte.
La mostra rimarrà aperta dall’1 al 30 giugno, dal lunedì al sabato, con orario 10.00-19.00 ed ingresso gratuito.

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