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18 Marzo 2013

English

Two experiences between three-dimensionality and thickness

Versione italiana

Materia Litica


Raffello Galiotto per Lithos Design, Materia Litica.

[photogallery]materia_litica_album[/photogallery]

‘Materia litica’ explores the theme, which is currently undergoing a powerful re-evaluation and linguistic updating, of extremely thick, self-supporting single material structures. It is a composite wall, a collection of blocks shaped according to the curved folds of the materials. The pre-set variations in size (a typical block is 70 cm high, with the same thickness, by 180 cm long – which may change according to the design) are enough to make up a coordinated assemblage of elements for walls, corners and openings, or architraves. ‘Folding’, this time, the whole composition, raising parallel or perpendicular walls creates a closed form that isolates the space – both inside and out – giving life to the architecture.
The concave and convex surfaces, the undulating walls that form a system of enclosing environments and turning towards external spaces, virtually bend, with neither beginning nor end, and make the space palpitate.
The stone blocks of ‘Materia Litica’, considered individually in their stereotomic precision, but also placed together in short sequences, always create an intelligible formal identity that is the prelude to the construction of a wall.


Materia Litica, sketches for configuration of the stone blocks

‘Materia Litica’ is the formal reinterpretation, made possible today, of the theme of the ‘stone block’ and of its combinatory syntax. It is a natural material that has been separated and can therefore be recomposed according to a precise design. From blocks of stone, using profilers which are specially designed to create these complex, special-moulded pieces, elements are obtained that are perfectly shaped on all sides, with no waste. The upper profile of the stone coincides with the lower one and, mirror-like, perfectly fits its replica. The form of the single element is designed so that there is no abrasion or consumption of material on any side, but only a clear, sinuous cut. The soft, flexible nature of the profile derives from the constraint that every block must produce its opposite and in relation to the plane and continuity of the wall and corner elements. With no wasted stone we can reduce costs and production times, moreover the blocks can also be reused, just like the stones of ancient buildings.

Drappi di Pietra


Raffello Galiotto for Lithos Design, Drappi di Pietra, Tulle

The ‘Drappi di Pietra’ collection reveals the designer’s reference to the ‘textile’ metaphor of architectural coverings even more explicitly. Folds develop and tangle on the surface. They multiply and conceal, complicate and amplify the effect of stone.
It is not the first time that marble has been artificially ‘folded’. The plastic movement begins with the design, prefiguring an imagined reality and becomes a trajectory, an extensive reality that occupies an amount of space and time between a beginning and an end. Thus the dynamic of the line models the concept of form.
If we return to the several ‘Baroques’ of history, like the folds of clothes that invade the whole surface of canvasses and like the puffs and drapery that emerge from the confines of frames in painting, similarly in sculpture the folds in marble textiles ensure that the body of the structure is not ‘frozen’, but develops in the space, yearning for something ‘other’.
From his ‘textile’ design of the stone surfaces in ‘Le Pietre Incise’, Galiotto has taken many steps, achieving plasticity through fundamental innovations in both the creative and productive process, submitting carving and cutting to a ‘morphogenetic’ will.
The designer imbues the six models in ‘Drappi’ with a planar extension. The sinuous, palpitating, composable stone drapery deliberately evokes the tactile and objective perception of fabric. In the production phase each element is produced in the block of stone by the perfect curves of the sheet above, in a series of layers that are repeated with absolute precision and are only different from each other in the intrinsically decorative nature of the natural material.
They are the products of industrial design, but they develop and enrich the value and unique features of stone, aided by the perfect quality of their construction and their undoubted durability over time. The aesthetic and expressive aspect, made possible by the intelligent and creative use of latest generation machines, now shows its potential to distance the product from the technicisms of engineering alone and from the dictates of mass produced objects, opening up, with radical innovation, new areas of expansion in the world of stone and design in the global market.
The ‘ornamentation’ created by industrial means, through the complex elaboration of non-plane forms, is achieved with the support of stone itself, not independently or separate from it. In Lithos Design’s modern workshop, the designer of forms, the creator of ‘decoration’ and the ‘operator’ of machines meet in a single figure, combining worlds that were, until now, considered separate.

Veronica Dal Buono

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12 Marzo 2013

Citazioni

Lo styling e la natura equivoca del disegno industriale


Natalie Du Pasquier, orologio da tavolo in alabastro colorato per Cooperativa Artieri Alabastro, 1985.

«Il concetto di “funzionalità”, a suo tempo considerato determinante per l’oggetto industrialmente prodotto, può essere sostituito da quello di semanticità: ossia che un oggetto, per essere funzionale nel vero senso della parola, dovrà rispondere oltre che alle esigenze pratiche, utilitarie, di adeguatezza ai caratteri del materiale usato e ai costi, ecc. anche alle esigenze semiotiche, di corrispondenza tra la forma dell’oggetto e il suo significato.
Ed è a questo punto che credo si possa utilmente introdurre una breve nota su quei casi in cui la semanticità dell’oggetto viene caricata di valori eccessivi che corrisponde al cosiddetto fenomeno dello styling […].
È proprio allo styling che si possono attribuire importanti trasformazioni nello “stile” di molti oggetti d’uso che oggi a distanza di anni sarebbe inconcepibile immaginare quali erano in precedenza: si pensi al passaggio dallo stile lineare e rettangolistico del primo razionalismo […] a quello aerodinamico e sinuoso del periodo dal 1930 al ’40. Una precisa e quasi inarrestabile evoluzione del gusto era stata resa possibile solo per l’intervento di una serie di “stilisti” che avevano applicato le loro ricette formali senza preoccuparsi più che tanto delle ragioni tecniche ad esse sottese.
[…] Potremo notare a questo proposito come assai spesso tali trasformazioni stilistiche vadano di pari passo con analoghe trasformazioni “simboliche”; ossia di quegli elementi simbolici che sono determinanti per sottolineare la funzione d’un dato prodotto. È spesso a seconda del valore di tale funzione simbolica che muta anche la linea costruttiva, per cui nel periodo in cui ebbe a predominare la aerodinamicità, si assistette al dilagare di questa persino sugli oggetti che non avevano nessuna ragione per essere considerati “dinamici” […].


Elio Di Franco, orologio da tavolo in alabastro per Comunità Montana Alta Val di Cecina, 1989.

Lo styling si potrebbe addirittura considerare come una forma di “arte popolare”, una sorta, cioè, di sottocategoria artistica il cui valore estetico è soltanto aleatorio ma la cui importanza nel rispondere alle esigenze delle masse è di primaria necessità.
[…] Il caso dello styling ci deve ammaestrare sopra la particolare natura equivoca del disegno industriale, la cui caratteristica è appunto quella di essere un anello di congiunzione tra il dominio dell’estetica e quello della produzione; tanto che non è possibile prescindere mai da un elemento pubblicitario e di allettamento commerciale anche là dove può sembrare più rigorosamente rispettato l’unico imperativo della funzione e della “buona forma”.
[…] Sarebbe difficile poter solleticare l’acquisto di nuova merce e di modelli nuovi, se non ci fosse un elemento estetico (di novità e piacevolezza) a potenziarlo. […] Quel desiderio di differenziazione, tipico d’ogni individuo umano, dallo stadio di selvaggio piumato a quello di nobile azzimato, a quello di borghese meccanizzato, non verrà comunque mai meno; il fatto di ricorrere a oggetti “diversi” non ancora posseduti da tutti o che comunque presentino delle particolarità tali da conferire al loro proprietario quella invidiabile preminenza che solo l’insolito, il nuovo, l’inedito sono in grado di conferire, difficilmente sarà estirpato da un’umanità, anche socialmente evoluta e non più classisticamente retriva».

Gillo Dorfles, Introduzione al disegno industriale, Torino, Einaudi, 2001, pp. 51-57, (I ed. 1963).

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7 Marzo 2013

Opere di Architettura

Antón García-Abril
Scuola di Alti Studi Musicali della Galizia Santiago de Compostela,
Spagna, 1999-2003

English version

Il Centro de Altos Estudios Musicales a Santiago si trova all’interno della Finca Vista Alegre, una delle più grandiaree verdi nei dintorni del centro storico. Definita come un parco universitario, Finca Vista Alegre ospita un complesso di edifici destinati alle attività accademiche e di ricerca: la Casa de Europa, il Centro de Estudios Avanzados, il centro universitario IDEGA e il Centro de Altos Estudios Musicales, dedicato ai corsi di perfezionamento per la formazione dei musicisti dell’Orchestra della Galizia.
Il programma di concorso prevedeva l’inserimento di un nuovo edificio in fianco a un padiglione già esistente, il Centro de Estudios Avanzados, costruito dall’architetto galiziano César Portela. Qui era richiesta la realizzazione di alcune aule per l’educazione musicale – con volumetria, altezza, posizione e materiali definiti – in un esercizio antimetrico rispetto all’esistente, di dimensioni e materiali simili.
La percezione dell’edificio da distanze differenti definisce livelli di lettura sovrapposti. Da lontano, l’edificio sembra sprofondare nel terreno. Esso aderisce, senza alcuna continuità, al tappeto verde che costituisce la superficie dell’area, ritagliando la sua figura in modo netto nello spazio del giardino, come una roccia con “volontà cubica”. Se invece lo osserviamo da una distanza media, si nota il bordo: il limite, che prima profilava una forma quasi perfetta, lascia spazio all’indefinitezza; appaiono così la traccia di una linea spezzata, che deforma gli spigoli, e una vibrazione superficiale di luce, materia e ombra che fissa un ritmo di sette parti.


Vista della facciata settentrionale e orientale

Ci avviciniamo ancora e la forma risulta rotta; i pezzi saltano, esprimendo la loro materialità abrasiva e definendo vuoti che ci forniscono la scala costruttiva dell’edificio. Incisioni di luce tagliano di sbieco la facciata e, percepite da lontano, trasformano il vuoto in un’ombra che parla di sottrazione di massa attraverso la luce nel paramento verticale, mentre le due grandi perforazioni risultano essere conseguenza diretta del grande volume interno.
La facciata granitica è costituita da pietre tagliate “sul lato contrario”, cercando il piano di “stereometria” naturale, che permette che il granito si rompa più facilmente. Si tratta di un sistema costruttivo che utilizza tecniche di trapanatura per rompere il blocco servendosi delle parti laterali, all’interno di un lavoro di re-impostazione del processo di rottura e taglio della pietra. In ciò vi è una ricerca dell’espressione costruttiva del materiale nel modo tramandato dalla storia, con riferimento alle antiche culture costruttive egizie e romane. Dal punto di vista funzionale, i requisiti acustici dei diversi ambienti sono stati determinanti per la definizione del disegno.


Vista notturna

Per questo gli spazi in cui le sollecitazioni acustiche erano maggiori sono stati disposti in un grande basamento sotterraneo in cemento, che dà forma all’attacco a terra dell’edificio e agli accessi e che regola le pendenze del terreno. In esso trovano spazio le aule più grandi (auditorium, elettro-acustica e percussioni), in grado di ospitare un grande numero di studenti e di spettatori occasionali.
I piani superiori sono ordinati “per corone” da percorrere lungo l’anello interno, le cui dimensioni e il cui carattere pubblico si riducono a mano a mano che si sale. L’ultimo piano è infatti destinato alle aule-studio e agli uffici dei docenti.
L’espressione dell’opera deriva dalla contrapposizione e dalla dualità, elementi che definiscono lo spazio nelle proporzioni, nel timbro e nei materiali fino a raggiungere la complessità. La distorsione, che si sovrappone all’armonia, evoca la purezza di entrambe le condizioni spaziali, provocando un’inquietudine in termini sia di materia sia di spazio. Fuori dai canoni, l’edificio intende sviluppare temi architettonici con una composizione e una geometria semplici, raccogliendo le risonanze spaziali dagli echi dei propri stessi limiti, rappresentati negli esterni dalla carballeira (il giardino), dall’acqua e dalla luce galiziana, e negli interni dai piani lapidei tagliati dall’esterno (o forse esplosi in quella direzione), tutti elementi che configurano lo spazio. Si è voluto realizzare un’architettura profondamente radicata nel contesto galiziano, basata sulle specificità culturali e ambientali, che segnano la memoria del luogo. È come se l’edificio fosse sempre stato lì. (A.G.A.)


Vista degli interni: il foyer al piano della caffetteria

Dati tecnici
Centro di Alti Studi Musicali della Galizia
Indirizzo
Rúa das Galeras Salvadas, Finca Vista Alegre,
Santiago de Compostela, Galizia, Spagna
Data di progettazione
1999-2000
Data di realizzazione
2000-2003
Data di inaugurazione
10 giugno 2004
Committente
Consorzio della Città di Santiago de Compostela, Galizia, Spagna
Progettazione
Antón García-Abril Ruiz, Madrid, Spagna
Progettazione tecnica e responsabile del cantiere
Javier Cuesta
Collaboratori
Ensamble Studio: Andrés Toledo, Arantxa Osés, Bernardo Angelini, Claudia Gans, Débora Mesa, Eduardo Martín Asunción, Guillermo Sevillano, Johannes Gramse, Nacho Marí
Impresa di costruzione
OHL Obrascón Huarte Lain S.A., Madrid, Spagna
Installazioni
Obradoiro Einxenieros
Materiale lapideo utilizzato
Granito di Mondariz, Galizia, Spagna
Fornitura e installazione della pietra
Granichan S.L., Salvaterra do Miño, Pontevedra, Spagna

Rieditazione tratta da Nuova estetica delle superfici, a cura di Vincenzo Pavan
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7 Marzo 2013

English

Antón García-Abril
High Musical Studies School of Galicia
Santiago de Compostela, Spain, 1999-2003

Versione italiana

The project of the Musical Studies Centre in Santiago de Compostela is located in the Vista Alegre plot of land, one of the most relevant green areas in the surroundings of the old quarter of Santiago. Described as a university park, the Vista Alegre plot of land hosts a group of buildings link to activities related to academic and research practices. Here it’s possible to find the House of Europe, the Advanced Studies Centre, the IDEGA, an university research centre, and the Centre for Musical Studies, dedicated to postgraduate studies for musical improvement, intended for the training of the Galician Orchestra musicians.
The proposal has its origins in a competition asking for the insertion of a pavilion which program demanded the development of classrooms for the education of music, with defined volumetry, highness, occupation and materials, in a non-symmetric exercise, as it’s set against the pavilion built by Galician architect César Portela, made of the same materials and similar dimensions.
The perception of the building at different scales defines levels of comprehension. From the distance, the building lets itself fall on the land. It sticks, without any continuity, to a carpet of green grass that makes up the surface of the plot of land, cutting out its silhouette in the space of the garden in a strong definitive way, like a rock with cubic will. If we look from a middle distance point, we gaze the border, the limit that before shaped an almost perfect form, leads to the lack of definition; the trace of a broken line appears, distorting edges, and a superficial vibration of light, material and shadow fixed to a rhythm of seven parts. We move closer and the shape is broken; the pieces jump, expressing its abrasive materiality and defining holes which provide the constructive scales of the building, incisions of light that tear the facade that saw from the distance transform the hole into a shadow which talks about subtraction of mass by light in a vertical element, while the two big perforations are a direct result of the big interior volume.


Views of North and East façades

The masonry granite work of the façade it’s made of stones opened “on the contrary side”, searching for the spontaneous natural surface of “stereomity” which allows the granite to be ripped more easy.
It’s a constructive system that uses techniques of drill to break the piece of stone, using as well the border sides, but in the context of a reconsideration labour of the constructive process of opening and cut off the stone. There’s a search of the constructive expression of the stone, as we’ve learnt from the history, going back to Egypt and Rome. From the functional point of view, the acoustic requirements of the different rooms where determinant on the design.


Nocturnal view

This is the reason why the spaces which require bigger acoustic needs, are linked to a big buried concrete basement, which conforms the settling of the building, the accesses and regulates the slopes of the topography.
These are the bigger classrooms (auditorium, electro acoustic, percussion rooms), capable of hosting a large number of students and eventual audience. The upper floors are ordered “by wheels” walkeable by the inner ring and which size and public character decreases the higher they get. The upper floor is dedicated to study rooms and teachers’ offices. The expression of the project comes from the contraposition and duality, that in the scale, the timbre and its materials, build the space reaching complexity. The distortion, superimposed to the harmony, evokes the purity of both spatial conditions bringing about interest both in material and spatial terms. Beyond canons, the building wants to develop architectonic concepts within a simple composition and geometry, taking in the spatial resonance from the echoes of its limits, that in the outside are represented by the carballeira, the garden, the water and the Galician light, and in the interior the stone surfaces cut from the outside (or maybe they exploit from the confrontation with it), and configure the space.
The aims on the project are a deeply rooted to Galicia architecture, considering its cultural and atmosphere particularities, emphasizing the memory of the place.
It seems that the building was always there. (A.G.A.)


Interiors views: the atrium in cafeteria level

Technical details
High Musical Studies Center of Galicia
Project Address
Rúa das Galeras Salvadas, Finca Vista Alegre, Santiago de Compostela, Galicia, Spain
Design period
1999-2000
Construction period
2000-2003
Opening date
June 10th 2004
Client/Promoter
City Consortia of Santiago de Compostela, Galicia, Spain
Architect
Antón García-Abril Ruiz, Madrid, Spain
Technical Architect and construction management
Javier Cuesta
Collaborators
Ensamble Studio: Andrés Toledo, Arantxa Osés, Bernardo Angelini, Claudia Gans, Débora Mesa, Eduardo Martín Asunción, Guillermo Sevillano, Johannes Gramse, Nacho Marí
General contractor
OHL Obrascón Huarte Lain S.A., Madrid, Spain
Installations
Obradoiro Einxenieros
Stone material employed
Mondariz Granite, Galicia, Spain
Stone supplier and placement
Granichan S.L., Salvaterra do Miño, Pontevedra, Spain

Taken from New surface aesthetics by Vincenzo Pavan
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4 Marzo 2013

Design litico

La piega e la forma*

English version


Raffello Galiotto per Lithos Design, Muri di Pietra, Graffio, Traccia, Onda.

Ad un primo sguardo privo della visione d’insieme, potrebbe sembrare che gli artefatti in pietra realizzati per Lithos Design siano frutto d’ispirazione istantanea, dono di eccezionali momenti creativi; contro ogni apparenza sono essi invece risultato di una lunga “sedimentazione interiore”, esito di un lavoro costante, in parte semi-conscio, mosso dalla fiduciosa apertura del designer verso la visionarietà del nuovo, dell’inesplorato.
Se osserviamo l’estensione d’insieme delle sue creazioni di design litico, un carattere permanente, una intrigante ricorrenza può imporsi ai nostri occhi: la “piega” che si rincorre “sopra” e “dentro” la materia.
Ci sentiamo di affermare che Raffaello Galiotto abbia alimentato il suo tragitto creativo attraverso il segno della “piega”, non solo come evento formale ma come complesso e preciso concetto produttivo.
Nell’incidere, tagliare, modellare la superficie (o l’intero blocco di pietra), rende piega la materia litica stessa, energia in tensione, in orientata e conformante torsione.
La superficie del materiale modellata dalle azioni trasformative, ne risulta connotata come “evento”, luogo del manifestarsi di un atto progettuale e processuale: il segno geometrico su di essa si mette in “movimento”, come spinto da forze plastiche ed elastiche che la luce rivela e fa vibrare. È la piega a determinare la forma e la profondità sfuggente e sottile della pietra che può esporsi con ironia mimetica giocando a scolpire e levigare, coprire e scoprire, celare e svelare se stessa, innescando inedite figure dove bidimensionalità e tridimensionalità si alternano e, a volte, si sovrappongono e si confondono tra luci e ombre in un dinamico chiaroscuro.
Le analogie si moltiplicano. La piega è per definizione la parte di una superficie, il punto in cui si interrompe l’andamento rettilineo e si forma un angolo più o meno ampio. Semplice è ciò che produce una piega sola (dall’avverbio semel, una sola volta); complesso all’opposto ciò che ne somma molte. Decine sono i composti, i derivati verbali, letterali e figurati, dell’atto del “piegare”, dal latino plicare e splicare, a partire da di-spiegare, eliminare le pieghe, applicare, complicare, replicare, duplicare, amplificare… molti di essi sono legati al senso traslato di intrecciare la materia o più materie, creando qualcosa comunque di connesso insieme, di “implicato”.
La piega è anche carattere senza tempo della materia litica; in geologia è la deformazione duttile, plastica e priva di rotture delle masse rocciose stratificate che giacciono originariamente orizzontali nel profondo della terra, capace di infondere alla roccia la forma di piega molto prima che sia l’uomo a trasformarla.


Raffello Galiotto per Lithos Design, Muri di Pietra, Traccia.

[photogallery]galiottomuri1_album[/photogallery]

Raffaello Galiotto progetta la superficie del materiale con la consapevolezza di quanto essa influenzi la nostra percezione e si identifichi con il principio di senso, riconoscibilità, identità, rappresentatività di ogni forma. La sua idea di modellazione è una sperimentazione costante e continua, non un punto d’arrivo definitivo ma un mutamento verso la potenziale forma successiva.
L’ininterrotto percorso creativo, reso possibile soltanto dal know-how tecnologico della giovane azienda vicentina che lo accompagna, ha raggiunto nell’ultimo anno due approdi di singolare valore, sia pur tappe sicuramente temporanee nella sua inarrestabile produzione.
Superata la complessità replicativa della collezione “Muri di Pietra”, la ricerca su artefatti in forte spessore prosegue ed è approfondita nel progetto dal titolo archetipico – perché proprio alle origini vuole guardare – di “Materia Litica”. Su un diverso fronte sperimentale la linea morbida, adottata come profilo dei conci monomaterici, si trasforma nella plastica tessilità degli elementi della collezione “Drappi di Pietra”.
Entrambi i sistemi – trattasi infatti di sistemi costruttivi completi e non di rivestimenti – mirano a realizzare uno spazio totalizzante e plurisensoriale, permettendo una forte caratterizzazione dell’ambiente costruito, fisica e psicologica. Attraverso la scelta del materiale litico, la composizione strutturale degli elementi consente di entrare nello spazio e viverlo come esperienza di “design totale”.
Spingendosi nella dimensione dell’abitare lo spazio con complicità del corpo, le creazioni di Galiotto tendono a produrre esperienza sensoriale, accogliendo diversità, originalità e sorpresa, caratteri in forte analogia con l’espressione che potremmo dire del “barocco”.
Lontani dall’evocare tale definizione come etichetta, quale ritorno ad uno “stile”, vogliamo piuttosto cogliere l’analogia con taluni aspetti di un sistema di figuratività e di gusto e afferrare come la ricchezza formale, il virtuosismo, la capacità di cogliere e accogliere modi, decori, ricchezze e frammenti formali dal passato (che sopravvivono al fluire del tempo), quella di giocare con gli effetti chiaroscurali della luce sulle forme, possano ritrovarsi a dialogare con noi, coesistere nella fusion ibridatoria e onnivora del contemporaneo.


Raffello Galiotto per Lithos Design, Muri di Pietra, Onda.

[photogallery]galiottomuri2_album[/photogallery]

Per tornare al valore “plastico-tridimensionale” della piega, ricorriamo al pensiero di Gilles Deleuze, filosofo acuto e originale, che ne precisa il concetto nell’omonimo scritto1, sulla base dell’interpretazione filosofica di un altro pensatore – non casualmente di età barocca –, Leibniz. Il Barocco, secondo Deleuze, curva e ricurva le pieghe e soprattutto (benché le pieghe non siano certo una novità in quanto esistono da sempre nella storia figurativa) le “porta all’infinito”. Riconducendo alla piega l’essenza del “barocco”, Deleuze giunge a scoprire come tale carattere travalichi i confini temporali e sia costante, “piega su piega”, anche del presente. In Deleuze la “piega” è una metafora, è il costruirsi dell’anima e della coscienza contemporanea.
Nell’infinito riprodursi delle pieghe, nel loro incessante stratificarsi che produce composizioni visive, rapporti geometrici, “accordi”, possiamo rintracciare l’analogia con la visione non-convenzionale del design litico di Lithos Design.
Nelle collezioni realizzate con Raffaello Galiotto la linea grafica e geometrizzante che configura i profili guarda, si confronta, con le tante pieghe già esistenti nella storia delle arti figurative – quelle greche, romane, classiche –, quelle più semplicemente dei tessuti, quelle contemporanee rese possibili dalla progettazione assistita da software, e attraverso di esse increspa, curva, va a ripiegare la materia litica.
È nell’incontro con la risorsa rocciosa che si aziona poi l’incantesimo.


Raffello Galiotto per Lithos Design, Muri di Pietra, Biblos.

Nella transizione dalla bidimensionalità del disegno alla terza dimensione della realtà fisico-materica, la piega può replicarsi più volte, molti-plicarsi (anche in questo verbo l’etimo di “piega”) e, serializzata grazie alla tecnologia delle macchine a controllo numerico, comporre una iterazione di sé potenzialmente senza fine.
L’utensile meccanico, attraverso la piega, rende possibile l’estensione infinita della decorazione, la combinabilità iterativa e continua degli elementi, secondo una vocazione della materia sofisticata, “bizantina”; un’attitudine ad implicarsi in intrecci privi di confini, rivolti verso l’infinito, o forse verso l’indefinito. Oltre ai riferimenti diretti alle forme della cultura occidentale, l’ornamentazione delle superfici di Galiotto conduce lo spettatore a provare un’esperienza simile a quella dove le figure si ripetono identiche a sé stesse – come nella tradizione aniconica dell’Oriente – e si offrono ad una fruizione contemplativa, immobile, posta ad alimentare un’esperienza di interiorizzazione.

Veronica Dal Buono

Vai al saggio precedente

Nota
1 Gilles Deleuze, La piega. Leibniz e il Barocco, Torino, Einaudi, 1988, pp. 228 (ed. or. Le pli. Leibniz et le Baroque, Paris, Les Éditions de Minuit, 1988).

* Il presente saggio è tratto dal volume Veronica Dal Buono, Raffaello Galiotto. Design digitale e materialità litica, Melfi, Librìa, 2012.
Sempre su Architetturadipietra.it, verrà ri-editato l’intero volume in forma progressiva nel corso delle prossime settimane.

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4 Marzo 2013

English

Fold and Form*

Versione italiana


Raffello Galiotto for Lithos Design, Muri di Pietra, Graffio, Traccia, Onda.

At first glance, without a vision of the whole, it may seem that the stone artefacts created for Lithos Design are the result of instantaneous inspiration, the gift of exceptional moments of creativity. However, contrary to appearances, they are the result of a long ‘interior subsidence’, the result of constant and, in part, semi-conscious work inspired by the designer’s confident willingness to embody the visionary nature of the new and unexplored.
If we observe the extension of all his creations in stone design, we note a permanent feature, an intriguing recurrence: the ‘fold’ that occurs both ‘above’ and ‘inside’ the material.
We think we can state that Raffaello Galiotto enhanced his creative path with the sign of the ‘fold’, not only as a formal event, but also as a complex and precise productive concept.
In carving, cutting and modelling the surface (or a whole block of stone) he folds the stone itself, creating energy in tension in an orientated, structural torsion.
The surface of the material shaped by transformation has the connotations of an ‘event’, which reveals the act of design and its processes. Its geometric feature gets ‘moving’, as if powered by plastic and elastic forces that are revealed and vibrate in the light. The fold determines the form and the fleeting and subtle depth of the stone, which can thus expose itself with mimetic irony, in an interplay of sculpting and smoothing, covering and uncovering, hiding and revealing itself, producing new shapes of alternating two and three dimensions which, at times, overlap and combine in the light and shade of a dynamic chiaroscuro.
Analogies multiply. A fold is, by definition, part of a surface, the point at which its straight direction is interrupted to form a more or less wide angle. Those things that produce one single fold are defined as simple (from the adverb semel, meaning once); while, on the other hand, those things which produce many are complicated. There are many composites and literal and figurative verbal derivatives of the act of ‘folding’, from the Latin, plicare and splicare, like unfolding, eliminating folds, applying, complicating, replicating, duplicating and amplifying. Many of these are linked to the translated sense of weaving a material or several materials, creating something interconnected or ‘implicated’.
A fold is also a timeless feature of stone. In geology, it is a malleable deformation that is plastic and uninterrupted in stratified rocky masses that originally lie horizontally in the depths of the earth, where the rock is imbued with a fold long before the hand of man can transform it.


Raffello Galiotto for Lithos Design, Muri di Pietra, Traccia.

[photogallery]galiottomuri1_album[/photogallery]

Raffaello Galiotto designs the surface of the material with an awareness of how much it influences our perception and identifies with the principle of sense, recognisability, identity and the representational nature of all forms. His idea of shaping is a constant and continuous experiment, not a definitive point of arrival, but a change into the next potential form.
The uninterrupted creative path, which is only rendered possible by the technological know-how of this young company from Vicenza that works with him, has resulted in two collections of particular value over the last year, although these are surely only temporary stages in its unstoppable production. After the repetitive complexity of the ‘Muri di Pietra’ collection, research into artefacts with a great deal of depth continued and was explored in more detail in the project with an archetypal name – because its very aim is to look to the origins – ‘Materia Litica’. On a different experimental front, the soft lines adopted as the profile of single material blocks of stone, are transformed into the plastic, textile nature of the elements in the ‘Drappi di Pietra’ collections.
Both systems (as they are complete constructive systems and not coverings) aim to create an all-consuming and multisensory space, allowing a strong physical and psychological characterisation of the constructed environment. Through the choice of stone, the structural composition of the elements lets one enter the space and experience it as ‘total design’.
Moving into the dimension of experiencing the space with the complicity of the body, Galiotto’s creations tend to produce a sensory experience that includes diversity, originality and surprise: features that have a strong analogy with the expression of what we could call ‘baroque’.
Far from evoking this definition as a label or a return to a ‘style’, we want to recognise the analogy with some aspects of a system of representation and taste, and capture how the formal richness, virtuosity and ability to identify and include fashions, decoration, rich details and formal fragments of the past (which survive the ebb and flow of time) – that of playing with the chiaroscuro effects of light on form – can create a dialogue with us, coexisting in the hybrid and omnivorous fusion of the contemporary.


Raffello Galiotto for Lithos Design, Muri di Pietra, Onda.

[photogallery]galiottomuri2_album[/photogallery]

To return to the ‘plastic-three dimensional’ value of the fold, we will apply the thoughts of Gilles Deleuze, a perspicacious and original philosopher, who defines the concept in his work of the same name1, based on the philosophical interpretation of another thinker (not by chance from the Baroque era), Leibniz. Baroque, according to Deleuze, curves and bends folds and, especially, (although folds are certainly not a new feature and have always existed in the history of representation) “takes them to infinity”. Finding in the fold the essence of Baroque, Deleuze reveals how this feature overcomes the boundaries of time and is a constant “fold upon fold”, even in the present day. For Deleuze a ‘fold’ is a metaphor: it is the formation of the soul and of modern conscience.
In the endless reproduction of folds, in their incessant stratification, which produces visual compositions, geometric relationships and ‘agreements’, we can see an analogy with Lithos Design’s unconventional vision of stone design.
In the collections produced with Raffaello Galiotto the graphic and geometric lines that make up the profiles contrast with the many folds that already exist in the history of figurative arts – Greek, Roman and Classical – those of fabrics and of modern day works, made possible by computer-assisted design which, as a result, crinkles, curves and folds stone.
This meeting with the rocky resource creates the magic spell.


Raffello Galiotto for Lithos Design, Muri di Pietra, Biblos.

In the transition of the two-dimensionality of design to the third dimension of physical-material reality, a fold can be repeated many times, can multiply (this also comes from the etymology of ‘fold’ in Latin) and be produced in a series, thanks to numerically controlled machine technology, in a potentially endless iteration.
Through a fold, a mechanical tool makes the endless extension of decoration – the iterative and continual composability of elements – possible, with the sophisticated, ‘Byzantine’ vocation of the material; an aptitude to become implicated in an endless woven tapestry that projects towards the ‘infinite’, or perhaps the ‘indefinite’. As well as direct references to forms of Western culture, the ornamentation of Galiotto’s surfaces leads the spectator to experience something similar to that where figures are repeated in identical forms, as in the aniconic tradition of the East, and offer themselves for contemplative, immobile fruition, aimed at enhancing the experience of interiorisation.

Veronica Dal Buono

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Note
1 Gilles Deleuze, La piega. Leibniz e il Barocco, Torino, Einaudi, 1988, pp. 228 (or. ed. Le pli. Leibniz et le Baroque, Paris, Les Éditions de Minuit, 1988).

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26 Febbraio 2013

Design litico

Pietra Leccese per il design


Sedute e piani di appoggio in pietra leccese della collezione Li Cuezzi, design Luca Nichetto, produzione Decor Martena

Un piccolo laboratorio artigianale, nato nel 1989 dalla volontà dell’imprenditore Marco Martena, è oggi conosciuto a livello internazionale come una delle principali aziende leader nella lavorazione della pietra leccese e del marmo. La pietra leccese, materiale lapideo identificativo del territorio salentino, è stata posta al servizio dei nuovi linguaggi del design contemporaneo; la semplicità delle forme ottenute dalla sua lavorazione contraddistingue, al contempo, il legame con la tradizione e quello con la modernità che stanno alla base dei nuovi prodotti.
Da una prolungata esperienza aziendale nel settore del restauro architettonico, Decor Martena sviluppa una profonda conoscenza della pietra calcarea identificata nominalmente con il suo territorio di provenienza e di principale lavorazione. Una pietra che si è legata, fin dall’antichità, alla storia della città di Lecce e alla sua architettura barocca.
Decor Martena si avvicina alla lavorazione del lapideo per la realizzazione di nuovi prodotti avvalendosi di rinomati designer e artigiani, scalpellini e finitori, di straordinaria capacità, oltre che di macchinari all’avanguardia.


Lavabo in pietra leccese della collezione Più o Meno Infinito, design e produzione Decor Martena

Più o Meno Infinito, una collezione per l’ambiente bagno
Nella collezione “Più o Meno Infinito” l’azienda reinterpreta i tradizionali lavatoi in pietra del territorio salentino, le cosiddette “pile”, riproponendoli in chiave moderna. La nuova collezione, composta da una serie di lavabi in pietra leccese, è caratterizzata da un minimalismo formale giocato sugli elementi geometrici elementari – il cerchio, il quadrato e il rettangolo – definenti moduli combinabili in sequenze differenziate, e sull’originale diversificazione cromatica che dal color crema si sposta al bianco e al grigio. Il disegno della pietra, più o meno visibile a seconda del taglio, del colore e del concio lavorato, rende unico ciascun pezzo dove la superficie lapidea lasciata al grezzo e il taglio al vivo della pietra si uniscono ad una cura nella lavorazione del dettaglio che ne perfeziona la linea pulita.


Sedute e piani di appoggio in pietra leccese della collezione Li Cuezzi, design Luca Nichetto, produzione Decor Martena

Li Cuezzi, il “salotto” in pietra di Luca Nichetto
Dalle ricche lavorazioni barocche la pietra leccese si sposta quindi verso forme pure, come ci mostra anche il designer veneziano Luca Nichetto che progetta per Decor Martena la collezione “Li Cuezzi”, anch’essa basata sulla modularità dei componenti e sul minimalismo della loro forma.
Progettata in rappresentanza della Regione Puglia nell’ambito di Marmomacc Meets Design 2010, la collezione di Decor Martena vuole rappresentare l’evoluzione della pietra leccese nel panorama contemporaneo. Il tema dell’evento, “Irregolare-Eccezionale”, è lo spunto per un’originale proposta che di “irregolare” ha la forma della pietra naturale, quella stessa pietra che nel dialetto salentino è conosciuta proprio con il nome dato alla collezione, di “eccezionale” ha la sua lavorazione, in forme differenziate, a comporre un “salotto in pietra” fatto di sedute, schienali e piani di appoggio lapidei adatto sia ad ambienti interni che esterni.
L’analisi dell’azione alla quale risponde l’oggetto appartiene al processo progettuale che conduce alla definizione degli elementi lapidei formanti una composizione che evoca, in maniera quasi contraddittoria, morbidezza e relax attraverso la pietra. Ma è una pietra morbida e lavorabile, quella leccese, che ben si presta al rinnovamento delle sue forme più conosciute, alla levigatura della sua superficie ricca di affascinanti qualità tattili e a quella cultura progettuale capace di dare un valore aggiunto al prodotto finito.


Centrotavola in pietra leccese della collezione Sasso, designer Luciano Scippa, produzione Decor Martena

Luciano Scippa firma gli oggetti e gli arredi della collezione Sasso
La stretta collaborazione di Decor Martena con giovani designer del panorama contemporaneo dà vita anche alla collezione “Sasso”, progettata da Luciano Scippa nel 2011.
La pietra leccese è nuovamente protagonista di un laboratorio sperimentale che conduce alla realizzazione di una serie di oggetti di uso comune e complementi d’arredo. Anche in questo caso Decor Martena si fa portavoce dell’identità artigianale della regione Puglia al di fuori dei confini territoriali; il progetto “Artigianato e design di qualità negli USA”, promosso dal Ministero degli esteri ed ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane) con la partecipazione e il coordinamento di ARTEX, promuove questa nuova fusione tra il mondo delle aziende e quello della cultura progettuale.
Questa volta la pietra viene scolpita e modellata in una ricca collezione di centrotavola, tavoli, vasi, ciotole dalle forme essenziali ed eleganti che richiamano la forma dei sassi e delle loro cavità naturali.
Primitività e naturalità della pietra favoriscono anche in questo caso la cura di un design prodotto dall’ingegno e dalla mano dell’uomo nel rispetto delle forme e dell’identità della materia prima lavorata.

di Sara Benzi

Aggiornata la Lithospedia Interior Design con le collezioni in pietra leccese Decor Martena

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Decor Martena
Luca Nichetto

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21 Febbraio 2013

Design litico

Marmo Tecniche e Cultura, Milano, 1983.
Dibattito e ricerca tra arte, architettura e design


Angelo Mangiarotti, vaso in alabastro di Volterra, produzione Conexport, 1983

La mostra “Marmo Tecniche e Cultura” è ordinata da Giuliana Gramigna, Sergio Mazza e Pier Carlo Santini e si tiene all’Arengario di Milano nel dicembre del 1983.
L’evento, centrale per lo sviluppo del design litico italiano degli ultimi decenni del Novecento, ha l’obiettivo di richiamare l’attenzione del grande pubblico sulle qualità delle pietre e dei marmi e sui loro significati culturali; i curatori presentano una serie di opere declinate nei settori della scultura, dell’architettura e – soprattutto – del design di prodotto, proponendo molteplici tipologie di sperimentazioni tecniche e di temi formali e funzionali. L’auspicio ultimo della rassegna è quello di stimolare ulteriormente il dibattito e la ricerca inerente le evoluzioni produttive dei materiali lapidei.
Il percorso espositivo, e conseguentemente la trattazione del catalogo, si dipanano a partire dall’analisi dell’opera di artisti come Guerrini, Noguchi e Adam che vivono un rapporto stretto e diretto con la materia litica; vengono poi presentate sculture di Pietro Cascella, Gigi Guadagnucci, Francesco Somaini e Giò Pomodoro, realizzate tra gli anni ’70 e gli anni ’80 e rappresentative di diversi approcci espressivi ed operativi nei confronti della pietra e del marmo.
La sezione dedicata all’architettura presenta le realizzazioni litiche degli anni ’30 di Giovanni Muzio e Giuseppe Terragni, per approdare alle opere dei BBPR, di Gardella, Albini, Zanuso e Carlo Scarpa costruite tra l’immediato dopoguerra e i primi anni ’80.


Giulio Lazzotti, stoviglie Peanuts, marmo Bardiglio Imperiale e ardesia levigata, produzione Casigliani, 1981

Sculture e architetture vengono documentate sottolineando le peculiarità del rapporto tra artefice e macchina, tra materiali e lavorazioni più o meno seriali; individuando gradazioni di incidenza e dinamiche di interazione variabili tra artigianato e industria, ancora oggi valide per analizzare la fenomenologia del design litico1.
La parte preponderante dell’allestimento è dedicata al design e muove concettualmente dalla valorizzazione delle sperimentazioni degli anni ’60, lette come momento di avvio di un importante dibattito teorico-critico sulle possibilità di rinnovamento dell’oggetto o del mobile lapideo; tali esperienze portano a rilevanti ricadute in termini produttivi per tutti gli anni ’70, fino agli anni ’80 con i pezzi litici realizzati dai più importanti produttori dell’arredamento italiano come Knoll, Cassina, B&B e Danese e con le collezioni contrassegnate da veri e propri marchi dedicati del design in pietra come Skipper, Up & Up, Casigliani, Ultima Edizione e Primapietra.
Descrivendo questo fenomeno, nel saggio del catalogo dedicato al design, Pier Carlo Santini sottolinea la centralità dell’esperienza culturale e operativa di Officina, che nasce a Pietrasanta, ma si sviluppa in una prospettiva di contatti internazionali in cui si intrecciano diverse storie personali: quella di Erminio Cidonio – a capo della sede apuo-versiliese della multinazionale dei lapidei Henraux per tutti gli anni ’60 – e quelle di artisti, designer, galleristi e critici d’arte militanti come lo stesso Santini.


Gae Aulenti, dettaglio di Jumbo, tavolo in marmo prodotto da Knoll, 1964

Cidonio, promotore di una breve ma intensa stagione di sintesi tra sperimentazione progettuale e spirito imprenditoriale, invita al cantiere d’arte di Officina rappresentanti di ogni tendenza creativa, che operano nella più ampia libertà, utilizzando forme complesse e processi tecnologici inusuali, con l’obiettivo di rinnovare e riqualificare l’oggetto litico. La mostra collettiva Forme 67, che si tiene nel 1967 a Pietrasanta, è il risultato di tale attività.
Nel contesto che si delinea a partire dalle sperimentazioni di Officina prendono avvio singoli percorsi progettuali, più o meno fertili ma in ogni caso di importante valore, primi fra tutti quelli di Enzo Mari e Angelo Mangiarotti, ma anche di Mario Bellini, dei Castiglioni, di Gae Aulenti e Tobia Scarpa, che portano a consistenti risultati in termini di innovazione formale e tecnologica del prodotto in pietra e che rappresentano un riferimento metodologico e operativo ancora vivo per le ricerche presenti e future sul design dell’oggetto litico2.


Lodovico Acerbis e Giotto Stoppino, tavoli I Menhir con basi componibili in marmo e piani in cristallo, produzione Acerbis International, 1983

Così la mostra “Marmo Tecniche e Cultura” del 1983 dà conto in maniera esaustiva di un’articolazione complessa di percorsi progettuali e produzioni, presentando i vasi Paros di Enzo Mari per Danese; i vasi e le scatole in marmo di Angelo Mangiarotti per Horus (Skipper), come pure – dello stesso autore – le consistenti collezioni di oggetti in alabastro per Horus, Conexport e Società Cooperativa Artieri Alabastro.
Di Sergio Asti sono esposti i vasi e i contenitori in marmo per Up & Up e Knoll; inoltre i posacenere in marmo di Gianfranco Frattini per Henraux; le stoviglie in ardesia e bardiglio di Giulio Lazzotti per Casigliani; gli oggetti in alabastro della serie Batu di Enzo Mari per Danese.
Accanto agli oggetti d’uso è consistente la presenza di arredi e complementi: la lampada Biagio di Tobia Scarpa per Flos; i tavoli Eros e Incas di Mangiarotti per Fucina (Skipper); i tavoli Samo e Delfi di Carlo Scarpa e Marcel Breuer per Simon International; il tavolo Jumbo di Gae Aulenti per Knoll.
Di Mario Bellini il tavolo Colonnato per Cassina e il divano Grande Muraglia per B&B Italia; lo scaffale Biblos di Renato Polidori per Fucina; i tavoli Mega di Enrico Baleri per Knoll; il tavolo Metafora di Lella e Massimo Vignelli per Casigliani.
Per Mageia il tavolo Rotor 4 di Carlo Venosta e il tavolino Unipede di Giulio Lazzotti; la toilette Buñuel di Carlo Forcolini per De Padova; i tavolini I Menhir di Lodovico Acerbis e Giotto Stoppino per Acerbis International; il sistema di sedute Waiting System di Tecno.


Renato Polidori, libreria Biblos, marmo, produzione Fucina per Skipper, 1976

Gli elementi di design sono ottenuti con tecniche avanzate di taglio, fresatura, tornitura, incastro ed intarsio e valorizzano le qualità strutturali ed espressive di molteplici litotipi. Le categorie oggettuali e le morfologie sono numerose. L’orizzonte vasto e diversificato delineato dal percorso espositivo ricostruisce così, con efficacia, quella che i curatori definiscono come una “nuova cultura del marmo”, proiettata oltre il Moderno alla ricerca di un “umanesimo produttivo” alternativo rispetto ad una concezione livellante della standardizzazione, condizionata dall’inflessibile meccanismo costi-produzione-tecnologia. In questo modo la pietra diviene l’essenza materica attorno a cui si costruisce e si rinsalda un inedito connubio tra artigianato e industria, fatto di efficienza dei processi, di qualità dei prodotti e di risposte appropriate al «problema della corrispondenza di questa materia alle esigenze dei linguaggi contemporanei»3.

di Davide Turrini

Aggiornata la Lithospedia Interior Design con le schede di Marmo Tecniche e Cultura

Note
1 Sia nella prospettiva storica recente, sia nello scenario attuale, le categorie della replicazione artigianale, della serialità industriale e dell’artefatto multiplo sono fondamentali per analizzare opere e lavorazioni litiche. Per un approfondimento in merito si rimanda a Guido Ballo, La mano e la macchina. Dalla serialità artigianale ai multipli, Milano, Jabik & Colophon, 1976, pp. 271.
2 Sull’esperienza di Officina, su Erminio Cidonio a capo della Henraux e sulle conseguenti linee di sviluppo del design litico italiano dopo la metà degli anni ’60 del secolo scorso, si vedano: Anna Vittoria Laghi, “Cidonio, 1963-1965: cronaca di un’utopia” pp. 280-285 e Claudio Giumelli, “Pier Carlo Santini e il design del marmo” pp. 377-412, entrambi in Anna Vittoria Laghi (a cura di), Il primato della scultura. Il Novecento a Carrara e dintorni, catalogo della X Biennale Internazionale Città di Carrara, Carrara, Artout, 2000, pp. 423; si rimanda anche a Lara Conte, “L’Henraux: i progetti, i protagonisti (1956-1972)” pp. 36-49, in Costantino Paolicchi, Manuela Della Ducata (a cura di), Henraux dal 1821: progetto e materiali per un museo d’impresa, Pontedera, Bandecchi & Vivaldi, 2007, vol. II, pp. 87.
3 Pier Carlo Santini, “Il materiale marmo”, p. 23, in Marmo. Tecniche e cultura, catalogo della mostra, Milano, Promorama, 1983, pp. 103.

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18 Febbraio 2013

Opere Murarie

L’opera muraria a conci squadrati in Italia*

English version


Cava di pietra leccese a Cursi

Dopo aver evidenziato il riemergere, nella ricerca dei grandi architetti contemporanei, di un interesse all’uso della pietra ricondotta in forme regolari ci ha animato l’idea di rintracciare e di presentare una serie di opere italiane che potessero testimoniare, attraverso esempi concreti ed attuali, la permanenza dell’identico tema nel nostro Paese.
Lasciate alle spalle le conurbazioni metropolitane, le grandi città ci siamo rivolti a ricucire i dati, le notizie provenienti da aree territoriali molto particolari, soprattutto da quelle contrassegnate da una larga disponibilità di pietre tenere, non tanto per avallare o sollecitare tendenze localistiche quanto per saggiare se l’architettura contemporanea potesse essere qui riscoperta con i caratteri di continuità rispetto ad una tradizione fortemente radicata.
L’Italia centro-meridionale, in particolare, con le sue pietre e i tufi da costruzione (quei materiali che si trovano in grandi banchi e presentano la particolarità, appena tolti dalla cava, di tagliarsi molto facilmente), insieme ad altri ambiti territoriali più circoscritti, ci ha consegnato le aree privilegiate del Paese entro cui saggiare le permanenze all’uso dell’opera quadrata.
I conci per i muri (definiti anche, a seconda degli ambiti di tradizione, toccoli, tufelli, petrelle, bolognini, cunei ecc.) sono solitamente elementi di forma parallelepipeda a dimensione obbligata: la lunghezza, in genere, è maggiore della larghezza al fine di poter ottenere una base di appoggio regolare ed estesa. Ancora oggigiorno sono presenti sul mercato edilizio di numerose regioni italiane (Umbria, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia) blocchi squadrati di “tufo” lavorati a filo di sega. È la stessa consistenza e lavorabilità di queste particolari rocce tenere ad indirizzare la produzione di cava verso blocchi pareggiati e regolari, tali da consentire una loro facile e veloce posa in opera. Per quanto attiene alle dimensioni specifiche nel corso dei secoli si è passati dai grandi blocchi lapidei ad una progressiva riduzione dimensionale dei conci fino ai formati maneggevoli legati alle potenzialità di movimentazione manuale.
I formati, chiaramente, variano in relazione alle tradizioni regionali, se non addirittura locali. Ricorrente nella tradizione del centro Italia è il formato schiacciato – in forma di “quadrello” 30 x 40 x 13 cm (più raro il 40 x 40 x 13 cm – che può dar vita a spessori murari di 30 o 40 cm. È da evidenziare, inoltre, come in questo caso la dimensione del lato minore (13 cm) facilita la combinazione rispetto ai mattoni di laterizio nella formazione di murature listate. In Puglia, soprattutto in area salentina, esistono formati di pietra leccese e tufacea di diverse dimensioni.


Cantiere del Cimitero di Taviano

In genere le facce piane dei conci squadrati, che registrano una lavorazione accurata, consentono di ottenere fra i diversi blocchi una sovrapposizione e un accostamento laterale molto efficace e preciso. L’aspetto dei muri moderni in pietra squadrata che è dato rilevare girando per il Paese varia sensibilmente in relazione ad una serie di fattori, di cui i principali appaiono: lo specifico litotipo impiegato ed il relativo trattamento superficiale delle facce dei blocchi; il tipo di apparecchiatura (giocata sul diverso rapporto dimensionale dei singoli elementi e la disposizione geometrica di concatenamento), la modalità di esecuzione dei giunti di malta.
In epoca moderna e contemporanea nella realizzazione delle murature si è fatta intervenire la malta per connettere stabilmente i diversi blocchi lapidei e per ben ripartire i carichi su tutta la sezione resistente del muro. Grazie all’interposizione della malta non risulta necessario lavorare le facce dei conci con la precisione e la cura che è stata posta dagli antichi ottenendo una notevole economia nelle fasi di lavorazione della pietra.1
Prim’ancora delle opere d’architettura si sono dimostrate interessanti e suggestive – in questo progressivo avvicinamento a realtà geografiche poco note, poco documentate dalla letteratura – le visite dei luoghi di estrazione e di lavorazione delle pietre dove abbiamo raccolto, direttamente dagli addetti all’escavazione e dai lapicidi, le informazioni utili a comprendere la vita dei materiali litici, a poterne seguire le tappe dalla cava alla fabbrica, dalla natura all’artefatto.
Ci siamo avvicinati ed abbiamo pure “curiosato” fra i semilavorati e gli abbozzi di laboratorio, dove era possibile cogliere tracce di lavoro sulla pietra più elaborate, più sofisticate; segnali superstiti dell’antica tecnica stereotomica che abbiamo immaginato potesse di nuovo alimentare, oltre che i cantieri di restauro, anche quelli della nuova costruzione. D’altronde negli stessi anni in cui abbiamo svolto la nostra esplorazione è stata costruita la fabbrica di Renzo Piano per la nuova Aula liturgica di Padre Pio a San Giovanni Rotondo con i suoi grandiosi conci sagomati mostrandoci, attraverso un modello al vero, la possibilità di una nuova stagione della pietra utilizzata a fini strutturali.
Passare dalle cave ai laboratori, dai cantieri alle architetture ha significato per noi scoprire manufatti di pietra “orgogliosamente” eretti contro l’omologazione della prassi produttiva industriale. Queste architetture di pietra, scandendo il nostro viaggio come tappe territoriali, pur dando testimonianza d’incontri significativi annunciano sempre come sia il contesto, prima dell’opera, a conferire un senso, un valore all’artefatto che mai s’impone attraverso un protagonismo, un individualismo sottolineato, mostrandosi sempre attraverso i tratti familiari di materiali, di tecniche, di figure appartenenti, in qualche modo, ad una memoria diffusa, sedimentata.


Casa Baldi (1959-61) a Roma di Paolo Portoghesi

Abbiamo cercato di ricomporre una serie di architetture (spesso isolate, poste in una inspiegabile solitudine insediativa) indispensabili per sostenere un’ipotesi più generale di riabilitazione del magistero costruttivo di pietra, per farlo ritornare ad essere, in qualche modo, visibile, giudicabile ed anche utile per le nuove generazioni di progettisti. Le architetture che sottoponiamo al lettore non sono molto numerose, non rappresentano modelli o prototipi all’interno delle diverse realtà territoriali; esprimono, piuttosto, un valore di testimonianza rispetto a ciò che potrebbero ancora offrire certi materiali insieme ad un modo più comprensibile e radicato dell’architettura.
Queste opere – insieme a tutte le altre che presentiamo in questo capitolo – ci aiutano, alla fine. a prendere le distanze, con maggiore convinzione, da quella visione rinunciataria, deterministica, della cultura tecnica contemporanea nei confronti di materiali, di concezioni costruttive dotate di un legame evidente col passato, con le tradizioni dell’architettura.
Se solo con il nostro lavoro riuscissimo (avvicinando, dando visibilità ad opere poco note, spesso lontane geograficamente fra loro ma unite da una lingua comune) ad offrire un inedito punto di vista, uno scenario materico diverso rispetto al paesaggio indistinto della società globale saremmo già soddisfatti. Ci anima, in altri termini, dare testimonianza di un tentativo dove il confronto, più che essere rivolto alla ricerca dell’innovazione, tenda a gettare dei ponti rispetto all’architettura di sempre, di come è stata fino a poco tempo fa.
In opposizione alla visione omologante della produzione edilizia contemporanea, vorremmo avanzare un’ipotesi alternativa – se, ancora, è possibile, condividendola con altri – a partire dalla rivalutazione di magisteri costruttivi, di risorse, di materiali che ancora segnano paesaggisticamente il territorio del nostro Paese. È come voler ritornare a studiare una lingua lungamente parlata e, poi, bruscamente – acriticamente – abbandonata.
Riteniamo, da questa particolare prospettiva, che la concezione costruttiva plastico-muraria potrebbe ritornare ad alimentare in varie regioni del Paese una linea di ricerca, di aggiornamento, di attualizzazione, di valorizzazione – anche economica – di risorse locali. Rimane sotto gli occhi di tutti la ricchezza tipologica delle rocce che informano la geografia fisica dell’Italia, dalle Alpi alla lunga dorsale appenninica fino alle Isole maggiori.
Vorremmo sostenere all’interno di tale programma una tesi, solo apparentemente ardita, tendente a rimettere in primo piano, nel lavoro degli architetti, la muratura a conci a forte spessore.
Storicamente a fronte dell’onerosità di estrazione e di trasporto della pietra è sempre stato rilevante il suo costo di trasformazione. Per questo motivo in aree ricche di pietre “tenere”, facili da tagliarsi, si è mantenuto in vita fino ad oggi l’uso di blocchi squadrati e pezzi modellati. Si pensi soprattutto ai materiali lapidei “correnti” dell’Italia centro-meridionale che, oltre ad essere contraddistinti da parametri di economicità, posseggono considerevoli requisiti di resistenza, di compattezza, di buon aspetto. È il caso, ad esempio, di tante rocce tenere, come i tufi; per questi litotipi è la stessa consistenza e lavorabilità ad indirizzare la produzione di cava verso formati regolari e pareggiati di una certa dimensione, tali da consentire un’economica e facile posa in opera.


Complesso parrocchiale (1994-99) a Nepi di Romano Adolini

Una riabilitazione dell’opera quadrata particolarmente perseguibile in aree territoriali del nostro Paese dove abbondano pietre tenere, anche se è da tenere in considerazione come oggi le accresciute potenzialità delle macchine di taglio non pongono più problemi tecnici alla lavorazione dei litotipi, neanche di quelli più duri.
Nel presente, in base alle accresciute potenzialità dei mezzi di trasformazione, risultano di potenziale utilizzo architettonico – a fini strutturali, o quantomeno collaborativi alla formalizzazione massiva dell’involucro murario – anche i vari tipi di travertino unitamente alle pietre più dure che si offrono attraverso un’ampia distribuzione geografica nel Paese. Salvo pochi casi, ogni regione d’Italia possiede ancora integro un rilevante patrimonio di materiali lapidei da costruzione che è pensabile – a fronte delle accresciute potenzialità tecnologiche d’estrazione e lavorazione – poter rivalorizzare come nel passato.
Il presente lavoro avrà raggiunto il suo scopo se solo riuscirà a richiamare l’attenzione delle future generazioni su questo orizzonte litico spesso negletto e dimenticato dalla cultura tecnica ed architettonica, come pure dalla ricerca universitaria.

Alfonso Acocella

Note
*) Il saggio è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624.
1 La finitura dei giunti avviene, in genere, dopo che nella rete murale è stata effettuata una sottrazione, a mezzo di raschietto, della malta di allettamento per almeno due centimetri di profondità. A questa fase segue l’operazione di giuntatura a “filo muro” a mezzo di malta a grana fine. Questa può impiegare nell’impasto terre naturali (o inerti) provenienti dalla frantumazione delle stesse pietre utilizzate per la costruzione del muro in modo da restituire una cromaticità finale della malta vicina alla tonalità dei conci lapidei.
Per la realizzazione dei giunti si utilizzano appositi utensili (sottoforma di spatole) che permettono di comprimere la malta all’interno degli interstizi, lisciandola convenientemente, soprattutto quando le fughe sono larghe. Chiaramente l’assetto finale dei giunti può risultare più o meno enfatizzato sotto il profilo morfologico assumendo diverse configurazioni superficiali: a scivolo, concavo, sottosquadro, a fettuccia (realizzata, quest’ultima con un cordoncino di malta, di forma appiattita o bombata in rilievo. Si possono sottolineare, inoltre, i giunti attraverso una stilatura rientrante, ovvero incidendo la malta fresca con un ferro appuntito guidato da un lungo regolo di legno.

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18 Febbraio 2013

English

Square ashlar walls in Italy*

Versione italiana


Stone quarry at Cursi (Lecce, Italy)

Having underlined the recent renewal of interest in the use of regular stone ashlars among contemporary architects throughout the world, we thought it would be interesting to track down and present a series of works that could provide practical examples of the permanence of this very same interest in Italy.
Moving beyond the nation’s great urban conurbations and major cities, we have focused on information from certain specific local areas, and in particular those disposing of large quantities of soft stone; the idea behind this was not to try and endorse or encourage local architectural trends, but to see whether the contemporary architecture in these areas possessed a degree of continuity with deep-rooted tradition. Central-southern Italy in particular, with its building stone and varieties of tufa (that soft stone to be found in large seams, which can be easily cut and dressed as soon as it has been quarried), together with other, more circumscribed zones, have provided those particular areas of the country within which we can ascertain the continued use of opus quadratum.
Ashlars for building walls (which in the various local areas are known as either toccoli, tufelli, petrelle, bolognini or cunei) are generally of a parallelepiped shape and of a set size: the length of the ashlar is usually greater than the width, in order to provide a regular, extended supporting base. To this day, square saw-cut blocks of tufa are still sold in a number of Italian regions (Umbria, Lazio, Campania, Apulia and Sicily). The consistency and workability of this particular soft stone has meant that quarries continue to produce levelled, regular blocks of it, thus enabling it to be easily and quickly laid. As far as the dimensions of these ashlars is concerned, over the centuries there has been a gradual move away from the use of massive blocks towards that of more manageable-sized ashlars.
The shapes utilised vary from one region to another, and sometimes from one part of a given region to another. In central Italy, a commonly found form is the flattened stone (quarrel) measuring 30x40x13 cm. (or, on rare occasions, 40x40x13 cm.), which can be used to build walls 30 or 40 cm. thick. Moreover, in such cases, the size of the shorter size (13 cm.) facilitates its combination with bricks to make walls featuring listels. In Apulia, and in the Salento area in particular, forms of Lecce stone or tufa of other sizes are also used.


The building site at Taviano Cemetery

In general, the flat, accurately dressed surfaces of square ashlars, enable the stones to be laid on top of each other and side by side in a highly effective, precise manner.
From our travels around the country, we noted that the appearance of modern stone walls varies significantly, depending on a series of factors, the most important of which are: the specific type of stone utilised and the way the faces of the ashlars are dressed; the wall design (based on the dimensional ratio of the individual elements and the geometrical bonding arrangement); the way the joints are mortared.
In modern times, mortar joints have been introduced to further guarantee the stable bonding of the various stone ashlars, and to ensure the even distribution of load across the entire load-bearing section of the wall. Thanks to the use of mortar, there is no longer any need to dress the ashlars in the precise way ancient masons did, thus making the working of stone ashlars a more economical process than it had been in the past.1
Before seeing the architectural works themselves, it was interesting to visit the sites where the stone was quarried and worked, and we have gathered a quantity of information from the quarry workers and stone masons themselves, which has in turn enabled us to reconstruct the life-cycle of the stone from the quarry to the finished building, from its natural state to the man-made item.
In doing so, we have examined semi-finished products and workshop prototypes, where we were able to see more elaborate, more sophisticated traces of stone work; the surviving signs of the ancient stone-masonry tradition that we thought could in some way provide input not only to the work of restoration, but also to new architectural projects. During the same period in which we conducted our investigation, Renzo Piano’s workshop was being built for the construction of the new Liturgical Hall of Padre Pio at San Giovanni in Rotondo, which with its grandiose dressed ashlars, served as a real-life model for the beginning of a new season of stone architecture.
Passing from quarries to workshops, from building sites to architectures, has led us to discover objects manufactured in stone and “proudly” erected in defiance of the standardisation of industrial manufacturing practice. The stone architectures that have marked the various stages of our journey, despite often leading to meaningful encounters, have continually underlined the importance of the context to the worth of any manufactured item: the latter is never the sole protagonist, a symbol of mere individualism; the familiar features of the materials, the techniques and the figures are always part and parcel of a shared, deep-rooted tradition.


Baldi House (1959-61) in Rome, designed by Paolo Portoghesi

We have tried to gather together a series of architectural works (often isolated in an inexplicable manner) which are of prime importance if we are to sustain a more generalised hypothesis of the rehabilitation of stone architecture, as we need to render it more visible, more capable of being judged, and of greater use to new generations of architects. The number of architectures we have decided to present to the reader is limited, and they do not represent models or prototypes within the local context; on the other hand, they do express a certain value as proof of what certain materials can still offer when combined with a more easily understandable and firmly-established approach to architecture.
These works, together with all the others we have presented so far in the present chapter, help us in the end to break with that negative, deterministic vision of contemporary technical culture with regard to materials and constructive approaches closely linked to architectural traditions of the past.
If our present work only managed to offer a unique point of view, a scenario of materials that differed from the indistinct landscape of global society, we would already be extremely satisfied. In other words, we are keen to show that the comparison, rather than aiming at the pursuit of innovation, tends towards the building of bridges with the traditional architecture that had survived up until very recently.
In rejecting the standardised view of contemporary architectural production, we would like to advance an alternative hypothesis – to be shared, if still possible, with others – starting with a re-evaluation of the constructive teachings, resources and materials that continue to characterise the Italian landscape. In doing so, we find ourselves, in a certain sense, in the position of the person who decides to go back and study a language that he spoke for many years and then suddenly, for no good reason, stopped speaking.
We believe that the plastic approach to wall construction could lead, once again, to the pursuit – in various regions of Italy – of the study, updating, implementation and valorisation of local resources. Everyone is aware of the wealth of natural stone available in Italy, from the northern Alps all the way down the Apennines to the islands of Sicily and Sardinia.
We would like to submit a theory – one that may seem bold but in reality is not – designed to re-evaluate the importance of thick ashlar walls.
Historically speaking, the considerable cost of quarrying and transporting stone has always been accompanied by the cost of transforming it. For this reason, in those areas rich in soft stone that is easy to cut, the traditional use of square ashlars and modelled pieces has survived to this day. You only have to think of the “current” stone materials employed in central-southern Italy which, as well as being economical, are also hard-wearing, compact and attractive. Such is the case, for example, of many softer stones, such as tufa; indeed, it is their very consistency and the ease with which they can be worked which sees quarries producing regular, levelled ashlars of a certain size, ready and easy to use.


The new parish complex (1994-99) at Nepi, designed by Romano Adolini

This rehabilitation of the opus quadratum is particularly evident in those areas of the country where soft stone abounds (despite the fact that the increased technical capacities of modern-day machinery mean that even the hardest of stones is no longer difficult to cut).
Given the greater potential of modern means of transforming stone, architectural use can now also be made of the various types of travertine and of the harder stones widely available throughout the country. With the exception of very few cases, each Italian region still possesses a significant
quantity of building stone, which in theory – given modern stone quarrying and working methods – could be valorised as it was in the past.
The present work will have achieved its aim if it can manage to get future generations interested in this question of stone, which for many years was neglected and forgotten by the technical and architectural sectors, as well as by university research departments.

Alfonso Acocella

Note
* The re-edited essay has been taken out from the volume by Alfonso Acocella, Stone architecture. Ancient and modern constructive skills, Milano, Skira-Lucense, 2006, pp. 624.
1 The pointing of the joints generally takes place after about 2 cm. of the original mortar used to bond the stones together has been scraped out. At this point, the joints are pointed “flush” with the surface of the stone using a fine mortar: this special mortar may include natural earth (or dust) created by the crushing of the same stone used to build the wall, thus giving a mortar of a similar colour to that of the ashlars.
Jointing is performed using special tools (trowels) enabling the mortar to be compressed inside the gaps between the stones, and smoothing it out in a suitable manner, especially when the gaps are wide. Clearly the final appearance of the joints may be emphasised to a greater or lesser degree, depending on the technique used: thus the joints may appear channelled, concave, undercut, sliced (the latter for is achieved using a mortar cord), flat or convex. Furthermore, the joints may be further emphasised by scraping the fresh mortar with a pointed iron guided by a long wooden straightedge.

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