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18 Luglio 2013

English

Studio Archea
A single-family house
Leffe, Bergamo

Versione italiana


Detail of entrance facade in Santa Fiora Stone and of the full-height windows hidden by a copper screen

The project involves replacement of a demolished building cramped between two adjoining buildings in the historic center of Leffe in Val Seriana.
Reconstruction of the new building started from a new foundation levelto permit construction of a basement volume.
The building can be conceived as a variation on the theme of traditional row housing on Gothic lots: the main front, where the entryway is placed, expands from the traditional 5÷6 meters (that vice-versa characterizes the panoramic front facing the valley) to a dimension having a width of approximately 10 meters. Special site conditions and distances to be complied with, given the articulated volumes of bordering buildings, have led to creation of a very rugged and uneven facade.
This facade is lacking in windows and is characterized by a series of small slots in the masonry, as in a hayloft or a country farmhouse. The stairwell tower occupies the central space and with its image gives character to this space, integrated and melded into the overall design of the building front.
The facade is covered with modular courses (variable thicknesses and with rhythm dictated by the horizontal slots) made of small slabs of Santa Fiora Stone, a sandstone with imperceptible stratification and golden gray color, quarried in the area of Manciano near Viterbo.


Nocturnal view of main facade

The slabs, 2÷3 cm thick and with sawn finish, were bonded to the wall behind by a special Mapei adhesive. The wall is composed of a reinforced concrete structure in the lower part of the building and by reinforced concrete pillars and clay tile masonry in the upper section.
Stones are also bonded to the wall by anchors placed every three courses.
A box-covering extending towards the interior and made of the same stone, which was also used for interior paving, was created for every single window-slot in the facade.
Full-height windows for rooms facing on the alleyway, placed in the center of the facade, are hidden by mobile screens created by a special system of Persian blinds with stainless steel structures covered by oxidized copper. The texture of this reflects, in its design, the courses of stone and the design of the slots.
The entry is protected by the overhang of the large eaves, also clad with copper. Its generous dimensions create a large shadow that is conceived to emphasize the form of the construction itself.
The rear facade is characterized by complete glazing of the space compressed between the adjacent buildings, screened by a structure like the one used on the other facade. The texture of this mobile cladding system is designed to make reference to the long and narrow decorative slots that are distinctive features of the opposite facade.


Upper view of main facade – Interior views: staircase and a large window

Inner spaces in the residence are organized so that the kitchen and twostory dining room are on the ground floor, the living room on the first floor and two levels of sleeping quarters on the upper stories.

Address:
Leffe, Bergamo
Client:
private
Design period:
1996
Construction period:
1997
Architects:
Studio Archea
Laura Andreini, Marco Casamonti, Giovanni Polazzi, Silvia Fabi
Design Team:
A. Dini, G. Fioroni, J. M. Giagnoni, F. Privitera, N. Santini, P. P. Taddei, F. Giordani, G. Pezzano.
Consultants:
M. Casamonti (Direzione Lavori/Works manager)
G. Calderoni (Intervento conservativo delle strutture/Structural restoration works)
G. Malzanni (Impianti/Technical engineer)
General contractor:
Madaschi, Leffe, Bergamo
Stone materials employed:
Santa Fiora Stone
Stone supplies and installers:
Paganessi Marmi srl, Vertova, Bergamo


Nocturnal view of the large copper eaves

Teken from, New stone architecture in Italy, by Vincenzo Pavan

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17 Luglio 2013

Opere di Architettura

Studio Archea
Abitazione unifamiliare
Leffe, Bergamo

English version


Dettaglio della facciata di ingresso realizzata in Pietra di Santa Fiora e della finestratura a tutta altezza nascosta da una schermatura in rame

Si tratta di un intervento di sostituzione di un fabbricato demolito, stretto tra due edifici contigui all’interno del centro storico di Leffe, in Val Seriana.
La ricostruzione del nuovo edificio è partita da un nuovo piano di fondazione, permettendo così la realizzazione di un livello interrato.
L’edificio si presenta come variazione di una tradizionale casa a schiera su lotto gotico: il fronte principale, su cui è collocato l’ingresso, si dilata rispetto ai tradizionali 5÷6 metri (che caratterizzano viceversa l’affaccio panoramico verso valle) fino a una quota di circa 10 metri di larghezza. Le particolari condizioni del sito e le distanze da rispettare nei confronti dell’articolato sistema di edifici limitrofi hanno portato alla realizzazione di un fronte molto frastagliato.
Tale fronte é privo di finestrature, ma risulta caratterizzato da una successione di piccole fessure della muratura, come all’interno di un fienile o di una cascina di campagna. La torre del vano scala occupa lo spazio centrale e lo caratterizza attraverso l’immagine della propria sagoma, che viene ad integrarsi e fondersi nel disegno complessivo del fronte.
La facciata è rivestita con corsi modulari (di altezza variabile, ritmata sul disegno delle feritoie orizzontali) in piccole lastre di Pietra di Santa Fiora, arenaria con stratificazioni impercettibili e colorazione grigio dorata, cavata nella zona di Manciano nel viterbese.


Vista notturna della facciata principale

Le lastre, dello spessore di 2÷3 cm., tagliate a filo sega, sono state incollate tramite una speciale colla Mapei al muro retrostante, formato da una struttura in c.a. nella parte bassa dell’edificio e da pilastri in c.a. con tamponamento in forati nella parte superiore. Le pietre sono anche consolidate al muro da una zancatura disposta ogni tre corsi.
Per ogni singola finestra-feritoia del fronte è stato realizzato uno spessore verso l’interno attraverso un rivestimento a scatola con la stessa pietra, che è stata usata anche per i pavimenti interni.
Nel centro della facciata la finestratura a tutta altezza delle stanze che si affacciano sul vicolo è nascosta da una schermatura mobile creata da un particolare sistema di persiane con struttura in acciaio inox, rivestite in rame ossidato, la cui tessitura segue, nel disegno, i corsi della pietra e il disegno delle feritoie.
L’ingresso è protetto dall’aggetto di un grande cornicione, anch’esso rivestito in rame, che disegna attraverso le sue generose dimensioni un’ampia ombra, concepita per evidenziare la sagoma della costruzione stessa.
Il fronte posteriore è caratterizzato da una completa vetratura dello spazio compresso tra gli edifici contigui, schermata con una struttura analoga a quella dell’altro fronte. La tessitura di questo sistema di tamponatura mobile è stata disegnata riferendosi all’apparato decorativo delle bucature strette e lunghe che caratterizzano la facciata contrapposta.


Vista della facciata principale verso l’alto – Viste degli interni: la scala e una delle ampie finestrature

Gli spazi interni dell’abitazione sono stati strutturati in tal modo: al piano terra è ubicata la cucina ed il pranzo a doppia altezza; al piano primo la zona giorno; ai piani superiori la zona notte, suddivisa su due livelli.

Note
Indirizzo:
Leffe, Bergamo
Committente:
privato
Data di progettazione:
1996
Data di realizzazione:
1997
Progettazione:
Studio Archea
Laura Andreini, Marco Casamonti, Giovanni Polazzi, Silvia Fabi
Collaboratori:
A. Dini, G. Fioroni, J. M. Giagnoni, F. Privitera, N. Santini, P. P. Taddei, F. Giordani, G. Pezzano.
Consulenze:
M. Casamonti (Direzione Lavori)
G. Calderoni (Intervento conservativo delle
strutture)
G. Malzanni (Impianti)
Impresa di costruzione:
Madaschi, Leffe, Bergamo
Materiali lapidei utilizzati:
Pietra Santa Fiora
Fornitura e installazione pietra:
Paganessi Marmi srl, Vertova, Bergamo


Vista notturna verso l’alto del grande cornicione in rame

Tratto da, Nuova architettura di pietra in Italia, a cura di Vincenzo Pavan

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16 Luglio 2013

News

Flexible Stone

Mostra elaborati studenti di Product Design I
Palazzo Tassoni Estense, dal 16 al 26 luglio 2013

Dipartimento di Architettura di Ferrara. Corso di laurea in Design del prodotto industriale
Laboratorio di Procuct Design I, A.A. 2012-13

Raffaello Galiotto
Vincenzo Pavan
Veronica Dal Buono
Davide Turrini

IL PERCORSO DIDATTICO
Il nuovo spazio che oggi si apre al design litico presuppone di rifondare le basi cognitive e metodologiche necessarie al suo sviluppo, innanzitutto nella fase di formazione della figura del designer.
Con questo obiettivo il Corso di Laurea in Design del Prodotto Industriale del Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara si è dato come tema per l’A.A. 2012-2013 il progetto con materiali litici.
Flexible Stone, come abbiamo titolato il Corso, è finalizzato in primo luogo a trasferire agli studenti del secondo anno una consapevolezza critica sull’impiego di questi materiali nel progetto contemporaneo di design. Contestualmente cerca di attivare un reciproco scambio tra studenti e aziende del settore in grado di creare un circuito virtuoso che aiuti entrambi nella formazione professionale e nella crescita.
La prima fase formativa ha preso le mosse dall’analisi delle caratteristiche geologiche e delle categorie petrografiche e merceologiche dei principali litotipi italiani, per selezionare in un secondo momento dei materiali su cui focalizzare la ricerca e impostare il progetto.
La ricerca petrografica, affiancata da lezioni frontali su indirizzi culturali, linguaggi, ed esperienze di qualità prodotti nell’architettura e design litici contemporanei, ha portato alla identificazione di un gruppo di litotipi particolarmente interessanti per i contenuti, per la dislocazione geografica e quindi per l’accessibilità agli studenti del Corso.

[photogallery]flexiblestone_album[/photogallery]

La fase successiva, del contatto diretto con i materiali, è avvenuta nelle visite effettuate collettivamente ad alcune aziende dei bacini marmiferi più importanti, territorialmente limitrofi al Dipartimento.
Le visite alle cave e ai laboratori hanno permesso di prendere conoscenza dei processi estrattivi e di trasformazione dei materiali, fino all’esperienza percettiva diretta con campioni di pietre diverse lavorati dagli studenti stessi all’interno di una scuola di formazione specializzata.
Sulla base di queste conoscenze ed esperienze sono state messe a fuoco alcune categorie di prodotti su cui iniziare il progetto, dagli arredi interni-esterni a componenti architettoniche a oggetti d’uso,a elementi componibili e di rivestimento ecc.. I temi scelti, ciascuno abbinato a un litotipo, hanno portato gli studenti ad approfondire differenti problematiche legate alle caratteristiche dei singoli materiali e quindi misurarne la congruità con le opzioni progettuali da loro proposte e a esplorarne eventuali qualità estetiche nuove.
Parallelamente è stato avviato un corso di progettazione 3D con il software Evolve di Altair per dotare gli studenti del bagaglio tecnico necessario a generare superfici e solidi da trasferire alle lavorazioni a controllo numerico.
Particolarmente importanti durante la fase di progetto i contatti degli studenti con le aziende di estrazione e lavorazione mirati a generare dei prototipi degli oggetti in corso di studio.
Grazie ad essi si è pervenuti al gradino finale del percorso didattico, ossia alla verifica, attraverso la prototipazione, del raggiungimento degli obiettivi del progetto e della capacità del controllo degli aspetti tecnici, funzionali, ergonomici ed estetici.
La disponibilità da parte di alcune aziende, particolarmente interessate a sperimentare indirizzi innovativi, ha consentito di iniziare la realizzazione di numerosi prototipi.
A completamento dell’iter didattico il Corso ha avviato due esperienze comunicative. La prima all’interno del Dipartimento consistente nella mostra dei progetti, corredati da disegni, modelli e video, che sarà allestita a Palazzo Tassoni nel mese di luglio.
La seconda a fine settembre negli spazi culturali INSIDE della 48° Marmomacc presso Veronafiere dove saranno esposti i prototipi litici prodotti dalle aziende partner, affiancati dalla documentazione grafica-video di tutti i progetti del Corso.
Ci auguriamo che questa intensa esperienza didattica inneschi un interesse reale e sviluppi fecondi legami tra due mondi, formazione e produzione, che necessitano di alimentarsi reciprocamente su un terreno, come quello dei materiali litici, particolarmente ricco di potenziale culturale ed economico ancora da esplorare e disvelare.

Partners
Pibamarmi
Lithos Design
Laboratorio Morseletto
Marmi Faedo
Marmi Serafini
Trachite Euganea
Arredo di Pietra
Marini Marmi
Santamargherita
Testi Fratelli
Altair, software Evolve
Centro Servizi Marmo
Scuola d’Arte Paolo Brenzoni

Con la collaborazione di MARMOMACC
Mostra internazionale di marmi design e tecnologie
International trade fair for stone design and techonology

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15 Luglio 2013

News

Structural stone tree

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10 Luglio 2013

Pietre Artificiali

I mattoni di Roma


Capitolium di Ostia. Visione di dettaglio di una parete bi-cromatica in opus testaceum. (ph. A. Acocella)

I Romani per quanto attiene all’edilizia abitativa, lungo tutta la fase storica repubblicana (III-I secolo a. C.), utilizzano per le strutture di elevazione il laterizio crudo sottoforma di grandi mattoni (i famosi mattoni lidium, citati e descritti accuratamente da Vitruvio e da Plinio nelle loro opere letterarie: argilla frammista spesso a paglia, manipolata e trasformata in manufatti regolari simili ai mattoni orientali semplicemente essiccati al sole) mentre impiegano materiali lapidei in opere murarie isodome e i vari opus murari (a base di conglomerato cementizio e paramenti in pietra più o meno regolarizzati) nelle architetture pubbliche.
Nella tecnica costruttiva romana l’introduzione di elementi di argilla cotta fu molto tarda rispetto all’impiego della pietra e per alcuni secoli – fino almeno al I secolo a. C. – investì quasi unicamente le terrecotte architettoniche di rivestimento delle incavallature lignee dei templi, le tegole dei manti di copertura, le suspensurae pavimentali unitamente alle pareti ventilate degli ambienti termali o domestici riscaldati. Con materiali laterizi di scarto, o di recupero, si realizzarono pure le stesure pavimentali in cocciopesto (l’opus signinum).
Dal processo di trasferimento in ambito murario di elementi nati per la realizzazione di manti di copertura derivarono, molto probabilmente, sia la configurazione piatta a piccolo spessore dei mattoni romani, sia il procedimento applicativo nelle murature che ne prevedeva un uso del tutto particolare. Dalle tegole piatte di ampie dimensioni si arriverà al mattone romano cotto (molto diverso da quello che oggi a noi è familiare) fabbricato in grossi formati da tagliare in cantiere in sottomultipli molto differenziati per dar vita a quella che sarà la originale e caratteristica modalità costruttiva di epoca imperiale: l’opus testaceum. Una muratura composta con materiale laterizio all’esterno e riempimento concretizio all’interno.
I Romani, lungo le diverse fasi dell’età imperiale, ma con una standardizzazione dimensionale che avviene già nel I secolo d. C., usarono per le loro costruzioni dei mattoni cotti quadrati, abitualmente di tre formati relazionati al piede romano, unità di misura base (29,6 cm): bipedales (2 piedi romani di lato); sesquipedales (1,5 piedi romani); bessales (2/3 piedi romani). Più raramente usarono il pedales (1 piede romano). Lo spessore dei mattoni oscillava fra i 3,5 e i 4,5 cm, eccezionalmente fino ai 6-7 cm.
I bessales (e generalmente anche i sesquipedales) erano destinati ad essere tagliati in forma triangolare per la formazione delle cortine esterne in opus testaceum con funzione di casseforme.
Oltre che nelle murature in piano dell’opus testaceum, l’impiego di questi mattoni quadrati si diffuse nelle ghiere degli archi e delle piattabande, nelle costolature delle volte, nelle pavimentazioni in tutto cotto. Gli scarti (risultanti dal taglio dei mattoni) e le polveri di laterizio continuarono ad essere impiegati con grande genialità applicativa nella realizzazione di cocciopesti pavimentali, nei rivestimenti parietali impermeabili di cisterne e serbatoi d’acqua, nella composizione di malte idrauliche o anche mescolati nel conglomerato.


Mattoni contrassegnati da due solchi diagonali praticati prima della cottura. Tali incisioni facilitavano e velocizzavano in cantiere le operazioni di rottura ai fini di ottenere elementi con foggia triangolare funzionali alla realizzazione delle cortine laterizie. (ph A. Acocella)

La successione delle fasi utili alla costruzione della muratura in opus testaceum prevedeva:
– la realizzazione delle due cortine parallele in mattoni mediante l’uso di mattoni fratti, laterculi semilateres, di foggia triangolare;
– il getto e la battitura del conglomerato per assicurare un adeguato costipamento dell’impasto;
– l’interposizione (ogni 4-5 piedi romani: 1,20-1,50 m) di mattoni interi di più grande formato (in genere bipedales) con ruolo di elementi trasversali di legatura, di ripartizione dei carichi e con ufficio di interruzione orizzontale della massa di conglomerato, consentendo di ridurre la pressione laterale sulle cortine in laterizio che, conseguentemente, non necessitavano in fase di costruzione di onerose opere provvisionali.
L’uso del laterizio cotto nella realizzazione di murature, per almeno centocinquanta anni (fino ai primi decenni del II secolo d. C.), individuerà un dispositivo tecnico di costruzione che scompare sotto gli strati dei rivestimenti protettivi od ornamentali; molte delle cortine murarie in laterizio di epoca romana che ammiriamo oggi nei siti archeologici con la loro estrema cura esecutiva sono, in realtà, finalizzate ad accogliere rivestimenti a base di intonaci, stucchi, tessere musive, pietre, marmi in lastre.
Nella prima opera di maturità della nuova architettura romana, affrancatasi definitivamente dall’influenza greca, qual è la Domus Aurea di Nerone (64-68 d. C.), si legge sia questo ruolo eminentemente costruttivo e privo di linguaggio autonomo del laterizio cotto, sia il valore architettonico del dispositivo tecnico dell’opus testaceum capace di assecondare la grande rivoluzione di Roma: l’innovazione spaziale degli organismi edilizi attraverso la continuità strutturale tra le ossature murarie di elevazione e quelle voltate in forma di superfici curve e avvolgenti.
La captazione della luce che scende dall’alto, zenitalmente e obliquamente nella scenografica sala ottagonale e nella corona di ambienti ad essa collegati, si interseca nella domus neroniana con il lavoro sulla composizione murale di quella cultura progettuale tipicamente romana fatta di divisioni, di connessioni, di interrelazioni tra spazi contigui.
Oltre che lavorare nell’orizzontalità planimetrica degli ambienti, nella concatenatio di spazi (esaltati in base a dimensioni differenziate, a configurazioni variate, a contrasti luminisitici), la tecnica progettuale romana si indirizza anche verso l’enfatizzazione della verticalità.
Dalle domus, di impianto ed influenza ellenistici, con peristili e muri che non si elevano oltre i due piani, progressivamente i Romani sviluppano l’idea palaziale (recuperando quando già approfondito nelle residenze regali di tradizione micenea) che si dilata, cresce e si eleva in altezza – come nella Domus Augustana della fine del I secolo d. C. e, poi, nelle insulae collettive multipiano di Ostia del II secolo d. C. – ad assumere una forte accentuazione verticalizzata dove l’ordine murario, il valore della parete e dei mattoni cresce notevolmente di importanza ed impatto architettonico.
Inizia così nel I secolo d. C. il lavoro sul contrasto scalare e la monumentalizzazione dimensionale, impostato sulla contrapposizione tra assetti orizzontali e verticali fino ad arrivare al grande capolavoro dell’imperatore Adriano che ricostruisce, tra il 118 e il 128 d. C., il Pantheon portatore in esterno di un duplice livello di figuratività: la frontalità del pronao (che conserva e ripropone l’aulicità degli ordini colonnari di tradizione greca, stilemi dell’architettura accademica) e il dispositivo retrostante della rotonda in opus testaceum lasciato a vista che forma l’involucro murario di uno spettacolare spazio interno voltato largo 43 metri con luci libere mai raggiunte fino allora e una doppia circolarità che può essere letta in pianta e anche in alzato.
Nel Pantheon il dispositivo dell’opus testaceum fodera muri grandiosi e poderosi in cui i mattoni formano una casseratura di contenimento della massa cementizia che si alleggerisce progressivamente man mano che si procede verso l’alto della costruzione, attraverso l’impiego di materiali inerti più leggeri, fino all’adozione di scorie vulcaniche molto porose nella zona sommitale della cupola in corrispondenza dell’oculo.


Terme di Caracalla a Roma (212-216 d. C.). (ph A. Acocella)
L’architettura in opus testaceum di epoca imperiale raggiunge sul finire del I secolo d. C. una perfezione esecutiva che consente la realizzazione di grandiose e monumentali opere. Nella foto si coglie perfettamente la logica stratigrafica dell’ossatura muraria a base di mattoni e calcestruzzo: in evidenza, al di sopra dell’arco, il nucleo interno costituito dall’opus caementicium e, ancora superiormente, le cortine in mattoni ancora integre.

[photogallery]mattone_album_2_1[/photogallery]

Il Pantheon è il manufatto più mirabilmente conservato della romanità capace di restituirci una visione realistica e meravigliosa dell’architettura monumentale d’interni di epoca imperiale; in esterno l’opera, allo stesso tempo, attraverso la rotonda testimonia come i mattoni lasciati a vista non ricevano un trattamento architettonico particolare come se ancora fossero alla ricerca di un linguaggio espressivo autonomo – di uno Stile – consono al nuovo materiale della Roma imperiale.
Ma altrove, non lontano dal Pantheon, un’opera utilitaria – sia pur in sordina – ha in realtà inaugurato in quegli stessi decenni lo stadio sperimentale dello Stile laterizio di Roma.

di Alfonso Acocella

Leggi anche Alle origini del mattone
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8 Luglio 2013

News

FLEXIBLE STONE
Nuovi percorsi del design litico

Mostra di prototipi in pietra realizzati su progetti degli studenti del Corso di Design del Prodotto Industriale del Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara, A.A. 2012-2013.
Il corso è finalizzato a trasferire agli studenti una consapevolezza critica sull’impiego dei materiali lapidei nel progetto contemporaneo di design di prodotto e di interni e nell’arredo di spazi esterni. Dopo una prima fase conoscitiva, che ha esplorato le caratteristiche geologiche, petrografiche e individuato le categorie commerciali dei materiali litici, sono stati approfonditi metodi e tecniche di lavorazione e trasformazione di questi materiali attraverso visite didattiche ad aziende del settore che impiegano sistemi di lavorazione diversificati, dal manuale all’impiego di macchine a controllo numerico.
In seguito a queste prime esperienze gli studenti hanno indagato una serie di litotipi proposti come tema di ricerca iniziando un percorso esplorativo mirato al progetto di un prodotto consono alle specifiche caratteristiche dei materiali scelti e alle lavorazioni capaci di rivelarne qualità estetiche nuove. Sono state in tal modo individuate categorie di prodotti e oggetti di design su cui lavorare, dalle componenti architettoniche a arredi di interni e di esterni, a oggetti d’uso e per l’illuminazione ecc. Gli elaborati, in relazione alle loro caratteristiche, sono stati sottoposti alla verifica delle aziende di produzione litica che hanno dato la loro disponibilità a trasformare il progetto in prototipo. Ciò ha permesso di portare l’esperienza didattica a una fase di sperimentazione avanzata che consentirà di verificare, a prototipazione avvenuta, la rispondenza tra modello progettuale grafico e prodotto finito. L’esperienza in corso, che si concluderà con la esposizione a Marmomacc degli oggetti litici realizzati, potrà contribuire a dotare gli studenti di un solido bagaglio di competenze estendendo la fase conoscitiva dal sapere al saper fare, e le aziende dal canto loro ad operare delle sperimentazioni innovative per affrontare nuove sfide sul piano tecnico che sempre più frequentemente vengono imposte dal mercato.

Università di Ferrara – Dipartimento Di Architettura
Corso Di Laurea In Design del Prodotto Industriale

Docenti
Raffaello Galiotto
Vincenzo Pavan
Veronica Dal Buono
Davide Turrini

Aziende
Piba Marmi, Lithos Design, Testi Fratelli, Laboratorio Morseletto, Marmi Faedo, Trachite Euganea, Marini Marmi , Santa Margherita, Travertino Santandrea, Altair, Evolve

Con la collaborazione di
Centro Servizi Marmo
Scuola d’Arte Paolo Brenzoni

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5 Luglio 2013

News

SEAN GODSELL
Architettura e paesaggio

Open Lectures
10 luglio 2013 ore 18.30

Tempio di San Sebastiano
largo XXIV maggio – Mantova

L’Associazione “L.A.C. Laboratorio di Architettura Contemporanea”, in collaborazione con il Politecnico e Casabella, nell’ambito delle attività promosse dal Polo Territoriale di Mantova del Politecnico di Milano in seno alla Cattedra Unesco “Pianificazione e Tutela Architettonica nelle Città Patrimonio Mondiale dell’Umanità”, ospita a Mantova un altro grande nome del panorama architettonico contemporaneo, l’architetto australiano Sean Godsell.

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4 Luglio 2013

News

BATHING IN LIGHT
Sei creativi presentano il marmo turco

L’unicità della storia della pietra naturale turca viene svelata nella mostra Bathing in light, una speciale esposizione organizzata dall’Istanbul Mineral Exporters’ Association (IMIB) e curata dallo studio di design turco Demirden Design.
Sei i designer e architetti, di diverse discipline, che hanno accettato di collaborare a questo progetto: gli architetti Massimiliano-Doriana Fuksas (Italia), Melkan Gursel-Murat Tabanlioglu (Turchia) e Alisan Cirakoglu (Turchia); l’industrial designer Mathieu Lehanneur (Francia); lo stilista turco Dice Kayek e infine il designer-artist francese Arik Levy.

Partendo dal marmo, un elemento che fa parte di una tradizione che risale a quattromila anni fa, gli autori hanno creato opere in un mix di design contemporaneo, tradizione e miti turchi. Bathing in light verte sul modo in cui marmo, acqua e luce si sono sempre uniti a formare una combinazione ideale per esprimere i concetti di pulizia e purezza. In questa interazione con gli altri elementi, il marmo rappresenta la superficie ideale, liscia, lucente e specchiante, che raggiunge il suo massimo splendore quanto viene toccata dagli altri due elementi.
Queste installazioni, nelle quali il marmo dal potenziale illimitato è il materiale principale, sono state create per esprimere un’inesauribile fonte di leggende e miti passati e presenti. Realizzate da produttori e artigiani turchi, le installazioni sono collegate tra loro, come perle di una collana, da un percorso in legno.

L’esposizione rivela le caratteristiche visive e tattili del marmo e delle pietre naturali, invitando i visitatori a un vero viaggio spirituale. Un materiale di base nelle più grandi opere artistiche e architettoniche turche, il marmo, preservato dalle devastazioni del tempo, è tuttora uno dei principali testimoni dell’avvicendarsi delle civilizzazioni: dall’Antichità Classica ai Bizantini, dagli Ottomani ai giorni nostri.

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1 Luglio 2013

Pietre Artificiali

Alle origini del mattone


Velia. Veduta del quartiere commerciale circondato da mura poderose in pietra. (A. Acocella)

Le origini d’uso di elementi in laterizio cotto per la realizzazione di murature nell’architettura mediterranea sono preromane e risultano legate ad apporti della cultura costruttiva ellenistica.
I primi esempi significativi di impiego di mattoni cotti sul territorio italiano sono rintracciabili in una serie di tombe ellenistiche di Reggio Calabria e nelle abitazioni di Velia, città di fondazione greca, intorno agli inizi del III secolo a.C.; poi nella Basilica di Pompei – costruita intorno al 120 a. C. – in cui il laterizio viene utilizzato in grandi colonne strutturali scanalate di oltre un metro di diametro.
A Velia, città greca fondata dai Focei, si deve il ritrovamento di mattoni cotti più antico, consistente ed interessante. L’importanza capitale di tale attestazione archeologica per il nostro tema, oltre che essere legata alla particolarissima morfologia e dimensione dei mattoni stessi, riguarda le modalità di impiego dei grossi laterizi.1
Rispetto alle sepolture di Reggio Calabria è evidente come i mattoni cotti a Velia non sono utilizzati in strutture ipogee poste contro terra, quali si presentano le tombe ellenistiche reggine a volta, bensì in murature fuori terra di edifici urbani; inoltre i grossi laterizi sono messi in opera utilizzando un legante (malta) posto a formare giunti di connessione fra mattone e mattone con ruolo di solidarizzazione e di strato ripartitore dei carichi della muratura stessa.
A Velia siamo di fronte a murature che per la prima volta, in ambito mediterraneo, sono realizzate a tutto spessore con impiego di mattoni monolitici di argilla cotta. Con facilità è possibile osservare, girando all’interno del sito archeologico sia nei quartieri meridionali che sull’acropoli, una notevole quantità di mattoni di inusitate dimensioni (bollati, a mezzo di lettere greche, con marchio del fabbricante e quello del controllo della qualità) impiegati in strutture a forte spessore.


Mattoni nelle diverse tipologie dimensionali (A. Acocella)

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I mattoni rinvenuti a Velia hanno morfologia quadrata o rettangolare di notevole altezza – simili, quanto a formato, ai primi mattoni dell’Epiro – presentando però la particolarità di incavi (singoli o doppi) nella parte centrale di una delle due facce maggiori dove sono impressi i bolli con legature di lettere quali marchi di fabbrica, tra cui DEM per demosion (pubblico) indicante la manifattura cittadina e/o la destinazione pubblica dei mattoni. Le dimensioni ricorrenti rilevate sono di 38x38x9,5 cm per i formati quadrati; 56x30x9,5 cm e 38x23x9,5 cm per quelli rettangolari.
I ritrovamenti di Velia, uniti a quelli delle altre città campane (soprattutto di quelle appartenenti alla regione vesuviana) testimoniano come l’uso dei mattoni cotti nelle città dell’Italia meridionale anticipò di qualche secolo quello di Roma ed è probabile che proprio alla cultura ellenistica trasmessasi ed evolutasi nelle colonie della Campania vada attribuito il merito della diffusione in Italia della tecnologia del laterizio cotto in ambito murario.
Il colonnato interno della Basilica di Pompei – edificio pubblico con funzione di spazio assembleare, commerciale e giudiziario – rimane dispositivo costruttivo fra i più sofisticati e poderosi, ancora ad oggi privo di confronti all’interno dei siti archeologici anche più tardi.
«I fusti scanalati – afferma Jean Pierre Adam – del colonnato centrale, alti circa 11 metri e larghi 1,06 m alla base, sono costituiti da una regolare sovrapposizione di mattoni spessi 4,5-5 cm, tagliati in modo da formare un fiore composto da un nucleo rotondo e circondato da 10 “petali” pentagonali che arrivano fino al bordo, completati da 10 segmenti a losanga che in pianta disegnano il profilo di 20 scanalature. Il dispositivo si alterna in ciascun piano di posa in modo da far incrociare i giunti, fatta eccezione del tubo centrale di mattoni cilindrici che costituisce il vero e proprio midollo della colonna; una volta terminate, le colonne venivano rivestite di stucco bianco, nel quale venivano ricavate sottili scanalature, in modo da creare l’illusione del marmo».2


Basilica di Pompei. Veduta prospettica dal fondo dell’edificio in direzione del Foro. (A. Acocella)

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Attestato in “età alta” – circa 120 a. C. – il dispositivo colonnare, soprattutto nella sua scala dimensionale davvero ragguardevole, costituisce indubbiamente un episodio eccezionale e relativamente isolato.
Queste testimonianze archeologiche – insieme a tante altre rinvenute in vari siti della Magna Grecia – confermano come le popolazioni delle città di fondazione greca a sud della penisola italiana abbiano sviluppato e sperimentato i mattoni di argilla cotta molto prima di Roma e sono poste a documentare, con certezza, il punto di partenza – gli Inizi – del costruire in laterizio. L’invenzione e l’introduzione del mattone cotto (insieme a quella del legante, in forma di malta muraria) ebbe scarse conseguenze per la civiltà ellenistica ma rappresenta sicuramente l’inizio dello sviluppo futuro raggiunto dalla grande tradizione dell’architettura di Roma.

Alfonso Acocella

Leggi anche I mattoni di Roma
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Note
1 Paolino Mingazzini, “Velia. Scavi 1927; fornace di mattoni e antichità varie” in Atti della Società Magna Grecia, 1954, pp. 21-60.
2 Jean Pierre Adam, “Colonne in muratura” p. 168, in L’arte di costruire presso i Romani, Milano, Longanesi, pp. 366.

Crediti fotografici: A. Acocella

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28 Giugno 2013

News

ADALBERTO LIBERA
La città ideale


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Mart Rovereto, 22 giugno – 8 settembre 2013
A 50 anni dalla morte (e 110 anni dalla nascita) il Mart di Rovereto dedica un omaggio all’architetto trentino Adalberto Libera, grande maestro dell’architettura moderna italiana

“Sarà un po’ come passeggiare appunto dentro un pezzo di “città ideale” di Adalberto Libera, rimettendo in gioco anche i progetti non realizzati, ma soprattutto rimettendoli in opera insieme, in un unico luogo a formare una realtà nuova e inedita, dovuta alla loro prossimità a confronto”
Nicola Di Battista

Il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto rende un nuovo omaggio all’architetto Adalberto Libera (1903 -1963), uno dei grandi protagonisti del rinnovamento dell’architettura italiana.
Un nuovo punto di vista è offerto sull’opera di questo grande maestro dell’architettura moderna: il curatore della mostra, l’architetto Nicola Di Battista, ha scelto infatti di approfondire il lavoro di Libera attraverso la selezione di alcuni progetti tra i più significativi, la cui lettura, sorprendentemente inedita, intende attualizzare le modalità di formazione di uno stile.
In questo modo è ripercorsa la storia professionale di Adalberto Libera, con particolare attenzione al periodo di formazione e agli esordi, dove più forte risulta la sua volontà di proporre un linguaggio moderno e internazionale, attraverso l’interpretazione degli indirizzi del Razionalismo europeo.
Nell’Italia fascista il settore degli allestimenti espositivi era l’unica palestra possibile per gli architetti razionalisti, le cui tensioni creative d’avanguardia erano tenute a prudente distanza dal regime. In questo settore Libera esprime con grande chiarezza un’idea di architettura capace di mettere in relazione il contesto storico con le forme della città moderna, come accade ad esempio per l’allestimento della mostra delle colonie estive e dell’infanzia al Circo Massimo a Roma nel 1937.
Dotato di una eccezionale abilità nel disegno, Libera usa rappresentare i propri progetti con magistrali vedute prospettiche, quasi sempre di spazi interni, alcune conservate e altre andate perdute e di cui si hanno oggi solo le riproduzioni fotografiche in bianco e nero.
Queste prospettive sono capaci da sole di raccontarci il progetto senza l’ausilio di altri elaborati ed è per questo che Di Battista ha deciso di renderle ‘protagoniste’ di tutta l’esposizione. Così nasce l’idea dell’allestimento di questa mostra, a cura dell’architetto Giovanni Maria Filindeu, organizzato attorno a 14 grandi riproduzioni delle vedute prospettiche dei progetti selezionati.
Il visitatore ha la possibilità di entrare come protagonista nell’architettura di Adalberto Libera, coglierne gli aspetti più legati alla composizione e assumerli come valori assoluti da interpretare nell’attualità.
Accanto alle grandi foto sono esposti anche materiali d’archivio originali relativi a ogni progetto, quali schizzi, fotografie, pubblicazioni d’epoca e soprattutto preziose relazioni tecniche redatte da Libera stesso.
Da questo primo spazio si raggiungono alcuni ambienti, ciascuno dei quali ospita una sezione della mostra: la prima è dedicata ai disegni realizzati da Libera nell’arco della sua vita su temi e con tecniche differenti; la seconda comprende una raccolta di tempere originali che illustrano alcune sue architetture; la terza è dedicata ai progetti a pianta centrale; una sala è dedicata ai video. L’ultima stanza è interamente dedicata alla “città ideale”: Adalberto Libera, come in una boule à neige, disegna un paesaggio riassuntivo dell’Italia che fa da sfondo a un grande ambiente in cui si celebra una scena conviviale.

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