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13 Gennaio 2014

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Il travertino senese tra Medioevo ed Età Moderna


Palazzo Todeschini Piccolomini (1469-1500 c.a.) a Siena. Particolare della facciata con una finestra interamente realizzata in travertino. (ph. Enrico Geminiani)

I materiali e i colori dell’architettura sono protagonisti indiscussi nella definizione dell’immagine urbana di Siena e del suo territorio: il mattone, i marmi e le pietre – soprattutto i calcari – informano con la loro presenza la scena urbana e il paesaggio in una molteplicità di contributi che, nella stratificazione plurisecolare del costruito, definisce un rapporto identitario fra risorse naturali del territorio e tradizioni edificatorie, ideazione e realizzazione, committenza e maestranze.
Limitandoci all’osservazione della città, e lasciando sullo sfondo il ricchissimo territorio senese, si può notare che una ricca letteratura ha analizzato puntualmente le valenze cromatiche e materiche dell’architettura fra Medioevo e Età moderna, delineando cronologie e periodizzazioni nell’affermazione di particolari materiali da costruzione e di tecniche edificatorie, ma portando anche nuove conoscenze sulle operazioni di finitura e sul colore dei dispositivi murari. Storici dell’architettura, conservatori e geologi hanno creato negli ultimi anni un corpus di conoscenze sulla facies urbana di Siena di grande valore 1 che vede svolgersi una positiva attitudine all’approccio interdisciplinare nello studio, conservazione e valorizzazione sia del singolo monumento che dell’edilizia ‘corrente’ del centro storico 2.
Pur nella complessità del quadro che è stato delineato, è possibile tracciare con sufficiente chiarezza uno schema “evolutivo” che si snoda intorno a tre temi materico-costruttivi principali: gli edifici più antichi della città, quelli dell’XI e del XII secolo, vedono prevalere il legno e il calcare cavernoso – la cosiddetta “pietra da torre” – con i quali vengono edificate torri e palazzi; tra la fine del XII e la metà del XIII secolo si realizza la parabola che vede una significativa diminuzione dell’uso del legno in favore di un crescente impiego del mattone, applicato come materiale unico ma anche, di frequente, alternato a paramenti lapidei; con i secoli successivi le soluzioni si fanno più articolate e, se da un lato il mattone diviene anche dal punto di vista normativo (Costituto del 1309-10) il materiale costruttivo più impiegato 3, la seconda metà del Quattrocento si caratterizza per l’introduzione dell’arenaria e del travertino, materiale quest’ultimo che diviene già dal Trecento la pietra maggiormente usata per elementi decorativi e modanature.

Anche se estremamente diffuso, l’impiego del travertino non diviene comunque mai ubiquitario nell’edilizia, come era accaduto nei secoli precedenti per il calcare cavernoso, rimanendo legato – dal Rinascimento e per tutta l’Età moderna – a fabbriche civili e religiose di pregio, dove sembra connotarsi di precipue valenze sul piano della rappresentatività dello status sociale della committenza e dell’adesione a modelli e stili che guardano alle coeve esperienze romane di recupero e rielaborazione dell’Antico.
Il travertino evoca infatti architetture antiche 4 ed accentua la monumentalità delle facciate quando viene impiegato come rivestimento unitario negli edifici del secondo Quattrocento, quali il palazzo delle Papesse (1460-73) e Palazzo del Taia (1470-90). Nel caso del primo edificio in particolare, la committenza di Caterina Piccolomini, e il conseguente intimo legame con i cantieri e le vicende pientine in termini di cultura architettonica, di inanziamento delle fabbriche e di maestranze, portano alla realizzazione di un prezioso prospetto interamente in travertino, un vero e proprio sontuoso manifesto del prestigio culturale e politico della famiglia papale a Siena 5, attestando al contempo una significativa attenzione alle coeve esperienze fiorentine: il bugnato rustico, fortemente naturalistico, del piano terra – geniale espediente, secondo Gabrielli, per dare visibilità ad un prospetto altrimenti quasi invisibile per l’assetto dell’area – si distingue nel contesto urbano per la forte originalità morfologica del paramento a bozze, nonché per la presenza di contrassegni di scalpellini sulle bugne, pratica estranea alla tradizione senese.6
Ancora da tracciare è invece il quadro delle vicende che portano alla edificazione di un’architettura singolare nell’ambito dei palazzi senesi all’antica della fine del Quattrocento, attribuita a Francesco di Giorgio Martini, quale palazzo del Taia 7: in questo caso i conci isodomi in travertino, perfettamente spianati, vengono montati con giunti di malta finissimi, a creare una superficie unitaria. Pur recuperando temi e tecniche ampiamente sperimentate nei rivestimenti lapidei o marmorei delle grandi architetture medievali della città – dal palazzo Pubblico al Duomo, dal palazzo del Capitano all’Ospedale della Scala – la monocromia e le qualità materiche del paramento lapideo ne fanno un fronte che guarda all’antichità romana, mediata dalla lezione albertiana.


Palazzo Tantucci (1548) a Siena. Dettagli dei bugnati a cuscino in travertino. (ph. Enrico Geminiani)

Una precoce apertura della cultura architettonica senese alle coeve elaborazioni romane si riconosce nel peruzzesco palazzo Francesconi (1520-27), dove il tradizionale contrasto cromatico bianco-rosso, peculiare dell’architettura medievale senese, viene rivisitato sulla base dei modelli messi a punto da Bramante e Raffaello nelle prime decadi del Cinquecento: qui troviamo infatti il travertino in abbinamento alle perfette cortine in mattoni arrotati, a qualificare mostre e timpani di aperture, marcadavanzali e uno sporgente cornicione; l’incompiutezza del fronte illustra poi, in modo esemplare, il sistema di connessione fra il dispositivo in laterizio e gli elementi in pietra delle originali aperture finestrate del piano nobile 8. Analogo contrasto materico e cromatico caratterizza anche palazzo Vescovi (1528-31), poi Celsi-Pollini, che mostra tuttavia una cortina in mattoni ordinari – non ‘arrotati’ e con giunti sottili che appartengono ad uno stile più senese che romano – su cui vengono ritagliate aperture rettangolari incorniciate in travertino, secondo un disegno che, nella fascia centrale con la cornice sporgente, richiama i modi di Francesco di Giorgio 9.
Le possenti incorniciature bugnate in travertino di finestre e portali divengono, inoltre, elemento caratterizzante di una precisa linea di sviluppo dell’architettura civile senese fra manierismo e tardo barocco, quella cioè che prende le mosse dalle realizzazioni di Bartolomeo Neroni (1500 circa-1573) quali palazzo Guglielmi o palazzo Tantucci, per arrivare agli impaginati neo-cinquecenteschi di operatori come Giacomo Franchini (1665-1736?) riscontrabili ad esempio in palazzo Della Ciaia e in palazzo Biringucci Landi Bruchi 10. Si tratta di un tipo di facciata – spesso racchiusa tra fasce di bugnato a pettine o tra lisce lesene – informata dalla regolarità degli assi finestrati, con cornici emergenti dal piano del fronte intonacato per la precipua plasticità; in particolar modo negli esempi settecenteschi, tale tipologia si arricchisce di ulteriori elementi decorativi in travertino – o in stucco di travertino 11 – come mensole di finestre inginocchiate, aggettanti marcadavanzali, cornicioni e, infine, portali plasticamente ornati e spesso sormontati da balconi a riproporre soluzioni elaborate fra Roma e Firenze nel secondo Cinquecento.12


Palazzo Tantucci (1548) a Siena. Il grande portale con l’ordine rustico in travertino e dettaglio. (ph. Enrico Geminiani)

Il travertino trova poi un significativo impiego a Siena anche nell’architettura religiosa sei-settecentesca.
Nei fronti delle chiese della città, quando viene utilizzata come presenza unica o preponderante, tale pietra recupera da un lato le qualità materiche e coloristiche di una parte significativa della tradizione del territorio senese dei secoli precedenti 13; nella nuova morfologia della facciata tardo-rinascimentale e barocca – arricchita dalla presenza dell’ordine architettonico ad articolare la superficie del fronte – essa diviene al contempo esplicito richiamo ai più aggiornati esempi romani: se in Santa Maria in Provenzano i riferimenti ai fronti del Gesù e di Santa Maria in Valicella sono ancora mediati dal portato di ascendenza fiorentina 14, la facciata di San Martino – opera di Giovanni Fontana (1613) – guarda alla grande maniera dell’Urbe nel suo momento di passaggio da un Manierismo caratterizzato dal rispetto per la Regola vignolesca all’incipiente Barocco 15. Nella settecentesca chiesa di San Giorgio, col suo magniloquente ordine gigante in facciata e la sua peculiare sistemazione interna, materia e linguaggio architettonico divengono ulteriore testimonianza dell’adesione senese alla cultura del Barocco romano: da Maderno a Pietro da Cortona, da Bernini ad Alessandro Galilei.16
Fra gli esempi chiesastici citati, per la ricchezza delle fonti che documentano le fasi costruttive – e in particolare l’approvvigionamento dei materiali, dalle cave al cantiere – si distingue la fabbrica S. Maria in Provenzano, edificio che rappresenta un’architettura di grande rilevanza nella Toscana di Ferdinando I.17 Soffermandoci in questa sede solo sugli aspetti strettamente attinenti al tema, si può rilevare come la capacità costruttiva e imprenditoriale delle maestranze lombarde – presenti a Siena fin dal Medioevo e impiegate nel cantiere della cattedrale in operazione di escavazione dei materiali lapidei 18 – si incontra qui con l’esperienza del capomastro senese Flaminio del Turco: questi è chiamato qui a eseguire un progetto (1595-97) concepito dal padre certosino Damiano Schifardini, «buon cosmografo, buon geometra, perfetto ingegnere, maestro di matematiche del giovane Cosimo» 19, per accogliere una miracolosa immaginemariana sotto l’attenta sorveglianza del Granduca, che coinvolgerà anche il fratello don Giovanni de Medici per la geometria della cupola e la complessa sistemazione dello spazio esterno alla chiesa. Francesco Bandini Piccolomini, studiando le carte dell’Archivio dell’Opera della Madonna di Provenzano, ha potuto scrivere alla fine dell’Ottocento: «Ebbero pure cura gli Operai di ottenere dal Rettore dello Spedale Grande, ampia facoltà di scavare nel podere di Noceto in corte delle Serre, appartenente alla Grancia ospedaliera di quel nome, tutto il travertino che doveva servire ai numerosi ornati architettonici della Chiesa, proposti dallo Schifardini in quella pietra e della loro richiesta vennero cortesemente accontentati. Allogarono quindi a maestro Flaminio di provvedere per i suoi cavatori e scalpellini all’estrazione delle pietre occorrenti. Per condurli a Siena fecero scrittura ai 24 di agosto 1597 con Giovanni d’Antonio Grassi da Sinalunga a ragione di tre piastre ogni migliaio di libbre, a gabella degli Operai, ma a tutte sue spese di bufali, carri, funi, canapi e ferramenti con la condizione che ciascun pezzo di pietra non fosse di peso inferiore a libbre cinquecento ed escludendo tutti i pezzi soliti a venire a schiena di mulo».20


La cella campanaria della Torre del Mangia (1338-49) a Siena. (ph. Enrico Geminiani)

La fortuna del travertino a Siena non si interrompe con la fine del Granducato di Toscana, ma conosce fra Otto e Novecento una nuova stagione di diffusione applicativa, sia in forma di rivestimento esteso, che di singoli elementi decorativi per fronti e cortili interni: grazie alla sua naturale predisposizione al taglio e alla lavorazione in pezzi dai bordi netti e definiti, il materiale, infatti, può ben interpretare il nitore del purismo del secondo Ottocento 21, al pari delle astrazioni del nuovo razionalismo novecentesco.22 Fra XIX e XX secolo, i travertini senesi, e quello di Rapolano in particolare, superano la stretta pertinenza geografica della provincia per essere impiegati in altre città della penisola. Si ricordano qui soltanto due esempi particolarmente significativi:
il rifacimento della facciata della chiesa di Ognissanti a Firenze (1871-72) 23, sullo stesso disegno della facciata seicentesca già realizzata in arenaria; le forniture per l’ampliamento del palazzo di Montecitorio a Roma, su progetto di Ernesto Basile (1902-1927).24
È importante sottolineare che nell’intervento di Ognissanti, l’utilizzo del travertino – pietra profondamente estranea alla cultura architettonica fiorentina – viene giustificato dalle autorità cittadine con la garanzia di inalterabilità agli agenti atmosferici, offerta dal materiale.25 Le indagini dei geologi contemporanei sulle facciate del centro storico senese hanno in effetti dimostrato che solo il laterizio esprime un comportamento migliore del travertino sul piano del degrado, con prestazioni che per questo aspetto superano quelle del calcare cavernoso, dei marmi e delle arenarie.26 Tutto ciò è ben dimostrato da una delle più emblematiche architetture senesi: la parte sommitale della Torre del Mangia (1338-49), la cosiddetta “rocca”, è infatti realizzata in travertino e le quattro lupe trecentesche, poste agli angoli della “seconda rocca”, furono sostituite soltanto nel 1829 e sono ancora oggi in situ.27

di Emanuela Ferretti

Il presente saggio è tratto dal volume Travertino di Siena a cura di Alfonso Acocella e Davide Turrini

Leggi anche
Le cave di Rapolano nelle fonti tra Rinascimento ed Età moderna

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10 Gennaio 2014

Citazioni

La vocazione artigianale e umanistica di Poltronova


Ettore Sottsass, tavoli Loto per Poltronova, dal 1964
(courtesy Archivio Centro Studi Poltronova, Firenze)

«La fisionomia della Poltronova è piuttosto atipica nel quadro pur composito dei produttori italiani, in quanto il suo fondatore e titolare [Sergio Cammilli], per formazione, per vocazione e per ideologia è stato capace di sottrarsi alla routine convenzionale e alla logica ferrea proprie del mondo produttivo contemporaneo. Cammilli non ha mai accettato di diventare schiavo della “ragion d’azienda”, pensando che la linea della Poltronova dovesse anzitutto identificare i suoi convincimenti, i suoi entusiasmi, i suoi temi anche ideali.
[…] Egli muove da una base tipicamente artigianale, e la Poltronova inizialmente è un piccolo laboratorio da qualificare mediante una produzione moderna. Si parte da zero, con una sola precisa volontà: quella di costruire modelli capaci di isolarsi nella produzione corrente […].
Nel 1957 Cammilli ha alle spalle la frequentazione dell’Istituto d’Arte di Firenze dove ha fatto pratica di scultura. Collabora col padre, marmista, e si interessa contemporaneamente d’arredo e di architettura di interni, esaminando specialmente le forme degli oggetti e dei mobili, per concludere che vi sono spazio e ragioni sufficienti a giustificare uno sforzo inteso a rinnovare l’immagine della casa.
[…] “Io, la casa” dice Cammilli, “me la immagino un po’ sempre fatta di mobili funzionali, e di mobili che sono come gli amici della casa. Abbiamo realizzato la parete attrezzata di Mangiarotti: ecco, questa parete svolge delle funzioni precise, è la macchina per vivere. Gli altri mobili, invece, debbono essere delle presenze attive, con cui il rapporto si fa caldo, amorevole: cose da guardare, da vedere, da toccare”.
[…] L’educazione artigianale e umanistica [di Cammilli] resta operante anche per altri aspetti: determinando ad esempio la convinzione che esista uno spazio, nel campo del mobile e dell’oggetto d’uso domestico, da destinare agli “artisti”. Cammilli parla in proposito di un “mobile di poesia”, come a dire di una forma-oggetto in cui la destinazione funzionale, non ricusata, diventa incidentale, rispetto all’identità visiva».

Pier Carlo Santini, “Filosofia di un’azienda: sperimentare per vivere”, pp. 7-11, in Facendo mobili con…, Firenze, Poltronova Edizioni, 1977.

Hanno disegnato per Poltronova:
Archizoom, Asti, Aulenti, Ceroli, De Pas D’Urbino Lomazzi, Ernst, Fini, Mangiarotti, Marotta, Mendini, Michelucci, Nespolo, Portoghesi, Ruffi, Sottsass, Superstudio, Vignelli…

a cura di Davide Turrini

Vai a: Centro Studi Poltronova

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7 Gennaio 2014

Pietre Artificiali

L’essere del mattone


Santuario della Madonna delle Grazie al Trionfale. (Ph. A. Acocella)

Nato come componente elementare dell’architettura il mattone è stato evoluto e prodotto, artigianalmente o industrialmente, nella tradizione moderna in forma parallelepipeda, modulare, ergonomica, le cui dimensioni e peso sono stati correlati alle possibilità di prensibilità e movimentazione della mano dell’uomo delegata a posarlo in solide murature. Questa visione evolutiva del mattone che si afferma sin dall’età tardo antica e, poi, soprattutto in quella moderna e contemporanea sfrutta appieno la sua morfologia affatto vincolante, sia in senso costruttivo che estetico, attraverso varietà molteplici di componibilità.
Invenzione creativa, perizia di posa, aggiornamento continuo di famiglie di forme elaborate in un arco storico lunghissimo, hanno sempre trovato nel mattone – il più semplice, sommesso elemento costruttivo sotto forma di piccolo prodotto di argilla cotta – il referente basilare di un lessico che non ha mai ostacolato l’espressione e la variazione di temi.
Il succedersi dei mattoni, attraverso ripetuti strati orizzontali, dà il senso del principio costruttivo di base legato all’idea archetipa di muro quale parete continua ed omogenea, sia pur “segnata” dalla fitta rete di giunti di malta.


Le Fornaci di San Pietro. (Ph. A. Acocella)

Le composizioni e le connessioni variate fra gli elementi laterizi rappresentano nel loro insieme le possibili “espressioni figurative” nel trattamento delle superfici a vista in forma di texture, di dettagli risolvibili anche in modo virtuosistico con un’esaltazione delle intime proprietà tridimensionali dei mattoni pieni.
Mantenuta ferma la regola generale ed inderogabile della non coincidenza, lungo uno stesso asse, di due giunti verticali appartenenti a “corsi” contigui della struttura muraria, è possibile dar vita – come una millenaria tradizione ci insegna – a diversi tipi di apparecchiature che determinano caratterizzazioni diverse delle superfici a vista, unitamente a prerogative tecniche differenziate. La ricchezza delle variazioni del disegno murario è facilitata, inoltre, sia dalla possibilità di utilizzare sottomultipli del mattone (quali sono il trequarti, il mezzo o duequarti, il quarto o bernardino, il mezzolungo o il tozzetto) che pezzi speciali disponibili per dettagli architettonici o rifiniture particolari (colonne, cornici, archi, decorazioni ecc.).
Il principio costruttivo legato all’uso del mattone esprime un “metodo connettivo” basato essenzialmente sulle peculiarità morfologiche ed associative degli elementi laterizi che si “legano“ fra loro a formare compenetrazioni, texture particolari, dettagli esecutivi attraverso rapporti e connessioni di contiguità geometrica che sfruttano i moduli proporzionali e facilmente interscambiabili delle diverse facce di posa.



Il mattone moderno e i suoi sottomultipli.
Modularità e flessibilità dei mattoni contemporanei nell’assecondare le più variate aggregazioni e disposizioni per la formazione di strutture murarie e parietali.

Immagini fortemente correlate alla natura geometrica del mattone e alla logica aggregativa del materiale sono tipiche dell’architettura in laterizio. Posare gli occhi sul singolo, minuscolo elemento per seguirne il percorso, a volte, lineare ed in piano, altre variato e virtuosistico con accentuazioni plastiche, consente di impossessarsi dell’essere del mattone che tende, in genere, a perdere la sua individualità a vantaggio di una figurazione più generale dell’opera muraria o degli altri elementi della costruzione.
Nel linguaggio dell’architettura in mattoni tutte le parti si palesano come necessarie in quanto fanno riferimento ad una idea di unitarietà, di insieme, in cui non c’è posto per elementi dotati di vita autonoma, di senso separato. Tale linguaggio è caratterizzato dal “mettere in forma” concetti elementari del costruire – il muro, il pilastro, l’arco, la piattabanda, la volta, il dettaglio “rivelatore” – ma capaci di dar luogo, attraverso un’ampia casistica di varianti interne, ad un lessico di grande flessibilità e varietà.
Fra tutte l’idea di muro – figura archetipica dell’architettura di laterizio al pari di quella di pietra – sembra incarnare l’essenza più viva e feconda dell’uso del materiale. All’interno dell’ordine murario, la specificità della parete in mattoni si manifesta nella ripetizione costante o nella variazione dei motivi di posa degli elementi, tendenti ad esaltare omogeneità e complanarità, oppure connessioni, differenze, figurazioni. I procedimenti tecnici che presiedono alla formalizzazione dei vari tipi di muri prendono in considerazione i diversi impieghi della materia attraverso i quali è possibile perseguire strutture portanti omogenee e severe con tutto ciò che questa scelta comporta, oppure pareti con attivazione di decorazioni e ornamentazioni virtuosistiche delle superfici a vista.


Texture in mattoni. (Ph. A. Acocella)

La forma, le dimensioni e il peso del mattone moderno, sono sempre stati legati alle possibilità ergonomiche e di movimentazione della mano dell’uomo; le misure e il peso dei mattoni, infatti, hanno subìto nell’ultimo millennio solo poche e limitate variazioni.
Le sue misure, di norma, sono multiple fra loro: generalmente la larghezza (chiamata “testa” nel linguaggio di cantiere) è il doppio dello spessore e, approssimativamente, la metà della lunghezza dell’elemento.
La larghezza del mattone non ha superato, in genere, i 13-15 cm poiché, dovendo essere murato con un’unica mano (l’altra è impegnata nella posa della malta), tale dimensione limite non ostacola la presa e la messa in opera a regola d’arte entro gli elementi di fabbrica da realizzare.
La lunghezza del mattone, per ragioni di componibilità e di modularità risulta essere il doppio (all’incirca) della larghezza; lo spessore è in funzione del peso stesso del mattone – che l’esperienza del lavoro umano ha fissato all’interno del range di 3-4 kg – in modo da non affaticare eccessivamente il muratore nelle prolungate attività di posa in opera.


Texture in mattoni. (Ph. A. Acocella)

I rapporti dimensionali, come evidenziavamo, sono dovuti alla convenienza di ottenere spessori murari utilizzando unicamente mattoni interi. Ma oltre i mattoni interi si sono sempre usati nella realizzazione delle murature e negli altri elementi della costruzione anche i loro sottomultipli, prodotti appositamente dalle industrie od ottenuti per spacco (o segata) direttamente in cantiere.
La profondità del muro, comunemente, è concepita e “misurabile” in base ad un modulo costruttivo del mattone: la larghezza (o “testa”). Ogni muratura si presenta con spessori che risultano sempre multipli della “testa” (anche se, per esattezza, la misura del muro corrisponde alla somma delle teste più gli spessori dei giunti di malta di connessione).
Lungo il Novecento tentativi di standardizzazione delle dimensioni dei mattoni nazionali – sulla scia di analoghe esperienze straniere – hanno portato all’emanazione di norme codificando nel 1965 il formato unificato UNI (5,5x12x25 cm), ma la produzione e il mondo della prassi costruttiva italiana non hanno accettato – pur nell’apparente razionalità della norma emanata – i tentativi di unificazione indirizzati ad azzerare consolidate e secolari tradizioni territoriali.


Texture in mattoni. (Ph. A. Acocella)

I motivi della mancata accettazione di un unico formato unificato sono da rintracciarsi sia nella lenta evoluzione tecnologica che ha contraddistinto il settore produttivo del laterizi, sia nella continua e sostenuta richiesta di formati e tipi tradizionali di mattoni derivante dalla domanda connessa al restauro dei monumenti, al recupero delle preesistenze edilizie. A queste motivazioni più in generale, è possibile aggiungere la difesa e la valorizzazione delle identità e culture locali di costruzione anche nella nuova architettura.
In sintesi la misura originaria 14×28 cm rimase in maniera prevalente nei territori dello Stato Pontificio.
Per tutto il Novecento, con l’avvento dei forni Hoffmann e delle linee meccaniche di estrusione, si decuplicò in Roma – principalmente a ridosso del Vaticano (rinomate Le Fornaci di San Pietro) – la produzione del classico mattone 5x14x28 cm (volgarmente definito “Zoccolo Romano”).
Il proliferare di tali impianti semi-industriali, permise dagli anni Venti del Novecento ai primi anni del secondo dopoguerra l’edificazione di interi quartieri residenziali (Garbatella, Testaccio, Trionfale, Prati, Parioli ed altri) che tutt’ora rappresentano la continuità nell’uso del “Mattone Pieno Romano”.
Dalla misura del classico mattone 14×28 cm che a Roma per tutto il Novecento fu utilizzato nello spessore standard di 5 cm, derivò, nel ventennio fascista, un elemento che fu all’epoca definito “Mattonetto Romano” e che si differenziava sostanzialmente per lo spessore, portato a 4 cm.
Le misure definitive nominali (4x14x28 cm) volevano essere motivo di ricongiungimento tecnico-estetico ideale con le antiche misure della Roma Imperiale che avevano per i mattoni uno spessore, di 3-4 cm.
La ragione di questa particolarità era data dal fatto che, a fronte di oneri di manodopera elevati, era garantita nel tempo – attraverso una più fitta stratificazione di corsi (e quindi di incatenamenti) – la stabilità degli edifici.


Mattonetto “Papalino” 4x14x28 cm del 1925 conservato nei musei Vaticani (Ph. A. Acocella)

Esempio tipico dell’utilizzo alla fine degli anni Trenta del “Mattonetto Romano” è rappresentato dal Santuario della Madonna delle Grazie che, demolito in seguito ai lavori per la realizzazione di via della Conciliazione in occasione dei Patti Lateranensi del 1929, fu ricostruito nel quartiere Trionfale ed inaugurato nel 1941.
Il mattone pieno romano (5×13,7×28,5 cm) e il mattone pieno bolognese (5,8×13,7×28,5 cm) prodotti dalla Latercompound – che ci ha concesso di ritornare ad interessarci e a scrivere del mondo sempre affascinante dei laterizi – sono testimonianza, ancora nel presente, di questa permanenza indirizzata alla difesa dei valori delle tradizioni identitarie di significative realtà territoriali del Paese.
Alla riproposizione dei formati dimensionali storici si affiancano chiaramente i miglioramenti dei processi produttivi contemporanei, dei controlli di qualità dei prodotti laterizi, degli stessi modi di posa con integrazione di nuove malte tecniche che permettono di ottenere prestazioni performanti in ordine a connessione, solidarizzazione, traspirabilità impiegando – ad esempio – le nuove malte tecniche in classe R3 e R4 additivate con miscele di lattice.

di Alfonso Acocella

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19 Dicembre 2013

Elementi di Pietra

Nuova Cattedra Vescovile
Civica Castellana

Il nuovo seggio per la Cattedrale di Civita Castellana, colma l’assenza di uno degli elementi primari della liturgia ,probabilmente rimosso,insieme ad altri arredi originari cosmateschi con le trasformazioni settecentesche e sostituito negli anni con manufatti spesso frutto di improvvisazione.
L’obiettivo progettuale è stato da subito fornire un modello stilistico che unisse presente e pssato, attraverso forme senza intenti mimetici,in grado di sintetizzare lo spirito etereogeneo del luogo.
Un oggetto che aspirasse alla purezza ed essenzialità della forma,quale richiamo a modelli antichi altomedievali, nella quale prevalessero le suggestioni degli elementi assemblati di recupero.
Nella scelta del materiale per la sua realizzazione, si è rinunciati a quelli effimeri,a favore dell’utilizzo della pietra,quale materiale che deriva dalla terra , nelle cattedrali Medioevali simbolo di solidità e della certezza della fede cristiana.
E’ stato individuato Il travertino quale pietra cromaticamente e matericamente più coerente,con molti elementi decorativi e costruttivi presenti all’interno della Chiesa.

In particolare è stato scelto un tipo estratto da cave presenti sul territorio di Civita Castellana in loc. Ponzano, di antica origine romana, che oltre alla ottima qualità, ha un preciso legame con il luogo.
Il progetto, può definirsi un oggetto puro, di forma archetipa ma nello stesso tempo attuale, solenne, ma anche sobrio ed essenziale, costituito semplicemente dalla combinazione di un blocco e di una lastra, poggiati su un basamento che vanno a definire un appoggio.
I tre elementi privi di decorazioni sono ricavati da blocchi sbozzati sullo spessore e lasciati con finitura spazzolata sulle superfici a vista, per esaltare l’effetto materico della pietra.

[photogallery]cattedra_album[/photogallery]

Una semplice cintura in bronzo fuso, cinge per tre lati la cattedra a definire una sorta di bracciolo con impressa in rilievo una citazione di Cipriano quale attribuzione simbolica del potere della parola.
Nella parte alta dello schienale, inciso a bassorilievo lo stemma vescovile, testimonianza temporale dell’opera e del suo committente.

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16 Dicembre 2013

Design litico

Emmanuel Babled, design contemporaneo in marmo e vetro


Seduta della collezione Osmosi, 2013

Il designer protagonista
Osservare l’utilizzo della pietra analizzando l’approccio del designer e non quello del mondo aziendale può stimolare nuove e diverse riflessioni sulla scelta dei materiali, sulla loro lavorazione, sul progetto che vi sta alla base e su tecnologie e aziende scelte per la sua migliore realizzazione.
È interessante osservare come il materiale litico faccia tutt’oggi parte del repertorio di alcuni artisti contemporanei, in un’epoca dove il design si avvale in gran parte dei materiali più innovativi dando spesso precedenza a materie sintetiche poste in chiara antitesi con i materiali e le tecniche di lavorazione tradizionali.
Se i laboratori dove si lavora la pietra e le aziende che spesse volte ne sono a capo si avvalgono in maniera sempre più frequente, come spesso si è avuto modo di osservare, della collaborazione della figura del designer, è tuttavia pratica utilizzata anche dal progettista quella di scegliere determinate aziende e laboratori per realizzare i propri progetti. L’approccio che qui vogliamo analizzare è quindi inverso rispetto a quello dell’azienda che cerca il designer, è quello invece del progettista che liberamente sviluppa il proprio atto creativo avvalendosi del sapere degli artigiani o delle realtà produttive a questo più affini.

Emmanuel Babled: polimatericità e fluidità delle forme
Riconosciamo in questa figura di “designer indipendente” un artista di origine francese che, attualmente attivo in Olanda, sta intessendo con alcune realtà artigianali italiane stimolanti e proficui rapporti produttivi. Si chiama Emmanuel Babled e fa parte di quella parte del mondo del design contemporaneo in cui la pietra ha un ruolo primario. Lui è l’artefice dei suoi progetti, lui ne segue la realizzazione, lui sceglie i materiali e le professionalità che possono portare a compimento le sue opere nel modo migliore.


Il designer Emmanuel Babled

Nato in Francia ma formatosi in Italia, allo IED di Milano, nel 1992 Babled fonda il proprio studio, oggi con sede ad Amsterdam, oltre ad insegnare presso la Design Academy Eindhoven, anch’essa in Olanda.
Sebbene lavori, nel corso degli anni, nella progettazione di prodotti industriali, mobili ed elementi illuminanti per numerose aziende come Magis, Felice Rossi, Vistosi, Kundalini, Viceversa, Frida Giannini, DuPont Nemours, Crea diffusion, Oluce, Gedy, Surmoi, Perspectives Zelco, I + I, Covo, Idée Co. Ltd, e Laurent Perrier, Babled mantiene costante la propria attività di artista indipendente nella creazione dei propri oggetti di design, solitamente realizzati in serie limitate o in esemplari unici.
La polimatericità caratterizza le sue opere in una scelta tuttavia precisa e mirata di materiali che si riconoscono essenzialmente nel vetro di Murano e nel marmo, di Carrara o di altre cave, che Babled sa far dialogare negli stessi oggetti attraverso inedite composizioni di forme e colori. Se alcune opere sono pensate per case prestigiose come Baccarat, Rosenthal o Venini, molte sono vere e proprie opere d’arte d’autore realizzate attraverso l’utilizzo dei metodi tradizionali rivisitati al fine di ottenere risultati nuovi, opere composte dalla compenetrazione di forme fluide realizzate essenzialmente in marmo e vetro, due materiali dalle caratteristiche diverse che, insieme, fanno dialogare leggerezza e trasparenza del vetro con massività e pesantezza della pietra.

Da Candelabra a Sunshare: giochi di combinazioni e forme
Marmo e vetro sono i materiali scelti da Babled per la maggior parte dei pezzi appartenenti alle sue ultime collezioni, in loro riconosciamo ancora una volta il primato dei materiali provenienti dal territorio italiano e la capacità dei suoi artigiani di lavorarli al meglio.
Convinto che alla base di un buon progetto vi sia la partecipazione diretta del progettista alla realizzazione dell’opera, Babled partecipa alle fasi di produzione che si sviluppano in laboratori scelti, entrando in relazione sia con gli artigiani che con le tecniche da loro utilizzate, talvolta accompagnate dall’utilizzo di macchine all’avanguardia guidate da sofisticati programmi informatici. È attraverso questa modalità che collezioni come Candelabra, Simbiosi, Black Sheep, Quark Marble, Pasodoble e Sunshare e Osmosi hanno preso forma.


Emmanuel Babled in un laboratorio muranense per la collezione Osmosi

Con il gruppo svizzero Stonetouch Babled realizza siX Candelabra, una lampada ad olio in forma di candelabro in marmo bianco proveniente dalle cave di Graubünden, in Svizzera, che richiama l’immagine iconografica del legno da ardere. Sei elementi cilindrici si compongono in un fascio dinamico che evoca al contempo l’origine naturale della forma e la modernità della tecnologia utilizzata per la sua modellazione, in linea con la riflessione di Babled sulla commistione tra naturalità, tradizione e innovazione in chiave contemporanea del linguaggio del design.
Simbiosi è un progetto concepito per Venini nel 2012; il vetro di Murano soffiato in una molteplicità di colori si assembla con il marmo bianco di Carrara o con il marmo belga nero attraverso un processo di lavorazione computerizzato. La pietra si presenta squadrata in forme parallelepipede dalle quali sembrano sbocciare in maniera contrastante fiori di vetro dai petali frastagliati e dalle cromie cangianti che si offrono alla funzione di vaso per contenere a loro volta nuove forme floreali.


Trittico di vasi della collezione Simbiosi, 2012

Ma dall’oggetto Babled vira anche verso veri e propri complementi d’arredo. L’originalità di collezioni come Black Sheep e Quark Marble è il frutto di una sapiente messa in relazione tra vecchio e nuovo: il marmo scelto in cava e sbozzato da sapienti mani artigiane viene modellato attraverso tecniche di lavorazione avanguardistiche capaci di trasformare il blocco massivo in forme avvolgenti e fluide che ne dissimulano le caratteristiche materiche.
Per Black Sheep il marmo nero Marquinia lavorato in laboratori carraresi forma due versioni di tavolo compatto che sembrano il risultato dell’assemblaggio di cilindri disposti secondo direzioni diversificate e tagliati in “fette” orizzontali. La morbidezza formale delle pareti laterali del tavolo, che svelano i piani curvi dei cilindri, si contrappone alla caratteristica durezza del marmo.
I tavoli Quark Marble sono il risultato dell’addizione di ovuli assemblati in composizioni sinuose. Da tre a diciannove moduli dalla forma tridimensionale di un ovulo tagliato orizzontalmente a metà creano variabili apparentemente lontane dalla materia di cui sono composte simulando dimensioni futuribili che, se a differenza dei vasi Simbiosi, non propongono il contrasto materico tra vetro e pietra, cercano lo stesso stridore nella modellazione del pezzo. Lo stesso avviene per la seduta in marmo Sunshare in cui la lastra diventa forma avvolgente del fruitore, e per Pasodoble, un tavolo caratterizzato dalla forma organica delle gambe che lo sostengono.


Seduta Sunshare

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Osmosi: oggetti e complementi d’arredo in marmo e vetro
A metà tra l’oggetto e il complemento d’arredo si trova Osmosi, una collezione di vasi e lampade, ma anche di tavoli e sedute, accomunati dalla fluidità delle forme scultoree e dalla scelta dei materiali, ancora marmo e vetro che, a differenza di Simbiosi, qui viene utilizzato in maniera monocromatica per ciascun elemento.
Funzionalità ed estetica si coniugano in una virtuale fusione dei due materiali: il marmo di Carrara, Statuario o Marquinia accoglie il vetro di Murano attraverso un’operazione di sottrazione di porzioni materiche; il vetro, soffiato, si modella in vasi colorati che vi si adagiano perfettamente. L’uno è niente senza l’altro.


Seduta della collezione Osmosi, 2013

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È secondo questa logica che Babled concepisce nel 2013 vasi, lampade, tavoli e sedute della serie Osmosi, realizzati in pezzi unici da laboratori scelti tra Murano (fornace Venini) e Verona (azienda Testi). Quest’ultima, insieme alle tecniche tradizionali dell’artigianato lapideo utilizza sofisticati sistemi informatici capaci di fare combaciare perfettamente il vuoto del marmo e il pieno del vetro.
Il controllo dell’uomo nel taglio della pietra si accompagna a una sorta di casualità nel soffiaggio del vetro, che Babled ama chiamare entropia, qualcosa che non è frutto di un suo disegno ma risultato naturale del processo di lavorazione.
Osmosi è stata protagonista di un’esposizione tenutasi nel veneziano Palazzo Franchetti tra giugno e ottobre 2013, parallelamente alla 55a Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia. Il pubblico ha così avuto modo di apprezzare la straordinaria creatività che ha fatto sì che il vetro soffiato a mano e il marmo lavorato con tecnologie avanguardistiche si combinassero in forme morbide e armoniche capaci di guardare al futuro del design d’autore.

Sara Benzi

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12 Dicembre 2013

Opere di Architettura

Hyundai Advanced Design Studio, Seoul, South Korea
Delung Meissl Associated Architects


Hall di ingresso e accoglienza dell’edificio.

Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone.

Parafrasando Calvino, scendendo di scala e raggiungendo l’architettura, ci avviciniamo al punto di partenza distintivo dell’approccio progettuale che accompagna il lavoro dei Delung Meissl Associated Architects. Nelle esperienze viennesi degli architetti l’interazione tra architettura e contesto origina la relazione tra gli elementi in gioco; è così nel disegno per il progetto urbanistico UniqaTower, dove la composizione dei volumi segue l’intenzione di rapportarsi alla scala degli edifici circostanti, alle emergenze di quartiere, agli scorci prospettici. La torre, elemento qualificante, dialoga armoniosamente con la città esistente grazie all’attenzione posta alla scala architettonica. L’architettura dinamica e fluida che scaturisce come conseguenza dell’adattamento progettuale al contesto, si riflette all’interno di ogni sistema architettonico senza soluzione di continuità. In Citylofts, dove la mixité funzionale si afferma come valore aggiunto, piani sfalsati e altezze diverse si combinano per creare spazi fruibili. La complessità strutturale conseguente è dichiarata dalla facciata esposta a nord, mentre a sud un nastro continuo di balconi ne addolcisce la forma. Anche le esperienze internazionali riflettono il manifesto dei Delung Meissl, spesso risultando, come affermano essi stessi, positiva conseguenza dell’antagonismo tra “naturale” e “artificiale”, e tra esistente e nuova progettazione, nell’ottica di creare un equilibrio totale all’interno del disegno architettonico. Questo contrappunto, insieme alla volontà di pensare spazi proiettati a soddisfare le esigenze degli utenti futuri, stimola la loro attività di progettazione. Succede ad Amburgo per l’ampliamento per la Spiegel Estate Hamburg, dove la nuova geometria, enfatizzata dalle forti linee orizzontali, e il contrasto materico, riqualificano il vecchio edificio proprietà della famosa rivista Spiegel, attribuendogli un nuovo ruolo all’interno della città. La struttura dell’edificio, la cui facciata media tra trasparenza e materialità, entra in dialogo profondo con l’architettura della città e dell’ambiente, riflettendo, al variare della luce giornaliera, le immagini della città vecchia circostante. Essa diventa mezzo attraverso il quale la città viene rivelata e riletta secondo una nuova dimensione.


Dettaglio della composizione di differenti livelli e altezze interne

All’interno del distretto del Gangnam – gu, il polo economico della luminosa e moderna Seoul, nel quartiere di Seocho, si trova la nuova sede della Hyundai, ultima creazione dei Delugan Meissl Associated Architects. Le forme regolari della struttura esterna, rivestita in pietra forte fiorentina con finitura a damasco di Il Casone, intervallate dalle alte facciate strutturali in vetro, sono valorizzate dal verde di arredo. La pulizia del volume, che caratterizza l’edificio esternamente, si ritrova internamente, dove la composizione di livelli e altezze offre una “topografia” emozionante di aree funzionali, ognuna ben riconoscibile per carattere e atmosfera.
All’entrata le direttrici geometriche sono interrotte dai grandi pilastri circolari che arredano il doppio volume della hall. Le linee morbide dell’elemento strutturale vengono valorizzate dalla levigatezza della pavimentazione in pietra forte fiorentina e, per contrapposizione, dalla struttura spigolosa delle scale. Il bianco delle superfici verticali e orizzontali identifica gli ambienti di passaggio, enfatizzando la plasticità dei volumi e modellandone la forma.
L’obiettivo centrale degli architetti viennesi nella progettazione dello Studio Hyundai Advanced Design è stato quello di fornire una dotazione chiaramente riconoscibile per la varietà di richieste delle aree di lavoro, pur mantenendo connessioni visive tra le relative aree funzionali. La personalizzazione è raggiunta grazie all’attenzione posta nei dettagli delle finiture e degli arredi, che cambiano da zona a zona. È così che l’illuminazione, la cui progettazione è avvenuta in collaborazione con lo studio Speirs and Major, di diverse colorazioni, gioca un ruolo fondamentale, relazionandosi con i motivi della pavimentazione, sempre in pietra forte fiorentina piacevolmente levigata, in un incrocio di sfumature percepibile attraverso i diversi doppi volumi che si ritrovano all’interno dell’edificio. Le parole chiave dell’architettura diventano quindi attenzione, semplicità e creatività, evitando così la composizione di quegli spazi monotoni tipici dei luoghi aziendali. Pulizia dei volumi e purezza dei materiali permettono di rendere quello che è un luogo di lavoro, un ambiente da vivere piacevolmente.


Visuale esterna del complesso.

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di Federica Poini

Vai al sito di Delung Meissl Associated Architects
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Vai al sito di Citylofts
Vai al sito di manifesto
Vai al sito che parla delle Spiegel Estate Hamburg
Vai al sito di Gangnam – gu
Vai al sito che parla di Seoul
Vai al sito Casone
Vai al sito di Speirs and Major

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9 Dicembre 2013

Opere di Architettura

Biblioteche Pubbliche di Boston,
Machado and Silvetti Associates,
Honan-Allston Branch Allston, Massachussets, USA, 1998-2001

English version

La nuova sezione di Allston della Biblioteca Civica di Boston è una delle ventisette del sistema bibliotecario della città. Diversamente dalla biblioteca centrale, queste attrezzature locali offrono un importante servizio ai quartieri periferici di Boston, funzionando spesso come centri sociali in aggiunta al loro ruolo di prestare libri.
Il contesto della biblioteca è una grande strada a traffico pesante affiancata da case in legno a tre piani, magazzini di mattoni a un piano e qualche sparso esercizio commerciale, il tutto tipico delle periferie urbane della modesta piccola borghesia in America. Il committente poneva inoltre specifiche richieste per l’edificio, e principalmente che avesse uno sviluppo a un solo piano per rendere al massimo visibile l’interno, e una entrata separata per gli spazi delle attività sociali in modo che questi locali avessero una completa flessibilità e indipendenza d’uso rispetto al più ristretto programma della biblioteca. Rispondendo a queste varie condizioni, il lotto di circa 2000 metri quadrati è diviso in tre strisce parallele attestate sulla strada principale – due zone “compatte” e una vuota. Queste corrispondono alle funzioni programmatiche di base dell’edificio. La zona frontale contiene tutte le componenti attive del programma informativo, comprese le scaffalature.


Vista di scorcio dell’ingresso principale della biblioteca.

La parte posteriore contiene tutti gli spazi di incontro e di attività sociale che hanno luogo fuori orario. La zona mediana è molto trasparente e alterna giardini e sale di lettura in padiglioni di vetro. Creando alcuni piccoli spazi a giardino piuttosto che un unico grande cortile, ogni sala di lettura è in grado di avere un giardino su due lati con caratteristiche diverse. Quando la biblioteca è chiusa e hanno luogo attività sociali nella parte posteriore dell’edificio, è disponibile un secondo ingresso senza che sia violata la sicurezza della biblioteca.
Il cortile centrale può essere collegato con quegli spazi nella zona retrostante ed agire come espansione dello spazio esterno attraverso due ampie porte che congiungono spazi contigui.
Sul fronte della biblioteca, la sala di lettura dei periodici è trattata come una stanza distintiva a doppia altezza al fine di stabilire una scala e una ricchezza di materiali che siano commisurate all’importanza dell’istituzione.
Già la sua configurazione è anche appropriata al vicinato, continuando i ritmi dei tetti a punta delle case adiacenti, per esempio, qui reinterpretati in forma di farfalla.


Viste della corte interna di lettura e degli interni della biblioteca

Mentre la maggior parte della biblioteca si ritrae dal bordo della strada con materiale più sottile e diversi trattamenti volumetrici, la sala di lettura serve come interfaccia pubblica dell’edificio, formalmente rivolta alla strada sia proiettandosi in avanti sia con la densità della sua tavolozza di materiali. Questi dispositivi percettivi permettono di rappresentare il significato della biblioteca in un volume relativamente piccolo, ma tale da conferire all’edificio una forte presenza e un forte carattere.
La forma della sala di lettura sul fronte è inoltre calibrata per l’avvicinamento obliquo in automobile. Le inflessioni della sua pianta attenuano il volume se visto dal traffico veloce. Un continuo profondo loggiato porta i pedoni all’ingresso. Passando attraverso l’entrata in facciata, i frequentatori arrivano a un punto avanzato dove l’organizzazione dell’intera biblioteca si dispiega davanti a loro. Essi scoprono immediatamente la continuità del volume maggiore che comprende alcuni spazi correlati: le pile di libri, la coppia di sale di lettura, e ancora più significativamente i tre giardini interni.


Vista della corte-giardino

In particolare questi ultimi spazi unificano percettivamente l’esperienza dei frequentatori, poiché tutte la attività funzionali sono organizzate intorno ad essi. Essi occupano il cuore della costruzione, portando luce e viste sul verde in ogni parte della biblioteca.
La tavolozza di materiali comprende lastre di ardesia norvegese, lastre e conci grezzi di ardesia del Vermont, non finiti rivestimenti di Jarrah e finestre in legno.
Questi materiali sono stati scelti non soltanto perché rispondono alle esigenze di durata, ma anche perché acquistano una bella patina con il tempo.
L’interno è ben rifinito in mogano africano e i pavimenti sono una combinazione di legno duro, pietra e sughero che dà gli stessi toni caldi dei materiali esterni.
(M. & S.)


Prospetto su North Harvard Street e sezioni longitudinali lungo i giardini di lettura

Titolo dell’opera:
Boston Public Library, Honan-Allston Branch
Indirizzo:
300 North Harvard Street, Allston, Massachusetts, USA
Data di progettazione:
1998-1999
Data di realizzazione:
2000-2001
Committenti:
City of Boston, Public Facilities Department
Boston Public Library
Progettazione:
Machado and Silvetti Associates Inc.,
Boston, Massachusetts, USA
Project team:
Jorge Silvetti (Principal in charge), Rodolfo Machado (Consulting Principal), Timothy Love (Project Director),
Matthew Oudens (Project Architect)
Design team:
Michael LeBlanc, Gregory Canarias
Impresa di costruzione:
Peabody Construction Company Inc.,
Braintree, Massachusetts, USA
Materiali lapidei utilizzati:
Esterni:
Ardesia Norvegese “Black Lace”, Ardesia del Vermont
“Heathermoor” (rivestimento delle facciate),
“Natural Cleft Bluestone” (pavimentazioni)
Interni:
“Natural Cleft Bluestone” (pavimentazioni)
Fornitura della pietra:
Vermont Structural Slate Company, Fair Haven, Vermont, USA
Installazione della pietra:
Target Masonry, Bridgewater, Massachusetts, USA

Tratto da Nuova estetica delle superfici/a>, a cura di Vincenzo Pavan

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9 Dicembre 2013

English

Boston Public Library,
Machado and Silvetti Associates,
Honan-Allston Branch Allston, Massachussets, USA, 1998-2001

Versione italiana

The new Boston Public Library Allston Branch is one of twenty-seven branches in the city’s library system. Differing from the main library, these local facilities provide an important outreach to Boston’s neighbourhoods, often serving as community centers in addition to their role housing books.
The library’s context is a heavily trafficked thoroughfare lined with triple-decker wood residences, one-story brick warehouses, and a few scattered commercial buildings, all typical of modest lower middle class urban neighbourhoods in America. The client also placed specific demands on the building chiefly that it follows a one-story configuration to maximize visual supervision on the inside and that the building have a separate entry for community functions spaces so that such locales will have complete flexibility and independence of use from the stricter library schedule.


Foreshortened view of the main entrance of the library

Responding to these various conditions, the 20,000 square foot building’s part is divided into three parallel bands aligning with the main street – two “solid” zones and one central void. These correspond to the basic programmatic functions of the building. The front zone contains all the active, information-gathering program components, including the stacks. The rear zone contains all of the community meeting and program spaces, which have off-hours use. The middle zone is very transparent, with alternating gardens and glass pavilion reading rooms. By creating several small garden spaces rather than a single large court, each reading room is able to have a garden on two sides with differing characteristics.
During library off hours when community functions take place in the rear zone of the building, a secondary entrance is available without violating the security of the library. The central garden can be linked to those spaces on the back zone and act as an outdoor space expansion via two large doors that connect the contiguous spaces.


Views of the internal reading courtyard and of library interiors

On the front of the library, the periodicals reading room is treated as a double-height distinctive piece in order to establish a scale and material richness that are commensurate with the institution’s importance.
Yet its configuration is also appropriate to the neighbourhood, continuing the rhythms of the pitched roofs of the adjacent houses, for example, here reinterpreted in the butterfly form. Whereas the majority of the library recedes from the street edge with more subtle material and volumetric treatments, the reading room serves as the building’s public interface, formally addressing the street by projecting forward and by the density of its material palette. These perceptual devices allow the library’s significance to be represented by a relatively small volume, but one that establishes a strong presence and character for the library.
The front reading room’s form is further calibrated to the oblique approach by car. The inflections of its plan attenuate the volume when viewed from the quickly moving traffic. A continuous, deep canopy draws pedestrians inside.


View of the courtyard-garden

Passing through the front entrance, patrons arrive at a vantage point where the organization of the entire library unfolds before them. They immediately discover the continuity of the larger volume that comprises several interrelated spaces: the book stacks, the pair of reading rooms, and most significantly, the three inner gardens. In particular, these last spaces perceptually unify the experience of the library’s patrons, since all functional activities are organized around them.
They occupy the heart of the building, bringing light and garden views to every part of the library.
The library’s material palette includes Norwegian Slate panels, Vermont Slate shingles and rough sculpings, unfinished Jarrah cladding and wood windows. These materials were chosen not only because they minimize maintenance demands, but also because they acquire a beautiful patina with age. On the interior, the casework is clear-finished African mahogany and the floors are a combination of hardwood, stone and cork that share the same warm tones of the exterior materials. (M. & S.)


Façade on North Harvard Street and longitudinal sections on the reading gardens

Project Title:
Boston Public Library, Honan-Allston Branch
Project Address:
300 North Harvard Street, Allston, Massachusetts, USA
Design period:
1998-1999
Construction period:
2000-2001
Clients:
City of Boston, Public Facilities Department
Boston Public Library
Architects:
Machado and Silvetti Associates Inc.,
Boston, Massachusetts, USA
Project team:
Jorge Silvetti (Principal in charge), Rodolfo Machado
(Consulting Principal), Timothy Love (Project Director),
Matthew Oudens (Project Architect)
Design team:
Michael LeBlanc, Gregory Canarias
Building general contractor:
Peabody Construction Company Inc.,
Braintree, Massachusetts, USA
Stone materials employed:
Exteriors:
Norwegian “Black Lace” Slate, Vermont “Heathermoor”
Slate (wall cladding), “Natural Cleft Bluestone” (paving)
Interiors:
“Natural Cleft Bluestone” (paving)
Stone supplier:
Vermont Structural Slate Company, Fair Haven, Vermont, USA
Stone placement:
Target Masonry, Bridgewater, Massachusetts, USA

Taken from New surface aesthetics, by Vincenzo Pavan

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5 Dicembre 2013

Pietre Artificiali

Attualità del mattone


Museo di arte romana a Merida (1980-1986) di Raphael Moneo. Visione parziale della muratura armata portante. (Ph. A. Acocella)

All’interno dello scenario contemporaneo dell’architettura in laterizio sembrano leggersi tre principali tendenze all’uso del materiale.
La prima, indubbiamente di grande interesse, sia pur limitata a poche personalità e a poche opere, riguarda l’impiego massivo e strutturale del materiale. La costruzione pesante si ricollega al tema della muratura a grosso spessore nelle sue articolate tipologie di muri monostrato e di muri compositi. Tali tipologie sono ritornate a essere vive e attuali grazie ad una serie di contributi forniti da architetti di grande prestigio internazionale.
Per quanto riguarda la riproposizione di murature portanti monostrato sono da segnalare le opere innovative di Michael Hopkins; in particolare Il nuovo teatro di Glyndebourne (1994) nel Sussex e la sede dell’Inland Revenue (1995) a Nottingham. Hopkins si confronta con la concezione del muro portante in laterizio a forte spessore, con tutte le sue implicazioni spaziali, tecniche e di caratterizzazione architettonica, guardando ai valori di permanenza e di tradizione del materiale, ma senza paura di innestare una sperimentazione tecnologica innovativa.


Museo di arte romana a Merida (1980-1986) di Raphael Moneo. Spaccato Assonometrico.

Sul fronte dell’aggiornamento costruttivo e linguistico della muratura a sacco (l’opus testaceum romano) evoluta verso la muratura armata – sulla scia della riabilitazione di tale tecnica ad opera di Louis Khan – sono da citare gli apporti di Raphael Moneo con il capolavoro del Museo di Merida e le numerose architetture di Massimo Carmassi, protagonista indiscusso di tale tecnica costruttiva in chiave di linguaggio asciutto ed estremamente contemporaneo.
La seconda tendenza, maggioritaria sul piano quantitativo, vero serbatoio di accumulo del successo del mattone a vista degli ultimi decenni, è quella che adotta il dispositivo tecnico del “rivestimento a spessore” (nella versione di pareti ad una “testa”), e che insegue la strategia della dissimulazione del muro a mezzo del ricoprimento in laterizio degli strati e delle strutture portanti retrostanti realizzati con altri materiali.


Ricostruzione dell’isolato di San Michele in Borgo a Pisa (1985-2002) di Massimo Carmassi. (Ph. A. Acocella)

Si lavora con il mattone a vista assegnandogli una funzione di protezione e caratterizzazione architettonica, declinandone le valenze materico-espressive del rivestimento inteso come simulazione del muro. È un modo d’impiego del mattone che investe tutti i paesi europei e risulta presente nella ricerca progettuale di molti architetti contemporanei come Raphael Moneo, Mario Botta, Hans Kollhoff, Peter Zumthor, Giorgio Grassi, Antonio Monestiroli, Adolfo Natalini, Cristiano Toraldo Di Francia, Guido Canali, Danilo Guerri, Paolo Zermani.
Le ricerche di figuratività inscrivibili in questa tendenza progettuale sono, in genere, risolte attraverso dispositivi di pareti autoportanti che partono da terra per innalzarsi fino alla conclusione superiore. Rimangono costanti e visibili gli elementi in laterizio (i mattoni), come pure il criterio di montaggio (la posa in umido) e la logica connettiva (stratificazione e concatenamento) riannodandosi alle sequenze dell’architettura del muro con proposte formali che oscillano fra convenzioni e ripetizioni, aggiornamenti e innovazioni di linguaggio.


Ampliamento del cimitero urbano di Arezzo (1993-2003) di Massimo Carmassi. In evidenza l’ordine monumentale della muratura armata a forte spessore. (Ph. A. Acocella)

La terza tendenza all’uso del laterizio a vista punta ad innovare sostanzialmente l’impiego del materiale attraverso involucri sottili montati a secco, discostati dai supporti strutturali retrostanti e caratterizzati, sotto il profilo formale, da un linguaggio affatto convenzionale.
Si è di fronte a un modo del tutto nuovo di intendere il rivestimento in cotto, attraverso il quale lo si fa avanzare davanti alla struttura, sorreggendolo staticamente a mezzo di fissaggi metallici, riducendolo in spessore e assegnandogli un ruolo di membrana, di scudo protettivo. Questa concezione punta ad una innovazione di linguaggio figurativo, di tecnica costruttiva, ma anche di prodotto laterizio, non impiegando più i mattoni ma riconfigurando i prodotti d’argilla dell’involucro attraverso un design del tutto inedito e particolare caso per caso.


Museo di arte sacra a Colonia (2007) di Peter Zumthor. Veduta esterna. (Ph. A. Acocella)

Negli ultimi decenni – grazie soprattutto alle realizzazioni pioneristiche e sperimentali di Renzo Piano realizzate in diverse città europee: Genova, Lione, Berlino, Lodi – è stato saggiato il tema degli involucri in cotto con elementi sottili di laterizio, dispositivi meccanici di ancoraggio per il montaggio a secco dei rivestimenti e soluzioni di stratificazione materica interna per assicurare prestazioni termiche alle pareti.


Museo di arte sacra a Colonia (2007) di Peter Zumthor. Prospettiva interna sui ruderi. (Ph. A. Acocella)

Siamo di fronte alla reinterpretazione, attraverso un linguaggio architettonico contemporaneo, del modo d’uso del laterizio cotto fra i più antichi della civiltà costruttiva mediterranea: quello dei rivestimenti fittili dei templi greci e – poi – magnogreci, etruschi, romani identificati in ambito archeologico attraverso la locuzione di terrecotte architettoniche poste a proteggere le incavallature lignee dei templi di cui un esempio attestato a Metaponto abbiamo inscritto in apertura di questo breve saggio.
Sistemi di protezione in laterizio fissati a secco, in genere, mediante grandi chiodi metallici – quelli degli antichi templi – concettualmente del tutto assimilabili agli involucri sottili in cotto a cui ci ha abituato la sperimentazione di Renzo Piano con successiva ampia diffusione nell’architettura contemporanea.


Museo di arte sacra a Colonia (2007) di Peter Zumthor. Tessitura muraria nella sua composizione “giocata” fra continuità e discontinuità del paramento in mattoni. (Ph. A. Acocella)

di Alfonso Acocella

Vai a Latercompound

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2 Dicembre 2013

Design litico

I prototipi Flexible Stone a Marmomacc

In occasione della 48° Marmomacc presso Veronafiere, nove progetti ideati dagli studenti quali elaborati conclusivi del Laboratorio di Product Design 1 – Corso di Laurea in Design del prodotto industriale di Ferrara, sono stati selezionati per essere prototipati al vero in pietra.
La realizzazione del progetto didattico, curato dai docenti Raffaello Galiotto, Vincenzo Pavan, Veronica Dal Buono e Davide Turrini, è stata resa possibile grazie all’essenziale attività partecipativa delle aziende partner che hanno messo a disposizione i materiali, le tecnologie, gli impainti produttivi, gli esperti tecnici.

EN ROSE
Cervellati Gaia
Marasti Amalia
Nembro Rosato

La Rosa è da sempre simbolo di femminilità e delicatezza. Dalle tonalità del Nembro Rosato e dalle curve della Venere del Botticelli, nasce En Rose, progetto che desidera esaltare la cura del corpo che ogni donna dovrebbe avere.

DYNAMIC SURFACE
Belinda Hajdini
Travertino di Siena

Dynamic è una composizione di blocchi in Travertino di Siena, che vanno a formare una parete autoportante per spazi interni ed esterni, percorsi espositivi e allestimenti.

BERICUT
Giovanni Manzoli
Samuele Segat
Pietra di Vicenza

Bericut è un sistema modulare di pareti autoportanti che parte dalla volontà di dare un impiego all’ampia percentuale di materia prima che, durante la lavorazione, viene di norma scartata. È molto economico poichè sfrutta dimensioni standardizzate, macchinari di uso comune, richiede pochissimi step di lavorazione e può essere ricavato anche da blocchi fallati, infiltrati e di scarto di lavorazione di altri prodotti.

NOCISTE E PESTONE
Alessandra Bimbatti
Ilaria Mori
Marmo Chiampo Paglierino

Set da cucina in Marmo Chiampo Paglierino: schiaccianoci e mortaio con pestello-mattarello. Entrambi sfruttano il peso del litotipo.

VELA
Leonardo Gravili
Dario Bellintani
Marmo di Carrara

L’idea di un camino a bioetanolo nasce dalla traslucenza che il Bianco Carrara acquista se lavorato a spessori sottili e avvicinato a una fonte luminosa. Grazie a questo combustibile il marmo non si opacizza e si può godere di una fiamma dovunque senza una canna fumaria.
La facile lavorabilità permette di ottenere una forma tridimensionale, restituendo il valore e la dignità al Bianco Carrara.

VASCA IN PIETRA SERENA
Adey Fichera
Carmela Giannella

Pietra Serena

La vasca da bagno dal design semplice ed originale si ispira alla chaise longue di Le Corbusier. Per la progettazione sono state analizzate le posizioni più comode durante il relax: il risulatato è una vasca dalle curve morbide sia interne che esterne.
Il materiale utilizzato è il litotipo spagnolo Azul Bateig, caratterizzato da un colore grigio sfumato di azzurro.

HESEETO, HEAR SEE TOUCH
Lorenzo Salmi
Serena Saponaro
Eleonora Zanus
Marmo di Carrara

La pietra scopre la musica.
Un innovativo incontro che dona espressione all’eterna unicità del marmo: la tecnologia si sposa con l’eleganza della classicità. Un exciter utilizza il marmo come membrana di un altoparlante, amplificando un segnale audio. La pietra acquisisce così la capacità di parlare creando stupore nell’utente.

STONE DROP
Gian Luca Silvestrini
Matilde Trentin
Trachite Euganea

Piatto doccia incassato nel pavimento che valorizza la naturale disposizione circolare dei due tipi di trachite, unendola all’idea di una goccia che crea increspature concentriche.

YI BÈI
Omar Azzalini
Celeste Volpi
Pietra di Vicenza

Il progetto consiste in un doppio lavandino in Pietra di Vicenza.
Costituito da un unico pezzo, il prodotto può essere ricavato solo da alcuni blocchi di scarto che presentano una particolare bicromia.
Yi béi è inoltre ideato per essere disposto in centro stanza, e per questo utilizzabile a 360° gradi.

Sfoglia il catalogo di tutti i progetti

Si ringraziano:
Pibamarmi
Lithos Design
Laboratorio Morseletto
Marmi Faedo
Marmi Serafini
Trachite Euganea
Arredo di Pietra
Marini Marmi
Santamargherita
Testi Fratelli
Altair, software Evolve
Centro Servizi Marmo
Scuola d’Arte Paolo Brenzoni
Con la collaborazione di Verona Fiere Marmomacc

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