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27 Gennaio 2014

Design litico

Interni litici per il retail contemporaneo.
Lo Studio AquiliAlberg firma le boutiques Philipp Plein

English version


AquiliAlberg Architecture and Design Studio, interno della boutique Philipp Plein a Porto Cervo, 2013 (forniture e lavorazioni lapidee Pibamarmi).

I flussi comunicativi del terzo millennio, dalla stampa periodica ad alta tiratura all’informazione televisiva, dalle più mirate politiche d’immagine dei marchi del lusso alle più estese e generaliste campagne pubblicitarie di massa, si riferiscono con sempre maggior frequenza e capillarità alla sfera del benessere psico-fisico.
Così i prodotti e le pratiche dedicati alla cura del corpo e della mente diventano i segni distintivi di un nuovo organicismo che ridisegna radicalmente le esperienze sensoriali ed emotive del soggetto; l’universo commerciale dell’abbigliamento e dei gioielli, dell’homeware, dei cosmetici e del wellness diviene imprescindibile per la conquista di un appagamento fisico e mentale, nonché per l’adesione a stili di vita sofisticati che sono sinonimo di sicurezza e affermazione personale e che, in ultima analisi, rappresentano una soddisfazione economica realmente acquisita o comunque desiderata.


AquiliAlberg Architecture and Design Studio, vetrine della boutique Philipp Plein a Porto Cervo, 2013 (forniture e lavorazioni lapidee Pibamarmi).

In tale scenario, per i suoi caratteri sensoriali e per i valori culturali che sottende, la materia lapidea gode di un rinnovato interesse su scala globale e viene scelta per l’interior design di spazi a cui la società contemporanea assegna un particolare significato funzionale e simbolico.
Se i marmi e le pietre, hanno storicamente materializzato le qualità di durata, prestigio e ricchezza, di uno sfarzo esibito e vistoso, oggi sono spesso chiamati a dar corpo alle ulteriori peculiarità di un nuovo concetto di lusso fondato sui valori della fruizione sensoriale, in un assioma che si regge su una nozione di naturalezza esaltata dalla creatività e dalla tecnologia. L’ambiente, o l’oggetto “prezioso” in pietra del terzo millennio, devono trasmettere un’idea di avvicinamento ai desideri più intimi di chi li pratica o li acquista, devono insomma soddisfare il soggetto in termini percettivi e introspettivi.


AquiliAlberg Architecture and Design Studio, parete in marmo arabescato nella boutique Philipp Plein di Kiev, 2013 (forniture e lavorazioni lapidee Pibamarmi).

In questa direzione si muovono numerosi progetti nel settore dell’hotelery di alto livello basata su di un’inedita idea di accoglienza maturata negli ultimi lustri e portatrice di una continua dilatazione degli spazi collettivi, di quelli tradizionali della reception, dell’attesa, del bar e del ristorante, ma soprattutto di nuovi ambienti quali SPA e fitness center per esercizi e cure estetiche, luoghi di incontro o meditazione, gallerie per lo shopping, spazi per eventi culturali o mondani quali exhibition hall, food plaza, lounge bar. In tale espansione e mutazione gli alberghi diventano “città autonome”, caratterizzate dall’ibridazione e dalla molteplicità di programmi funzionali tutti insistenti, sovrapposti e contemporaneamente sviluppati nella medesima struttura.


AquiliAlberg Architecture and Design Studio, interni della boutique Philipp Plein a Barcellona, 2013 (forniture e lavorazioni lapidee Pibamarmi).

Un analogo fenomeno di sincretismo funzionale caratterizza anche l’attualità dei nuovi spazi commerciali di molti brand esclusivi, disseminati nel mercato globale in catene più o meno diffuse. Da sempre il principale obiettivo della progettazione dei negozi è quello di attrarre i consumatori e di costruire una rappresentazione accattivante e convincente dei beni da collocare sul mercato. Nelle forme inedite e nei nuovi luoghi del vendere, al di là dei confini dello shopping tradizionale, il progetto va oltre la semplice definizione di queste caratteristiche, per far sì che il cliente non solo apprezzi le qualità del marchio ma si identifichi con esse, con le esperienze, le atmosfere, gli stili di vita connessi alla produzione, all’acquisto e all’utilizzo del prodotto, o del servizio, che è oggetto della compravendita.


AquiliAlberg Architecture and Design Studio, spazio lounge panoramico della boutique Philipp Plein a Marbella, 2013 (forniture e lavorazioni lapidee Pibamarmi).

Nei concept store e nei flagship store, l’architettura e il design degli interni sono messaggeri persuasivi e accattivanti del brand, parlano un linguaggio dal forte impatto capace di attrarre e guidare l’attenzione del consumatore, di creare in esso una serie di aspettative legata alla voglia di scoprire e di interiorizzare un insieme di valori legati al marchio; infine mettono a proprio agio il cliente nel momento della scelta, offrendo spazi e ambientazioni confortevoli e accoglienti. Così anche lo spazio commerciale si trasforma in un contenitore multifunzionale complesso e articolato, in una meta per visitatori che vi si recano oltre che per acquistare un prodotto, soprattutto per aderire ad un’idea e per essere protagonisti di un’esperienza esclusiva.


AquiliAlberg Architecture and Design Studio, interno della boutique Philipp Plein a Milano, 2012-13 (forniture e lavorazioni lapidee Pibamarmi).

Nei processi di trasformazione tipologica, funzionale ed estetica dell’architettura d’interni di questi spazi per l’accoglienza e il commercio contemporaneo la pietra ricopre un ruolo strategico e mostra un’identità bifronte, caratterizzata dalla tradizionale solidità connaturata alla struttura della materia e, al contempo, da una flessibile disponibilità al polimorfismo applicativo e alle contaminazioni, assicurata da tecnologie innovative di progettazione digitale e produzione automatizzata. È il caso delle boutique Philipp Plein di recente firmate dallo Studio AquiliAlberg in cui materiali lapidei, preziosi e attraenti, sono impiegati come presenza prevalente o in associazione paritetica con altri materiali come il cristallo e i metalli cromati.
Gli allestimenti dei punti vendita del brand elvetico evidenziano stesure pavimentali e rivestimenti in pietre e marmi caratterizzati da finiture superficiali lucide o patinate; i materiali litici, da apprezzare con la vista e col tatto, presentano tinte che vanno dal bianco al nero, attraverso le sfumature dei grigi, con disegni uniti, venati o arabescati. Le composizioni delle boiserie e delle pareti espositive sono contrassegnate da geometrie lineari di marcata orizzontalità, per un concept sontuoso e di particolare eleganza, basato sulla naturalità di una pietra che viene punteggiata – con effetti glitter o specchianti – da elementi neodecorativi legati all’identità visiva del marchio.

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di Davide Turrini

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AquiliAlberg
Pibamarmi

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27 Gennaio 2014

English

Stone interiors for the contemporary retail.
AquiliAlberg Studio signs Philipp Plein boutiques

Versione italiana


AquiliAlberg Architecture and Design Studio, interiors of Philipp Plein boutique in Porto Cervo, 2013 (supply and manufacturing of the stone: Pibamarmi).

From high-circulation periodicals to television news, from the most specific strategies of the luxury brands to the massive advertising campaigns, third-millennium communication is referring with more and more frequency to the themes of physical and psychical well-being.
In this way products and practises devoted to body and mind care become distinctive marks of a new organicism redesigning sensorial and emotional experiences of the subject. The commercial universe of apparel, jewellery, homeware, cosmetics and wellness turns into an essential step to reach physical and mental individual fulfilment; following sophisticated lifestyle as well becomes symbol of self-confidence and self-affirmation derived from gained or desired economical satisfaction.


AquiliAlberg Architecture and Design Studio, windows of Philipp Plein boutique in Porto Cervo, 2013 (supply and manufacturing of the stone: Pibamarmi).

In such a scenario, stone materials, for their intrinsic sensorial and cultural values, are shown a renovated interest on global scale and are chosen for the interiors of spaces to which contemporary society gives a particular functional and symbolic meaning. If stones and marbles have historically materialized the idea of long-lasting quality, prestige and wealth, nowadays, in a new luxury conception based on stimulation of the senses, the axiom is shifted to naturality exalted by creativity and technology.
Places and precious objects made of stone should in the third millennium convey the idea of a close approach to the most intimate desires of the buyer, they should in other words satisfy the subjects in terms of perception and introspection.


AquiliAlberg Architecture and Design Studio, arabesque marble wall of Philipp Plein boutique in Kiev, 2013 (supply and manufacturing of the stone: Pibamarmi).

Several projects in the domain of high-level hotelery are moving towards this direction and they are based on an idea of hospitality developed in recent years, with the continuous expansion of shared spaces – the traditional ones as the reception, the waiting room, the café and the restaurant, but also new kinds as spas, fitness and beauty centres, meditation and meeting rooms, shopping galleries, exhibition halls for cultural or social events, food plazas, and lounge bars. In this expansion and mutation, hotels become “self-sufficient cities”, characterized by hybridization and multiplication of functions that develop and superimpose in the same structure and at the same time.


AquiliAlberg Architecture and Design Studio, interni della boutique Philipp Plein a Barcellona, 2013 (forniture e lavorazioni lapidee Pibamarmi).

A similar syncretic functional phenomenon is characterizing nowadays the commercial spaces of exclusive brands as well, spread throughout the world in more or less expanded chains. The aim of projecting shops has always been to attract consumers and to build a convincing and alluring representation of the products on sale. In the new forms and in the new places of the contemporary living, these projects go beyond the limits of traditional shopping, in order to make the customer not only appreciate the brand qualities but also identify with them, with the atmospheres, experiences and lifestyles connected to producing, buying and using those same products or services.


AquiliAlberg Architecture and Design Studio, panoramic lounge space of Philipp Plein boutique in Marbella, 2013 (supply and manufacturing of the stone: Pibamarmi).

In flagship or concept stores, architecture and design transmit captivating and convincing messages related to the brand, they speak a strong language able to attract and guide the attention of the consumers, to create with them an expectation linked to the curiosity to discover and interiorize the brand values; in the end, more comfortable spaces are offered to make the customers feel at ease in the moment of the purchase. The commercial space as well turns into a complex and articulated multifunctional holder, not only a destination where you buy something but also a place where you can be protagonist of an exclusive experience linked to the brand identity.


AquiliAlberg Architecture and Design Studio, interiors of Philipp Plein boutique in Milano, 2012-13 (supply and manufacturing of the stone: Pibamarmi).

In the typological transformation of functions and aesthetics of interior design for the contemporary retail spaces, stone covers a strategic role showing a double identity: it is characterized by both a traditional solidity in its material structure, and a flexibility open to applicative polymorphism and contaminations created with innovative technologies of digital projecting and computerized production. It is the case of the Philipp Plein boutiques recently signed by AquiliAlberg Studio, in which precious and attractive stone materials are used as main presence or in balanced association with crystal and chrome metals.
The setting in the stores of the Swiss brand underlines floors and coverings made of stones and marbles that have been polished or coated; stone materials can be appreciated through sight and touch and they are present in black, white or scale of greys, and with plain, veined or arabesque-like textures. Composition of the boiserie and of exhibition walls are hallmarked by horizontal linear geometries conveying the concept of an elegant and sumptuous luxury, based on the naturality of stone that is punctuated with neo-decorative elements in glitter or glass linked to the brand visual identity.

by Davide Turrini

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25 Gennaio 2014

Post-it

Con la terra l’acqua e il fuoco

Esposizione dei progetti degli studenti del Laboratorio di Product Design 2, A.A. 2013-14.

Docenti Romano Adolini, Laura Gabrielli. Tecnico di laboratorio Francesco Viroli. Con la collaborazione di Silvia Imbesi.

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25 Gennaio 2014

Post-it

Le interviste ai protagonisti del Grand Prix Casalgrande Padana

La cerimonia conclusiva del Grand Prix 2010-2012 si è svolta di recente a Milano, alla presenza di oltre 500 persone, nel contesto scenografico dello Spazio CityLife, all’interno dell’area-cantiere dove sono in avanzata fase di realizzazione gli edifici delle Residenze progettate da Daniel Libeskind.
L’evento rappresenta una scelta di continuità con le ultime edizioni, divenute appuntamenti culturali di rilievo grazie alla cornice di luoghi altamente significativi – La Triennale di Milano, la Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista a Venezia, la Sala dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze, l’Aula Magna della Ca’ Granda di Milano – e al contributo di voci illustri del mondo del progetto, della critica, dell’università e della comunicazione.

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25 Gennaio 2014

Post-it

Shoffice. Padiglione da giardino ad uso ufficio

Lo Shoffice (dall’inglese “shed” (capanno) + “office” (ufficio)) è un padiglione da giardino adibito a ospitare un piccolo ufficio e uno spazio per gli attrezzi da giardinaggio, ubicato sul retro di una villetta a schiera degli anni cinquanta a St John’s Wood. L’idea di progetto iniziale – una collaborazione tra Platform 5 Architects, Morph Structures e l’appaltatore Millimetre – mirava a ottenere un pratico spazio ufficio e un elemento scultoreo che fluisse dalla casa verso il giardino.

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25 Gennaio 2014

Post-it

Pinnacle, culmine dell’espressione ceramica.

Daniel Libeskind, non appena raggiunta la città di Bologna accompagnato dai collaboratori dello studio milanese, si avvicina al Pinnacle e lo osserva per la prima volta. Istallazione temporanea realizzata in occasione del Bologna Water Design 2013, Pinnacle è stato progettato per lo spazio del cortile della maternità di Palazzo Bastardini, aperto per la prima volta al pubblico per l’occasione. Di fronte alla struttura, sfiorandone la superficie di rivestimento quasi per afferrarne il riflesso, risponde, con il consueto entusiasmo, ad alcune domande posta dalla redazione di Lab MD per Casalgrande Padana.

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25 Gennaio 2014

Post-it

Annali MD Post-it Journal, 2010 (I)

MD Material Design Post-it Journal – specifica sezione di Materialdesign.it, canale comunicativo istituzionale del Laboratorio Material Design – è rivista digitale dotata di specifico codice ISSN, riconosciuta a livello nazionale come periodico scientifico in UGOV Catalogo dei prodotti della ricerca.
MD Post-it Journal nasce per diffondere tempestivamene in rete i risultati in progress delle ricerche effettuate da docenti e giovani ricercatori afferenti al team di Lab MD del Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara.
A distanza di quattro anni dalla fondazione di Materialdesign.it, la redazione avvia la pubblicazione degli Annali MD Post-it Journal che intende porsi come collana di volumi digitali indirizzati a proporre, annualmente, una selezione dei contributi più significativi editati dalla rivista digitale.

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23 Gennaio 2014

Citazioni

Oggetti per aspiranti astronauti tra Pop e Postmoderno


David Palterer, arma-scultura stellare per Marmomoda, 1987

«Il tema dominante dell’architettura e del design degli anni ’70 fu la ricerca di nuovi linguaggi visivi. Fattori da tempo messi al bando dal movimento modernista, come gli elementi decorativi, il simbolismo e contesto storico, furono considerati più corrispondenti alle esigenze dell’uomo rispetto al frugale e standardizzato International Style […]. La reazione al vecchio stile diede origine a una serie di edifici e di progetti che superavano audacemente i confini della forma, esaltando il colore e la decorazione, ed erano spesso caratterizzati da un’espressione di spirito libero ed eclettico.


Thea Cadabra, scarpa Lunar Loper con luci intermittenti, 1979

[…] Già dal 1970, il designer giapponese Shiro Kuramata sperimentava forme irregolari. Più tardi, il collettivo di progettazione Studio Alchimia sperimentò forme ancora più audaci, […] Mendini arricchì la severa poltrona tutta cuoio e cromature di Marcel Breuer in segno di protesta contro la banalità del design massificato.


Michele De Lucchi, prototipi di elettrodomestici per Girmi, 1979

[…] Michele De Lucchi ricorse a colori brillanti e forme spiritose per aggiungere un tocco umano agli elettrodomestici, mentre il disegno per uno scaffale di Ettore Sottsass anticipava i lavori che avrebbe realizzato in seguito per il gruppo Memphis. […] In America, nel frattempo, il progetto Eclectic House di Venturi, Scott Brown and Associates del 1977 prevedeva una serie di case minimaliste, standardizzate, impreziosite dall’aggiunta di ricche facciate.


Vasi Gordoniani per Marmomoda, ispirati al mondo fantastico di Flash Gordon, 1987

[…] Verso la fine degli anni ’70, il fenomeno Fiorucci e l’emergere della new wave aggiunsero un’impronta di sfrontato erotismo all’approccio versatile della moda tipico del pop. […] A differenza della moda pop prima maniera, tutta pantaloni a zampa d’elefante e scarpe tozze, quella successiva era attenta alle linee del corpo, prediligendo aderentissimi abiti in tessuto ciré e tacchi a spillo. Questi elementi andavano di pari passo con la disco-dance, che a sua volta flirtava con il look da eroina di fantascienza. Quest’ultimo, in autentico stile pop, nasceva più dal gusto chiassoso di fumetti come Flash Gordon che dal modernismo sottotono di Courrèges».

Dominic Lutyens, Kirsty Hilsop, 70’s Style, Novara, De Agostini, 2010, pp. 52-58.

APPROFONDIMENTI BIBLIOGRAFICI
Pier Vittorio Gatti, “Marmomoda”, Gift, n. 26, 1987, pp.72-75;
Glenn Adamson, Jane Pavitt, Postmodernism. Style and subversion, 1970-1990, Londra, V&A Publishing, 2011.

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Atelier Mendini
Memphis
Venturi Scott Brown
Fiorucci

a cura di Davide Turrini

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20 Gennaio 2014

Letture

Stereotomy. Stone Architecture and New Research

Giuseppe Fallacara
Stereototmy. Stone Architecture and New Research,
Paris, Presse des Ponts, 2012, pp. 315.

Il volume “Stereotomy. Stone Architecture and New Research” di Giuseppe Fallacara, è l’esito di ricerche condotte sin dal 2002 dal Dipartimento di Architettura del Politecnico di Bari, diretto dal prof. Claudio D’Amato Guerrieri, fondatore e direttore dell’Istituzione. Dal 1990 con dedizione e tenacia, è ivi svolta attività di ricerca e didattica volta a valorizzare il ritorno del materiale lapideo nell’architettura contemporanea.
Stereotomy è specificatamente la sintesi di dieci anni di ricerca riabilitativa e attualizzante dell’arte del taglio della pietra, la “stereotomia” – di cui l’autore possiede profonda conoscenza – e dei suoi risvolti tecnici-morfologici, collocandosi fermamente entro i canoni classici del processo compositivo e costruttivo.
Parallelamente, una nuova generazione di accademici, localizzati in contesti geografici e accademici diversi e che Giuseppe Fallacara attraverso questo volume è riuscito a riunire, lavorano all’aggiornamento della disciplina dalle origini antiche che è la stereotomia, coniugandola con le avanzate tecniche della digital fabrication. Sono Maurizio Brocato, Brandon Clifford, Matthias Rippmann, Philippe Block, Tom Pawlofsky, Christian R. Pongratz. È anche per quest’ampiezza di visioni che il volume si presenta completamente in lingua inglese, rivolto ad un pubblico ampio e diffuso.


Laboratory of Stereotomy, 2012, Faculty of Architecture of Bari. Prof.
G. Fallacara, supervision by C. D’Amato. Study of building envelope’s tessellation.
Students: I. Caferra, F. Errede, L. Montrone, A. Moretti

Una sottile relazione lega in particolare Francia e Italia nell’uso delle pietre arenarie in architettura; due culture che hanno investigato il potenziale estetico insito in tali litotipi facili da modellare quanto solidi, perfetti per le costruzioni, adattabili in ogni tipo di esperimento strutturale.
Il legame evidente è con il territorio pugliese, dove da tempi immemorabili il paesaggio è stato conformato dall’aggregazione di pietre arenarie, non “preziose” ma funzionali ed eloquenti.


Laboratory of Stereotomy, 2012, Faculty of Architecture of Bari. Prof. G. Fallacara, supervision by C. D’Amato. Student: A. Mangione

Quanto e come quelle invenzioni antiche rintracciabili in tali contesti, possono ispirare l’architettura contemporanea? Ciò può verificarsi attraverso lo studio e la riflessione ma anche attraverso la sperimentazione pratica che le moderne tecnologie consentono.

Richard Etlin da’ avvio al volume con un’introduzione storica fondativa per la comprensione dei capitoli seguenti. Ne “Il paradosso di un’architettura acrobatica”, presenta una sintesi poetica alla storia della stereotomia sia dal punto di vista storico che architettonico, definendone con chiarezza i modelli storici paradigmatici, accompagnando il testo con immagini di spazi conformati dalla pietra e non conosciuti ai più.


Design competition for the Sports Hall, Foggia, 2012. Prof. G. Fallacara, supervision by C. D’Amato.
Students: I. Caferra, F. Errede, L. Montrone, A. Moretti, M. Palombella, A. Trisolini.

La sezione centrale del volume, a firma di Fallacara, definisce lo stato dell’arte nella ricerca stereotomia dal 1950 ad oggi, per evidenziarne i molteplici approcci applicati e mostrare, con ausilio di illustrazioni, un potenziale futuro. In queste pagine sono presentati i lavori svolti nelle diverse esperienze contemporanee dei diversi professionisti che si dedicano a ricerche affini. In forma di grandi volte composte da elementi modulari, ampie strutture spaziali, elementi autoportanti, caratterizzati dalle geometrie organiche, ispirate alle astrazioni della natura, come gusci e conchiglie, tali progetti non sono legati agli stilemi del passato architettonico ma sostenuti dal medesimo ragionamento logico-strutturale, recepito dalla stereotomia classica. Rispondono esse tutte alla trilogia più cara all’autore: tecnica, invenzione e costruzione.


G. Fallacara, Plaited Stereotomy, 2008

Segue la sezione “prototipi”, in forma di catalogo, risultato delle esperienze didattiche svolte in forma di laboratori condivisi, tra scuole universitarie e città francesi e italiane, tra il 2003 e il 2011, realizzando al vero prototipi in pietra di scale, archi, gallerie, volte e cupole, forme scultore quali obelischi nonché superfici modellate con macchine a controllo numerico.

Chiude il volume il capitolo di Marco Stigliano, collega anche professionalmente dell’architetto Fallacara, che presenta una visione di ricerche, idee e sperimentazioni di architetture di piccola scala, concepite per mostrare il potenziale dei materiali lapidei anche attraverso il tema della sostenibilità.


Domus Benedictae, Giuseppe Fallacara, Girolamo Fallacara, Marco Stigliano, 2007-2009.

Tutta la ricerca, seppur presentata in lingua “straniera”, tende a rintracciare quello spirito mediterraneo che il maestro Cesare Brandi ha saputo così suggestivamente evocare in “Pellegrino di Puglia”: «ma c’erano i fantasmi, c’erano inaspettatamente, senza sotterfugio: e di giorno e di notte. Fantasmi solidi, sparsi ovunque e inestirpabili, per quanti se ne raduni. Sono le pietre. Le pietre che la terra pugliese ha in sé come fantasmi del proprio passato di una storia ignota e preumana. (…) Dovunque si vada in Puglia, si vedono pietre che si aggregano, si cercano, si compongono, come se invece che pietre fossero calamite. Ma perché sono fantasmi. Sono fantasmi, gli unici veri, che vogliono rivivere nell’epoca del cemento armato, la loro prima vita di una storia agli albori, quando tutto era da inventare, e, per un’invenzione sola, non bastavano i millenni a esaurirla.»*

Veronica Dal Buono

* Cesare Brandi, Pellegrino di Puglia, Bari, Laterza, 1979.

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16 Gennaio 2014

PostScriptum

Le cave di Rapolano nelle fonti fra Rinascimento ed Età moderna


Palazzo Todeschini Piccolomini (1469-1500 c.a.) a Siena. Dettagli della facciata in travertino e calcare cavernoso. (ph. Enrico Geminiani)

Pur avendo individuato i principali siti di escavazione nel territorio intorno a Siena, la letteratura non ha ancora ricostruito con precisione la provenienza del travertino utilizzato nell’edilizia monumentale urbana e del contado fra Medioevo ed Età moderna. Mancano poi per questo materiale analisi interdisciplinari come quelle realizzate per la “pietra da torre” o per i marmi della Montagnola.28 Per il travertino sono documentate le cave a sud di Colle Val del’Elsa – da Gracciano ad Abbadia a Isola – e una serie di siti estrattivi nel territorio intorno all’Abbazia di S. Galgano, che proprio in località Villanuova (presso Frosini) aveva costituito una grancia, amministrata da un magister lapidum.29 Recenti ricerche hanno appurato che nel Trecento l’Opera del Duomo di Siena si serviva di alcune cave in Val di Merse, e in particolare di quella della Filetta, vicino a Sovicille.30 A queste notazioni, si può aggiungere che nei Trattati di Francesco di Giorgio (ottavo-nono decennio del Quattrocento) sono ricordate le cave di Bagno Vignoni non lontane da Pienza, specificando che «tutti questi tiburtini sono atti a fare conci, a murare».31
Se il Vasari nell’Introduzione alle Vite dedica al travertino senese soltanto un cenno, è il trattatista Pietro Cataneo a fornire un articolato quadro delle cave di travertino del territorio intorno a Siena nel capitolo terzo del secondo libro della sua opera (1554): «Tornando hora al primo nostro ragionamento sopra le cave di tale variate sorti di pietre e prima del Tevertino, il quale comunemente è bianchissimo, ancora che talvolta se ne ritrovi del gialliccio, bigiccio e azzurriccio, e di altri colori e di tal pietra se ne sono fatte maggior fabbriche, che di qual si voglia sorte petrina, come per lo amphiteatro e per lo erario di Roma si dimostra. Cavasi il più bianco e bello di ogni altro a Tivoli in sul Teverone e si tiene per opinione commune che sia creato di terra e di acqua congelata. Trovasene ancora in più e diversi luoghi del dominio Senese come a Rapolano, a Maciareto, a Asciano, a Montalceto, a Sanprugnano, e a Sancasciano dei Bagni e in altri luoghi di tali territori, tutti bianchissimi e di buona pasta, ma i migliori si cavano a Rapolano vicino dodici miglia alla città e a Sanprugnano quaranta miglia discosto da Siena».32


Scorci della Grancia (XVI secolo) a Serre di Rapolano. In evidenza gli stemmi dell’Ospedale di Santa Maria della Scala di Siena. (ph. Enrico Geminiani)

È stato osservato dai geologi contemporanei che la maggior parte del travertino impiegato a Siena proviene dalle cave di Serre di Rapolano.33 In quest’ultimo comprensorio si trova la cava di Noceto oggi nota come Querciolaie, di proprietà dell’Ospedale di Santa Maria della Scala dalla metà del Quattrocento.34: da qui proviene il travertino utilizzato nel già ricordato cantiere di Santa Maria in Provenzano (dal 1597), episodio ritenuto, fino ad ora, la prima attestazione dello sfruttamento delle cave in questa parte del territorio senese.35 I riferimenti tardo cinquecenteschi del travertino rapolanese per la fabbrica di Provenzano vengono anticipati dunque dalla testimonianza di Pietro Cataneo, passata fino ad oggi inosservata, ma una citazione più antica, se pur indiretta, porta a retrodatare ulteriormente l’attività delle cave di quest’area fino al sesto decennio del Quattrocento. Girolamo Macchi (1648-1734) – scrittore maggiore dell’Ospedale di Santa Maria della Scala e autore di preziosi manoscritti conservati presso l’Archivio di Stato di Siena – così scrive: «Palazzo de’ Papeschi in Siena.Palazzo Todeschini Piccolomini: questo palazzo in Siena detto dei Papeschi dal Chiasso Largo è nella strada già anticamente detta Porrione da Santo Martino. Fu il medesimo principiato il dì 12 settembre dell’anno 1469 da misser Nanni Todeschini Piccolomini e cognato di papa Pio II e le pietre di questo palazzo furono cavate nel podere detto Noceto dello Spedale Grande di S. Maria della Scala sotto alla Grancia di Serre e ciò fu ordinato dal detto pontefice avanti che morisse».36 Evidentemente in questo caso il riferimento è agli elementi decorativi – fra cui
spicca il cornicione sommitale di grandi proporzioni – e alle monolitiche colonne del cortile interno; ma non si può escludere che fossero previsti anche per questo palazzo uno o più fronti interamente in travertino (come nel Palazzo delle Papesse di Caterina Piccolomini già menzionato in questo saggio), al posto del calcare cavernoso messo invece in opera nel prospetto su via Banchi di Sotto, o delle altre facciate in laterizio.37


Palazzo Todeschini Piccolomini (1469-1500 c.a.) a Siena. Dettagli della facciata in travertino e calcare cavernoso. (ph. Enrico Geminiani)

Nel Settecento è il medico e naturalista Giovanni Targioni Tozzetti a menzionare il travertino della cava dell’Ospedale di Santa Maria della Scala a Rapolano: «i marmi che abbondano nelle fabbriche di Siena sono il bianco di….sic simile al bianco dei monti pisani, e il nero di….sic simile al nero di Pistoia, il giallo di Rosia della cava vecchia simile al giallo antico e il travertino bianco, ne’ beni dello Spedale della Scala. Di questo travertino sono costruite ed ornate le più grandi fabbriche di Siena e se cavansi grandi saldezze che resistono benissimo alle ingiurie de tempi e reggono bene lo scalpello, tirate in corniciami anche sottili. Subito che si cava e nei primi mesi che si impiega nelle fabbriche è bianco quanto quello di Roma e similmente saldo e fitto».38
Di grande suggestione sono anche le parole usate dal medico Giuseppe Baldassari nella sue Osservazioni (1779), dove si legge: «Oltre a ciò dalla Strada Lauretana in vicinanza della Villa di Poggio Pinci e prima di giungere all’Osteria della Violante andando a seconda delle radici dei Monti verso le Serre di Rapolano si cammina sopra un lastricato di Travertino e di Spugnone, per il corso di quasi due miglia, estraendosi in vari luoghi di questo tratto i Travertini che sono d’uso per le fabbriche di Siena».39
Precedentemente, nella prima metà del XVIII secolo, Giovan Antonio Pecci ricordava la cava di Noceto, anche se l’estrazione del travertino veniva annoverata fra le attività minori della zona di Serre.40 Il mancato riferimento al travertino di Rapolano (e più in generale alle cave toscane di questo materiale) nell’accurato quadro che Bartolomeo Torricelli, “primo scultore di pietre dure della Reale Galleria”, dà dei litotipi che si cavano non solo in Toscana, ma anche in varie parti della penisola e in Europa (1714), si può probabilmente imputare ad una lacuna nelle empiriche e autobiografiche conoscenze dell’artista41 piuttosto che ad una radicale perdita di importanza delle cave fra Sei e Settecento: qui gli unici travertini citati nel manoscritto sono quelli cavati a Spello, vicino ad Assisi, e quelli di «Marino non lontano di Roma e si vedono di gran fabbriche di pietrame di esso travertino».42


Facciata della chiesa di Santa Maria in Provenzano (1595) a Siena. Vista generale e dettaglio delle cornici in travertino. (ph. Enrico Geminiani)

Il quadro che emerge da queste rapsodiche ma significative testimonianze evidenzia un’attività estrattiva (fra XV e XVIII secolo) legata ad alcune grandi commissioni architettoniche – caratterizzate dalla presenza di maestranze dalla spiccata capacità imprenditoriale e di una committenza particolarmente qualificata – che non assume dunque i caratteri della continuità nel tempo lungo, presupposto per la creazione di una filiera ben organizzata e gestita da operatori locali, come già doveva apparire in Età moderna il comparto marmifero versiliese-apuano o le cave di macigno a nord di Firenze.
La Statistica industriale del 1813, ordinata dal Governo francese per tutta la Toscana, conferma tale situazione, ricordando in questo modo i materiali da costruzione che vengono cavati nel territorio di Siena, ovvero nella circoscrizione del Dipartimento dell’Ombrone: «Marmi: Marmo detto Fiorito di Siena si trova a Montarrenti; Marmo giallo di Spanocchia di pertinenza del Signor Giuseppe Spannocchi, Rosso di Montalceta, Nero di Vallerano; Travertini: Travertino di Spannocchia, Travertino delle Serre di Rapolano; Pietre da Macine: Si trova una buona cava presso le Serre di Rapolano di pertinenza del signor Franceschini».43 Il ricco possidente Domenico Franceschini aveva acquistato la cava di Serre dall’Ospedale della Scala sul principio del XIX secolo.44, nell’ambito della dismissione dei beni dipendenti dalla Grancia di Rapolano, una delle più antiche con quelle di Cuna.45
Nella risposta all’inchiesta industriale che nel 1811-12 aveva coinvolto i tre Dipartimenti toscani (Arno, Ombrone e Mediterraneo), il Maire di Rapolano aveva inoltre scritto: «Signor Prefetto, rispondendo alla sua lettera circolare del 28 settembre ultimo scorso relativamente alle cave di metalli, pietre e marmi ho l’onore di dirgli: Vi sono nella comune delle miniere d’oro e moltissime di pietra detta travertino, alberese ed altre. Quella d’oro è una e le altre particolarmente di travertino sono per la sesta parte circa dell’estensione del comune. Le prime non sono dirette da veruno perché fattone il saggio dal Signor Giovanni Gori di Firenze che ne era il proprietario circa cinquant’anni orsono fu trovata povera assai ed era più la spesa dell’utile. Per le seconde poi non vi è che le diriga decisamente per la mancanza dei lavori. Sono dirette dal primo venuto quando vi è domanda dei lavori di detta pietra. Essendo tanto comuni dette cave, danno piccolissimo prodotto ai proprietari. Siccome come si è detto non vi è nessun direttore non si sa neppure a quanto possono ascendere le spese. Il prodotto non si può sapere perché essendo generalmente domandati i lavori da chi ne ha bisogno a qualche capo scarpellino di Siena, questo fa cavare i sassi e ridotti approssimativamente alla figura che devono avere sono mandati a Siena e lì sono ripuliti».46


Facciata della chiesa di Ognissanti (XVII secolo/1871-72) a Firenze in travertino di Rapolano. (ph. Enrico Geminiani)

Nella rassegna proposta di fonti manoscritte e a stampa, appare di grande rilevanza ricordare, per concludere, la voce che Fillippo Baldinucci dedica al travertino nel suo Vocabolario (1681), materiale che appare nella sua dimensione ‘italiana’ e toscana in particolare: «Pietra che si cava in molti luoghi d’Italia, cioè in Siena, in Pisa, in Lucca e ‘n sul fiume del Teverone a Tivoli; ed è una congelazione d’acque e di terra, che per la crudezza e freddezza si fa; e non solo si congela e petrifica la terra, ma i ceppi e le medesime foglie degli alberi; e perché nell’asciugarsi rimane alcuna quantità d’acqua dentro e fuori, resta questa pietra spugnosa e bucherata.
È servita questa pietra per fare le più nobili fabbriche antiche e moderne e per le fondamenta delle medesime».47

di Emanuela Ferretti

Il presente saggio è tratto dal volume Travertino di Siena a cura di Alfonso Acocella e Davide Turrini

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