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12 Marzo 2014

News

LE FORME E IL TEMPO
Presentazione del volume

Ripercorrere le figure della storia per sedimentarle – ovvero esprimere la capacità del separare, del dividere, del disegnare quella scena fissa alle vicende umane che è l’architettura – costituisce una risposta fondamentale alla domanda che ci poniamo nel momento in cui iniziamo un progetto: quale architettura interroghiamo e facciamo ancora parlare?

Venerdì 21 marzo 2014
ore 18.00 Inaugurazione della mostra
ore 18.30 Presentazione del volume LE FORME E IL TEMPO
Davide Turrini dialoga con l’autore Vittorio Longheu

seguirà light dinner

Spazio Pibamarmi
Via Chiampo 78
Arzignano (VI)

Per info e prenotazioni

Vai a Piba

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10 Marzo 2014

News

Premio italiano Architettura sostenibile Fassa Bortolo
Ed. 2014

2014 Nuova edizione del Premio Architettura Sostenibile dedicata ai progetti di Tesi di Laurea, Dottorati di ricerca e Master.

Da questa edizione il Premio ha cadenza biennale e sarà esclusivamente dedicato ai progetti elaborati da studenti (italiani o stranieri) all’interno delle Università Italiane.
Dopo diversi anni di apertura internazionale infatti, si è sentita la necessità di tornare a porre una maggiore attenzione al contesto nazionale e stimolare un confronto più intenso fra le Università italiane, in grado di promuovere un rinnovato interesse nella qualità della formazione accademica, in un periodo così critico per la figura professionale dei progettisti di architettura, urbanistica e design.
Il prestigio del Premio continuerà tuttavia ad avere ancora una valenza internazionale, grazie alla scelta di incaricare, per la valutazione dei progetti partecipanti, una qualificata giuria composta esclusivamente da membri stranieri. Per la presente edizione i nominativi della Giuria, scelti dal Comitato Scientifico presieduto dal Prof. Thomas Herzog, saranno:
– Prof. Erik Bystrup (Danimarca)
– Prof. Victor López Cotelo (Spagna)
– Prof. Werner Lang (Germania)

Scarica il bando
Scarica la locandina
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4 Marzo 2014

Opere di Architettura

Mica Moraine, Residenza Presidenziale


Schizzo di progetto.

Il sito scelto per la Residenza del Presidente è un promontorio fatto di rocce e pini che si incunea in una piccola baia.
Non lontano dal centro di Helsinki, guarda giù la città e il mare. Tradizionalmente i finlandesi chiamano spesso una costruzione con il nome del luogo, per cui Mäntyniemi (pineta) è usato più del nome simbolico dato da Pietilä al progetto: kiillemoreeni, che significa morena scintillante (mica), il tipico deposito lasciato dieci mila anni fa dall’ultima glaciazione.
Mäntyniemi accoglie tre costruzioni distinte: la Residenza presidenziale, il corpo di guardia con le sue stanze di controllo e, staccata, la casa del custode per due famiglie. La costruzione dominante, la Casa del Presidente, è suddivisa in quattro zone funzionali: la residenza privata, le sale di ricevimento, l’ala degli uffici e gli spazi di servizio per lo staff. La suddivisione è anche chiaramente distinguibile e riflessa nella forma dell’edificio: l’ala degli uffici e i grandi spazi di ricevimento sono situati a un livello più alto rispetto alle stanze private, che si snodano a nastro.


Terrazza principale, lato mare.

I prospetti della costruzione variano molto dai diversi punti di vista, data la forma della pianta, che si contrae in corrispondenza della stretta area di entrata e si dilata nelle due ali convesse, con spazi aperti affacciati sul mare. Per le murature è stato usato il granito rosso di Viitasaari. Tutte le finestre hanno telai in acciaio bordati di rame all’esterno e profili di legno bianco all’interno.
La costruzione segue i contorni della roccia di sedime e della vegetazione locale, adeguandosi a questi elementi naturali e prendendo motivo da essi. La verticalità delle alte finestre compete con i tronchi degli alberi intorno; le vetrate rivolte nelle diverse direzioni ne riflettono i rami.
Ogni stanza nella residenza privata si apre su sua propria terrazza, che è collegata al terreno sottostante da una muratura di sostegno in pietra naturale, comprendente le scale. La stanza di ricevimento principale, il “grande salone”, conduce direttamente su un’ampia terrazza esterna che guarda il mare.


Ala residenze private, lato mare.

I criteri di scelta dei materiali da costruzione, come anche per le finiture e l’arredo, sono stati la tradizione e la solidità, aspetti che hanno contribuito alla definizione delle tecniche e del risultato finale. Diverse pietre naturali tipiche della Finlandia sono state usate nei vari ambienti: per le pavimentazioni si è posata di preferenza la granodiorite di Viitasaari e nella sezione della sauna la migmatite di Sotkamo.


Piscina/sauna, pietra migmatite. Zona lavaggio della sauna, particolari della pietra migmatite. “Sauna sentiero” focolare, steatite e granito rosso.

Il progetto realizza una perfetta integrazione fra costruzione e sito. Si adegua al terreno roccioso e articola gli spazi in funzione dell’ambiente esterno e della luce. Il corrugamento granitico che affiora nel sito è la base su cui si sviluppa e sorge la sua Residenza del Presidente; ma in questo nuovo disegno lo scudo di granito non detta tutta la forma come a Dipoli, nè gli interni a foggia di caverna di Dipoli e della chiesa di Malmi sarebbero appropriati alla Residenza presidenziale. Qui invece la balza di roccia naturale è seguita e impreziosita da un coronamento di pietra sfaccettato che scorre con naturalezza sopra il sito; e la metafora di questo prezioso simbolo dello Stato finlandese è la struttura cristallina del ghiaccio e la sua memoria d’inverno nel paesaggio finnico.


Pianta del progetto di concorso. Pianta del progetto conclusivo.

SCHEDA TECNICA
Località
Mäntyniemi, Helsinki, Finlandia
Committente
Stato della Finlandia
Data di progettazione
1983 (concorso)
Data di realizzazione
1985-1993
Progettazione
Reima e Raili Pietilä
Consulenze
A-Insinöörit Oy (strutture);
Studio Tauno Nissinen Oy (ingegnere elettrico)
Impresa di costruzione
Rakennus-Ruola Oy (aiuto esterno dalla A-Puolimatka Oy costruzioni)
Ditta fornitrice pietra
Oulaisten Kivi Oy (rivestimento facciata in granito),
Oulaisten Kivi Oy & Lemminkäinen Oy (esterni pietra naturale),
A. W. Liljberg (interni pietra naturale)

Rieditazione tratta da Pietra su pietra, a cura di Vincenzo Pavan pubblicato da Marmomacc

Per una documentazione completa dell’opera architettonica scarica il pdf

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25 Febbraio 2014

Pietre Artificiali

L’industria laterizia di Roma*


Le piccole terme di Villa Adriana (118-138 d. C.) a Tivoli. Visione delle ossature in opus testaceum, planimetria e spaccato assonometrico dell’impianto termale. (foto: A. Acocella)

Ampia e variegata è la famiglia dei laterizi cotti impiegata, a partire dal I sec. d. C., dalle maestranze edilizie romane fino a diventare specifica cifra costruttiva dell’architettura di epoca imperiale.
«Nell’antica Roma – afferma Richard A. Goldthwaite – fabbricare mattoniera l’unica attività industriale in cui la classe dirigente investisse. Da un certo punto di vista si trattava di una produzione rurale fondata com’era su risorse umane e materiali provenienti dalle proprietà immobiliari di un ricco, e un investimento in quella direzione non comprometteva la loro nobiltà di membri di un’aristocrazia terriera. Il grande quantitativo di manodopera a disposizione dei proprietari terrieri faceva sì che alcune fornaci realizzassero produzioni massicce. Resti archeologici attestano le straordinarie dimensioni di questi impianti, e lo studio degli stampi usati per i mattoni ha rilevato la loro ampia distribuzione. Il grande mercato per questo prodotto, quello che ne rese possibile lo stesso sviluppo, fu creato dalla concentrazione urbana della società romana, soprattutto dopo la fondazione dell’impero».1
Com’è noto, la valle inferiore del Tevere aveva sviluppato già in epoca repubblicana una fiorente industria per la produzione di tegole piane impiegate nella copertura dei tetti; non sarà stato difficile, pertanto, ampliare e specializzare tale produzione di laterizi soprattutto quando si scoprirà che dalle tegole stesse è possibile derivare facilmente tipi di mattoni dalle misure standard (basate su multipli o frazioni del piede romano) flessibili e duttili per la realizzazione dei paramenti murari posti a contenimento dell’opus camenticium.


Bollo laterizio del 123 d. C. rinvenuto nell’edificio di servizio centrale.

Con l’avanzare dell’età imperiale, la produzione dei laterizi cotti per l’edilizia romana assumerà i caratteri di una vera e propria industria specializzata (per qualità, quantità, varietà di tipologie di prodotti) funzionale alla moderna concezione romana di costruzione, indirizzata a “tempi rapidi” di esecuzione e alla “grande dimensione”. Sostenuta da una produzione di massa dei materiali edilizi e da una organizzazione efficiente di cantiere l’architettura d’età imperiale riuscirà a compiere prodigi realizzativi come testimoniano – citando solo qualche opera esemplare – la costruzione della Domus Aurea neroniana (64-68 d. C.) realizzata in cinque anni, il Pantheon (118-125 d. C.) in dieci anni, le terme di Diocleziano (298-305 d. C.) in non più di otto anni.
Grazie alla consuetudine di imprimere bolli di fabbrica, soprattutto sui tipi più grandi di laterizi, identificativi del proprietario degli stabilimenti di produzione unitamente al nome della fornace è possibile seguire, in qualche modo, l’evoluzione di quest’industria.


A sinistra Frammento di laterizio (I sec. a. C.- I sec. d.C.) con bollo della figlina Cartorian(a). Museo civico archeologico di Bologna.
A destra Frammento di laterizio con bollo IMP(eratoris) HADRI(ani) AVG(usti) dell’età di Adriano (117-138 d. C.). Museo civico archeologico di Bologna
(foto: A. Acocella)


Bolli laterizi romani d’età imperiale. Da LUGLI (1957).

I bolli, in forma di marchi a lettere incavate o a rilievo, sono impressi nell’argilla fresca mediante punzoni di metallo o matrici di legno; nella loro configurazione esplicativa più completa indicano la proprietà del terreno di cava (praedium), il nome della fornace (figlina), quella del gestore (officiantor) insieme alla data di fabbricazione.
Dai bolli di fabbrica, presenti già nei laterizi del I sec. a. C., si evince come nella prima fase dell’impero le fornaci sono in gran parte private (in genere delle grandi famiglie aristocratiche proprietarie delle campagne circostanti la città di Roma e, conseguentemente delle cave di argilla con le annesse officine) con una produzione artigianale che alimenta un mercato ancora ristretto.2


Villa dei Quintili (II sec. d. C.) sulla via Appia a Roma. Visione del settore termale in opus testaceum, scorcio del frigidarium con colonne in marmo cipollino e pavimento in opus sectile policromatico, disegno assonometrico parziale della villa con le rovine delle terme. (foto: A. Acocella)

Un’accelerazione della produzione di laterizi per l’edilizia si registra, lungo il I e il II sec. d. C., quando la struttura produttiva passa velocemente da artigianale ad industriale (ovvero assumendo i caratteri di massa con grandi serie produttive di materiali sempre pronti e disponibili) portando numerose fornaci sotto la diretta gestione statale. I programmi edilizi, soprattutto per quanto attengono alle architetture pubbliche, diventano strategicamente rilevanti per gli imperatori e la gestione degli approvvigionamenti dei materiali essenziali non viene più lasciata in mano ai privati.


Villa dei Quintili (II sec. d. C.) sulla via Appia a Roma. Visione del settore termale in opus testaceum, scorcio del frigidarium con colonne in marmo cipollino e pavimento in opus sectile policromatico, disegno assonometrico parziale della villa con le rovine delle terme. (foto: A. Acocella)

Traiano è il primo imperatore ad apparire in bella mostra, con nome e titoli, nei bolli di fabbrica. Il processo di concentrazione dell’industria romana dei laterizi nelle mani degli imperatori (e, frequentemente, dei loro familiari) si attua, progressivamente, lungo il corso del II sec. d. C. fino ad essere assoggettata completamente al controllo statale sotto il principato di Marco Aurelio.

di Alfonso Acocella

Vai a Latercompound

Note
* Il presente contributo è contenuto nel volume Alfonso Acocella
, Stile laterizio II. I laterizi cotti fra Cisalpina e Roma, Media MD, 2013, pp. 76.

1 Richard A. Goldthwaite, “Mattoni e calce” p. 250 in La costruzione della Firenze rinascimentale, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 630.
2 Fondamentale per lo studio dei bolli laterizi romani è la pubblicazione di Erbert Bloch, I bolli laterizi e la storia edilizia romana. Contributi all’archeologia e alla storia romana (1936-38), stampata nel 1948 e, in seconda edizione, nel 1968.
Sempre a Bloch si deve lo studio di tutti i bolli rinvenuti in Ostia pubblicato in “I bolli laterizi nella storia edilizia di Ostia”, pp. 215-227 in Guido Calza e di Giovanni Becatti et al. (a cura di), Scavi di Ostia, Roma, Libreria dello Stato, 1953.

Leggi anche
I laterizi cotti della Cisalpina
Il primato della tegola
Artefatti laterizi e percorsi d’acqua
Tegole e tubuli per pareti areate

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24 Febbraio 2014

News

Premio Tesi di Laurea
“PAESAGGIO, ARCHITETTURA E DESIGN LITICI”
3a edizione

II Premio per le Tesi di Laurea “Paesaggio, architettura e design litici”, ideato e organizzato da Veronafiere, in collaborazione con l’Ordine degli Architetti di Verona, si inserisce nelle attività culturali della 49a Marmomacc finalizzate a promuovere una consapevole cultura della pietra tra architetti, ingegneri, designer e produttori del settore marmifero.
In particolare il Premio intende contribuire all’approccio ai materiali litici, alla loro conoscenza e corretto impiego, nella fase formativa dei futuri professionisti.
Il concorso, a cadenza biennale, conferisce un premio in denaro a tesi di laurea (breve o specialistica) che abbiano come oggetto tematiche riguardanti l’utilizzo di materiali lapidei nel progetto di paesaggio, architettura e design.
Possono partecipare neo-laureati delle facoltà italiane di Architettura, Ingegneria, Design ed equivalenti.
La cerimonia di premiazione si svolgerà nell’ambito della 49a Marmomacc, Mostra Internazionale di Marmi, Pietre, Design e Tecnologie in settembre 2014.
I migliori elaborati saranno esposti a Veronafiere in una mostra negli spazi degli eventi culturali e comunicati attraverso i media.

Info
Ordine degli Architetti P.P.C. di Verona
Via Oberdan 3 – 37121 Verona
Tel 045 8034959 – Fax 045 592319
mail: architettiverona@archiworld.it

Risorse
Bando
Scheda di iscrizione
Pdf delle tesi premiate nella precedente edizione 2012

Maggiori informazioni
www.marmomacc.it
www.vr.archiworld.it

Organizzato da:

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20 Febbraio 2014

Design litico News

Vaselli – Spirito Pietra: la passione per la materia e il design italiano sbarcano a Barcellona grazie alla partnership con Espai Rö

Il 13 febbraio 2014, nella centralissima Calle Muntaner a Barcellona, presso il nuovo showroom e atelier di architettura Espai Rö è stata presentata, alla stampa e al pubblico, l’azienda Vaselli – Spirito Pietra di Rapolano Terme (SI) attraverso alcuni dei suoi prodotti e lavorazioni più significativi.

Quella tra Vaselli ed Espai Rö – spazio espositivo inaugurato nel 2010 e nato dalla volontà degli architetti Efrem López Moya e Adrián Jurado Batanás – è una partnership che si fonda su numerosi punti di contatto e di affinità che accomunano le due realtà e i loro fondatori.
All’interno dello spazio di Espai Rö, ci sarà uno “Spazio Pietra” dedicato a Vaselli, grazie al quale l’azienda toscana racconterà al pubblico catalano, e non solo, un’esperienza centenaria che la vede impegnata nella lavorazione di materiali lapidei di pregio e dalle cui lavorazioni nascono progetti e
prodotti che si caratterizzano per la bellezza, l’appassionato lavoro, l’attenzione per il dettaglio e
il design accurato.

“Per una realtà sartoriale come la nostra è molto importante trovare partner veramente affini con i quali collaborare, e insieme sviluppare progetti comuni per affrontare le importanti sfide del futuro – dice Danilo Vaselli, che insieme ai fratelli Cinzia e David, guida l’azienda toscana. “Sin da subito ci siamo sentiti in sintonia con Efrem e Adrián e con la filosofia che lo spazio Espai Rö intende trasmettere a coloro che lo visitano. Come dicono loro: è più di uno studio di architettura e sicuramente molto più di uno showroom.”
“Questa collaborazione si fonda su valori condivisi che sono alla base del nostro modus operandi. Anche loro, come noi – continua Danilo Vaselli – credono in un approccio che privilegia “l’arte del fare”, il “sapere artigiano” che diventa elemento di qualità e di innovazione per aprirsi a nuovi scenari internazionali”.

Contemporaneamente, al civico 182 di Calle Muntaner di Barcelona, è stato presentato uno dei prodotti più significativi ed innovativi della produzione Vaselli: il sistema Oco Vaselli kitchen, disegnata dai designer Emanuel Gargano e Marco Fagioli, che sarà rappresentato da un’isola in travertino bianco realizzata interamente nella sede di Rapolano Terme, dove si uniscono produzione industriale e sapienti tecniche artigianali.

Con questa nuova collaborazione, prosegue il piano di espansione retail internazionale di Vaselli,
la presenza spagnola si aggiunge infatti alla distribuzione presso altre selezionatissime location quali: Londra, Copenaghen, Cannes e Berlino.

Vai a Vaselli

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17 Febbraio 2014

Design litico

La Pietra di Vicenza protagonista nel design di Grassi Pietre


Dettaglio dell’area di sosta Postazione di Aldo Peressa per Grassi Pietre

Grassi Pietre è uno dei più importanti brand italiani per l’estrazione e la lavorazione della Pietra di Vicenza. La realtà produttiva, fondata nel 1880, ha tra le sue attività storiche la coltivazione della cava di Nanto dalla quale si ricava una pietra già utilizzata in epoca romana e rinascimentale, come dimostrano alcuni bassorilievi della chiesa di Sant’Antonio a Padova eseguiti da Donatello e alcuni elementi architettonici delle ville di Andrea Palladio, che ne descrive le caratteristiche tecniche nei suoi Quattro Libri dell’Architettura.

Cave e pietre
Le cave dell’azienda, dalle quali si ricavano varie tipologie di pietra vicentina, dal Giallo Dorato, al Bianco Avorio, al Grigio Alpi, Grigio Argento, Pietra del Mare, fino alla Perla dei Berici, sono situate nei Colli Berici, in un territorio un tempo sommerso dalle acque. La pietra, classificabile in varie tipologie a seconda del periodo di origine, del colore e dei materiali e organismi fossili che vi si trovano all’interno, è calcarea e di origine sedimentaria. Si presenta con colori dai toni tenui ma naturali e caldi ed è solitamente soggetta al fenomeno della “carbonatazione”, attraverso il quale l’acqua degli agenti atmosferici penetra nella pietra sciogliendone una parte di calcare che migra verso l’esterno andando a formare uno strato di calcite inizialmente facilmente lavorabile e nel tempo soggetto a nuovo indurimento. La naturalità cromatica del materiale è quindi accompagnata da un’accentuata sua lavorabilità.


Area di sosta Postazione di Aldo Peressa per Grassi Pietre

Il rispetto per l’ambiente da parte dell’azienda ha fatto sì che le cave siano divenute nel tempo completamente sotterranee e non visibili dall’esterno; il loro sviluppo in galleria è oggi accompagnato dall’utilizzo di moderni macchinari che permettono la realizzazione di sale sotterranee sostenute da pilastri. Il costante monitoraggio dei materiali estratti da parte dei professionisti che si occupano della loro successiva lavorazione, permette di selezionare le varie stratificazioni in funzione delle diverse esigenze.

Azienda e progettisti
Oggi Grassi Pietre, con passione e professionalità, crea con questa pietra, ormai nota a livello internazionale, soluzioni efficaci, eleganti e durevoli per clienti e progettisti sia italiani che stranieri. L’esperienza di quattro generazioni e la continua formazione interna del personale, in linea con il progresso della tecnologia al servizio della lavorazione dei materiali litici, fa sì che l’azienda riesca a restare costantemente al passo con i tempi e, in maniera sempre più preponderante, a partecipare a progetti raffinati frutto del lavoro di esperti architetti e designer.
La valorizzazione della Pietra di Vicenza nel suo uso contemporaneo avviene attraverso il suo utilizzo in progetti concepiti sia per interni che per esterni, sia privati che pubblici.


Dettaglio dello spazio attrezzato WifiCorner di Aldo Peressa per Grassi Pietre

Infinite varietà di superfici e accostamenti cromatici che tendono generalmente a donare un effetto di calore capace di rendere accoglienti gli ambienti in cui la pietra viene impiegata, hanno contribuito ad attrarre l’attenzione di molti designer della scena contemporanea che hanno collaborato nel corso del tempo con l’azienda, sviluppando interessanti esperienze progettuali e produttive.
Da Aldo Cibic a Patricia Urquiola, Setsu & Shinobu Ito e Aldo Peressa – solo per citare alcuni nomi – sono stati i fautori di interessanti progetti dove la Pietra di Vicenza è stata protagonista modellandosi secondo l’intuizione e il volere della collaborazione tra azienda e progettista. Alcune opere hanno contribuito a porre in prima linea il marchio aziendale all’interno di eventi fieristici del calibro di Marmomacc: lo stand del 2007, con un’interessante parete frangisole e un sinuoso camminamento è stato progettato da Cibic; Setsu & Shinobu Ito hanno progettato sinuose stratificazioni sovrapposte in pietra, Aldo Peressa si è dedicato allo studio di interessanti elementi di arredo urbano.


Spazio attrezzato WifiCorner di Aldo Peressa per Grassi Pietre

Aldo Peressa e Grassi Pietre per Marmomacc in the city
Un interessante episodio progettuale sviluppatosi nel corso dell’ultimo anno ha coinvolto l’architetto Aldo Peressa, che ha curato la progettazione e realizzazione, con Grassi Pietre, delle opere WifiCorner, Postazione e Fuoco e Fiamme, quest’ultima esposta in Cortile Melone a Vicenza in occasione di “Marmomacc in the city” 2013. Si tratta di tre progetti di arredo urbano facenti parte di ARTeNa OUTDOOR, un complesso di elementi di arredo realizzati in ferro, legno e pietra dalla collaborazione tra aziende specializzate nella lavorazione della pietra (Grassi Pietre), del ferro (NIVA) e del legno (Mobilificio Lunardi) con progettisti-designer. I tre progetti – uno spazio di sosta attrezzato per l’utilizzo di rete wireless, un’area di sosta dotata di elementi per il parcheggio di biciclette e un sistema di cucina per esterni / barbecue – sono accomunati dall’essere il risultato della composizione di piani realizzati nei diversi materiali citati. Inclinazione obliqua e ortogonalità tra le varie parti, insieme a uno studiato gioco compositivo dei diversi materiali che donano cromaticità e funzionalità diverse agli elementi che vanno a modellare, contribuiscono alla formazione di armonici elementi di arredo urbano al tempo stesso moderni e naturali; in dialogo, quindi, con i luoghi, tendenzialmente verdi, che dovrebbero accoglierli.


Fuoco e Fiamme, cucina per esterni di Aldo Peressa per Grassi Pietre

Fuoco e Fiamme, in particolare, in risposta al bando di “Marmomacc in the city” 2013 che prevedeva la realizzazione di un’opera d’arte in pietra concepita per uno spazio urbano, si pone piuttosto come un prodotto di design (una cucina per esterni / barbecue) dove il Grigio Alpi di Vicenza sostiene uno sbalzo in acciaio corten e listelli calafatati di teak formanti un piano di appoggio e consumo del cibo che va a chiudere un ideale quadrato.
Anche in questa occasione la pietra tende e porsi in dialogo con altri materiali reintroducendosi in maniera sempre più frequente negli elementi di arredo che ci accompagnano nella vita di tutti i giorni; ed è in questo che nuove tecnologie e studiata progettualità sviluppata dalla collaborazione tra azienda e designer fa sì che ciò avvenga in maniera sempre più innovativa e funzionale.

di Sara Benzi

Vai a Grassi Pietre

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12 Febbraio 2014

Eventi

e_bookzine. Dall’espositore alla mostra



Palazzo Tassoni Estense
Salone piano terra
12-17 febbraio 2014

L’esperienza didattica: espositori, e-bookzine, mostra
La progettazione e la realizzazione della mostra “e-bookzine” all’interno di Palazzo Tassoni Estense, presso lo spazio espositivo del Salone passante al piano terra, è esito finale dell’esperienza didattica semestrale del Laboratorio di Design della Comunicazione A.A. 2013-2014 tenuto dai docenti Alfonso Acocella, Veronica Dal Buono, Michele Zannoni.
La progettazione della mostra – in quanto evento pubblico – ha offerto l’occasione di portare ad un livello di riflessione più generale il processo di apprendimento da parte degli studenti svoltosi, nella fase conclusiva, attraverso un percorso condiviso e partecipato che ha visto dialogare e collaborare studenti e docenti secondo la formula del co-design.
La mostra, allo stesso tempo, è funzionale a valorizzare e condividere – a livello dell’intera comunità del Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara – gli artefatti prodotti lungo l’attività del Corso, ricollocati in un quadro d’insieme e arricchiti dalla visione e dalle opportunità spaziali di Palazzo Tassoni Estense ed allestitive dell’exhibit design.

Gli espositori a colonna
In ogni mostra gli artefatti esposti per la fruizione- fisici o immateriali che siano – presuppongono elementi, di varia natura e configurazione, funzionali al sostegno e alla visualizzazione degli artefatti stessi.
Di tale necessità non ne è esente l’allestimento della mostra legata alla serie di bookzine all’interno degli spazi di Palazzo Tassoni Estense.
La volontà di disporre in serie le bookzine cartacee, ha indirizzato il Corso verso la creazione di elementi volumetrici (espositori) di cartone su cui poter posizionare ed esporre gli artefatti comunicativi consentendone una visualizzazione frontale (ovvero di copertina) e una naturale consultabilità e fruibilità oggettuale a sfoglio.
L’ideazione e l’esecuzione, da parte dei vari gruppi di studenti, di un prototipo di espositore a colonna da realizzarsi con cartone a vista, ha costituito attività progettuale e pratico-realizzativa dei primi mesi del Laboratorio svolta, in parallelo, alla ricerca dei contenuti e del graphic design delle bookzine.
Il prototipo realizzato in serie, quale espositore tipo della mostra in Palazzo Tassoni Estense, è esito di selezione intermedia del Corso, distinguendosi come risultato ideativo che meglio ha interpretato, formalmente ed esecutivamente, il tema progettuale nella fattibilità di una autoproduzione economica, veloce, sostenibile da parte degli studenti stessi.

Corso di laurea
Design del Prodotto Industriale
A.A. 2013-2014

Laboratorio
Design della Comunicazione
prof. Alfonso Acocella
prof. Veronica Dal Buono
prof. Michele Zannoni

Progetto comunicativo Mostra Lab md
Veronica Dal Buono
Federica Capoduri
Giulia Pellegrini

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10 Febbraio 2014

PostScriptum

TRADIZIONE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA
La filiera produttiva del travertino di Siena
I parte


Filagna di travertino senese modellata attraverso fresate ripetute.

La nascita e lo sviluppo del distretto lapideo rapolanese
Sin dall’antichità la presenza del travertino ha influenzato in modo del tutto peculiare la cultura materiale, il lavoro e la vita quotidiana degli abitanti di Rapolano, Serre ed Asciano nella provincia di Siena. Tale profondo rapporto storico assume la connotazione di un autentico legame strutturale inscindibile in epoca moderna, quando le attività estrattive finalizzate all’approvvigionamento di grandi cantieri di architettura assumono un’importanza dapprima rilevante, poi preponderante, per l’economia locale. Pur legata a significative imprese architettoniche e ad una committenza particolarmente qualificata, tra la fine del XV e il XVIII secolo inoltrato l’escavazione non assume caratteri di continuità e non viene gestita e sistematicamente organizzata da operatori locali.1; soltanto a partire dalla metà dell’Ottocento, essa inizia a configurarsi come un’attività proto-industriale connessa ad una filiera di scalpellini residenti che si occupano dei vari gradi di trasformazione dei materiali estratti.2
Dai primi decenni del XX secolo, con un finale decisivo impulso derivato dalle ricadute dell’autarchia fascista, l’estrazione e la lavorazione dei travertini locali si afferma come attività industriale stabile, capace di garantire un ingente capitolo per l’economia dell’area caratterizzata fino a questo momento da una vocazione prevalente di tipo agricolo. Per tutti gli anni ’20 e ’30 del Novecento, fino all’apertura del secondo conflitto mondiale, una comunità di alcune centinaia di cavatori, scalpellini e manovali provenienti da Rapolano, da Serre e da Asciano, ma anche da Lucignano, Buonconvento e Sinalunga, dà vita a quello che inizia a configurarsi come un vero e proprio distretto lapideo rapolanese, organizzato in imprese familiari o in società
cooperative di lavoratori.3, e impegnato nella fornitura di travertini per importanti edifici in Italia e all’estero. Tra i principali progetti di architettura che nei primi decenni del secolo hanno richiesto materiale lapideo proveniente da Rapolano si ricordano l’ampliamento del Palazzo di Montecitorio a Roma, la facciata della chiesa di Santa Maria degli Angeli ad Assisi e la chiesa di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Rotondo, la Manifattura Tabacchi e il Teatro Puccini a Firenze, il Palazzo delle Nazioni a Ginevra, il Palazzo della Borsa e la Stazione centrale di Milano, i colonnati per una Stazione ferroviaria mai realizzata a Berlino.4


Taglio con filo elicoidale in una cava di Rapolano nel 1939.

Se il progetto tedesco porta alla realizzazione di mastodontici rocchi di colonne bloccati negli scali merci delle cave dal crollo dello stato nazista, andando a costituire una rilevante occasione mancata per l’esportazione dei travertini di Rapolano, la Stazione milanese, disegnata da Ulisse Stacchini e portata a termine tra il 1925 e il 1931, rappresenta certamente per la quantità di materiale messo in opera e per la varietà delle tipologie di lavorazione, l’esempio più emblematico di applicazione architettonica storica della pietra locale. Durante la costruzione dell’edificio la società di scalpellini Le Querciolaie e la consorella Società Paradiso, entrambe di Rapolano, forniscono oltre duemila metri cubi di travertino, collocato nella galleria di testa dei
binari e nell’atrio delle biglietterie e lavorato in forma di lastre di rivestimento o in forti spessori per modanature architettoniche ed elementi scultorei decorativi.5
Gli anni del secondo dopoguerra sono quelli in cui l’attività dell’industria lapidea rapolanese raggiunge il massimo sviluppo e diventa riconoscibile nello scenario produttivo internazionale: in pochi decenni nel territorio comunale gli occupati nel settore estrattivo e di trasformazione della pietra salgono dalle 660 unità del 1951 alle 2190 del 1971.6, inoltre il comparto di Rapolano oltre a esportare i suoi travertini in Europa, in Asia e in America diventa un polo di lavorazione di altre pietre provenienti da tutta l’Italia.
Dopo la grande affermazione dei prodotti standard per rivestimenti e pavimentazioni, che per tutti gli anni ’80 del secolo scorso impongono sui mercati marmette realizzate con travertini chiari e di colore omogeneo e che induce le aziende del comparto rapolanese ad ampliare il loro bacino estrattivo ad altri siti della provincia di Siena, del viterbese o di Tivoli, dalla metà degli anni ’90 le realtà industriali locali iniziano un processo di ridefinizione delle loro peculiarità produttive basato sulla rivalutazione dei travertini locali che per la loro ricchezza di varianti cromatiche e di tessiture più o meno venate riscuotono un crescente successo, dapprima con la diffusione dei travertini anticati – cioè di prodotti caratterizzati da un particolare processo abrasivo di finitura meccanica in cui le aziende del comparto sono specializzate – poi, soprattutto nell’ultimo decennio, con l’affermazione nel settore del design di alto livello di lavorati che comunicano una forte immagine di naturalità, realizzati appunto con travertini locali dalla spiccata variatio cromatica e materica.


Il fronte estrattivo di una cava a Serre di Rapolano con le diverse fasi di taglio e ribaltamento di una bancata di travertino.

Negli ultimi anni tutte le realtà produttive dell’area, perlopiù ancora caratterizzate dalle solide origini di un’imprenditoria familiare locale o di una natura cooperativa di lunga durata, hanno intensificato i processi interni di rinnovamento, investendo nell’ammodernamento degli impianti, nella ricerca per l’innovazione di processo e di prodotto e nel contestuale restyling degli show room e delle strategie di marketing. Tutto ciò è avvenuto in concomitanza con un diffuso cambio generazionale ai vertici delle dirigenze, che certamente ha favorito una politica di trasformazione capace comunque di conservare i caratteri peculiari del know how artigianale storico, tramandato ancora oggi a Rapolano accanto alle più aggiornate capacità operative legate ai processi di lavorazione automatizzati a controllo numerico.
La storia industriale recente dell’area è caratterizzata dall’istituzione nel 2001 del Consorzio del Travertino di Rapolano che attualmente raggruppa le 8 principali aziende del settore lapideo attive nei comuni di Rapolano Terme e di Asciano. I materiali scavati e lavorati direttamente dalle realtà produttive associate provengono da 21 cave: da quelle ancora ricchissime di travertino localizzate nelle provincia di Siena e da altri siti estrattivi delle province di Grosseto, Viterbo e Roma. Nel 2008 il fatturato complessivo delle aziende consorziate è stato di circa 40 milioni di euro, il numero dei lavoratori direttamente impegnati nella filiera produttiva della pietra è attualmente di circa 300 unità, a cui si aggiunge un’ulteriore consistente gruppo di impiegati nell’indotto.



Stazione Centrale (1925-31) a Milano di Ulisse Stacchini. A fianco, la galleria di testa dei binari in una foto d’epoca scattata durante la messa in opera dei rivestimenti in travertino di Rapolano; in alto, dettagli dei rivestimenti a rilievo in travertino.

L’assetto produttivo delle imprese abbraccia tutta la filiera di escavazione e trasformazione dei travertini con conseguenti importanti economie di scala e capacità di controllo della qualità del prodotto finale; le singole realtà si rivolgono poi a settori di mercato diversificati: alcuni operatori producono e commercializzano principalmente semilavorati; altri realizzano componenti per pavimenti e rivestimenti da destinare ai grandi cantieri di architettura; altri ancora si occupano di trasformare la materia litica per prodotti di interior design e di urban design. All’interno di tutta la compagine del Consorzio il 10% circa della produzione è costituito da blocchi, il 20% da lastre e altri semilavorati e il 70% da prodotti finiti, con una media di export estero che sfiora il 30% della produzione totale commercializzata. I principali mercati UE di riferimento per le aziende rapolanesi sono la Gran Bretagna e la Germania, mentre nell’orizzonte extra UE il referente principale è rappresentato dagli Stati Uniti d’America a cui si affiancano importanti mercati emergenti come la Russia.7
Il Consorzio del Travertino di Rapolano è nato con lo scopo iniziale di costituire un interlocutore unico, capace di rapportarsi con le pubbliche amministrazioni, in merito alle problematiche connesse alla estrazione dei materiali e allo smaltimenti e al riciclaggio dei rifiuti di lavorazione.
I risultati raggiunti in tal senso sono stati importanti: ad un piano di escavazione condiviso, hanno fatto seguito un disciplinare per la definizione del marchio di origine per i travertini locali e alcuni progetti sperimentali per l’innovazione del prodotto lapideo ideati anche a partire da un riuso creativo degli scarti di trasformazione della pietra.8 Oggi la priorità del Consorzio è di cogliere la sfida della globalizzazione dei mercati, individuando strategie innovative di promozione del travertino, nonché di comunicazione e valorizzazione di una filiera produttiva del tutto peculiare, che di seguito viene descritta attraverso le quattro azioni principali di incisione, scavo, erosione e ibridazione, necessarie per trasformare la materia lapidea in prodotto per l’architettura e il design del terzo millennio.

di Davide Turrini

Il presente saggio è tratto dal volume Travertino di Siena a cura di Alfonso Acocella e Davide Turrini

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5 Febbraio 2014

Pietre Artificiali

I laterizi cotti della Cisalpina*


Mattone sesquipedale manubriato a forte spessore con iscrizione “figulos bonos” (quale plauso ai “bravi fornaciai”) vergata a fresco prima della cottura. Museo archeologico di Cesena. (Ph. A. Acocella)

I mattoni del vasto territorio romanizzato della Cisalpina, al pari di quanto avviene nelle città della Magna Grecia, anticipano di almeno un secolo quelli di Roma e dell’ambito geografico di più specifica influenza assumendo, inoltre, caratteristiche morfologiche e dimensionali del tutto peculiari, sia pur sempre correlate alla dimensione base del sistema di misurazione romano (il piede, il pes).
L’uso del mattone da muratura cotto in fornace si diffonde nella estesa e pianeggiante regione della Cisalpina già nel II sec. a. C. almeno cento anni prima rispetto a Roma e al Lazio, dove pur la tradizione della cottura di argille a fini della produzione di artefatti da costruzione era conosciuta, ma rimasta limitata a tegole ed embrici di copertura o ad elementi impiegati nelle suspensurae dei bagni privati e delle terme.
Se i mattoni prodotti a partire dall’età imperiale nel territorio di Roma saranno contraddistinti da una configurazione morfologica quadrata e da uno spessore ridotto (che non supererà in genere i 4-4,5 cm) è da evidenziare subito come i caratteristici mattoni cotti della Cisalpina assumeranno forma prevalentemente parallelepipeda e spessori sempre maggiori di 5 cm, con valori ricorrenti compresi fra i 6 e gli 8 cm, raggiungendo in casi particolari addirittura i 14 cm.
Il mattone maggiormente prodotto e utilizzato nella Cisalpina romanizzata è il cosiddetto sesquipedale rettangolo; le sue dimensioni corrispondono ad un piede e mezzo per un piede mentre lo spessore è di un quarto di piede; tali misure romane, tradotte nel sistema metrico decimale, corrispondono a cm 29,6×44,4×7,4.


Laterizi speciali per la formazione di suspensurae e di colonne. Museo archeologico nazionale di Sarsina. (Ph. A. Acocella)

«Ovviamente – come precisa Franco Bergonzoni – nessun mattone risulta perfettamente calibrato rispetto alla misura campione, sia a causa di imperfezioni e ineguaglianze nelle dimensioni delle forme, sia per il diverso ritiro delle varie qualità di argille utilizzate».1
Il formato e il peso dei mattoni sesquipedali suggeriscono ai produttori, frequentemente, di dotarli – su una delle facce maggiori – di un incavo a “mezzaluna” (praticato tramite un deciso colpo di stecca sul pane di argilla ancora fresco) che funziona, appena effettuata la cottura, da comoda impugnatura nelle operazione di fornace e di cantiere.
La produzione laterizia della Cisalpina, di tipo artigianale e locale, risponde sempre – come di norma avviene nell’antico – alle richieste specifiche dei vari programmi costruttivi; non è infrequente, conseguentemente, il rinvenimento di mattoni – oltre che nei formati standard quali sesquipedali o mezzi sesquipedali – anche in dimensioni molto diverse.


Laterizi speciali per la costruzione delle colonne del porticato soprastante il criptoportico della Villa di Catullo (I sec. a. C) a Sirmione. Antiquarium della Villa. (Ph. A. Acocella)

Vi sono, poi, laterizi per usi particolari con risalti a tronco di cono per la creazione di pareti areate contro l’umidità: i piccoli mattoni (quadrati, circolari, semicircolari) impiegati nella costruzione di suspensurae per il riscaldamento degli ambienti, i tubuli cavi rettangolari per il convogliamento di aria calda lungo le pareti, i tubuli (fusiformi o cilindrici) per volte da forno, le tessere pavimentali, le terrecotte architettoniche da rivestimento decorativo; su alcune di queste categorie di artefatti fittili torneremo più avanti.
Le ricerche archeologiche della Cisalpina restituiscono un orizzonte cronologico di partenza inerentemente all’impiego dei grandi mattoni cotti che si attesta lungo il II sec. a. C., a cui fa seguito una diffusione ampia (e maggiormente unificata nei formati) nel corso del I sec. a. C.
L’indisponibiltà di pietre e la ricchezza in loco di argille, acqua e legname capace di alimentare la fiamma dei forni spinge, realisticamente, le popolazioni della pianura padana alla evoluzione e al perfezionamento produttivo di mattoni cotti, materiali solidi e duraturi per la costruzione, innanzitutto, di fondazioni e muri basamentali dell’architettura in un contesto geologico particolare qual è quello della pianura padana.
Un ruolo significativo nel perfezionamento della tecnica di cottura nelle figline e nella stessa diffusione dei mattoni in Cispalpina è assegnato da Maurizio Biordi – nel suo documentato studio “I bolli laterizi romani nell’agro ariminense” – ad Ariminum, l’odierna città di Rimini.2


Catasta di mattoni sesquipedali a forte spessore. Museo archeologico nazionale di Sarsina. (Ph. A. Acocella)

Ariminum, com’è noto, è colonia di diritto latino fondata dai romani nel 268 a. C. con l’insediamento di popolazioni provenienti dalle regioni centro meridionali (Sabini, Umbri, Piceni, Sanniti) tutte esperte della tecnica fittile legata alla coroplastica e alla ceramica. Inoltre Ariminum, tramite i contatti con Arretium (Arezzo) che si svolgono lungo la direttrice del passo di Viamaggio, ha sicuramente modo di recepire la tradizione etrusca legata all’uso del mattone di argilla cruda (il famoso lidio) e, soprattutto, del mattone semicotto (ovvero soggetto ad una cottura debole che investe solo gli strati superficiali) attestata, sia materialmente che nella letteratura antica, già nelle mura urbiche di Arezzo della fine del III sec. a. C.
L’apporto evolutivo della Cisalpina è legato al perfezionamento del processo di cottura in profondità dei grossi pani di argilla in vista di ottenere un elemento da costruzione ancora più solido e duraturo: un mattone a grosso spessore completamente cotto.
Lo sviluppo dell’industria laterizia è attestata ad Ariminum dal rinvenimento di numerose fornaci, insieme a mattoni da muratura (frequentemente dotati di marchio di fabbrica), a partire dal II sec. a. C. Si deve, molto probabilmente, alla stessa città di Ariminum la diffusione del mattone cotto sia verso entroterra padano lungo la via Emilia, sia verso l’area costiera della Romagna, sia ancora verso il territorio del nord est attraverso la via Popilia.
Ad Aquileia e Ravenna sono state rinvenute e studiate le prime attestazioni d’uso del mattone cotto in opere murarie risalenti alla fine del II sec. a. C.



Piscina delle terme della Villa di Catullo (I sec. a. C.) a Sirmione realizzata con grandi mattoni sesquipedali e planimetria generale della residenza nobiliare affacciata scenograficamente sul lago di Garda. (Ph. A. Acocella)

A Ravenna, in particolare, grossi mattoni – emersi nel 1980 dallo scavo della Banca Popolare, nelle misure di 44x44x5 cm, con sigle e lettere impresse a fresco – alimentano, nei pressi del Battistero Neoniano, la costruzione di un tratto delle mura urbiche databili al II sec. a. C.; sempre al sistema delle mura della città appartiene il reperto – esplorato nel 1913 – dell’Abside della Basilica Ursiniana con mattoni cotti delle dimensioni di 52x52x5 cm; altre strutture murarie appartengono alla torre Sallustra con impiego di mattoni di 50x30x5,5-6 cm.
Ulteriori e recenti testimonianze archeologiche di mattoni cotti in Cisalpina, sempre risalenti al II sec. a. C., riguardano Piacenza (mura e chiesa di S. Margherita) con mattoni di 40×30 cm e Reggio Emilia (Credito Emiliano) con dimensioni di 45×30 cm.
Visti nel loro insieme i rinvenimenti del II sec. a C. citati ci restituiscono un repertorio variegato, ma già definito, di mattoni ben cotti riguardabili come prototipi di una prima e apprezzabile stagione applicativa che permetterà di pervenire, nel secolo successivo, alla stabilizzazione dei laterizi da muratura nella versione nota del sesquipedale rettangolo; formato confrontabile – quello del sesquipedale cotto – con il modulo dei mattoni crudi (e semicotti) della civiltà etrusca al punto da far protendere gli studiosi verso l’ipotesi del suo probabile trasferimento dall’Etruria verso i territori della pianura padana che ne evolvono i procedimenti di cottura.


Costruzioni del lato nord e criptoportico della Villa di Catullo (I sec. a. C.) a Sirmione. (Ph. A. Acocella)

«Segue poi – secondo l’interpretazione di Maurizio Biordi – un’ampia diffusione del mattone cotto nel I secolo a. C. come dimostrano il mattone sesquipedale del Museo Storico di Cesena, con iscrizione a fresco “L(uci) Numisi/ C(ai) Comici / figulos / bonos”, datato da Giancarlo Susini fra il II-I secolo a. C.; le “Tegulae agri placentini” ovvero un gruppo di laterizi della Cisalpina occidentale (Placentia, Parma e Vellaia) con i nomi dei consoli degli anni compresi tra l’80 e il 30 a. C. e, infine, l’opera letteraria di Varrone il “De Rustica” (composto intorno al 37 a. C.) in cui al capitolo 14 menziona i “lateris coctiles”, ovvero i mattoni cotti in fornace, quale materiale di costruzione preferenziale per la costruzione della recinzione delle fattorie dell’Ager Gallicus».3
La produzione laterizia della Cisalpina, che attraverso numerose testimonianze anticipa e si differenzia da quella di Roma, non si limita unicamente ai grandi mattoni cotti come già accennato.
Oltre al settore dei materiali ceramici, in cui si inscrivono anche i contenitori fittili da trasporto, la categoria dei laterizi da costruzione trova declinazione ampia ed originale di sviluppo.


Terrecotte architettoniche decorate a spina pesce (II-I sec. a. C.). Museo della città a Rimini. (Ph. A. Acocella)

Ai fini del rivestimento protettivo e decorativo ad un tempo è indirizzata la produzione di terrecotte architettoniche (sime, lastre campana, antepagmenta, antefisse…) la cui datazione dei vari ritrovamenti (a Rimini, a Cattolica, a Santarcangelo, a San Lorenzo Strada, a Bologna ecc.) risale al II sec. a C.; su di esse, comunque, la ricerca archeologica sta ancora studiando le testimonianze per elaborare un quadro e una seriazione cronologica attendibile a fronte di reperti materiali frammentari, disseminati in diversi contesti.
Sempre alla categoria dei prodotti da costruzione appartengono altri artefatti, sia di grandi che di piccole dimensioni, rinvenuti nei siti archeologici di epoca romana.
Nei grandi laterizi rientrano i manufatti da copertura come tegole piane e coppi, confrontabili quanto ad impegno produttivo ai grossi mattoni (su cui ci siamo già ampiamente soffermati) e gli stessi elementi speciali che da questi ultimi, in qualche modo, ne derivano il forte spessore. È il caso, per fare qualche esempio, dei laterizi in forma di settori di cerchio per la realizzazione di colonne come sono visibili nella Villa di Catullo a Sirmione sul lago di Garda, oppure dei mattoni per la costruzione delle “camicie” dei pozzi così come documentato sin dal I sec. a. C.


Tubuli da volta in forma di piccole olle rinvenute a Riccione in località Piada d’Oro. Da STOPPIONI (1993). (Ph. A. Acocella)

Esemplificativi, in tal senso, sono i laterizi esposti al Museo archeologico di Cesena; si tratta di elementi utili a consolidare, al perimetro dello scavo in profondità, pozzi cilindrici che si presentano nella configurazione di mattoni puteali curvilinei (pozzo di S. Giovanni in Campito) o di grandi sesquipedali sagomati in curva su una delle facce maggiori e affiancati lungo le coste a formare la camicia cilindrica laterizia per la raccolta e la tesaurizzazione dell’acqua (pozzo presso la Fornace Marzocchi).
Nella categoria degli artefatti da costruzione rientrano, ancora, particolari produzioni laterizie come quella dei tubuli fittili per la realizzazione delle volte dei forni; in Cisalpina ne sono emersi, negli ultimi decenni, di due tipi appartenenti a cronologie storiche diverse.
Il primo, più antico – con rinvenimenti in crolli di fornaci romane a Riccione (località Piada d’Oro e S. Ermete) e a Santarcangelo – ha forma di una oletta aperta alla base con bordo aggettante, corpo centrale fusiforme e terminazione a punta chiusa. Tale morfologia consente a questi particolarissimi prodotti fittili di impilarsi parzialmente l’uno nell’altro definendo degli archi e, consequenzialmente nello spazio, delle volte a camera d’aria capaci di non dissipare il calore prodotto dalla combustione del legname nei forni.


Tessere laterizie pavimentali di forma parallelepipeda e di esagonette semplici o con inserti di tessere litiche. Museo archeologico di Cesena. (Ph. A. Acocella)

La tipologia più tarda di tubuli – attestata con evidenza da ritrovamenti in fornaci romane sempre nel territorio di Santarcangelo (lottizzazione di Spina) – è, invece, di forma diversa e di dimensioni inferiori. La morfologia è cilindrica (simile ad altri esemplari rinvenuti in Romagna) con una estremità completamente aperta e l’opposta caratterizzata da una terminazione conica (forata in punta).
Fra i laterizi da costruzione di piccole dimensioni, di specifica ed originale produzione delle fornaci della Cispadana, è possibile annoverare tutta la famiglia di tessere (o “micro mattonelle”) pavimentali dalle forme geometriche più varie: esagonali, rombiche, lunate, a pelta (intero o dimezzato), rettangolari il cui impiego è noto nelle classiche tessiture ad opus spicatum tanto diffuse anche a Roma.
Rilevante per tutti i tipi di tessere è il notevole spessore, confrontabile con quello dei mattoni sesquipedali, che le rende particolarmente solide e resistenti.
L’uso di argille mineralogicamente diverse consente di ottenere tessere di colore differenziato (dal giallo chiaro al rosato, al rosso vivo) impiegate in composizioni pavimentali a contrasto cromatico come quelle emerse – per fare solo qualche esempio – a Bologna negli scavi del Palazzo Comunale (Borsa, 1920) o in via Bernini (1959), oggi esposte nel Museo archeologico della città.




Disegni e ricomposizioni di elementi speciali di laterizio per “camicie” di pozzi (ex fornace Marzocchi e località di San Giovanni in Compito). Museo archeologico di Cesena. (Ph. A. Acocella)

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Note

* Il presente contributo è contenuto nel volume Alfonso Acocella, Stile laterizio II. I laterizi cotti fra Cisalpina e Roma, Media MD, 2013, pp. 76.

1 Franco Bergonzoni, “Per un catalogo dei laterizi bolognesi: l’età romana”, Inarcos, n. 314, 1972, (senza numerazione di pagine), pp. 5.
2 Maurizio Biordi, “I bolli laterizi romani nell’agro ariminense” pp. 125-144 in Maria Luisa Stoppioni (a cura di), Con la terra e con il fuoco, Rimini, Guaraldi Editore, 1993, pp. 181.
3 Maurizio Biordi, “I bolli laterizi romani nell’agro ariminense” p. 131 in Maria Luisa Stoppioni (a cura di), Con la terra e con il fuoco, Rimini, Guaraldi Editore, 1993, pp. 181.

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