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2 Luglio 2014

Progetti

RENZO PIANO E MALTA
Una inedita facciata in pietra per il Nuovo Parlamento


City gate, prospetto

RENZO PIANO E MALTA
Una inedita facciata in pietra per il Nuovo Parlamento

a cura di Angelo Bertolazzi, Vincenzo Pavan

Nel 2008 lo Studio Renzo Piano Building Workshop ha avviato il progetto “Valletta City Gate”, con il quale è stato ripensato l’accesso al centro storico della capitale maltese. Il complesso è costituito dagli edifici del nuovo Parlamento maltese, dal recupero delle rovine dell’adiacente Opera House e della nuova porta della città di Valletta.
L’intervento si situa in una zona importante della capitale maltese, già tutelata come Patrimonio dell’Umanità, a ridosso delle sue famose ed inespugnabili mura cinquecentesche, ma che richiedeva un progetto di riordino architettonico ed urbano. L’area interessata dal progetto presentava una notevole complessità, dettata sia dalla presenza delle possenti mura sia dalle trasformazioni che si sono verificate nel corso della seconda metà del XX secolo e che hanno visto un progressivo degrado dell’area. Le fortificazioni di La Valletta non solo avevano serrato in un circuito chiuso il nucleo abitato, ma avevano generato una altimetria molto complessa. Dalla quota di campagna il livello del terreno si abbassa per la presenza del profondo vallo, delimitato dai muri di scarpa e controscarpa, per poi innalzarsi repentinamente con la massa del muro principale e riabbassarsi in corrispondenza della circonvallazione interna, ritmata dalla presenza dei cavalieri. All’interno la situazione appariva ancora più difficile a seguito delle distruzioni belliche e dell’uso dell’area nel dopoguerra. Il ponte di accesso venne allargato negli anni ’60 del Novecento per consentire il traffico veicolare e per la stessa ragione venne demolita la porta del XIX secolo realizzata dagli Inglesi e sostituita con un accesso anonimo, mentre un ponte retrostante favoriva la circolazione interna dei veicoli. All’interno la ferita originata dalle distruzioni belliche venne lasciata aperta e lo spazio libero divenne un parcheggio, come il vallo esterno e gli spazi ipogei del fronte bastionato.


City gate, prospetto

Lo studio RPBW è stato chiamato a redigere un progetto che comprendesse la costruzione del nuovo Parlamento maltese, il recupero delle rovine dell’Opera House e il progetto del nuovo accesso di La Valletta, all’interno di una riqualificazione morfologica e funzionale dell’area sia all’interno che all’esterno delle mura.
Il progetto dello studio RPBW si presenta quindi molto articolato e differenziato su più livelli: esso può essere inteso come una grande operazione di recupero e di ridefinizione del luogo, nella quale convergono allo stesso tempo esigenze rappresentative, come il nuovo accesso alla capitale e il nuovo Parlamento, urbane (il ripensamento della viabilità interna ed esterna) ma anche quelle legate alla memoria, come la scelta di mantenere e rifunzionalizzare le rovine dell’Opera House che fa da contrappunto alla nuova “porta” che reinterpreta in chiave contemporanea il concetto di accesso monumentale.
In un progetto così articolato e complesso c’era il rischio sia di perdere l’unità dell’insieme che di inserire elementi estranei al luogo. La scelta di utilizzare la pietra locale da parte dello studio RPBW è stato l’elemento che ha permesso di stabilire un dialogo tra gli edifici antichi, le nuove costruzioni e l’ingresso alla città, diventando il comune denominatore per il progetto. La scelta del calcare giallo di Malta, nella variante più compatta, non è stata tuttavia una scelta banale e semplicistica. In ogni edificio infatti la pietra viene impiegata in maniera differente: se nell’Opera House è stata posta in opera secondo tecniche vicine alla tradizione, per risarcire alcune lacune, nella nuova porta invece le lastre di grandi dimensioni sono l’epidermide dei volumi monumentali di ingresso, mentre nell’edificio del Parlamento diventa il materiale per un paramento altamente sofisticato, che serve all’integrazione nel contesto senza tuttavia falsi mimetismi.


Parlamento, prospetto ovest

Proprio le facciate del Parlamento si segnalano per l’uso assolutamente innovativo della pietra. Il possente involucro si trasforma infatti un sistema complesso nel quale alla pietra sono state affidate nuove funzioni che vanno oltre quelle di semplice finitura esterna dell’edificio. Il rivestimento di grande spessore svolge infatti un importante ruolo attivo nella modulazione della luce che penetra al’interno dell’edificio e quindi al suo controllo climatico. Secondo questo principio di parete ‘attiva’ che stravolge il concetto stesso di rivestimento sono stati pensati degli elementi a brises-soleil integrati nella tessitura dell’edificio e progettati secondo l’inclinazione dei raggi solari.
Questo progetto così innovativo e con un così alto contenuto tecnologico è stato reso possibile dal lavoro svolto dalla ditta CFF Filiberti, che ha curato l’ingegnerizzazione delle facciate e la realizzazione dei singoli elementi lapidei, disegnati uno per uno seguendo un abaco ricco e diversificato. La realizzazione delle facciate ha richiesto un intenso e inedito lavoro di progettazione tecnologica delle facciate, sia a livello del taglio e della lavorazione della pietra che a quello dello studio degli agganci in facciata, con cui assorbire tutte le tolleranze dell’edificio.
Questo, che è diventato un progetto dentro ad un progetto, ha consentito sia di raggiungere gli elevati standard tecnologici previsti sia di seguire l’idea progettuale dello studio RPBW, quella di modellare il volume del Parlamento come un masso eroso dal vento. Da un punto di vista metodologico si è trattato dunque di un proficuo e – per certi versi non abituale – scambio tra progettisti e impresa, dove la volontà progettuale e gli aspetti tecnici hanno saputo trovare il giusto equilibrio.


Parlamento, prospetto ovest

L’iniziativa di Marmomacc intende approfondire e far conoscere gli aspetti tecnici e progettuali dell’opera evidenziando l’impiego innovativo della pietra e dimostrando le nuove qualità tecnologiche ottenibili con un materiale antico.
Per questo motivo sarà allestita nel Padiglione n.1, una mostra che illustrerà la storia del progetto con foto e disegni sul processo di ideazione della facciata, seguendone il percorso della costruzione. La mostra sarà completata da elementi lapidei, forniti e posti in opera dalla ditta CFF Filiberti, in scala 1:1 usati nel progetto maltese con cui mostrare il processo di ingegnerizzazione dei dettagli e di lavorazione della pietra.
Questa fondamentale esperienza di uso dei materiali litici in una grande opera architettonica sarà inoltre illustrata, nei giorni di Marmomacc in una Tavola Rotonda, che raccoglierà contributi e testimonianze dirette di quanti hanno lavorato alla ideazione e realizzazione della Valletta City Gate. L’obbiettivo è quello di evidenziare ancora una volta come un progetto possa essere il motore per l’innovazione e come la sua riuscita sia il risultato di un dialogo tra committente, progettista ed impresa. Nella Tavola Rotonda interverranno i progettisti e i consulenti dello Studio RPBW, l’azienda CFF Filiberti che ha ideato il sistema costruttivo e seguito il processo di ingegnerizzazione e di montaggio delle facciate, realizzandone gli elementi in pietra delle facciate esterne e interne, e i rappresentanti del Governo maltese, committente dell’opera.


Parlamento, dettaglio della facciata

Hanno collaborato alla mostra:
RPBW Renzo Piano Building Workshop, Genova, Parigi
www.rpbw.com

CFF Filiberti srl, Bedonia, Parma
www.cff-filiberti.com
info@cff-filiberti.com

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30 Giugno 2014

News

Mauro Andreini. Terre di nessuno

“Mauro Andreini. Terre di nessuno”
acquerelli e fotovisioni 2007-2013
Firenze, Palagio di Parte Guelfa
1-14 Luglio 2014
(aperta tutti i giorni dalle 9.00 alle 18.00)

“Terre di Nessuno” è una raccolta di acquerelli e fotovisioni di Mauro Andreini presentata, con un originale allestimento, nelle suggestive sale dello storico Palagio di Parte Guelfa a Firenze, patrocinata dal Comune di Firenze e dai comuni di Montalcino e di Montale. E’ esposta una selezione di circa 300 acquerelli ordinati in mostra secondo un’ideale percorso di visita suddiviso in otto tappe, corrispondenti ad altrettante sezioni tematiche. Mauro Andreini da sempre unisce all’attività architettonica una intensa produzione disegnativa, entrambe ampiamente documentate in numerose riviste, libri ed in importanti mostre e rassegne, in Italia e all’estero. “Terre di Nessuno” costituisce la più recente produzione disegnativa di Mauro Andreini, colori e linee essenziali che danno vita a paesaggi e luoghi immaginari, caratterizzati dal “naturalismo metafisico”, tipico dell’autore, che partendo dalla realtà la trasforma, con molto disincanto, in una nuova dimensione onirica e fantastica.

L’introduzione alla mostra è affidata a “Nova Atlantide”, una sintesi della raccolta omonima, realizzata negli anni ’90 e qui presente a documentare il punto di partenza della ricerca dell’autore. Un atlante di luoghi, ispirati dal mistero della città scomparsa di Atlantide, suddiviso in “città di mare” e “città di terra”. Segue la sezione “Architetture Visionarie”, una sorta di catalogo di appunti di architetture “in nuce”. Le suggestive “Fotovisioni”, chiudono la prima parte del percorso di visita, si tratta di alcune delle principali architetture edificate da Mauro Andreini “immerse”, in un immaginario dialogo ideale, con quei paesaggi naturali toscani che le hanno ispirate. La seconda parte del percorso si apre con “Dopo la fine del mondo”, paesaggi e luoghi della Terra avvolti in un silenzio lunare come potrebbero apparire dopo una ipotetica fine del mondo. Case come nature morte, carcasse di edifici adagiati in un paesaggio tetro, fatto di terre brulle senza limiti di confine in un’aria lugubre e funerea. A seguire il “Futuro dell’Abitare”, una ironica e scanzonata riflessione sul futuro dell’abitare si trasforma in un divertente inventario di ipotesi. Abitare spazi finora considerati ai margini delle città e della società e nei quali nessuno si sognerebbe di andare a vivere. La sezione “Architettura morta”, descrive una muta distesa di rovine, di paesi fantasma, di case scoperchiate e di edifici interrotti dal tempo. Ruderi, resti, costruzioni abbandonate e cadenti che, cambiando ruolo, assumono ora quello di testimoni e custodi della memoria. I “Ritratti di Luoghi” raccoglie acquerelli di posti “ridisegnati” con vedute stilizzate.

Paesaggi naturali dominati dal verde delle campagne toscane, e ancora, vecchi opifici e angoli di paese o di città. Chiude il percorso della mostra una serie dedicata a “Il massacro del Sand Creek”, dove l’autore ricorda la tragedia con una serie di suggestive e dolorose immagini disegnate dei villaggi distrutti. La mostra sarà visitabile tutti i giorni dal 1 al 14 luglio, dalle 9 alle 18.

Va a Mauro Andreini

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26 Giugno 2014

Design litico

Verticalità litiche L’unità, nella pietra, di architettura e design


Gli studenti del corso in visita a una cava di pietra di Vicenza

La presenza della pietra nell’architettura contemporanea, con crescente frequenza negli ultimi due decenni, si connette principalmente alla rappresentazione dei sistemi costruttivi tradizionali ove si sono utilizzati i materiali lapidei, sia nell’opera aulica che nel vernacolo. Cura particolare è stata dedicata nelle architetture di maggiore qualità, per ottenere paramenti murari aventi effetti di leggerezza o gravità, di ruvidezza o delicatezza, comunque evocativi delle qualità offerte nel passato dalle opere litiche. Tutto ciò attingendo dallo scarno ed essenziale vocabolario delle apparecchiature murarie della tradizione costruttiva: sia che ci si riferisse ad opere in pietra squadrata e regolare, sia che si volesse esibire l’imperfezione della murature rustiche. In entrambi i casi, salvo rare eccezioni, si è trattato di rivestimenti murari più o meno leggeri sostenuti da apparati metallici sempre più evoluti, o di pareti sottili autoportanti, anch’esse stabilizzate da staffe di collegamento con le strutture portanti. Il tratto comune tra la costruzione litica massiva strutturale del passato e il rivestimento sottile applicato come una pelle agli edifici, è che la composizione dell’apparecchiatura risulta sempre formalmente costretta da elementi modulari assai semplici, pur con misure diverse, che generano pochissime categorie di tessitura muraria, quasi tutte mutuate dall’eredità costruttiva romana.


Visita in una delle molte aziende che si occupano della trasformazione della pietra.

Una regola questa che fino a oggi non risulta mai messa in discussione, essendo l’architettura di pietra ritenuta depositaria delle tecniche della solidità, gravità ecc., ma soprattutto della forma immagine del buon costruire antico.
Il design al contrario, occupandosi del mutevole, ossia di ciò che, pur assolvendo a una propria specifica utilità continuativa nel tempo, può frequentemente cambiare forma, non si è mai occupato veramente dell’architettura, neppure degli aspetti che avrebbero potuto riguardarlo. Ci riferiamo qui ad alcune prerogative del design del prodotto industriale, come la serialità riproduttiva, la precisione costruttiva, la efficienza dei mezzi meccanici di modellazione ecc., le quali, mentre hanno trovato ampia applicazione per prodotti ottenibili con materiali più malleabili quali metalli e plastiche, assai scarsamente sono state utilizzate per esplorare le potenzialità della pietra.
Così oggi scontiamo un ritardo storico nello sviluppo della nuova figura dello “scalpellino informatico” che, con le sue potenzialità tecniche e di ricerca formale, potrebbe invece rappresentare una nuova rivoluzione nel design, e aprire la strada a una vera, ed economicamente sostenibile, serialità dei prodotti litici per l’architettura.


La realizzazione dei prototipi di studio nel laboratorio modelli del Dipartimento.

Da questo punto di vista già i primi segnali sono visibili nella progettazione e produzione di elementi di complemento all’architettura, come lastre e superfici in marmo modellate da macchine a controllo numerico per rivestimenti di interni o esterni.
Un passo ulteriore verso una integrazione tra design e architettura consiste nella identificazione di elementi di base della costruzione lapidea, come i conci di apparecchiatura dell’opera muraria, formalmente liberati dai vincoli imposti dalle costose e spesso insostenibili lavorazioni o finiture artigianali e finalmente riproducibili in serie grazie al solo lavoro delle macchine, guidato da una nuova intelligenza. Tramite l’apporto di queste macchine potrebbe schiudersi un’epoca di creatività progettuale che unisce il design all’architettura attraverso un materiale come la pietra capace di rivelare qualità insospettate capaci di ispirare nuovi linguaggi.


L’esperienza del workshop Territori di Pietra , già raccontata in questo articolo

Da queste riflessioni muove il Corso di Laurea in Design del Prodotto Industriale del Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara per l’A.A. 2013-2014.
I contenuti basilari dell’offerta formativa, quali l’identificazione e l’interpretazione dei linguaggi dell’architettura contemporanea, la conoscenza delle categorie geologiche, petrografiche e merceologiche dei materiali litici, la rispondenza del materiale agli scopi e finalità a cui è destinato il prodotto di design, le tecniche di disegno e rappresentazione con programmi avanzati 3D, sono stati calati nel laboratorio progettuale dal titolo “Verticalità Litiche”.


I docenti del corso Galiotto e Pavan in una foto del giorno dell’inaugurazione della mostra conclusiva del corso.

Il tema è incentrato nello studio e nel progetto tecnico-formale di elementi di design in pietra assemblabili, pensati per comporre parti integrate con il progetto architettonico, finalizzate a creare nuove forme per elementi come pareti strutturali e divisorie o per rivestire costruzioni e spazi architettonici.
Si tratta di interpretare le potenzialità dei diversi materiali lapidei per la progettazione e realizzazione di prodotti modulari rispondenti a necessità strutturali o decorative di progetti architettonici di diversa
complessità e arricchiti da lavorazioni, modellazioni e trattamenti rispondenti a concetti formali capaci di fornire valore aggiunto all’architettura in cui andrebbero impiegati.

[photogallery]vlgp_album[/photogallery]
Le foto della gallery sono state scattate dallo studente Lorenzo Marinozzi il giorno dell’inaugurazione della mostra.

Sulla base dei litotipi individuati per la ricerca, dopo averne studiato le proprietà fisico-meccaniche e le potenzialità espressive, sono state individuate le tipologie di prodotto più consone alle caratteristiche
dei materiali stessi (parete portante, divisoria, collaborante, di rivestimento, traslucente ecc.), su cui è stata avviata l’attività progettuale. Altro aspetto basilare nella fase propedeutica è stato il contatto degli
studenti con aziende del settore lapideo attraverso la visita in cava e in laboratorio per acquisire conoscenze dirette dei processi lavorativi, all’estrazione del materiale al prodotto finito. Il contatto con le aziende è ripreso nella fase finale del corso mirata alla prototipazione al vero di una selezione di prodotti progettati dagli studenti. La selezione è avvenuta attraverso una verifica dei lavori svolti e uno scambio tra docenti e produttori particolarmente disponibili a sperimentare nuove potenzialità offerte dai materiali e dalle macchine dei loro laboratori.
L’esito del percorso didattico è comunicato attraverso due momenti distinti: una mostra allestita a Palazzo Tassoni all’interno del Dipartimento in cui saranno esposti i progetti degli studenti corredati di disegni, modelli e video. Alla fine di settembre presso Veronafiere, negli spazi del Padiglione n. 1 della 49° Marmomacc, dove saranno esposti i prototipi realizzati dalle aziende partner.
Con questa nuova esperienza il Corso di Design del Prodotto Industriale ha inteso esplorare un passaggio nuovo e originale del design verso l’integrazione con l’architettura, che ci si augura sia l’inizio di nuovi approfondimenti.

Raffaello Galiotto
Vincenzo Pavan

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23 Giugno 2014

Opere di Architettura

SOLAR NATURAL HOUSE Giuseppe Fallacara, Marco Stigliano


SNH, facciata a nord

Il progetto Solar Natural House (SNH), messo a punto dal Dipartimento DICAR del Politecnico di Bari dal 2011 al 2013, è la versione industrializzabile e commerciabile del progetto Astonyshine, casa in pietra e legno completamente autosufficiente a livello energetico che ha partecipato nel 2012 al prestigioso concorso Solar Decathlon Europe svoltosi a Madrid 2012.
Il prototipo di casa eco-compatibile, nato dalla collaborazione tra la Facoltà di Architettura del Politecnico di Bari e l’Ecole Nationale Supérieure d’Architecture Paris – Malaquais l’Università di Ferrara e l’École des Ponts ParisTech, è stato sviluppato presso il cantiere-scuola del Formedil Bari.
Solar Decathlon Europe è una competizione internazionale tra università, che promuove la ricerca nello sviluppo di prototipi abitativi energeticamente autosufficienti alimentati da energia solare. L’obiettivo delle squadre partecipanti è quello di progettare e costruire case che consumano il meno possibile le risorse naturali e producono prodotti di scarto minimi durante il loro ciclo di vita. Particolare enfasi è data dalla riduzione dei consumi energetici e su come ottenere tutta l’energia necessaria dal sole.
La realizzazione del prototipo avviene tra Bari e Parigi, secondo le regole della competizione, presentando due varianti costruttive dello stesso progetto al fine di dimostrare la versatilità tecnologica della casa. Contemporaneamente alla manifestazione svolta a Madrid, dove si è assemblato il prototipo realizzato a Parigi, a Bari si è costruito il modello “commerciabile” che rappresenta una variante principalmente “mediterranea” di sostenibilità ambientale. Infatti nelle regioni mediterranee, oltre a garantire il confort invernale bisogna raggiungere condizioni confortevoli anche durante la stagione calda, problema predominante e, a tal proposito, potremmo parlare di un modello “interattivo” con l’ambiente esterno, con processi ciclici di accumulo e scarico termico.
Il Politecnico di Bari ha sperimentando il proprio know how in materia di sostenibilità ambientale finalizzato a produrre un edificio adatto al proprio contesto climatico, economico e sociale.
Il progetto SNH rappresenta un laboratorio a cielo aperto per la realizzazione di modelli di edifici energeticamente efficienti. Elemento essenziale di questa iniziativa è il continuo confronto tra ricercatori e tecnici del settore che permette di testare nuovi materiali e soluzioni tecnologiche innovative. Si viene così a creare il contesto ideale per un proficuo scambio di conoscenze e di cooperazione tra centri di ricerca universitari e realtà industriali, non solo per una operazione di marketing, ma anche per la realizzazione di componenti all’avanguardia finalizzati al miglioramento delle prestazioni tecniche ed energetiche.
Il cantiere scuola pugliese del prototipo si è realizzato presso la sede del Formedil Bari, la scuola di formazione per l’edilizia, dove per più di un anno si sono succeduti gli stage per la realizzazione dell’edificio sperimentale. Il progetto SNH si inserisce in una consolidata strategia didattico-formativa che la Facoltà di Architettura di Bari ed il Formedil Bari hanno inaugurato da oltre quattro anni con gli stage “Santi Quattro Coronati” che mirano ad unificare l’esperienza del progetto con quella della sua realizzazione, esaltando il cantiere come magico luogo di incontro fra le diverse figure professionali: architetti, direttori di cantiere, operai edili.


SNH, struttura portante in X-Lam e tetto a sella

Gli obiettivi del progetto Solar Natural House sono:
Una casa progettata principalmente con criteri bioclimatici e di “comportamento passivo”;
Utilizzo di materiali naturali, biocompatibili, e completamente riciclabili, tipici del contesto culturale pugliese ed impiego di tecniche costruttive tradizionali dell’area mediterranea:
struttura muraria portante, con caratteristiche naturali tali da conferire agli edifici alte capacità di sostenibilità ambientale, buone caratteristiche meccaniche, duttilità, facilità di lavorazione; Copertura in legno, un materiale omogeneo, perfettamente stabile, esente da difetti meccanici con buona resistenza ed elevata portata;
Basso impatto ambientale ed eco–sostenibilità dell’opera grazie all’impiego di materiali, la cui produzione e messa in opera non richiedono alti consumi di energie e risorse. Ciò conferisce un valore aggiunto all’edificio, legato ad un’alta qualità ambientale, una migliore prestazione e una netta riduzione dei costi.
Uso di nuove tecnologie energeticamente efficienti, come i sistemi fotovoltaici, per ottenere l’energia necessaria al fabbisogno della casa, consentendo la loro integrazione tecnologica in architettura, maggiore efficienza, minor consumo e prezzi più bassi;
Ricerca di nuovi design, materiali e tecnologie per la progettazione dell’edificio, compresi il controllo della temperatura, la ventilazione e il riscaldamento/raffrescamento e i problemi di prefabbricazione per una riduzione dei costi di produzione;
Importanza della logistica nel progetto per un’industrializzazione adeguata e per la commerciabilità del prototipo nel rispetto dell’ambiente, della sicurezza e della salute dei lavoratori.
Solar Natural House è un progetto che nasce sul rapporto fra tradizione ed innovazione. Nel nostro contesto mediterraneo l’architettura è sempre stata un’arte collettiva, un fatto di tutti, legata ai principi della trasmissibilità dei saperi, dove il rapporto con la tradizione significa innanzitutto accettarla come dato di partenza, porsi in continuità per innovarla e quindi trasmetterla alle generazioni successive, ai fini dello sviluppo sociale di una comunità. Alcuni dati fondamentali della costruzione mediterranea vengono semplicemente riapplicati in maniera corretta: il controllo dell’illuminazione naturale, dell’orientamento, il posizionamento delle aperture, la ventilazione naturale, l’ombreggiamento, l’isolamento e soprattutto la massa muraria.


SNH, interno

Il progetto si concentra su materiali naturali, componenti e prodotti riutilizzabili o riciclabili, scelti considerando l’ammontare di energia richiesta per la loro produzione, come quantità totale di energia primaria inglobata e il potenziale contributo al riscaldamento globale in tutti i materiali componenti e processi comprendenti la produzione il trasporto e la messa in opera.
Particolare attenzione è stata data alla sostenibilità dei materiali per la maggior parte rinnovabili come il legno (sistema strutturale portante e copertura), e naturali come la pietra (rivestimento esterno). L’intera struttura della casa, dai muri alla copertura, è realizzata in legno ricavato da foreste a gestione sostenibile. Il legno contribuisce a diminuire le emissioni di gas serra rispetto a materiali non rinnovabili come acciaio e cemento.
Il prototipo SNH si presenta con una pianta quadrata (10 x 10 metri), di altezza massima pari a 6 metri e con la presenza di un patio di circa 25mq sul lato sud, da cui si accede all’abitazione.
All’interno, la casa prevede un’ampia zona giorno, attrezzata in maniera tale che, all’occorrenza, lo spazio abitabile possa ampliarsi maggiormente: ciò è consentito dalla presenza di un “box” scorrevole, contenente la camera da letto, che può arretrare o avanzare in base alle necessità degli abitanti.
Sul lato nord è collocato il blocco dei servizi, con struttura prefabbricata in legno, comprendente cucina, bagno e le scale che consentono l’accesso ad un piccolo soppalco. Quest’ultimo, largo circa 2,60 metri, ospita altri due posti letto ed un piccolo studio.
La struttura muraria portante è realizzata in pannelli di legno lamellare a strati incrociati, comunemente chiamati X-Lam, l’utilizzo di questa tecnologia permette una rapida messa in opera (circa 2 giorni) e costi contenuti.
Le pareti esterne sono rivestite con lastre di pietra leccese da 3 cm di spessore, ancorate ai pannelli lignei con una sotto struttura in legno e acciaio. La massa della pietra è sfruttata come elemento di accumulo e scarico del calore.


SNH, vista lato sud-est

Interposto tra i pannelli in legno e la pietra vi è un doppio strato isolante termoacustico di tipo riflettente. A differenza degli isolanti tradizionali, che si basano sul principio della conducibilità o resistenza termica (capacità di un isolante di trattenere calore durante il suo passaggio), gli isolanti riflettenti si basano sul potere riflettente e sul principio di remissività, infatti ogni corpo per le caratteristiche del materiale di cui è composto assorbe, trasmette ed emette l’energia da cui è investito; l’alluminio utilizzato in questo isolante è caratterizzato da una emissività molto bassa (0.04), vale a dire che gran parte dell’energia che investe l’isolante viene riflessa (96%). Affinché questo processo si realizzi è necessario che l’isolante riflettente, o basso emissivo, sia contenuto in una cavità, deve confinare cioè con due intercapedini d’aria sigillate dello spessore di circa 30 mm.

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Per aumentare ulteriormente le prestazioni dell’involucro anche sul lato interno trova posto uno strato di isolante ecosostenibile (5 cm) ottenuto dal riciclo delle bottiglie in PET post consumo; grazie alla sua composizione, si tratta di un materiale ecologico riciclabile al 100%, il cui ridotto impatto ambientale, con risparmio del 50% di emissioni di CO2, è certificato dalla Dichiarazione Ambientale di Prodotto (EPD).
La parete così composta ha una trasmittanza pari a 0,15 W/m2K.
Il patio a sud, infine, costituisce una barriera contro il calore e le radiazioni solari. La copertura dell’edificio è ottenuta geometricamente come superficie rigata e si presenta come una superficie a doppia curvatura realizzata con travi rettilinee in legno lamellare che costituiscono l’orditura primaria e quella secondaria. Su queste si poggiano i vari strati di completamento costituiti da 15 cm di isolante termico ottenuto dal riciclo delle bottiglie in poliestere e 5 cm di camera d’aria necessaria per la ventilazione. Infine si trova sullo strato più esterno la guaina fotovoltaica per la produzione di energia. L’impianto fotovoltaico utilizzato è innovativo, si tratta di un sistema integrato a film sottile di silicio amorfo a tripla giunzione che assorbendo le componenti verde, rossa e blu dello spettro della luce solare in modo frazionato produce energia anche a bassi livelli di insolazione, di irraggiamento non diretto o in condizioni di luce diffusa.
La casa così concepita produce più energia di quanta ne consuma, grazie al comportamento passivo delle sue componenti e grazie all’utilizzo di tecnologie ed impianti ad alto risparmio energetico. L’impianto fotovoltaico di tipo Stand Alone, ovvero autonomo rispetto alla rete elettrica permette l’autosufficienza energetica della casa in qualsiasi condizione.
Esiste già da diversi anni nell’opinione pubblica il disagio nei confronti della rapida trasformazione del territorio, dello spazio urbano e dello spazio domestico in cui non ci riconosciamo, si fa strada sempre più l’esigenza di un’etica costruttiva, attenta a non consumare più risorse di quanto la natura non possa riprodurre. Il basso impatto ambientale e l’eco–sostenibilità della casa SNH, grazie all’impiego di materiali la cui produzione e messa in opera non richiedono alti consumi di energie e risorse, conferisce un valore aggiunto all’edificio, legato ad un’alta qualità ambientale, una migliore prestazione e una netta riduzione dei costi di costruzione.

Analisi energetica e comfort ambientale
Per valutare le prestazioni energetiche dell’edificio e il comfort interno degli occupanti è stato utilizzato il software termodinamico IES Virtual Environment, attraverso il quale sono stati calcolati I valori di:
– Benessere termo-igrometrico
– Illuminamento interno
– Radiazione solare incidente
– Produzione di energia da parte dell’impianto fotovoltaico
– Consumo energetico totale


Grafico 1

– Il benessere termo-igrometrico è somma di diversi fattori come l’umidità relativa, la concentrazione di CO2, ma il fattore più rilevante per determinare la qualità dell’ambiente interno è rappresentato sicuramente dalla temperatura interna, questa è stata analizzata durante tutto il corso dell’anno simulando diversi scenari che prevedano o meno l’utilizzo di riscaldamento e di ventilazione naturale. I risultati sono stati positivi, in dettaglio come illustrato dal grafico 1 i picchi di temperatura in assenza di riscaldamento hanno raggiunto i 12.1° in inverno e i 31.5° in estate, con una temperatura media di 20.9°. Tali dati risultano positivi perché i test dimostrano che una efficace ventilazione naturale può ulteriormente ridurre la temperatura media estiva di circa 1°, così come i picchi di temperatura posso essere limitati entro i 30°, senza l’utilizzo di alcun sistema di raffrescamento artificiale.


Grafico 2

Il grafico 2 mostra quindi il comfort degli occupanti in relazione alla temperatura. In sintesi, il sistema di riscaldamento è necessario per circa due mesi e mezzo (metà Dicembre-Febbraio), mentre in estate la temperatura è tollerabile fatta eccezione per sporadiche ore durante le quali la sola ventilazione naturale non è sufficiente a raffrescare le stanze a causa dell’elevata temperatura esterna.
La concentrazione di CO2 è ottimale durante tutto il periodo dell’anno, così come l’umidità relativa, la quale però presenta dei picchi solo in alcune giornate estive che presentano un’umidità relativa esterna prossima al 100%.

– l’illuminamento interno è un elemento fondamentale per il benessere degli occupanti durante le ore diurne. I seguenti grafici mostrano l’illuminamento in tutte le stanze in tre diversi periodi dell’anno (Dicembre, Marzo e Giugno) per ciascuno a tre diverse ore del giorno (8.00, 12.00 e 16.00).


Grafico 3

Grafico 4

Grafico 5

Grazie alla forma dell’edificio, alla suo orientamento e alla conformazione delle aperture, i valori generali sono buoni e si traducono con una riduzione dei consumi legati all’uso di luce artificiale. In particolare in estate gli abbagliamenti interni sono limitati entro valori normali (<2000 LUX) grazie dall’altezza relativa della vetrata a sud. I risultati primaverili sono ottimali, mentre l’unica miglioria potrebbe essere apportata ai muri di contenimento esterni a sud-est e sud-ovest, in modo da migliorare leggermente l’illuminamento invernale che vede in questo momento valori leggermente al di sotto della soglia ottimale, in particolare nelle ore mattutine e pomeridiane.
Grafico 6

Grafico 7

– Un altro parametro fondamentale che influisce non solo sull’illuminamento, ma anche sul guadagno solare e quindi sulla temperatura interna è la radiazione solare. Analizzando la radiazione diretta (grafico 6) e diffusa (grafico 7) è possibile affermare che la forma dell’edificio non riesce a limitare del tutto i picchi di radiazione diretta nei mesi estivi, riesce tuttavia a contenere entro certi limiti il guadagno solare e quindi il sovra riscaldamento estivo. Al contrario la radiazione diffusa presenta un andamento più lineare, senza picchi di particolare entità, questo si traduce in un ottimo comfort visivo durante tutto l’anno.


Grafico 8

– La copertura dell’edificio, conformata a sella è stata progettata per accogliere un sistema fotovoltaico. La stima della produzione del suddetto impianto è estremamente importante per determinare il consumo reale della casa occupata.
Il grafico 8 illustra la produzione di energia elettrica per opera dell’impianto fotovoltaico durante il corso dell’anno. L’andamento del grafico mostra chiaramente un’elevata produzione di energia durante il periodo estivo (picchi di 4 KW) al quale corrisponde un produzione invernale istantanea media di circa un quarto di quella estiva (1 KW). La produzione totale annua dell’impianto p stimata in quasi 4 MWh.


Grafico 9

– Sommando i dati finora ottenuti con il fabbisogno stimato dell’abitazione si può ricavare il consumo effettivo dell’edificio.
Il fabbisogno totale annuo è stimato in 3.4 MWh, di cui 1.5 MWh per il riscaldamento, 1MWh annuo per gli elettrodomestici, 0.7 MWh per l’illuminazione artificiale e 0.2 MWh per altri consumi. L’andamento del fabbisogno annuo è riassunto nel grafico 9.
In ultima analisi la differenza tra il fabbisogno (3.4 MWh) e l’energia prodotta ed effettivamente utilizzata (1.8 MWh) fa si che il consumo annuo stimato dell’abitazione sia di circa 1.6 MWh pari a circa 19.5 KWh/m2.


Grafico 10

Il seguente grafico 10 spiega il perché nonostante l’energia prodotta sia complessivamente superiore al fabbisogno annuale, sia comunque necessario ricorrere all’acquisto di circa 1.6 MWh di energia all’anno. In dettaglio durante il periodo invernale il fabbisogno supera la produzione, richiedendo quindi l’utilizzo di energia proveniente dalla rete, al contrario in estate l’enorme produzione di elettricità non viene sfruttata in quanto il fabbisogno estivo è limitato, si genererà quindi un surplus energetico di oltre 2 MWh annui di elettricità che può essere reimmessa nella rete.­

Scheda di Progetto:
Responsabili scientifici: Claudio D’Amato Guerrieri, Giuseppe Fallacara
Progetto architettonico: Giuseppe Fallacara, Marco Stigliano
Analisi energetica e comfort ambientale: Francesco Errede
Cantiere: Formedil Bari
Realizzazione: 2011-2013
Info sponsorizzazioni, sito web: http://solarnaturalhouse.formedilbari.it/

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18 Giugno 2014

News

Verticalità litiche – Mostra finale del Laboratorio di Product design 1

Da mercoledì 18 giugno (inaugurazione ore 15:00) – venerdì 20 giugno
Il laboratorio di LPD1 dei docenti Raffaello Galiotto, Vincenzo Pavan e Claudio Alessandri si chiude con una mostra di tutti i lavori prodotti dagli studenti nel corso del semestre. Nell’atrio di Palazzo Tassoni (via Ghiara 36) saranno visibili fino al 20 giugno tutte le tavole d’esame e i modelli realizzati dagli studenti per rappresentare i loro progetti di design litico. Le proposte riguardano prodotti per applicazioni domestiche e contract e sono divise tra rivestimenti, pareti in conci portanti e oggetti più poetici dalla vocazione monumentale.

Vai al sito del corso di laurea

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13 Giugno 2014

PostScriptum

TRADIZIONE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA
La filiera produttiva del travertino di Siena IV parte


Spazzolatura di una lastra di travertino senese.

Erosione
Numerosi processi industriali di finitura della pietra tendono a riprodurre in modo accelerato e controllato, gli effetti dell’azione erosiva naturale causata dagli agenti atmosferici. Se lo scavo, analizzato in precedenza, avviene in genere con lavorazioni di asportazione decisa e ordinata, tipiche dell’atto dello scolpire, pervenendo ad una scalfittura netta nella struttura solida del pezzo litico, le metamorfosi erosive si esplicano attraverso processi che abradono la superficie del materiale, con una riduzione contenuta della massa da lavorare, entro i 10 mm di spessore superficiale.
Come l’acqua, il vento e le escursioni termiche in natura disgregano strati lapidei più o meno profondi rimodellando la facies degli ammassi rocciosi, così i processi erosivi industriali che si vogliono descrivere in questa sede investono la materia con una energia meccanica d’urto o di contatto continuato, con operazioni di percussione, graffiatura o sfregamento, oppure sottopongono la superficie litica alle azioni abrasive concentrate di getti idrici o d’aria e sabbia ad alta pressione.
Una minima asportazione di materiale è necessaria non solo per conferire una consistenza ruvida, o semiruvida alla superficie dei prodotti lapidei ma anche nelle finiture tese a levigare finemente e a lucidare la materia. I molteplici trattamenti superficiali possibili sono portatori di un’influenza complessa e fondamentale sul ruolo che la pietra può assumere nell’architettura contemporanea. Gradi differenti di rugosità, o rigature e scanalature diversamente approfondite, o ancora lisciature e lucidature più o meno specchianti, possono sfruttare appieno o negare le potenzialità applicative di un materiale, come anche possono esaltarne o smorzarne le possibilità espressive. L’erosione superficiale fissa l’aspetto finale della materia litica in termini di definizione del disegno delle venature, di esaltazione o omogeneizzazione del contrasto di grana, di intensificazione o stonalizzazione cromatica, di opacizzazione, di maggiore o minore esaltazione della rugosità superficiale e del rilievo, di mutevolezza dell’aspetto in funzione della luce al variare dell’angolazione di incidenza, di visibilità o occultamento di caratteri strutturali quali macchie, inclusioni, porosità disomogee.
La pietra, infatti, a seconda del contesto di impiego, deve soddisfare sia requisiti tecnico-funzionali (controllo della scivolosità, impermeabilità, manutenibilità, pulibilità) che formali, e se i primi possono essere codificati con test di laboratorio e successivamente valutati attraverso i parametri numerici di una normativa di riferimento, i secondi sfuggono ad un inquadramento definito e assumono caratteri di forte soggettività. Inoltre, l’interazione tra le due categorie di performance è spesso altamente problematica poiché un requisito tecnico può essere soddisfatto a discapito di un aspetto espressivo o viceversa. Così lo studio e l’attenta progettazione della metamorfosi erosiva superficiale assume un valore particolare nella risignificazione della materia litica nei numerosi campi applicativi dell’architettura contemporanea, e ciò è particolarmente evidente per materiali come i travertini senesi caratterizzati da un aspetto cromatico, tessiturale e strutturale così ricco, variabile e complesso.


Lastre di travertino senese con finitura anticata e lavorazione di burattatura del travertino in uno stabilimento di Rapolano Terme.

I più tradizionali trattamenti meccanici delle superfici travertinose sono quelli del semplice spacco o della bocciardatura, spuntatura e rigatura; un tempo applicati manualmente attraverso differenti tipologie di attrezzi, quali scalpelli, martelli e picconi, essi sono perlopiù realizzati attualmente con apposite macchine capaci di percuotere il materiale con teste utensili intercambiabili, per produrre vari tipi di finitura caratterizzati da alternanze di fossette e rilievi più o meno fini.
A tali trattamenti si aggiungono lavorazioni di rigatura più o meno fitta, con ritmi costanti o variabili, realizzate tramite fresature ripetute, poi eventualmente combinate con ulteriori trattamenti abrasivi; si tratta di interventi che nel comparto produttivo di Rapolano Terme hanno raggiunto particolari livelli di perfezionamento e creatività, andando a rappresentare un vero e proprio valore aggiunto capace di arricchire il travertino di un surface design peculiare e originale, particolarmente apprezzato nel campo dell’architettura d’interni.
Un ulteriore procedimento meccanico è la spazzolatura, che non viene realizzata a percussione ma grazie allo strofinamento di spazzole abrasive costituite da fili o piattine di natura flessibile e pieghevole 20. Tale trattamento permette di ottenere effetti satinati, lisci ma non specchianti, di diversa intensità. Le unità per l’esecuzione della spazzolatura possono essere manuali e brandeggiabili (per pezzi speciali), o automatizzate e fisse (per semilavorati standard) con la dotazione di apposite camere di lavorazione insonorizzate e la possibilità di produzioni giornaliere di oltre 100 mq di superficie. Della stessa tipologia di interventi fa parte la cosiddetta anticatura, o burattatura, tramite la quale il travertino, passando in cilindri con inerti abrasivi di varia natura, o in catene produttive con successive azioni di spazzolatura delle superfici e sbozzatura irregolare degli spigoli, assume un aspetto “vissuto”, quasi come se fosse consumato dal passare tempo e dall’utilizzo.


Lastre di travertino senese con finitura anticata e lavorazione di burattatura del travertino in uno stabilimento di Rapolano Terme.

Sempre per sfregamento si attua la lucidatura, cioè il rasamento della pietra con abrasivi a grana finissima che conferiscono polimento e brillantezza a superfici già levigate. Tale processo di finitura è quello attualmente più evoluto dal punto di vista dell’industrializzazione e dell’automazione e si esplica con apposite macchine di due principali tipologie: le lucidatrici a lastra fissa ad una testa, manuali o automatiche con banchi di lavoro che possono alloggiare pezzi di dimensioni massime di 200×350 cm; le lucidatrici e lucidacoste rettilinee a tunnel, con batteria di 12-18 teste operatrici, e con piano di lavoro costituito da un nastro scorrevole.
Questi ultimi impianti entrano quasi sempre a far parte di linee produttive polifunzionali e complesse, dove possono essere seguiti da scanner capaci di rilevare in automatico ogni semilavorato che esce dal processo di finitura; le immagini così ottenute possono essere impiegate nel controllo di qualità dei difetti e del colore e nella composizione di un magazzino digitale on-line che agevola la commercializzazione dei prodotti. Esistono inoltre lucidatrici automatiche per oggetti torniti che possono operare la finitura su pezzi del diametro massimo di 50 cm e della lunghezza di 100 cm. Le teste abrasive lucidanti di tutte le attrezzature sopra descritte sono perlopiù costituite da cristalli di diamante o da carburo di silicio legato con carbonato di magnesio. La lucidatura può essere effettuata anche grazie al montaggio di apposite mole lucidanti sui centri di lavoro CNC.
In passato ottenuta strofinando manualmente a secco la superficie della pietra con blocchetti abrasivi, la sabbiatura viene invece eseguita oggi con l’applicazione di un getto di aria compressa miscelata a sabbie, o graniglie metalliche, o corindone, o palline di vetro.


Lastre di travertino di Rapolano variamente scanalate e rigate producono diversi effetti chiaroscurali e materici.

Proiettando il flusso abrasivo, additivato o meno con acqua, sulla materia litica si produce un finissimo tracciamento erosivo puntiforme che conferisce alla superficie del travertino una particolare “vellutata” morbidezza al tatto e agli effetti della luce incidente.
Attraverso il controllo dell’energia del getto idrico è poi possibile utilizzare le macchine water jet per ottenere varie tipologie di trattamento superficiale della pietra con l’asportazione soltanto di pochi millimetri di materiale. I parametri che permettono di variare la tipologia finale del risultato sono la pressione del getto, la sua velocità di scorrimento, la portata di abrasivo, nonché la distanza dell’ugello dalla superficie. Aggiornati studi sperimentali specialistici hanno individuato curve di previsione dell’effetto finale del trattamento, cioè della larghezza e della profondità del
cratere creato dal getto, in funzione della variazione dei parametri sopra elencati 21. L’effetto dei trattamento che si possono ottenere con l’applicazione superficiale della water jet al travertino è simile a quello dei trattamenti di sabbiatura o bocciardatura meccanica; rispetto a tali operazioni tradizionali, la water jet limita l’energia di percussione trasmessa al materiale e quindi riduce lo stress sullo strato lapideo, consentendo di trattare anche lastre di spessore inferiore ad 1 cm che altrimenti sarebbero soggette a sollecitazioni critiche con rischi di lesioni. Inoltre, al contrario della sabbiatura e della bocciardatura tradizionale, la water jet consente di intervenire su areole di superficie anche molto limitata, con larghezze inferiori ad 1 cm, ottenendo effetti più o meno “morbidi” di lieve enfatizzazione o più accentuata scorticatura della tessitura porosa del materiale.


La preparazione della malta e le diverse fasi di stuccatura automatizzata e manuale del travertino senese.

Ibridazione
Negli ultimi decenni, in un crescente numero di settori del vasto ambito produttivo dei lapidei, la pietra è stata oggetto di processi di ibridazione nei quali è stata accostata e intimamente legata con altri materiali per soddisfare esigenze di assottigliamento, alleggerimento e di miglioramento delle sue proprietà strutturali ed estetiche. Tale positivo sincretismo materico può essere necessario per migliorare le qualità di resistenza e lavorabilità di lapidei fragili o con tessitura discontinua; esso si attua con i cosiddetti procedimenti di resinatura in cui la pietra accoglie al suo interno resine sintetiche che dapprima, allo stato liquido, ne impregnano la struttura alveolare o fessurata, penetrandone gli spazi interni più microscopici, poi, essiccandosi e solidificandosi, entrano a far parte della materia litica stessa rimanendone imprigionate. Gli impianti industriali di resinatura, idonei al trattamento automatico di blocchi, lastre e filagne, rappresentano l’applicazione più aggiornata del settore che consente di conseguire risultati combinati per ciò che riguarda il rafforzamento, la lavorabilità e il miglioramento delle qualità estetiche. Tra le numerose pietre che traggono beneficio dal consolidamento con resine si trovano anche alcune tipologie di travertino particolarmente pregiate e caratterizzate da un disegno fortemente venato; nella filiera produttiva del distretto rapolanese esse vengono sottoposte a processi di consolidamento tramite incamiciatura dei blocchi con uno strato costituito da resine epossidiche o poliuretaniche. Tale processo, realizzato per spruzzatura del consolidante sulle facce del blocco, consente poi di ridurre l’elemento in lastre che risultano così incorniciate da un frame di resina capace di rendere la compagine del materiale molto più solida.
Per travertini con problemi strutturali più lievi è sufficiente realizzare un consolidamento delle lastre attraverso il cosiddetto processo di retinatura, nel quale una rete sintetica di pochi millimetri di spessore viene incollata tramite resine sulla faccia tergale del pezzo destinata a non rimanere a vista. In generale è possibile affermare che per pietre con porosità elevata ma con sostanziale buona compattezza strutturale, come i travertini, gli effetti dell’ibridazione risolvono sì reali problemi di consolidamento ma molto più diffusamente migliorano la lavorabilità e la lucidabilità dei materiali.


Stuccatura e levigatura di bordo realizzata in un laboratorio rapolanese su di una lastra in travertino.

È il caso del processo di stuccatura con malte che viene applicato all’80% dei prodotti in travertino ed è finalizzato a chiudere i pori della pietra per rendere la superficie del materiale omogenea, compatta e quindi meglio lavorabile e lucidabile. Le malte impiegate per la stuccatura hanno legante perlopiù cementizio e sono arricchite con ossidi per raggiungere la tonalità cromatica dominante del travertino a cui vanno applicate. L’utilizzo del legante cementizio fa si che il processo di stuccatura si sviluppi in più giorni attraverso diverse fasi successive interrotte dai tempi di asciugatura e ndurimento dello stucco. Oggi i processi di stuccatura del travertino sono semi-automatizzati: l’apporto umano tuttavia è sempre necessario poiché la porosità caratteristica del materiale può essere assai variabile per dimensione, diffusione e profondità, e deve quindi sempre essere analizzata da un operatore esperto; le macchine che agiscono distribuendo lo stucco in modo omogeneo sulla superficie dei semilavorati non compiono quindi un lavoro che si può ritenere definitivo, un ultimo passaggio di ritocco manuale è quasi sempre necessario.


Lastra di travertino di Rapolano rinforzata con retinatura.

Ulteriori azioni di ibridazione dei travertini sono rappresentati dai numerosi trattamenti chimici che possono essere applicati ai prodotti finiti e che mirano a conferire al materiale una correzione dell’aspetto estetico, o a rendere più “profonda” e brillante la tessitura materica e colorica della pietra con esaltatori cromatici, opacizzanti o brillantanti, vernici ad “effetto bagnato”, o ancora a difendere il travertino da agenti di degrado con idrorepellenti e protettivi di varia natura.

di Davide Turrini

Il presente saggio è tratto dal volume Travertino di Siena a cura di Alfonso Acocella e Davide Turrini

Leggi anche
Tradizione e innovazione I parte
Tradizione e innovazione II parte
Tradizione e innovazione III parte

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9 Giugno 2014

Pietre Artificiali

Mattoni quadrati di Roma


Mattoni con solchi diagonali praticati prima della cottura. Foro di Scolacium. (ph. A. Acocella)

Per la produzione romana di età imperiale dei mattoni cotti il modello di origine – più che i formati di tradizione ellenistica dal forte spessore e notevole peso – sarà costituito, come già evidenziato, dalle tegole piatte di ampie superfici. Con pezzi di tegole si realizzeranno le prime cortine murarie che evolveranno più tardi, in forme mature, verso il sistema costruttivo dell’opus testaceum.
Le tegole piane con risvolti laterali, insieme ai coppi, rappresentano – al pari di altre civiltà mediterranee – anche per i romani i più antichi prodotti di argilla cotta usati nelle fabbriche edilizie. Da questi elementi, con una certa originalità di trasferimento applicativo, gli ingegneri e i costruttori di Roma ne derivano il mattone cotto che renderà grandiosa e spettacolare sotto il profilo spaziale l’architettura imperiale.


Abaco dei mattoni quadrati d’epoca imperiale. Da ADAM (1988).

I romani, a partire dal principato di Augusto, usano nelle loro costruzioni mattoni cotti di configurazione quadrata le cui dimensioni sono multipli – o sottomultipli – del piede (il pes, di 29,6 cm) da cui ne scaturiscono le loro stesse denominazioni:
– bipedales: 59,2 x59,2 cm (2 piedi di lato);
– sesquipedales: 44,4 x 44,4 cm (1,5 piedi di lato);
– bessales: 19,7×19,7 cm (2/3 piedi di lato);
– pedales 29,6×29,6 cm (1 piede di lato) più raramente usato.
Lo spessore oscilla, generalmente, fra i 3,5 e i 4,5 cm vista la sua derivazione dalla tegola piana; spessori maggiori contrassegnano, invece, come già evidenziato, le produzioni della Cispalpina.
Generalmente i bessales, e frequentemente i sesquipedales, sono tagliati lungo le diagonali in elementi triangolari per poi essere impiegati nella formazione delle cortine in opus testaceum, mentre i bipedales, di produzione più impegnativa, sono utilizzati interi più raramente nei muri o dimezzati in due rettangoli. L’operazione della riduzione dei mattoni in sottomultipli è effettuata mediante l’uso di arnesi metallici, quali la sega o la martellina, che consentono di ottenere linee e superfici di rottura sostanzialmente regolari.


Mattoni d’epoca imperiale e loro riduzioni in elementi triangolari. Da LUGLI (1957).

La consuetudine di fabbricare mattoni quadrati per poi usarli prevalentemente in sottomultipli, ottenuti “a rottura” con lente operazioni manuali in cantiere, può apparire come un’incongruenza, che – a ben riflettere – è solo apparente. Tale procedimento è giustificato da molteplici vantaggi sia di tipo produttivo (il quadrato, in virtù dell’equivalenza dei lati, comporta minori deformazioni in fase di essiccazione e di cottura dei prodotti laterizi), sia di tipo logistico (legati al più facile trasporto e al più razionale immagazzinamento in fornace e in cantiere), sia di tipo costruttivo (per specifica funzionalità applicativa nell’opus testaceum e maggiore presa con la malta nella fase di posa in opera).
Inoltre gli scarti, i piccoli frammenti, la stessa polvere di laterizio risultanti dalle operazioni di taglio dei mattoni quadrati sono impiegati, con grande genialità, sia nelle realizzazioni pavimentali in cocciopesto (il famoso opus signinum) che nella composizione di intonaci idraulici o anche mescolati come materiale inerte nella calce o nel conglomerato a base di pozzolana.


Confronto fra mattoni segati (i tre in alto) e mattoni trattati con la martellina (i tre in basso). Da LUGLI (1957).
Teatro di Taormina. Gradini realizzati con mattoni solcati diagonalmente. Da LUGLI (1957).

«Lo scopo per cui i romani costruivano soltanto mattoni quadrati – scrive Giuseppe Lugli – era triplice. Primo: procedere alla forma e alla cottura solo di alcuni tipi, in modo da evitare il lavoro minuto di tanti piccoli stampi separati; secondo: avere in fabbrica un materiale di dimensioni uniformi che poteva essere adattato a tutti gli scopi; terzo: il mattone spezzato in modo irregolare nella parte interna, che andava a contatto con l’opera cementizia, forniva una presa molto maggiore con questa, che non il mattone a lati retti e lisci. Per questo motivo il laterizio fratto, con bordi rustici, fu preferito a quello triangolare, con i margini arrotati, nella maggior parte dell’età imperiale».11
L’impiego dei mattoni interi è limitato ad applicazioni particolari; oltre che nei ricorsi di legamento a tutto spessore delle murature viene comunemente adottato nelle architravature delle piattabande, nelle ghiere degli archi, nelle costolature delle volte, nelle pavimentazioni, nelle suspensurae ecc.


Il Palatino visto dal Circo Massimo. (ph. A. Acocella)

In forme fratte il mattone romano è adottato soprattutto nelle cortine dell’opus testaceum.
I sottomultipli più ricorrenti ottenuti dalle operazioni di taglio sono:
– per i bessales, 2 elementi (19,7×19,7×20 cm) o 4 elementi triangolari (14x14x19,7 cm) ;
– per i sesquipedales, 4 elementi quadrati (22,2×22,2 cm) o 8 elementi triangolari (22,2×22,2x 31,4 cm) ;
– per i bipedales, 9 elementi quadrati (19,7×19,7) o 18 elementi triangolari (19,7×19,7×27,8 cm).
In epoca imperiale i mattoni quadrati più comunemente destinati al taglio lungo le diagonali sono i bessali, meno frequentemente i sesquipedali e ancor più raramente i bipedali; questi ultimi (che risultano, fra tutti, i formati più costosi a causa dell’impegnativa produzione e soprattutto cottura) saranno impiegati interi per la formazione di ricorsi che attraversano tutto lo spessore murario o, in altri casi, ridotti in due rettangoli e utilizzati per la costruzione delle ghiere degli archi e delle volte.
I piccoli elementi di forma triangolare (semilateres), funzionali alla realizzazione delle cortine dell’opus testaceum, sono ottenuti, in genere, attraverso tre diversi sistemi di taglio.


Il Palatino. Visioni dello Stadio di Domiziano in opus testaceum. (ph. A. Acocella)

Il primo procedimento – molto empirico e veloce, eseguito in cantiere tramite l’ausilio di una picozza – implica un’incisione in forma di solco profondo 2-3 millimetri, che congiunge diagonalmente due angoli dell’elemento laterizio; posto, poi, il mattone su un ciglio di pietra in corrispondenza del solco si asseta un colpo secco a mezzo di un utensile pesante in modo da dividerlo, quasi sempre con successo, in due elementi triangolari.
Il lato lungo del triangolo destinato a rimanere in facciata, risultando quasi sempre irregolare a seguito dello spacco, viene in genere rifinito con la martellina tenendo per mano, in verticale, l’elemento stesso.
In alcuni siti (Teatro di Taormina, Teatro di Carsulae, Foro di Scolacium ecc.) sono venuti alla luce grandi mattoni quadrati con solchi diagonali incisi prima della cottura dei laterizi al fine di facilitare le eventuali operazioni di riduzione dimensionale degli elementi stessi.
In alcuni mattoni l’incisione d’invito al taglio non risulta tracciata esattamente secondo la diagonale da spigolo a spigolo (ovvero suddividendo gli angoli retti in due da 45°) bensì registra uno scostamento dai vertici in modo da conferire ad ogni triangolo una configurazione vagamente trapezoidale. Ciò consente, molto realisticamente, di evitare rotture non controllabili negli angoli.


Il Palatino. Disegno assonometrico della Domus Augustana.

Nell’era imperiale che va da Domiziano ad Adriano al metodo del taglio ad urto si affianca quello della segagione, in particolar modo applicato ai mattoni bessali; procedimento sicuramente più oneroso sotto il profilo esecutivo ma più accurato e preciso negli esiti finali.
Giuseppe Lugli descrive accuratamente gli strumenti, la metodica, i tempi di segagione avvalendosi di verifiche, tramite simulazioni al vero, effettuate insieme ad Italo Gismondi:
«Entro un cavalletto ligneo in forma di croce di S. Andrea si collocano per coltello, in diagonale, 20-30 mattoni, stringendoli con la morsa; quindi si segano come se fosse un blocco di marmo, facilitando il taglio con acqua e sabbia. Con questo metodo si riduce al minimo lo strappo angolare, si ottiene una parete di facciata già levigata, che si rifinisce facilmente sfregandola su di una pietra dura con sabbia granulosa; si compie così da una sola operazione, in luogo di 15 o 20 singole. Tale lavoro, però, richiede tempo maggiore, perché un esperimento fatto in Ostia nel dicembre 1953, d’accordo con l’arch. I. Gismondi, ha dimostrato che per segare tre pezzi occorre un tempo quasi doppio di quello necessario per spezzarli e scalpellarli. Va tenuto tuttavia presente che nell’età romana un lavoro fatto in seri e da maestranze attrezzate, risultava assai più celere».12
Una terza modalità per ottenere laterizi utilizzabili nella realizzazione di cortine in opus testaceum ha visto operare empiricamente le maestranze attraverso la riduzione grossolana di qualsiasi laterizio a facce piane (tegole di ogni genere, lastre, mattoni) al fine di pervenire ad elementi, con misure assai differenti fra loro, dalla configurazione vagamente triangolare o trapezia con un solo lato rettificato e complanare, da lasciare nella superficie esterna del muro, e i restanti irregolari destinati a far presa con l’opus caementicium.


Il Palatino. Visioni dello Stadio di Domiziano in opus testaceum. (ph. A. Acocella)

Spesso l’eterogena origine e tipologia dei manufatti di partenza, insieme alla diversità dimensionale, comporta la discontinuità di spessore e colore nei vari ricorsi laterizi delle murature in opus testaceum. È questo il caso di tante cortine murarie, soprattutto dell’edilizia corrente, che è dato ancora rilevare in numerose rovine architettoniche di età imperiale.
Qualsiasi sia il metodo adottato per il taglio dei mattoni al fine di ricondurli al formato triangolare, corrisponde sempre in cantiere la produzione di molti residui (spezzoni, schegge, granuli, polveri di cotto); tale ingente massa di scarti, comunque, non costituirà mai materiale di spreco in quanto sarà sempre utilizzato nel nucleo interno del getto cementizio o nella realizzazione di sottofondi, intonaci, pavimentazioni di cocciopesto.

di Alfonso Acocella

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Note
* Il presente contributo è contenuto nel volume Alfonso Acocella, Stile laterizio II. I laterizi cotti fra Cisalpina e Roma, Media MD, 2013, pp. 76.

11 Giuseppe Lugli, “Tipi e forme di mattoni”, p. 542 in La tecnica edilizia romana, Roma, G. Bardi, Editore, 1957 (1998 ristampa anastatica), pp. 742.
12 Giuseppe Lugli, “Tipi e forme di mattoni”, p. 546 in La tecnica edilizia romana, Roma, G. Bardi, Editore, 1957 (1998 ristampa anastatica), pp. 742.

Leggi anche
I laterizi cotti della Cisalpina
L’industria laterizia di Roma
Il primato della tegola
Artefatti laterizi e percorsi d’acqua
Tegole e tubuli per pareti areate

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29 Maggio 2014

News

Verticalità Litiche


Il corpo docente, gli studenti e i rappresentanti delle aziende.

Le aziende del comparto marmifero del Chiampo a Ferrara per selezionare i progetti da realizzare.
Anche quest’anno il corso di LPD 1 dei proff. Galiotto, Pavan e Alessandri ha portato all’attenzione di un nutrito gruppo di aziende del settore lapideo, i progetti sviluppati dagli studenti del secondo anno. Il corso, interamente dedicato al progetto di prodotti in pietra con applicazione nel campo architettonico, ha avuto per tema “Veritcalità litiche, elementi di design per strutture e superfici verticali”.
Le partnership strette con Piba Marmi, Grassi Pietre, Travertino Sant?Andrea ed il Consorzio Marmisti Chiampo permetteranno di portare alla prossima edizione di MARMOMACC (in programma a Verona dal 24 al 27 settembre) una selezione di prototipi in pietra realizzati sulla base dei migliori progetti studenteschi.
MARMOMACC, Mostra internazionale di marmi, design e tecnologie, è una fiera con la quale il corso vanta una collaborazione già consolidata, ma a partire da quest’anno rappresenterà una vetrina ancora più a misura delle peculiarità dei progetti nati in seno al Dipartimento ferrarese: l’edizione 2014 accoglierà per la prima volta un intero padiglione dedicato al design.


Il corpo docente, gli studenti e i rappresentanti delle aziende.

Durante l’anno gli studenti hanno avuto l’opportunità di imparare la modellazione tridimensionale con il software Evolve grazie alla presenza di Altair come partner tecnico del laboratorio di LPD. Le ore dedicate alla prototipazione nel laboratorio modelli del Dipartimento hanno poi consentito agli studenti di realizzare per ciascun progetto un modello di studio in scala.
Questo percorso ha permesso di organizzare per la metà di maggio un incontro/mostra interamente dedicato alle aziende del comparto marmifero del Chiampo che collaborano al corso. Si è trattato di un momento di scambio attivo tra studenti e mondo produttivo, preliminare alla scelta dei progetti che verranno realizzati ed esposti in occasione di MARMOMACC e durante il quale sono state discusse le potenzialità commerciali di ogni lavoro e le possibili modalità di realizzazione.


Il corpo docente, gli studenti e i rappresentanti delle aziende.

Tutti i modelli in scala saranno invece esposti nell’atrio di Palazzo Tassoni a partire dal prossimo 17 di giugno, a corredo della mostra di tutti i lavori sviluppati durante il semestre nel laboratorio di LPD.

Gianluca Gimini

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26 Maggio 2014

Pietre d`Italia

La Pietra di Vicenza


Pietra di Vicenza

Caratteri Geologico-Petrografici
La Pietra di Vicenza, formatasi nel corso dell’Eocene medio e del successivo Oligocene (epoche geologiche sviluppatesi tra 55 e 23 milioni di anni fa), appartiene alla famiglia dei calcareniti di Castelgomberto, uno dei maggiori costituenti dei Colli Berici, il complesso collinare che si sviluppa a sud di Vicenza. Questo litotipo si è formato per accumulo di sabbie e scheletri di microrganismi sul fondo di un mare che occupava l’attuale area dei colli e che si trovava in origine a latitudini prossime a quelle dell’equatore, poi emerse alle coordinate attuali.
Dal punto di vista della composizione mineralogica, la Pietra di Vicenza è un calcare organogeno leggermente argilloso, grossolano, formato da materiale clastico e da resti fossili (montmorilloniti e foraminiferi), che presenta una struttura fortemente eterogenea e che si compone di un 80-90% di carbonato di calcio unito a percentuali non trascurabili di ossido di silicio, alluminio e ferro.
Nei Colli Berici sono presenti diverse tipologie di Pietra di Vicenza, riconoscibili per colore, grana e luogo di estrazione: la Scaglia Rossa, il Giallo Dorato, il Grigio Alpi e il Bianco Avorio, dall’aspetto maggiormente disomogeneo i primi e più compatti i secondi.
A livello tattile, essa si presenta generalmente granulosa, ruvida e irregolare.


Collocazione geografica dei Colli Berici

Caratteristiche fisiche e meccaniche
Dal punto di vista fisico, la Pietra di Vicenza è caratterizzata da modeste proprietà meccaniche: la sua forte eterogeneità compositiva, infatti, fa sì che questa si presenti come un materiale facilmente scalfibile e lavorabile, con una durezza che si attesta su valori molto bassi, seppur soggetto al caratteristico indurimento superficiale progressivo che interessa il materiale una volta cavato.
Dal punto di vista della resistenza a trazione, flessione e compressione, la Pietra di Vicenza si dimostra meno predisposta di altri litotipi a subire sollecitazioni, caratteristica che ne influenza la tipologia di utilizzo, promuovendone la scelta per la realizzazione di sculture e lavorazioni superficiali. La Pietra di Vicenza,infatti, chiamata anche pietra tenera, si presenta come un ottimo materiale da plasmare, dal momento che gli utensili, sia quelli della macchina che quelli dello scalpellino o dello scultore, riescono a scalfirla con una certa facilità.


Coltivazione della Pietra di Vicenza in cava ipogea

Siti di estrazione
Attualmente, le cave di Pietra di Vicenza attive sui Colli Berici sono circa quindici.
La pietra Gialla viene estratta principalmente nei comuni di Grancona e Nanto (da cui il nome alternativo di “Pietra di Nanto”) e solitamente in complessi nei quali si cava anche la varietà grigia (molto simile alla prima dal punto di vista petrografico, ma di un colore tendente al grigio per via dell’assenza di ferro e di altri materiali). Le cave sono strutturate in modo che la pietra cavata possa essere lavorata nelle immediate vicinanze del sito estrattivo, per ragioni sia economiche che logistiche. Attualmente, le principali cave attive di Pietra di Vicenza Gialla sono la centenaria Cava Acque, la Cava Cengelle a Pederiva (dove si cava una particolare pietra gialla nota col nome di Pietra Gialla di San Germano) e la grande Cava Scioso, situata in località Casette di Grancona, unica ad utilizzare un sistema di escavazione a cielo aperto per lo sfruttamento del banco di pietra superficiale che caratterizza la zona.
Nei comuni di Zovencedo, San Gottardo e Brendola si trovano invece le cave di pietra bianca.

Processi di lavorazione
All’inizio del Novecento, la Pietra di Vicenza veniva cavata nel corso della stagione invernale ad opera di piccole aziende a conduzione familiare e le tecniche estrattive e di lavorazione erano sostanzialmente identiche a quelle di cinquecento anni prima. L’estrazione cominciava praticando un’apertura quadrata di quattro metri di lato in una zona d’affioramento della roccia; proseguiva togliendo il materiale superficiale, per poi procedere ad isolare i blocchi di roccia mediante l’apertura di canaletti (scavati a piccone) sufficientemente larghi da permettere il passaggio delle mani del cavatore. Si continuava a scavare attorno al blocco desiderato, procedendo alla velocità di circa un metro al giorno, fino a isolarlo e a provocarne il distacco dalla montagna tramite l’utilizzo di perni metallici. Una coppia di cavatori, in un mese, era in grado di cavare cinque blocchi di dimensione 2,5x1x0,8 m ciascuno, che venivano poi trasportati al cantiere tramite carri trainati da buoi e lavorati tramite tecnologie manuali, che prevedevano l’utilizzo di seghe, scalpelli, mazzette e raspe, oltre alla pomice per lucidare le superfici.
La meccanizzazione giunta nel settore lapideo a partire dagli anni Cinquanta del Novecento soppiantò gran parte delle tecniche di estrazione e lavorazione esistenti fino all’epoca. Oggi la moderna macchina di escavazione, detta “talpa”, è una gigantesca sega meccanica, dotata di una catena dai denti d’acciaio, che sostituisce il lavoro del piccone nell’isolare il blocco desiderato; esso viene poi staccato dalla parete, caricato sui camion e trasportato ai laboratori per la lavorazione.


Estrazione della Pietra di Vicenza in cava ipogea

Il blocco, una volta arrivato in laboratorio, è ridotto in lastre e masselli di vario spessore; le forme squadrate destinate a diventare elementi pavimentali o di rivestimento vengono levigate tramite mole, mentre le forme circolari vengono lavorate da appositi tornii. Il taglio della pietra avviene tramite l’utilizzo di grandi seghe circolari di metallo, raffreddate ad acqua, o di appositi macchinari dotati di punte al diamante intercambiabili, in grado di forare o asportare parte del blocco. Una volta ottenuto un blocco delle dimensioni desiderate, il materiale può subire tipologie di lavorazioni superficiali diversificate atte a modificarne la percezione; il pezzo può essere levigato, spazzolato, bocciardato, rigato o lavorato a mosaico in varie dimensioni, mentre la finitura dei pezzi e la scultura dell’ornato sono ancora opera esclusiva dello scalpellino, capace di donare al manufatto un valore artistico ed artigianale.
Gli ultimi anni hanno visto il sempre più frequente utilizzo di macchine a controllo numerico come il Water-jet e il Laser, utili sia al taglio che alla lavorazione superficiale del blocco.

Applicazioni alle diverse scale: dall’architettura al design
Se l’utilizzo della Pietra di Vicenza è testimoniato fin dalle lontane iscrizioni rupestri del popolo paleoveneto e, successivamente, da rinomati monumenti realizzati già dall’epoca romana, l’età contemporanea mostra ancora un cospicuo interesse nei confronti di questo litotipo, sia nell’ambito del design che in quello dell’architettura.
All’architetto contemporaneo, sia italiano che straniero, la Pietra di Vicenza si presenta come un materiale dalla forte carica storica e simbolica, con delle proprietà estetiche uniche che la rendono ideale come materiale da rivestimento.


DZ Bank Building, Frank Owen Gehry, Berlino

Ne possiamo rintracciare un esempio eccellente nella soluzione adottata dall’architetto canadese Frank Owen Gehry per il DZ Bank Building di Berlino, dove il materiale contribuisce a creare una giunzione tra una cornice altamente storicizzata dalla limitrofa Porta di Brandeburgo e la necessità di realizzare un’opera al passo coi tempi e in rapporto con il prospiciente memoriale all’olocausto. Questa sua capacità di mettere in relazione un’estetica antica con una molto più recente che rende protagonisti materiali della modernità come il vetro ed il metallo, è ben evidente anche nel Mart di Mario Botta, a Rovereto, dove la Pietra di Vicenza viene messa in contatto con una gigantesca cupola in vetro e acciaio, risultandone la perfetta controparte.
Al designer, le possibilità offerte dalla Pietra di Vicenza consentono una ancor maggior gamma di ambiti di utilizzo. Ciò avviene per la realizzazione di scalinate, di elementi sanitari come lavabi e vasche, di rivestimenti superficiali per tavoli o mensole, di librerie, lampade, utensili per la cucina e oggetti di vario genere. Questo è dovuto principalmente al fatto che essa si presenta, dal punto di vista visivo e tattile, come un materiale caldo e piacevole, pur non rinunciando alle caratteristiche tipiche della pietra quali la durezza, la resistenza, il peso e la solidità; essa diviene quindi una sorta di punto di contatto fra il caldo mondo dell’uomo e il freddo mondo della pietra, ed è proprio in questo che si concentra il suo fascino.
Molto interessanti, dal punto di vista della varietà delle soluzioni offerte dalla Pietra di Vicenza, sono le recenti sperimentazioni relative alle possibilità di taglio e lavorazione, che hanno aperto un mondo di alternative del tutto nuovo. Un esempio lampante delle possibili applicazioni offerte da questa innovazione è rintracciabile nell’allestimento di Aldo Cibic per Grassi Pietre alla fiera Marmomacc del 2007; il progettista gioca sul sorprendere il pubblico, che è abituato a immaginare i materiali lapidei come un qualcosa di statico e pesante, realizzando una composizione in cui la storica pietra vicentina non è più staticamente legata al suolo, ma sembra privarsi della gravità plasmandosi in curve leggere ed eteree.


Libreria Dolmen di Cibin

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Troviamo nella produzione italiana degli ultimi anni interessanti esempi di oggetti di design, dove la Pietra di Vicenza è unica protagonista o dialoga con materiali di altra tipologia come legno, metallo o vetro.
Chiara Cibin progetta una libreria per la collezione Dolmen di LDM Laboratorio del Marmo, con piedritti formati da moduli componibili in Pietra di Vicenza bianca o grigia accompagnati da ripiani in legno, oppure il tavolo Domino, per la stessa casa produttrice, dove il ripiano litico dialoga con l’ossatura metallica che ne definisce la struttura. Ancora LDM produce QB-35, un’innovativa libreria modulare ideata dalla designer Renza Calabrese dove l’elemento d’arredo è il risultato della libera composizione di moduli cubici con un taglio interno estruso utile a riporre libri e riviste. L’architetto e designer nipponico Tomita Kazuiko decide di scavare la superficie lapidea creando dei marcati dislivelli simili a paesaggi collinari. Gli elementi così modellati poggiano su gambe metalliche mobili e sostengono in superficie lastre vitree che ne permettono l’utilizzo come piani di appoggio e tavoli che vanno a creare la collezione Lands.
Infine è interessare notare l’utilizzo di questa pietra anche per il design da esterni. Denis Santachiara crea un tavolo da esterno composto da tre elementi in Pietra di Vicenza poggianti su una struttura portante metallica interrata. Le due parti del piano che compongono un ovale, a superficie grezza, sono incastrate in un supporto verticale levigato e ovalizzato esso stesso, utilizzabile come vaso e arricchito da una decorazione sommitale ad anello.

A cura di Sara Benzi

Questo post è frutto del lavoro di ricerca svolto dagli studenti O. Azzalini, G. Manzoli, S. Segat e C. Volpi nell’ambito del Laboratorio di Product Design I del Corso di Laurea in Design del Prodotto Industriale dell’Università di Ferrara, A.A. 2012-2013.

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22 Maggio 2014

Design litico Scultura

Vaselli – Spirito Pietra realizza il nuovo Trofeo Sostenibile della Milano Marathon 2014

Vaselli – Spirito Pietra, attiva nella lavorazione della pietra, grazie ad un’esperienza centenaria che la vede impegnata nella lavorazione di materiali lapidei
di pregio, in occasione della Milano Maraton 2014, tenutasi nel capoluogo lombardo
il 6 aprile scorso, ha realizzato nel suo laboratorio di Rapolano Terme (SI) il trofeo consegnato ai vincitori della manifestazione sportiva.
Il premio, progettato dai designer di Zup Design + Oco Studio, ha un legame speciale con la città di Milano, è realizzato infatti in marmo di Candoglia, estratto nelle omonime cave, nel comune di Mergozzo in Val d’Ossola, lo stesso utilizzato nel passato per la costruzione del Duomo e ancora oggi per la realizzazione degli elementi scultorei di sostituzione ed i continui restauri della grandiosa chiesa milanese.

Il progetto del nuovo trofeo, frutto di un concorso di idee indetto da RCS Sport e Pubblicità Italia (Tvn Media Group) e vinto da Zup Design + Oco Studio (che hanno già al loro attivo numerosi premi internazionali quali il Compasso d’Oro ADI, il Best Communicator Award, 4 ED-Awards e il Good Design Award), prevedeva la progettazione di un oggetto che avesse caratteristiche compatibili con la salvaguardia dell’ambiente e ovviamente un richiamo ai valori dello sport.
Per la realizzazione del Premio, con il quale si intende valorizzare la materia naturale
di recupero, lavorata solo per 3/4 della superficie con forme geometriche e regolari che richiamano la volontà dell’uomo che si confronta con la forza della natura, è stata poi chiamata Vaselli che, nel suo laboratorio di Rapolano Terme, ha dato forma all’idea dei designer grazie all’appassionato lavoro di scalpellini e finitori.

“Il nostro mestiere, la cui essenza consiste nel trasformare la pietra in manufatti di vario genere, è da sempre legato a doppio filo all’arte del saper fare” dice Danilo Vaselli, che insieme ai fratelli Cinzia e David, guida l’azienda di famiglia – “Quello realizzato per la Maratona di Milano doveva appunto essere un trofeo con caratteristiche di assoluta unicità e sostenibilità”.

L’azienda Vaselli, che da sempre diffonde la conoscenza e la passione per la pietra, con questo nuovo intervento prosegue nella propria missione di promuovere l’esperienza della lavorazione lapidea attraverso il servizio e il supporto alla progettazione, rispondendo a richieste sempre diverse di architetti, designer, committenza pubblica e privata.

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