novembre 2024
L M M G V S D
« Dic    
 123
45678910
11121314151617
18192021222324
252627282930  

Ultimi articoli

Ultimi commenti

Rubriche

Pubblico dei lettori

 

rss

 

Notizie

1 Settembre 2014

News

Inside Marmomacc & Abitare il Tempo

Per la sua 49^ edizione Marmomacc ha ideato, in collaborazione con Abitare il Tempo, uno spazio interamente dedicato al made in Italy con mostre culturali, eventi e convegni.
Questo spazio, strategicamente collocato nel padiglione n. 1, fungerà da ponte tra il Palaexpo – dove troverà spazio Abitare il Tempo – e il resto del quartiere fieristico riservato alle aziende di Marmomacc. Questo nuovo concept fieristico garantirà dunque una maggiore integrazione dei visitatori dei due saloni e consentirà a tutti gli espositori di partecipare attivamente al programma di attività attraverso workshop aziendali, incontri B2B e mostre di sperimentazione.

In Inside Marmomacc & Abitare il Tempo saranno ospitate mostre di design, architettura, ricerca e sperimentazione in collaborazione con aziende italiane del settore, con la partecipazione di grandi autori internazionali.

Il padiglione 1 ospiterà anche il Forum del Marmo dove per quattro giorni si alterneranno lectio magistralis, tavole rotonde, convegni, seminari e lezioni universitarie in una full immersion litica per architetti e designer, professionisti del settore, studenti e professori, tecnici e ingegneri.

Altre mostre ed eventi con la partecipazione di aziende e istituzioni nazionali e internazionali saranno allestiti in diverse parti del quartiere Fiera.

Tra le mostre che formano il nucleo centrale del Padiglione 1 si ricordano:

LIVING STONE
L’eccellenza del made in Italy e i grandi architetti iberici
a cura di Raffaello Galiotto, Vincenzo Pavan, Damiano Steccanella

DESIGN E TECNOLOGIA
a cura di Raffaello Galiotto

AT HOME
Marmomacc & Abitare il Tempo for contract
a cura di Giuseppe Viganò

PREMIO TESI DI LAUREA
“Paesaggio, Architettura e Design Litici”
3a edizione

RENZO PIANO E MALTA
Una inedita facciata in pietra per il Nuovo Parlamento
a cura di Angelo Bertolazzi, Vincenzo Pavan

STEREOTOMIC DESIGN
a cura di Giuseppe Fallacara – DICAR Politecnico di Bari

VERTICALITA’ LITICHE
a cura di Claudio Alessandri, Raffaello Galiotto, Vincenzo Pavan
Università di Ferrara – CDL di Design del Prodotto Industriale

WINE & RELAX concept room
a cura di Nicola Giardina Papa

LUXURY & RELAX LIVING
a cura di Massimiliano Caviasca

ART DESIGN
a cura di Giuseppe Viganò

SPAZIO FORUM_ARENA_SANTAMARGHERITA
a cura di Giorgio Canale

Vai a Marmomacc

commenti ( 0 )

4 Agosto 2014

Pietre Artificiali

Tessere laterizie pavimentali


Lacerto di pavimentazione di domus romana in piccoli esagoni (con inserti litici) e rombi laterizi (I sec. d. C.). Museo archeologico nazionale di Sarsina. (foto di Alfonso Acocella)

Le origini delle pavimentazioni in laterizio sono da ricercare nella tradizione ellenistico-romana.16
Oltre alla tipologia dei pavimenti continui in cocciopesto – l’opus signinum – e quella, ben nota e diffusa sul territorio nazionale, dell’opus spicatum è da evidenziare come in ambito romano, già in epoca repubblicana, viene codificato un più variegato repertorio di elementi laterizi in forma di tessere, dalle forme geometriche modulari, combinabili fra loro.Si tratta di classi pavimentali numericamente esigue, ma molto interessanti e poco conosciute, realizzate attraverso la giustapposizione e la replicazione di posa di elementi di forma triangolare, romboidale, esagonale, ottagonale, cubica, mandorlata (o “lunata”) ecc. Tali formati, oltre ad un uso ripetuto in stesure omogenee, sono in alcuni casi combinati in scritture pavimentali geometricamente più articolate o impiegati a contrasto cromatico.


Pavimentazione in tessere laterizie di reimpiego (I sec. a. C). Museo della città, Rimini. (foto di Alfonso Acocella)

Più che nell’ambito della città di Roma (e nell’area geografica centro-meridionale di più specifica influenza della capitale) la serie più numerosa di pavimentazioni a tessere geometriche di terracotta appartiene all’Italia settentrionale (alla regione della Cisalpina, in particolare), con una concentrazione dei ritrovamenti soprattutto nell’area dell’Emilia Romagna e diramazioni nelle Marche e nella Toscana costiera.
Benché siano trascorsi oltre settant’anni dalla ricognizione pionieristica di Marion Elisabeth Blake sulle pavimentazioni romane che già evidenziava lo scarso interesse della ricerca archeologica e la mancanza di studi di sistematizzazione17, ancora oggi non sembra essere stato realizzato un repertorio che cataloghi le variegate tipologie degli elementi in cotto emersi nei siti archeologici in forma di lacerti di diversa morfologia e fattezza. Il materiale di scavo è, inoltre, tutt’ora poco fruibile in quanto risulta prevalentemente conservato nei depositi degli enti preposti alla tutela del patrimonio storico (Musei e Soprintendenze, in particolare) e – spesso – di difficoltosa consultazione.


Sezione stratigrafica di pavimento romano ad esagonette scoperto nel vicolo del Riccio a Bologna. Da BRIZIO (1892)

«Nell’Italia settentrionale – come rileva Maria Luisa Morricone che redige, nel 1970, la voce “Pavimento” dell’Enciclopedia dell’Arte Antica Classica e Orientale posta ad aggiornare il quadro delineato dalla Blake – sono relativamente numerosi i pavimenti di mattoni di questo tipo: a Bologna, Modena, Imola, Galeata, Ravenna, Faenza, Sarsina, Reggio Emilia, sono frequenti i trovamenti di pavimenti di mattonelle esagonali talora associate a mattonelle romboidali.


Ordito pavimentale di tessere ad esagonette. Museo nazionale etrusco di Marzabotto. (foto di Alfonso Acocella)

La data di questi pavimenti non è sempre precisabile ma si possono ritenere datati con sufficiente sicurezza l’esemplare di Imola, associato a mosaici databili al I secolo a. C. (le cui mattonelle recano al centro una tessera bianca), un pavimento di Faenza, recentemente venuto in luce, a esagoni e losanghe, che rimonta allo stesso periodo, i due pavimenti a esagoni tornati in luce a Bologna (Via Ca’ Selvatica) che sono certamente del I sec. a. C., anzi uno di essi potrebbe essere ancora più antico; anche l’esemplare di Sarsina, che fu trovato sotto un mosaico in bianco e nero con decorazione geometrica, è con ogni verosimiglianza ancora di età repubblicana.»18


Tessere pavimentali della Cisalpina a forma di pelta e di cubetti regolari. Da BERGONZONI (1972).

Gli elementi in cotto si presentano, frequentemente, con caratteristiche di elevata qualità quanto a omogeneità e compattezza, ben rispondendo ai requisiti di resistenza e durata richiesti dalle pavimentazioni; questo è evidente soprattutto negli elementi di piccolo formato della Cisalpina. Molto probabilmente viene perfezionato un processo di produzione che prevede una colatura in stampi, proseguendo la tradizione delle terrecotte architettoniche, attraverso l’impiego di un impasto semiliquido di argilla molto selezionata e miscelata, anziché seguire il più usuale procedimento di formatura dei laterizi per pressatura manuale.


Villa dell’Aia Nova (I sec. a. C.) a Scansano (GR). Pavimento del calidarium delle terme con elementi fusiformi ed elementi quadrati a lati concavi (con inserti di tessere di calcare) che ripropongono, nel loro insieme, una composizione a cerchi allacciati. (foto di Alfonso Acocella)

Non mancano, comunque, fuori dall’area dell’Italia settentrionale, rinvenimenti pavimentali in cotto di disegno geometrico particolare come nel caso dei resti recuperati a Bolsena formati con piastrelle in forma di triangoli curvilinei e di fusi, disposti in modo da formare il noto motivo della rete di fiori a sei petali. Lo stesso accade nella villa dell’Aia Nova (I sec. a.C.) a Scansano (GR) con il motivo compositivo a cerchi allacciati.


Villa dell’Aia Nova (I sec. a. C.) a Scansano (GR). Pavimento del tepidarium a tessere romboidali. (foto di Alfonso Acocella)

Agli inizi del I sec. d. C., quando il laterizio cotto inizia la sua grande diffusione nell’architettura imperiale romana, molti ambienti dell’edilizia domestica, insieme a spazi a destinazione pubblica, sono pavimentati con elementi laterizi di diversa dimensione e morfologia.


Tessere laterizie a forma di pelta (Museo storico archeologico di Sant’Arcangelo), di rombi e di pelta a due elementi binati. Museo della citta, Rimini. (foto di Alfonso Acocella)

Con grandi mattoni quadrati o rettangolari (pedales, bipedales, sesquipedales) si allestiscono le superfici di calpestio di botteghe e grandi magazzini, ma anche ambienti a servizio di terme e di anfiteatri; con piccoli mattoncini posati “di coltello” a spina pesce (il ben noto opus spicatum) si pavimentano, porticati, anditi, cortili e spazi pubblici.


Pavimento bicromatico con elementi regolari a forma di cubetti e parallelepipedi (II sec. d. C.). Museo archeologico nazionale di Cividale. (foto di Alfonso Acocella)

Un unicum nel mondo romano è rappresentato dal Foro di Scolacium in Calabria dove un’intera grande area pubblica – pavimentata con elementi laterizi quadrati a forte spessore (40x40x8 cm) – è stata scavata recentemente e restituita nella sua totale integrità di fruizione all’interno del parco archeologico.


Pavimento romano in opus spicatum (II sec. d. C.). Museo archeologico nazionale di Cividale. (foto di Alfonso Acocella)

In epoca imperiale, prevalentemente, le pavimentazioni in cotto danno testimonianza di un repertorio di tessiture attestato su stesure omogenee, con superfici a campo uniforme e monocromatico, più raramente a formati variati e restituzioni bicromatiche.


Casa dei triclini (120 d. C.) ad Ostia con pavimentazioni in opus spicatum. (foto di Alfonso Acocella)

Le basi di quella tradizione che, per oltre due millenni di storia si costituirà come cifra pavimentale tipicamente italiana sono state poste così – al pari di molte altre – dai romani.


Pavimentazioni bicromatiche in opus spicatum. Dalle Grandi terme della Villa Adriana (118-138 d. C.) a Tivoli e dal Museo nazionale etrusco di Marzabotto. (foto di Alfonso Acocella)

di Alfonso Acocella
Vai a Latercompound


Lacerti di pavimentazioni in opus spicatum in cui è evidente la modalità di posa. Dagli scavi di Ostia antica e dalla Villa di Catullo (I sec. a. C.) a Sirmione. (foto di Alfonso Acocella)

Note
16 La trattazione propone una sintesi della sezione tematica contenuta in Alfonso Acocella e Giovanni Maria Masucci, “Alle origini dei pavimenti in laterizio”, pp.17-29 in Alfonso Acocella e Davide Turrini (a cura di), Rossoitaliano, Firenze, Alinea, 2006, pp. 240
17 Marion Elizabeth Blake, The pavements of the Roman building of the Republic and early Empire, Rome, American Academy, 1930, pp. 158.
18 Maria Luisa Morricone Matini, “Pavimento” p. 605 in Enciclopedia dell’Arte antica Classica e Orientale, Roma, Poligrafico dello Stato, 1973, pp. 601-605.

Leggi anche
I laterizi cotti della Cisalpina
L’industria laterizia di Roma
Il primato della tegola
Artefatti laterizi e percorsi d’acqua
Tegole e tubuli per pareti areate
Mattoni quadrati di Roma
Anfore e tubuli fittili per volte

commenti ( 0 )

29 Luglio 2014

News

Inside Marmomacc & Abitare il Tempo

Per la sua 49^ edizione Marmomacc ha ideato, in collaborazione con Abitare il Tempo, uno spazio interamente dedicato al made in Italy con mostre culturali, eventi e convegni.
Questo spazio, strategicamente collocato nel padiglione n. 1, fungerà da ponte tra il Palaexpo – dove troverà spazio Abitare il Tempo – e il resto del quartiere fieristico riservato alle aziende di Marmomacc. Questo nuovo concept fieristico garantirà dunque una maggiore integrazione dei visitatori dei due saloni e consentirà a tutti gli espositori di partecipare attivamente al programma di attività attraverso workshop aziendali, incontri B2B e mostre di sperimentazione.
In Inside Marmomacc & Abitare il Tempo saranno ospitate mostre di design, architettura, ricerca e sperimentazione in collaborazione con aziende italiane del settore, con la partecipazione di grandi autori internazionali.
Il padiglione 1 ospiterà anche il Forum del Marmo dove per quattro giorni si alterneranno lectio magistralis, tavole rotonde, convegni, seminari e lezioni universitarie in una full immersion litica per architetti e designer, professionisti del settore, studenti e professori, tecnici e ingegneri.
Altre mostre ed eventi con la partecipazione di aziende e istituzioni nazionali e internazionali saranno allestiti in diverse parti del quartiere Fiera.

Tra le mostre che formano il nucleo centrale del Padiglione 1 si ricordano:

LIVING STONE
L’eccellenza del made in Italy e i grandi architetti iberici
a cura di Raffaello Galiotto, Vincenzo Pavan, Damiano Steccanella

DESIGN E TECNOLOGIA
a cura di Raffaello Galiotto

AT HOME
Marmomacc & Abitare il Tempo for contract
a cura di Giuseppe Viganò

PREMIO TESI DI LAUREA
“Paesaggio, Architettura e Design Litici”
3a edizione

RENZO PIANO E MALTA
Una inedita facciata in pietra per il Nuovo Parlamento
a cura di Angelo Bertolazzi, Vincenzo Pavan

STEREOTOMIC DESIGN
a cura di Giuseppe Fallacara – DICAR Politecnico di Bari

VERTICALITA’ LITICHE
a cura di Claudio Alessandri, Raffaello Galiotto, Vincenzo Pavan
Università di Ferrara – CDL di Design del Prodotto Industriale

WINE & RELAX concept room
a cura di Nicola Giardina Papa

LUXURY & RELAX LIVING
a cura di Massimiliano Caviasca

ART DESIGN
a cura di Giuseppe Viganò

SPAZIO FORUM_ARENA_SANTAMARGHERITA
a cura di Giorgio Canale

Vai a Marmomacc

commenti ( 0 )

24 Luglio 2014

Pietre Artificiali

Anfore e tubuli fittili per volte


Anfore raccolte nei magazzini di Pompei presso il Foro. (foto Alfonso Acocella)

Le strutture voltate in opus caementicium, com’è noto, costituiscono uno dei tratti distintivi ed originali dell’architettura romana. Alla progressiva ricerca di grandiosità dimensionale e di resistenza strutturale delle volte corrispondono – nei secoli – tentativi, soluzioni ed artifici di alleggerimento delle grandi masse di calcestruzzo impiegate al fine di ridurre le spinte agenti sui piedritti.
Famoso è il caso della grandiosa cupola del Pantheon la cui struttura alterna una composizione di materiali più leggeri man mano che si sale verso l’oculo zenitale. Lo stesso avviene – per fare altri esempi illustri – nelle Terme di Baia o nelle Terme di Caracalla dove, in quest’ultima, è possibile individuare nella semi cupola dell’esedra – dal basso verso l’alto – i diversi materiali utilizzati: mattoni, tufo, pietra vulcanica.



Villa delle Vignacce (130 d. C.) a Roma. Sala Rotonda con volta alleggerita a mezzo di olle. Disegno da LUGLI (1957). (foto Alfonso Acocella)

Un secondo metodo praticato dai romani per alleggerire il peso delle volte – sia pur in modo molto parziale – è quello dell’inserimento di anfore laterizie all’interno del getto in opus caementicium; in genere si è trattato di olle utilizzate per il trasporto di olio o pesce, il cui reimpiego negli scambi commerciali risulta alquanto problematico.
Le anfore, di varia dimensione e morfologia, in genere, sono collocate, singolarmente o innestate l’una nell’altra a configurare file continue, nei rinfianchi superiori delle volte e delle cupole.
Uno dei primi esempi si ritrova nella volta a crociera dei Magazzini traianei (126 d. C. circa) a Ostia; poi è possibile citare la Villa della Vignaccia (130 d. C. circa) e il Mausoleo di Sant’Elena (326-330 d. C. circa) a Roma, meglio conosciuto come Tor Pignattara proprio per l’affiorare a vista delle olle inglobate nella massa cementizia.
Dai casi citati – dove le anfore sono posizionate alle reni, con il conseguente indebolimento della struttura voltata proprio nel settore che necessita di maggiore massa e resistenza – si passa, nel tempio di Minerva Medica a Roma della prima metà del IV sec. d. C, all’impiego più appropriato delle olle laterizie, collocate al di sopra della linea delle aperture ed annegate in una malta di cemento alleggerita, ulteriormente, con pietra pomice.


Mausoleo di Sant’Elena (326-330 d. C.). Ipotesi ricostruttiva dell’alzato della rotonda, vedute dell’edificio recentemente restaurato e disegno delle rovine di Giovanni Battista Piranesi (1756). (foto Alfonso Acocella)

Erroneamente alcuni studiosi hanno assimilato il tentativo di alleggerimento delle volte attraverso le anfore con quello effettuato a mezzo di tubuli fittili.
Se la soluzione che vede l’adozione delle olle è indirizzata unicamente all’alleggerimento del del peso dell’opus caementicium, l’impiego di tubuli fittili – specificatamente prodotti allo scopo – introduce un modo costruttivo inedito e di forte valenza innovativa. Una tecnica che si sviluppa e si diffonde (contemporaneamente alla pratica di alleggerimento delle volte a mezzo delle anfore) a partire dal II sec. d. C. nelle provincie romane dell’Africa settentrionale condizionate dalla forte carenza di legname; materiale – come sappiamo – fondamentale per la realizzazione delle centinature da intendersi quali opere provvisionali ma indispensabili per conferire forma al getto amorfo dell’opus caementicium lungo la sua fase di indurimento.
A fronte dei tentativi e modi costruttivi rilevabili in ambito specificamente romano per la riduzione di legname nelle complesse opere provvisionali di centinatura con un uso integrativo di mattoni e tegole laterizie – com’è attestato, per fare qualche esempio, nelle Grandi terme di Villa Adriana (118-125 d. C.) o nelle Terme di Caracalla (212-217 d. C.) – la tecnica costruttiva dei tubuli fittili punta ad eliminare completamente le centine lignee realizzando direttamente ed ingegnosamente delle superfici voltate laterizie autoportanti.


Centina lignea integrata da mattoni laterizi. Da CHOISY (1873).

Sono le provincie nordafricane a sviluppare, sin dal II sec. d. C., l’uso dei tubuli fittili. Nell’Africa romana, dove scarseggia del tutto il legno, la necessità di coprire gli spazi dell’architettura pubblica e privata fa ricorso unicamente alle risorse del luogo e la costruzione di superfici voltate (che qui diventano sottili, leggere, autoportanti) viene affrontata e risolta a mezzo di elementari artefatti in laterizio, rendendo del tutto superflua ogni tipo di centinatura lignea per il getto dell’opus caementicium.
Tale tecnica esecutiva si diffonde, poi, in Italia – e, più in generale, in Europa – nel corso del III sec. d. C. attraverso i trasferimenti e i commerci marittimi; numerosi sono i relitti navali provenienti dall’Africa romana rinvenuti grazie alla ricerca archeologica subacquea vicino alle coste italiane, francesi, spagnole che hanno restituito varie serie di tubi fittili appartenenti al loro carico commerciale trasportato.


Le Grandi terme di Villa Adriana (118-138 d. C.) a Tivoli. Vedute della volta centrale con mattoni sia annegati nella massa del calcestruzzo, sia posti a costituire l’intradosso per il getto dell’opus caementicium. (foto Alfonso Acocella)

Alla base della nuova tecnica esecutiva vi è l’invenzione di un elemento modulare cavo in terracotta di piccole dimensioni, estremamente maneggevole, la cui forma – rimasta pressoché invariata nei secoli – è assimilabile a quella di un piccola bottiglia priva di fondo. Un artefatto non molto dissimile, nella concezione, dagli elementi in laterizio già in uso da secoli nella civiltà ellenistica-romana impiegati sia per la formazione di condutture idriche, sia per la realizzazione dei sistemi di riscaldamento nelle terme, sia per la costruzione delle volte di forni.
I tubuli fittili utilizzati in Africa variano di poco – in forma e dimensioni – nei diversi contesti geografici di diffusione come pure lungo tutta l’evoluzione storica che si prolunga fino all’epoca tardo antica e paleocristiana (IV-VI sec. d. C) quando volte, cupole e semi cupole, saranno realizzate unicamente in tubi fittili senza più impiego dell’opus caementicium come avviene – ad esempio – negli edifici di culto di Ravenna.


Ipotesi ricostruttiva della volta composita del Santo Stefano Rotondo a Roma. Da STORZ (1997).

Variazioni morfologiche minime dei tubuli attengono alla forma e alla lunghezza della terminazione a punta. Il diametro del cilindro di base oscilla – nelle attestazioni africane rinvenute e classificate – fra i 5 e gli 8 cm, mentre la lunghezza complessiva dei tubuli è compresa fra i 13 e i 22 cm.
Se il diametro del cilindro fittile è collegato alla prensibilità e alla manegevolezza degli elementi per le operazioni di posa in opera, la lunghezza (sempre contenuta) è legata alle implicazioni delle curvature degli archi.


Chiusura in chiave di un arco in tubi fittili.Da STORZ (1997).

La configurazione cava dei tubuli con terminazione a collo di bottiglia consente loro di innestarsi l’uno nell’altro; la connessione, che funziona come una cerniera, permette di assecondare e realizzare qualsiasi curva di arco (e, conseguentemente, di volta). La malta di gesso a rapida presa, comunemente utilizzata in questa tecnica costruttiva, assicura – efficacemente – il fissaggio, in posizione stabile e definitiva, sia dei vari tubuli all’interno di un singolo filare arcuato, sia degli archi contigui mediante l’applicazione di uno strato di malta sulle superfici d’estradosso.
A Sebastian Storz e Albéric Oliver si devono recenti e puntuali apporti conoscitivi sulla tecnica d’impiego dei tubi fittili nelle architetture dell’Africa romana. Le ricerche teorico-speculative degli studiosi sono state integrate da sperimentazioni pratico-applicative che hanno consentito sia di simulare al vero il processo produttivo dei tubuli, sia di realizzare prototipi di volte nelle varie tipologie e configurazioni morfologiche, al fine di validare le ipotesi della costruzione senza centine di queste particolarissime e innovative strutture arcuate.





Tubuli cilindrici a siringa (V-VI sec. d. C.) per la costruzione di volte di forni rinvenuti nella Lottizzazione Spina. Museo storico archeologico di Santarcangelo. Disegni da STOPPIONI (1993). (foto Alfonso Acocella)

Nella costruzione dei singoli archi si procede, con una partenza simultanea, dai due estremi dell’arco, proseguendo poi verso l’alto fino al segmento di chiave che è risolto a mezzo di un elemento cilindrico (privo, cioè, di beccuccio) capace di accogliere gli ultimi due tubuli a punta – provenienti, rispettivamente, da sinistra e da destra – e di chiudere, così, definitivamente l’arco.
La malta di gesso, nei nodi fra tubulo e tubulo, fissa gli elementi di laterizio nella posizione di curvatura loro assegnata fino all’elemento di chiave, rendendo superflui ogni centinatura lignea, ogni tipo di sostegno. Durante le fasi realizzative la malta è posata anche sull’estradosso degli archi contigui al fine di assicurare la stabilità laterale della struttura.
Per consentire un’efficace adesione con la malta i tubuli, esternamente, sono modellati mediante incavi circolari ottenuti attraverso la pressione del pollice della mano durante la loro stessa formatura o, in altri casi, mediante incisioni in forma di piccoli solchi praticati con la stecca del vasaio.



Tubuli ovoidali d’età imperiale per la costruzione di volte di forni emersi dallo scavo della Fornace di S. Ermete. Museo storico archeologico di Santarcangelo. (foto Alfonso Acocella)

Nelle provincie romane dell’Africa settentrionale la materia prima – ovvero l’argilla – necessaria a sviluppare tale tecnica è largamente disponibile per una produzione in serie, economica e veloce, dei tubuli effettuata da artigiani con il solo aiuto di un tornio rotante, strumento comune della bottega di ogni vasaio.
Interessante la riattivazione, da parte di Sebastian Storz, del processo produttivo dei tubuli all’interno dei cantieri sperimentali che ha permesso di dimostrare come la loro modellazione sia potuta avvenire, realisticamente, attraverso un’unica ed unitaria fase di lavorazione, differentemente da quanto sostenuto sino a qualche decennio fa da Ermanno A. Arslan che ha avanzato, nei suoi pur meritori contributi filologici ed antiquari, la tesi di una fabbricazione separata del corpo cilindrico rispetto alla terminazione a “collo di bottiglia” con una unione effettuata in un secondo momento.13


Terme ellenistiche di Morgantina (III sec. a. C.). Sezione costruttiva e assonometria schematica degli spazi voltati realizzati con tubuli fittili.

«In realtà – afferma Sebastian Storz – il tubo fittile rappresenta una delle forme più facili da realizzare per un ceramista. Si tratta di un semplice cilindro da fornire di un beccuccio (gola). Il ceramista comincia la produzione mettendo una porzione di argilla nel centro del tornio in movimento. Grazie alla sua esperienza, il cilindro, che è la forma più semplice, nasce fra le sue mani in un attimo. Quando il cilindro è arrivato all’altezza voluta, il ceramista preme la parte superiore con le dita creando, con questa leggera pressione, il beccuccio. Il tubo fittile è pronto: non c’è nessuna necessità di produrre il cilindro e la gola separatamente. Il tubo, successivamente, viene tolto dal tornio e messo in uno scaffale in posizione orizzontale per permettere l’evaporazione dell’umidità e giungere alla consistenza giusta dell’argilla per la cottura. Quando arriva nello scaffale, il tubo è ancora molto umido ed essendo ancora morbido, può cedere, con il risultato che il suo diametro, originariamente circolare, subisce una deformazione leggermente ellittica e la gola s’inclina un po’ verso il basso rispetto all’asse principale del cilindro. La cottura avviene a una temperatura da 800 a 900 gradi circa».14


Simulazione del procedimento di fabbricazione dei tubuli fittili a punta. Da STORZ (1997).

Una riflessione finale s’impone. Se la grande diffusione delle volte sottili con tubuli fittili nelle province dell’Africa è ampiamente accertata lungo il II sec. d. C., non ancora del tutto chiarito è il problema delle origini.
A Morgantina, in Sicilia, già verso la metà del III sec. a. C. – con un’anticipazione, quindi, di almeno tre secoli rispetto all’esperienza africana – in un edificio termale ellenistico le volte a botte di due vasti ambienti a pianta rettangolare e la stessa cupola di un ambiente circolare sono realizzate con tubuli cavi a terminazione conica di apprezzabili dimensioni (66-72 cm di lunghezza, 16-17 cm di diametro, 4,5-12, 99 kg di peso).
Un ulteriore contesto edilizio in cui è stata rinvenuta un’anticipazione (o, quantomeno, una contestualità cronologica) d’impiego di piccole olle e tubi fittili è quello inerente la costruzione di volte – sia pur di più modeste dimensioni – all’interno dei forni di ceramisti e di panifici d’età imperiale in Cisalpina.
Stretta dipendenza dagli esempi africani sono, invece, una serie di ritrovamenti siciliani – a Marsala, Piazza Armerina, a Riuzzo di Priolo, a Siracusa – citati da Ermanno A. Arslan ed attestati cronologicamente fra il III e il VII sec. d. C.; così come tutta più tarda sarà la diffusione nell’area padana – e in particolare a Ravenna – di volte sottili in tubuli fittili senza impiego, in questi casi, di opus caementicium per il completamento delle volte.15



Battistero Neoniano. Visione del mosaico della cupola, rilievi-reperti di fasi storiche di restauro e sezione della cupola a doppio filare in tubi fittili. (foto Alfonso Acocella)

di Alfonso Acocella

Vai a Latercompound

Note
13 Ermanno A. Arslan, “Osservazioni sull’impiego e la diffusione delle volte sottili in tubi fittili”, Bollettino d’Arte, 1965, I-II, pp. 45-52; Ermanno A. Arslan, “Il significato spaziale delle volte sottili romane e paleocristiane”, pp. 185-193 in Mesopotamia II, Torino, Giappichelli Editore, 1967.
14 Sebastian Storz, “La tecnica edilizia romana e paleocristiana delle volte e cupole a tubi fittili”, p. 28 (il saggio alle pp. 23-41) in Claudia Conforti (a cura di), Lo specchio del cielo, Milano, Electa, 1997, pp. 309.
15 Ermanno A. Arslan, “Osservazioni sull’impiego e la diffusione delle volte sottili in tubi fittili”, Bollettino d’Arte, 1965, I-II, pp. 45-52.

Leggi anche
I laterizi cotti della Cisalpina
L’industria laterizia di Roma
Il primato della tegola
Artefatti laterizi e percorsi d’acqua
Tegole e tubuli per pareti areate
Mattoni quadrati di Roma

commenti ( 0 )

21 Luglio 2014

English

SOLID WALL / EPHEMERAL WALL
Exhibition concept by Eduardo Souto de Moura

Versione italiana


Sketch by Eduardo Souto de Moura for Pibamarmi pavilion at 2014 Marmomacc

«I’ve studied in an environment full of walls. [They] have a meaning in topography because when you build something you have to build platforms. […] I focus on topography every single time. It’s natural stone. […] In architecture stone gives an image of powerful pictorial expression, and I like that very much. Regardless of its function, a wall is like a painting. Irregular stones are balanced by smaller ones. One by one: one stable stone, and then two, three, they make a stable wall; and that’s marvellous»i.
This statement by Eduardo Souto de Moura stresses the importance of walls, and in particular of stone walls, theme well appreciated by the Portuguese architect for its figural power and its constructive significance. He dealt with this issue several times in his architectures, as in the Municipal Market in Braga (1980) or in the Casa das Artes in Oporto (1981); and nowadays Souto de Moura keeps elaborating the wall archetype, for instance in the recent project for Pibamarmi exhibit pavilion, planned for the next edition of Marmomacc fair in Verona.
The exhibition space will consist in stone walls giving access to hidden rooms, indicated by hut-shaped wooden structures covered in fabric.
According to the architect, the contrast between the stereotomic walls on the facades and the tectonic rooms behind them, aims to activate a reflection on the solid wall/ephemeral wall duality, linking to the theory and projects of Aldo Rossi and Robert Venturi. Walls can indeed convey values of width, continuity, and radication (Rossi), but they can transmit as well completely opposite ideas of thinness, fragmentation, and duplicity (Venturi).

EDUARDO SOUTO DE MOURA
Souto de Moura is a Portuguese architect who started his own studio in 1980 after collaborating with Alvaro Siza. Between his numerous architectural works we can mention the Casa das Artes in Oporto (1981-91), the Casa in Moledo (1991-98), the Casa del Cinema Manoel de Oliveira in Viana de Lima (1998-2003), the Municipal Stadium in Braga (2000-03), two Villas in Ponte de Lima (2001-02), and the Offices Building in Avenida Boavista, Oporto (2003-08).
Since 1981 Souto De Moura has been mixing activities in both projecting and teaching: he is professor at the Architecture Faculty of Oporto University; and visiting professor in prestigious educational institutions in Paris, Dublin, Harvard, Zurich, and Lausanne.
He was awarded with important International prizes as the Heinrich Tessenow Gold Medal in 2001 and the Pritzker Architecture Prize in 2011.

by Davide Turrini

Go to:
Eduardo Souto de Moura
Pibamarmi

commenti ( 0 )

21 Luglio 2014

Design litico

MURO SOLIDO / MURO EFFIMERO
Un concept espositivo di Eduardo Souto de Moura

English version


Schizzo di Eduardo Souto de Moura per il padiglione Pibamarmi al Marmomacc 2014

«Sono stato educato in un ambiente di muri. [I muri] hanno un significato nella topografia perché per costruire qualcosa bisogna fare piattaforme. […] La topografia è un elemento sul quale punto ogni volta. È pietra naturale […]. La pietra dà un’immagine in architettura che trasmette una potente espressione pittorica e mi piace molto. Indipendentemente dalla sua funzione, il muro è come una pittura. Le pietre irregolari restano in equilibrio con l’aiuto di pietre più piccole che le stabilizzano. Una per una: una pietra stabile, due, tre, formano un muro stabile; e ciò è una meraviglia»i.
In questa affermazione Eduardo Souto de Moura sottolinea l’importanza del tema murario e, in particolare, del muro in pietra, apprezzato dal maestro portoghese per la sua forza figurale e per la sua pregnanza costruttiva. Dopo aver declinato tale tema architettonico in molte opere, a partire dal Mercato municipale di Braga (1980) e dalla Casa das Artes di Oporto (1981), Souto de Moura prosegue oggi la sua elaborazione sull’archetipo murario nel recente progetto per il padiglione espositivo Pibamarmi, in corso di realizzazione per la prossima edizione della fiera Marmomacc di Verona.
Lo spazio espositivo sarà costituito da muri litici attraverso cui sarà possibile accedere a spazi nascosti, individuati da strutture lignee a capanna ricoperte di tessuto. Secondo l’intento dell’architetto il contrasto tra i setti stereotomici di facciata e gli ambiti tettonici retrostanti, vuole attivare una riflessione sulla dualità muro solido / muro effimero, rimandando tra l’altro al portato teorico e progettuale di Aldo Rossi e Robert Venturi. Se il muro può esprimere infatti valenze di spessore, continuità e radicamento (Rossi), allo stesso tempo può veicolare peculiarità di assottigliamento, frammentazione e ambiguità del tutto oppositive (Venturi).

EDUARDO SOUTO DE MOURA
Architetto portoghese, dopo aver collaborato con Alvaro Siza, apre il proprio studio nel 1980. Tra le numerose architetture che ha realizzato si ricordano la Casa das Artes a Oporto (1981-91), la Casa a Moledo (1991-98), la Casa del Cinema Manoel de Oliveira a Viana de Lima (1998-2003), lo Stadio municipale di Braga (2000-03), le due Ville a Ponte de Lima (2001-02) e l’Edificio per Uffici in Avenida Boavista a Oporto (2003-08).
Già dal 1981 all’attività di progettazione affianca l’insegnamento: stabilmente, come professore della Facoltà di Architettura dell’Università di Oporto; come docente invitato, in prestigiose istituzioni accademiche a Parigi, Dublino, Harvard, Zurigo e Losanna.
Ha conseguito importanti riconoscimenti internazionali tra cui la Medaglia d’Oro Heinrich Tessenow nel 2001 e il Pritzker Architecture Prize nel 2011.

di Davide Turrini

Vai a:
Eduardo Souto de Moura
Pibamarmi

commenti ( 0 )

16 Luglio 2014

Design litico

Il design della trasversalità


Centro Ebraico di Ulm dei KSG Architekten.

Il tema litico, affrontato per la seconda volta da questo laboratorio nell’Anno Accademico 2013-14, è forse il più trasversale tra i molti che sono oggetto di studio ed esercizio nell’ambito delle discipline insegnate nel corso in Design del prodotto industriale presso l’Università di Ferrara.
Ma all’interno del macro-tema individuato dalla tipologia del materiale, i docenti Raffaello Galiotto, Vincenzo Pavan e Claudio Alessandri hanno voluto scegliere per questo laboratorio di progettazione un orientamento che ha fatto dell’esperienza didattica un manifesto di trasversalità:
ben oltre il concetto di interdisciplinarietà, che peraltro ha fortemente connotato le attività del corso, le “verticalità litiche” sulle quali gli studenti sono stati chiamati a concentrare i propri sforzi di progettisti in fieri, sono contemporaneamente un micro- e un macro-cosmo che racchiude l’intera storia del rapporto tra l’uomo e il costruito. L’azione stessa, primigenia e a-progettuale, dell’orizzontamento di un concio di pietra è la manifestazione della volontà dell’uomo di costruire.
Ancora prima di concepire l’archetipo architettonico del trilite, ovvero il portale e quindi il testimone di un passaggio, l’uomo erigeva monoliti e poi muri.
La sfida progettuale, che tanto sembra improba per degli allievi al secondo anno di studi se ci si sofferma a pensare alle molte migliaia di anni che hanno avuto a disposizione i nostri antenati per misurarsi su questo medesimo tema, va però considerata in relazione alle condizioni peculiari della contemporaneità, all’interno della quale e a servizio della quale il progetto nasce e vive.
Fondamentale è stata una disamina delle tecnologie messe a disposizione dagli interlocutori di questo laboratorio, le aziende partner, ma altrettanto lo è stata la riflessione sulle condizioni al contorno del progetto.
Se si pensa all’uomo del paleolitico, alla classicità, alla codifica della stereotomia nel XVII secolo, al modernismo, ci si troverà a ragionare di modelli economici, sociali e produttivi diversi tra loro e ancora di più diversi da quelli contemporanei.
Eppure, per quanto le macchine a controllo numerico abbiano rivoluzionato i tempi di produzione ed espanso le possibilità realizzative, per quanto i costi della manodopera e della logistica impongano ingegnerizzazioni sempre più efficienti sul piano dei costi e i linguaggi estetici si siano evoluti, restano immutate le leggi della statica e dell’ergonomia, ragione dell’importanza degli apporti del professor Alessandri in qualità di docente di scienza delle costruzioni e morfologia dei materiali e del professor Pavan sotto la cui egida è stato svolto uno studio tipologico sugli usi contemporanei della pietra in architettura.

Una piccola selezione di progetti architettonici studiati all’interno del laboratorio di LPD 1.


Un efetto di tessitura generante una ripetizione di stelle di David sulla facciata delCentro Ebraico di Ulm dei KSG Architekten.

[photogallery]design_tras_album[/photogallery]

La valenza più importante dei risultati di questo corso è dunque il criterio della verosimiglianza. I progetti presenti in questo catalogo sono stati oggetto di revisioni finalizzate alla concezione di nuovi prodotti e non di mero styling. Al di là della qualità estetica è stata perseguita anche una effettiva fattibilità (trasversale appunto) che tenga conto degli aspetti realizzativi, economici e logistici, dal metodo di produzione alla messa in posa, nonché di una potenziale vendibilità.
La pietra come prodotto, piuttosto che come manufatto o come materiale da costruzione contiene in nuce anche altri microcosmi e macrocosmi. I prodotti industriali, come si insegna in questo Dipartimento, hanno requisiti funzionali e prestazionali, hanno caratteristiche da progettarsi sulla base di analisi di utenti complessi (l’azienda, l’utente operatore, l’utente finale). E in un prodotto industriale – un concio – monomaterico e generalmente costituito da un solo pezzo, a rispondere ai requisiti è la materia stessa.
Lo studio degli aspetti microscopici della pietra è stato affrontato dalla geologa Carmela Vaccaro che ha tenuto lezioni sulla formazione delle rocce e le caratteristiche in esse riscontrabili sulla base della loro genesi.
La riflessione sui tempi di formazione delle rocce impone lo sforzo di un ulteriore salto di scala, dalle migliaia ai milioni di anni. La sfida progettuale chiama pertanto a un secondo confronto, quello con un materiale che preesisteva tanto a noi quanto ai nostri illustrissimi antenati di cui sopra, che una volta riconsegnato ad una morfologia nuova, decisa dal suo progettista, gli sopravvivrà per molto, moltissimo tempo.
Ciò che colpisce, ripercorrendo mentalmente l’esperienza del corso, è che l’idea di costruire per l’eternità è qualcosa che la generazione di progettisti architettonici cui appartiene chi scrive tende generalmente a ritenere inopportuna, quando non del tutto immorale. Sicuramente questo tipo di approccio ha coinciso nel corso della storia con i più sperticati personalismi: la pietra ha incarnato la vanità dei faraoni, la tensione verso l’immortalità di molti dittatori, oppure, nella migliore delle ipotesi, la memoria dei defunti.
Ma il product design non è architettura, non è strumento di celebrazione ed autocompiacimento, né per progettisti né per committenti. È il mercato, inteso come insieme di potenziali acquirenti dotati di coscienza critica, frutto delle congiunture socio-economico e culturali nonché della loro mutevolezza, a richiedere prodotti durevoli e sostenibili , aprendo dunque in questi anni una nicchia per questo nuovo tipo di design, il design litico, che in questo senso può arrogarsi il merito di aver restituito la pietra all’architettura, dopo averla mondata da incrostazioni secolari di retorica.
I progetti di questo catalogo, credo non sia un azzardo dirlo, hanno tutti per target audience la categoria dei prescrittori, ovvero quegli architetti che proporranno ai propri committenti (il mercato) rivestimenti, pareti divisorie, pareti strutturali e tamponamenti come quelli di seguito presentati. Prodotti pensati per un ingresso nel progetto architettonico a partire dalle sue prime fasi e solo in pochissimi casi immaginabili come qualcosa che si possa scegliere a modo di finitura a progetto già realizzato.
Un ulteriore aspetto ideologico non trascurabile per quanto concerne questo tema di progetto è legato al ruolo politico del designer nel senso più nobile del termine. La visione appena proposta di un design a servizio del mercato potrebbe risultare improponibile in ambito accademico se mal argomentata, ma i lavori nati all’interno di questo corso interpretano la proposta commerciale come strumento per la promozione e la diffusione di una cultura di progetto tramite l’uso di un materiale lavorato (e quasi sempre anche cavato) sul territorio nazionale, concepito per l’esaltazione delle sue qualità intrinseche e di quelle tecniche delle aziende che lo trasformano.
Che il panorama del design stia attraversando una fase di mutamento è inopinabile. Con l’affaccio di nuovi attori sul mercato globale cambiano le regole e il senso stesso della progettazione per l’industria. Le cosiddette eccellenze legate al territorio, che con abbreviazione mediatica chiamiamo Made in Italy, oggi vanno ripensate per diventare visibili, ma soprattutto “appetibili” su una scala mondiale, esaltando le qualità legate all’origine del prodotto e il milieu culturale in seno al quale esso è nato, aggiornandosi continuamente nel linguaggio e imparando a conoscere i propri interlocutori, ma senza mai piegarsi all’accondiscendenza sul piano del gusto.
Anche in questo senso il pensiero che genera il progetto della pietra credo debba essere trasversale, e vada affrontato con l’ambizione, tutt’altro che utopica, di comporre con un alfabeto arcaico le parole di un linguaggio nuovo, etimologicamente locale, ma comprensibile universalmente.

Per l’ultima galleria di immagini sono stati scelti alcuni rendering realizzati dagli studenti per la presentazione finale dei propri lavori. Giunti alla conclusione del corso la verosimiglianza non è più misurabile solo dall’esperienza di un docente, ma tanto manifesta che questi fotoinserimenti potrebbero essere facilmente confusi con le pagine di un catalogo commerciale.


Wave Kit Wall delle studentesse Elena Luigia Fusto e Anna Mastellari

[photogallery]design_tras_album2[/photogallery]

di Gianluca Gimini

commenti ( 0 )

14 Luglio 2014

Pietre d`Italia

Trachite euganea


Dettaglio di una lastra di Trachite Euganea

Origine geologica e caratteristiche petrografiche
La trattazione della Trachite Euganea e del suo impiego non può prescindere dalla comprensione della sua orogenesi.
Innumerevoli studi succedutisi nel corso dei secoli sono sfociati, nella prima metà del Novecento, nella tesi universalmente accettata secondo la quale nel corso dell’Oligocene, 35 milioni di anni fa, il magma trachitico in risalita sarebbe riuscito ad infiltrarsi, in ambiente sottomarino, fra gli strati di roccia sedimentaria sollevandoli e dando così origine ai Colli Euganei, luogo di estrazione della trachite nell’attuale provincia di Padova. La fase eruttiva dell’Oligocene inferiore è caratterizzata da una successione complessa di magmi di vario tipo, a partire dai termini più ricchi in silice, rioliti e trachiti alcaline, alle latiti, con tenori di silice più bassi, fino ai basalti. Restando imprigionato fra gli strati sedimentari il magma si sarebbe raffreddato in tempi lunghi, permettendo così una cristallizzazione molto marcata.
Dall’orogenesi dei Colli Euganei si può quindi comprendere la natura della trachite, che viene classificata come appartenente alla famiglia delle rocce vulcaniche effusive mesosiliciche, ovvero le rocce formatesi dalla risalita del magma fuso e dal successivo raffreddamento e cristallizzazione. I litotipi appartenenti a questa famiglia sono caratterizzati da una struttura porfirica in cui i cristalli sono immersi in una pasta lavica.
In particolare la trachite euganea si presenta macroscopicamente come una massa di fondo grigia nella quale risaltano occhi tondeggianti di feldspati e cristalli scuri di mica di dimensioni relativamente grandi, conseguenza del lento raffreddamento. La trachite inoltre è costituita prevalentemente da silicati di potassio, silicati di sodio, calcio e ferro magnesio.
Il colore è generalmente grigio, ma può passare al giallo aranciato e giallo bruno qualora la roccia abbia subito processi idrotermali non degenerativi che hanno determinato la deposizione di ossidi idrati di ferro.


Blocco bagnato di trachite. In evidenza la texture cromatica del materiale

Un carattere peculiare di questa pietra si può ritrovare anche nel suo nome: trachite infatti proviene dal latino trachys che significa ruvido. Sebbene infatti la superficie possa essere lavorata e trattata in modi differenti, la caratteristica della trachite è quella di avere una superficie ruvida. Questa può comunque essere lucidata e lisciata facendone risaltare la texture in modo più evidente e pulito, oppure può essere bocciardata per aumentarne la ruvidità e quindi l’attrito superficiale; quest’ultimo trattamento, tuttavia, ne nasconde in parte le qualità estetiche.

Caratteristiche fisiche e meccaniche
Le caratteristiche meccaniche della trachite sono ottime e paragonabili a quelle dei migliori graniti.

In ambito fisico riscontriamo un elevato coefficiente d’aderenza e un’ottima resistenza agli agenti atmosferici; inoltre, la natura cristallina le conferisce quel grado di porosità atto a drenare e assorbire l’umidità che si deposita in superficie. Tale litotipo, infine, si caratterizza per un ottimo compromesso fra resistenza e lavorabilità, fra durata e fruibilità.
La prova più evidente delle sue proprietà è data dal comportamento osservabile durante i periodi di acqua alta a Venezia, dove la trachite che pavimenta la piazza e le strade della città resiste bene alle avverse condizioni di freddo e umidità.

Siti e tecniche di estrazione
Nei Colli Euganei si trovano attualmente sei cave di trachite attive, situate nel bacino estrattivo di Zovon di Vò. Il dimezzamento delle cave, avvenuto a causa dell’entrata in vigore della Legge n. 1097 del 1971 per la tutela delle bellezze naturali dei Colli Euganei, è stato accompagnato dalla diminuzione della quantità di materiale da poter estrarre, volta al recupero ambientale delle aree coinvolte.
La trachite si estrae ponendo cariche esplosive in specifici punti della colonna trachitica, in modo da produrre meno danno possibile ai blocchi sfruttando la naturale tendenza di questa pietra a frammentarsi in grossi massi a sezione quadrilatera, che si presentano generalmente giallognoli nella parte esterna e grigi nel cuore interno.
Successivamente a questa prima fase i massi vengono sezionati, solitamente in loco, attraverso dei grandi dischi rotanti oppure con mezzi più artigianali come la puntellatura, ovvero l’inserimento di grossi pioli d’acciaio lungo una retta d’azione che porterà allo spacco netto del blocco. Tali lavorazioni risultano utili al conseguente trasporto dei blocchi nelle fabbriche, dove l’ulteriore lavorazione condurrà al prodotto finito.

Processi di lavorazione
Una volta trasportati i blocchi in laboratorio, questi vengono ridotti alle forme e dimensioni volute tramite seghe a disco di minor dimensione e seghe a filo diamantato, macchinari che, oggi, hanno ormai soppiantato i vecchi telai, molto più lenti, utilizzati anche per il taglio del granito e dotati di lame di metallo dal movimento pendolare che tagliavano per sfregamento grazie all’utilizzo della graniglia (miscela abrasiva composta generalmente da acqua e una miscela di calce e graniglia metallica come elemento abrasivo).


Taglio della trachite

Le lastre vengono rifilate con macchine a taglio a controllo numerico dotate di dischi diamantati che vanno a formare lastre lapidee di spessori diversi (mediamente da 2 a 10 cm), scelti secondo l’impiego per cui sono destinate: dalle pavimentazioni di piazze, ai rivestimenti interni ed esterni di scale, davanzali, caminetti, fino ai vari elementi necessari per l’edilizia di pregio.
Tra i trattamenti superficiali che possono essere applicati, i più importanti sono la lucidatura e la bocciardatura. Quest’ultima, nel caso di oggetti dalla forma tridimensionale, non può essere fatta altro che a mano da operai specializzati, tanto che è sempre stata considerata una lavorazione piuttosto costosa. Tuttavia, nel caso di lastre bidimensionali, la bocciardatura è ormai una lavorazione automatizzata. Anche il trattamento di lucidatura è frutto di un compromesso, in quanto sebbene vi sia un’apposita macchina che permette di automatizzare il processo, la rifinitura del pezzo è un’operazione strettamente manuale svolta anche in questo caso da operaio qualificati.

Tutti queste lavorazioni, unite alla duplice varietà di trachite disponibile (ovvero la trachite gialla e quella grigia) consente di creare numerose varianti sia cromatiche che tattili/superficiali.
È importante sottolineare, infine, che anche per questo tipo di pietra gli scarti delle lavorazioni vengono raccolti e riutilizzati come elementi costruttivi, se le dimensioni lo consentono, oppure vengono triturati e utilizzati come materiale inerte.

Applicazioni nel contesto urbano
Fin dall’epoca romana, grazie alle sue caratteristiche di non scivolosità, durezza e resistenza agli agenti atmosferici, la trachite è stata prevalentemente utilizzata per lastricati stradali, marciapiedi e bordature degli stessi. In tempi più recenti, le sue caratteristiche cromatiche e la possibilità di tagliare i blocchi in lastre sottili facilmente lucidabili, hanno tuttavia permesso di adattare tale pietra anche ad elementi di rivestimento e decorazione, sia per esterni che per interni architettonici (scale e pavimenti).
Importanti architetti della scena internazionale come Santiago Calatrava e Mario Botta hanno reso la Trachite Euganea protagonista di alcuni loro interessanti progetti realizzati in area veneta.
A Venezia, fra piazzale Roma e la stazione ferroviaria Venezia Santa Lucia, il Canal Grande è attraversato dal Ponte della Costituzione di Calatrava, costruito nel 2008. La parte strutturale arcuata, che copre una campata lunga 81 metri, è realizzata completamente in acciaio ed è rivestita, nella parte della scalinata, da vetro posto in dialogo con elementi di trachite grigia classica di Montemerlo, in armonia con la pavimentazione delle aree antistanti.


Santiago Calatrava, Ponte della Costituzione a Venezia, 2008

Nello stesso anno Mario Botta progetta e realizza, a Monselice, la Fontana San Paolo presso la Chiesa omonima. L’impianto monumentale a forma quadrangolare ha un perimetro costituito da muri inclinati, a piramide rovesciata, mossi da gradini che scendono verso la vasca. La parte centrale è occupata da un elemento di forma rotonda, con sedute perimetrali destinate alla sosta e poste all’ombra delle fronde di un ulivo, collegato con l’esterno da una passerella che attraversa la vasca da parte a parte. La pietra utilizzata è la trachite, della quale sono state sfruttate a pieno le caratteristiche di inerzia chimica ed antigelività, che permette di sottoporla a condizioni di estrema umidità senza che questa subisca alterazioni rilevanti, sebbene comunque l’intera struttura debba essere impermeabilizzata per evitare il drenaggio dell’acqua.

Lo studio della tessitura dei “masegni”, i caratteristici blocchi rettangolari che costruiscono la pavimentazione veneziana, hanno infine portato, nel 2011, al progetto “Barena”, dei designer Pio e Tito Toso.
L’idea alla base del progetto è quella di reinterpretare la tipica scansione rettangolare come motivo per muovere questa materia nelle tre dimensioni creando funzioni di arredo urbano: una sorta di tappeto tridimensionale attrezzato.
Sulla base di questo concetto sono state disegnate sedute, fontane, elementi illuminanti, fioriere, cestini per la raccolta dei rifiuti, caditoie e pozzetti d’ispezione.


Pio e Tito Toso, Progetto Barena, 2011

Una pietra, quindi, come dimostrano questi tre esempi, che riesce a esprimere al meglio le proprie potenzialità negli spazi esterni senza fuggire al contatto con l’acqua, alla cui usura, anzi, resiste nel migliore dei modi riuscendo a dialogarvi creando interessanti connubi tra fluidità liquida e rigidità lapidea.

a cura di Sara Benzi

Note
Questo post è frutto del lavoro di ricerca svolto dagli studenti G.L. Silvestrini, M. Trentin, N. Malachin, M. Verza nell’ambito del Laboratorio di Product Design I del Corso di Laurea in Design del Prodotto Industriale di Ferrara, A.A. 2012-2013

commenti ( 0 )

10 Luglio 2014

News

The city and the water

THE CITY AND THE WATER – International Workshop
Architecture, arts and design for the new waterfront of Marina di Pietrasanta
September 3rd – 14th 2014
Apply before 31th July !!!

Organizers
University of Pisa | DESTeC | Long Cycle M. Degree Course in Building Engineering and Architecture
CAV Visual Arts Center of Pietrasanta
Municipality of Pietrasanta

The workshop will see students and young professionals working together on the Versilia area, for a ten days-full immersion team work. Particular attention will be set to the public space, where the shared collective values of the urbs had formed. That spaces show actually a deep formal and substantial crisis of identity, to which we are called to give answers going over the traditional models.

The case study selected is the waterfront of Marina di Pietrasanta: a context with a high environmental value and a great economic potential, but actually mined by a strong social fragility.
The workshop will start from the comprehension of the historical evolution of the territory. Thanks to the several international experiences of the teaching staff, the workshop aims to define a scenery of change according to different scales, from the territorial to the architectural one.

The methodology that will be applied provides the experimentation of the most innovative tools and the collaboration between the international guests and the local subjects: university, administrations, professionals, associations, enterprises, artists, and artisans.
The workshop will include two public meetings, important moments of exchange within participants, citizens, professionals, and local public administrations.

The objective of the workshop is to think up hypothesis for the urban regeneration of the public spaces through architecture, design and arts – as in a sort of renewed Bauhaus – in order to support their re-appropriation from a physical, social and economic point of view.

The final results of the workshop will be showed in a public exhibition, opened in San Agostino cloister from September 14th to 21th.

Go to The city and the water
Download the flayer

commenti ( 0 )

7 Luglio 2014

Design litico

Claudio Silvestrin. La pietra nello spazio retail


Claudio Silvestrin, Interno del flagship store Giada a Milano, 2013 (forniture e lavorazioni lapidee Pibamarmi)

Nei processi di trasformazione tipologica, funzionale ed estetica degli spazi commerciali contemporanei la pietra ha un ruolo strategico e mostra un’identità bifronte: da un lato essa materializza le qualità di durata, lusso e prestigio che da sempre, tradizionalmente, rappresenta; dall’altro è chiamata a dar corpo alle ulteriori peculiarità di uno stile sobrio e minimale e di un concetto di benessere connesso alla ricerca di nuovi equilibri tra l’uomo ed il mondo circostante. Claudio Silvestrin è tra i massimi interpreti di questa seconda tendenza; l’architetto infatti è impegnato da tempo nell’interior design per il retail con allestimenti litici essenziali, caratterizzati da superfici naturali, opache e lievemente imperfette, pensate per dialogare con la luce in un raffinato spettro di calibrate intensità.


Claudio Silvestrin, Interno dell’Armani Store a Londra, 2003

Prediligendo calcari o graniti, con cromie che vanno dai grigi, ai crema, ai toni delle terre, Silvestrin accoglie i clienti in atmosfere sospese e seducenti, creando scene “senza luogo e senza tempo” in cui isolare e valorizzare la merce esposta, e in cui predisporre alla scelta e all’acquisto evitando accumulazioni e interferenze di stimoli e messaggi.
In tali microcosmi introspettivi, vuoti e silenziosi, la pietra ricopre i pavimenti e le pareti formando stesure continue e omogenee, perfettamente risolte nei minimi dettagli dei passaggi di quota e nei cambi di giacitura dei piani verticali.


Claudio Silvestrin, Interni del flagship store Giada a Milano, 2013 (forniture e lavorazioni lapidee Pibamarmi)

Così Silvestrin si accosta con discrezione e coerenza a marchi dall’identità sobria e raffinata, fondata sui valori della qualità e del rigore. Ciò è particolarmente evidente negli store Giorgio Armani, realizzati a partire dai primi anni Duemila in tutto il mondo; poi nei negozi Princi a Milano e infine negli spazi vendita Giada di recente completamento.
In quest’ultimo caso pietre calcaree, semplicemente segate in forma di grandi lastre, o sbozzate per dar vita a superfici rustiche dal particolare effetto naturalistico, sono impiegate per comporre pareti rettificate e continue, o teorie di monoliti dalle forme elementari.


Claudio Silvestrin, Interno del panificio Princi Speronari Duomo a Milano, 2006

Ai materiali litici si aggiungono i metalli ossidati dei podi espositivi, o i legni naturali dei mobili e delle sedute. I colori sono chiari per le pareti e i pavimenti, o vulcanici e terrosi per gli elementi di arredo; tutto contribuisce alla definizione di un’ambiente appartato e rilassante, ideale per uno stile di acquisto, e di vita, fondato sulla rivalutazione della naturalezza, della sfera intima e privata rispetto a quella pubblica, dei riti semplici ed essenziali legati alla cura quotidiana del corpo e della mente.

di Davide Turrini

Vai a:
Claudio Silvestrin
Pibamarmi

commenti ( 0 )

stampa

torna su