Prospetti delle due ambasciate. A sinistra l’Ambasciata britannica; a destra l’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti. (Photo Erika Pisa)
Sull’asse est-ovest della Berlino capitale giace il grande parco del Tiergarten, che per diversi kilometri sviluppa un itinerario lungo una serie di architetture di rappresentanza, tipologia ormai definitasi autonoma, occupata dalle delegazioni di ogni Paese estera qui operante.
L’odierna capitale tedesca è una delle poche città ad aver conservato una tale quantità di verde all’interno del suo cuore urbano, dotato di attrezzature che permettono di viverlo senza disagi con il vantaggio di riuscire a far confluire e convivere interessi di natura del tutto differente tra loro senza che questi si scontrino.
Dopo il trasferimento negli anni Novanta della capitale da Bonn a quella contemporanea, Berlino ha visto stanziarsi le sedi dei vari organi in un’area interamente dedicata a questo tipo di istituzioni, parte di cui al perimetro di questa zona arboreo vegetativa.
Ambasciata britannica in Wilhelmstra?e. (Photo Erika Pisa)
L’Ambasciata britannica, ai numeri 70-71 di Wilhelmstra?e, e l’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti, su Hiroshimastraße sui civici 18-20, sono due dei casi citati che riproducono una particolare comunanza derivata dalle morfologie costruttive messe in atto attraverso la costruzione dei propri uffici.
A seguito di una lettura operata sulle facciate delle ambasciate, si possono dedurre aspetti che compartecipano alla realizzazione di un’immagine tipologicamente consueta, seppur diversa nelle forme tecnologiche e compositive dei casi specifici. Il materiale maggiormente utilizzato contribuisce a restituire gran parte dell’idea di progetto, rendendo fondamentali gli usi e le modalità con le quali lo si lavora.
Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti su Hiroshimastraße. (Photo Erika Pisa)
La scelta della stessa pietra ha reso evidente da un lato la volontà formale di contestualizzare l’opera ad altre emergenze urbane, dall’altro il legame che sembra non volersi dissolvere anche dopo l’indipendenza guadagnata nel 1971 dai regnanti degli Emirati Arabi Uniti. La Hohenzollernpark, la pietra dal colore giallo nei rivestimenti dei prospetti, racconta in terra straniera l’immagine di due regioni molto lontane tra loro.
Un’arenaria di origine polacca, e più precisamente, delle cave nelle vicinanze della città di Boleslawiec (prima Bunzlau), che con la storia geologica della Germania ha molti sviluppi paralleli.
L’origine del materiale analizzato pone il punto iniziale nell’orogenesi ercinica, o orogenesi varisica, e il suo completamento alla fine del Carbonifero. Le dimensioni imponenti dell’affioramento si facevano paragonare alle attuali Alpi, senza la possibilità di un’effettiva verifica per via degli effetti logoranti del tempo che furono causa dei lunghi processi di erosione. Quest’effetto, detto di pavimentazione, lasciò sedimentare sulla lunga distanza argille, calcare e sabbie a grana fine che vanno via via ingrandendosi in prossimità della battigia.
Particolare del rivestimento in facciata dell’Ambasciata britannica. (Photo Erika Pisa)
La sua origine caolinitica attribuisce alla luce conservata dalle due ambasciate una luminosità dai toni crema biancastri, con intonazioni giallo-marroni dei suoi fronti limonitici. La natura prevalentemente liscia delle superfici di rottura risultante dal taglio permette un impiego modulare in facciata, destinazione conforme alle buone caratteristiche di resistenza fisica e agli agenti atmosferici delle principali formazioni silicee come questa. Gli involucri dedicati alle due ambasciate mostrano questa caratteristica seppure con dimensioni diverse.
Grossi elementi nel taglio dell’Ambasciata britannica; la sala riunioni e il centro informazioni. (Photo Erika Pisa)
Il blocco alto 22 metri e lungo circa 60 metri, progettato dal gruppo di Stoccarda Wilford Schupp architekten, stabilisce una sua ordinata e armonica forma di dialogo con gli edifici attigui tramite aperture ruotate rispetto alla cortina principale e scandisce con un passo cadenzato le bucature dei piani superiori, fondando una regola interrotta solo dall’incisione di un taglio, lungo quasi quanto l’intero lotto e destinato ad ospitare grossi elementi colorati. Gli oggetti, indipendenti e rivestiti di pannelli lamierati, al loro interno danno sistemazione ad una sala riunioni tondeggiante in viola e ad un centro informazioni trapezoidale azzurro.
Rapporto tra l’Ambasciata britannica e gli edifici attigui. (Photo Erika Pisa)
Un’epifania postmoderna, che ben distribuisce i suoi ruoli teatrali grazie ai materiali utilizzati. Alla pietra il compito di rappresentare la continuità storica devoluta al recupero dell’impianto esistente, provato già dalle due Guerre Mondiali e dalla successiva divisione delle due Germanie durata quasi mezzo secolo; al metallo la responsabilità di assorbire le nuove funzioni allocate, dagli uffici per i centoventi dipendenti alla nuova copertura spiovente, che cela in realtà un tetto piano.
Fino al 2000 le attività svolte all’interno riguardavano seminari e conferenze, ma successivamente lo sviluppo pensato per l’organismo edilizio fu subordinato ad un finanziamento emesso da parte di una società tedesca per questa nuova attività, cosa rara per un apparato di tipo statale, con la possibilità di espandersi per trenta anni.
Particolare dell’ingresso dell’Ambasciata britannica. (Photo Erika Pisa)
Per il concetto tecnologico alla base del progetto e per l’efficienza energetica derivante dalla scelta effettuata sui materiali impiegati nella costruzione dei 9000 mq su sette livelli, si è ottenuto il primato sugli altri edifici diplomatici con il certificato BREEAM, il protocollo di valutazione ambientale più diffuso al mondo.
Particolare dell’arco d’ingresso dell’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti. (Photo Erika Pisa)
Nell’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti l’accesso, a differenza del grande taglio a Wilhelmstra?e, si traduce con una bucatura vetrata a doppio livello coronata da un arco che va inflettendosi. La luce che entra dalla navata centrale, con un approssimativo orientamento in direzione est-ovest, inquadra lo spazio nel quale le colonne costruiscono la loro relazione con la stella araba vetrata ad otto punte colorate “Mashrabias”, i camminamenti sopraelevati per gli uffici dei piani sovrastanti, la piazza interna e la sala da ballo.
Cortile interno dell’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti. (Photo Erika Pisa)
Nonostante le due architetture siano state pensate da progettisti diversi, presentano alcuni elementi in comune appartenenti alla sfera simbolica.
Il centro della diplomazia araba a Berlino, realizzato in venti mesi e completato nel 2004 dallo studio Tom Krause e Astrid Bohne, accoglie un affaccio sul retro con le sembianze di un giardino intimo, cosa che accade con modalità analoghe quando tra i fabbricati dell’Unter den Linden dove sorgono gli uffici diplomatici britannici si ritaglia un giardino d’inverno con copertura vetrata. Un cortile appena dietro l’ingresso conserva una quercia inglese, ambasciatrice d’identità al pari delle palme, che ornano gli spazi arabi ad Hiroshimastraße, anche se le temperature tedesche non ricordano certo i climi di cui questa vegetazione è originaria.
Torre angolare dell’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti. (Photo Erika Pisa)
Alla luce della ricerca continua di una tradizione da non abbandonare, ci si scontra sempre con una definizione di contemporaneo, che si coniuga ogni volta con chi articola uno spazio, chi lo commissiona e chi effettivamente lo abita, ottenendo in modo ambiguo una risposta mai uguale.
Vista aerea dei due contesti. A sinistra l’Ambasciata britannica; a destra l’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti. (Google Map)
di Nicola Violano