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3 Marzo 2015

Design litico

STONE DESIGN HIGHLIGHTS
Progetti e prototipi in mostra allo Spazio Pibamarmi


Uno scorcio dell’allestimento con prototipi di Michele De Lucchi e Snøhetta

Nell’ultimo decennio Pibamarmi ha intrapreso un percorso progettuale e produttivo particolarmente proficuo. In un quadro di stimolanti collaborazioni con la cultura contemporanea dell’architettura e del design, l’azienda ha acquisito un’identità peculiare, che oggi è riconosciuta ed apprezzata a livello internazionale. La mostra Stone Design Highlights, aperta fino al 29 marzo presso lo Spazio Pibamarmi ad Arzignano, presenta tale percorso attraverso progetti e prototipi di collezioni bagno e di allestimenti firmati da importanti designer per l’azienda. Grazie a materiali originali e perlopiù inediti provenienti dagli archivi dei progettisti, la mostra restituisce una molteplicità di temi caratteristici di natura materica, costruttiva o formale, in uno spaccato emblematico del design litico del terzo millennio.


Allestimento della mostra Stone Design Highlights presso lo Spazio Pibamarmi


Un prototipo di Philippe Nigro sullo sfondo di altre opere di Manuel Aires Mateus e Grafton Architects

I designer in mostra
Michele De Lucchi
Hikaru Mori
Philippe Nigro
Snøhetta
Manuel Aires Mateus
Grafton Architects


Una grafica della mostra con schizzi di Manuel Aires Mateus, Grafton Architects, Hikaru Mori, Philippe Nigro


Una selezione della rassegna stampa Pibamarmi dalla pubblicistica periodica 2007-2014

STONE DESIGN HIGHLIGHTS
21 novembre 2014 – 29 marzo 2015

Spazio Pibamarmi
Via Chiampo 78
36071 Arzignano (VI)

Cura della mostra
Davide Turrini
Allestimento
VISTO aw
Grafica e immagine coordinata
Emmanuele Visieri
Segreteria
Alessandra Bravo

Vai a: Pibamarmi

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26 Febbraio 2015

Opere di Architettura

Hohenzollernpark, l’arenaria tra Regno Unito ed Emirati Arabi


Prospetti delle due ambasciate. A sinistra l’Ambasciata britannica; a destra l’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti. (Photo Erika Pisa)

Sull’asse est-ovest della Berlino capitale giace il grande parco del Tiergarten, che per diversi kilometri sviluppa un itinerario lungo una serie di architetture di rappresentanza, tipologia ormai definitasi autonoma, occupata dalle delegazioni di ogni Paese estera qui operante.
L’odierna capitale tedesca è una delle poche città ad aver conservato una tale quantità di verde all’interno del suo cuore urbano, dotato di attrezzature che permettono di viverlo senza disagi con il vantaggio di riuscire a far confluire e convivere interessi di natura del tutto differente tra loro senza che questi si scontrino.
Dopo il trasferimento negli anni Novanta della capitale da Bonn a quella contemporanea, Berlino ha visto stanziarsi le sedi dei vari organi in un’area interamente dedicata a questo tipo di istituzioni, parte di cui al perimetro di questa zona arboreo vegetativa.


Ambasciata britannica in Wilhelmstra?e. (Photo Erika Pisa)

L’Ambasciata britannica, ai numeri 70-71 di Wilhelmstra?e, e l’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti, su Hiroshimastraße sui civici 18-20, sono due dei casi citati che riproducono una particolare comunanza derivata dalle morfologie costruttive messe in atto attraverso la costruzione dei propri uffici.
A seguito di una lettura operata sulle facciate delle ambasciate, si possono dedurre aspetti che compartecipano alla realizzazione di un’immagine tipologicamente consueta, seppur diversa nelle forme tecnologiche e compositive dei casi specifici. Il materiale maggiormente utilizzato contribuisce a restituire gran parte dell’idea di progetto, rendendo fondamentali gli usi e le modalità con le quali lo si lavora.


Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti su Hiroshimastraße. (Photo Erika Pisa)

La scelta della stessa pietra ha reso evidente da un lato la volontà formale di contestualizzare l’opera ad altre emergenze urbane, dall’altro il legame che sembra non volersi dissolvere anche dopo l’indipendenza guadagnata nel 1971 dai regnanti degli Emirati Arabi Uniti. La Hohenzollernpark, la pietra dal colore giallo nei rivestimenti dei prospetti, racconta in terra straniera l’immagine di due regioni molto lontane tra loro.
Un’arenaria di origine polacca, e più precisamente, delle cave nelle vicinanze della città di Boleslawiec (prima Bunzlau), che con la storia geologica della Germania ha molti sviluppi paralleli.
L’origine del materiale analizzato pone il punto iniziale nell’orogenesi ercinica, o orogenesi varisica, e il suo completamento alla fine del Carbonifero. Le dimensioni imponenti dell’affioramento si facevano paragonare alle attuali Alpi, senza la possibilità di un’effettiva verifica per via degli effetti logoranti del tempo che furono causa dei lunghi processi di erosione. Quest’effetto, detto di pavimentazione, lasciò sedimentare sulla lunga distanza argille, calcare e sabbie a grana fine che vanno via via ingrandendosi in prossimità della battigia.


Particolare del rivestimento in facciata dell’Ambasciata britannica. (Photo Erika Pisa)

La sua origine caolinitica attribuisce alla luce conservata dalle due ambasciate una luminosità dai toni crema biancastri, con intonazioni giallo-marroni dei suoi fronti limonitici. La natura prevalentemente liscia delle superfici di rottura risultante dal taglio permette un impiego modulare in facciata, destinazione conforme alle buone caratteristiche di resistenza fisica e agli agenti atmosferici delle principali formazioni silicee come questa. Gli involucri dedicati alle due ambasciate mostrano questa caratteristica seppure con dimensioni diverse.


Grossi elementi nel taglio dell’Ambasciata britannica; la sala riunioni e il centro informazioni. (Photo Erika Pisa)

Il blocco alto 22 metri e lungo circa 60 metri, progettato dal gruppo di Stoccarda Wilford Schupp architekten, stabilisce una sua ordinata e armonica forma di dialogo con gli edifici attigui tramite aperture ruotate rispetto alla cortina principale e scandisce con un passo cadenzato le bucature dei piani superiori, fondando una regola interrotta solo dall’incisione di un taglio, lungo quasi quanto l’intero lotto e destinato ad ospitare grossi elementi colorati. Gli oggetti, indipendenti e rivestiti di pannelli lamierati, al loro interno danno sistemazione ad una sala riunioni tondeggiante in viola e ad un centro informazioni trapezoidale azzurro.


Rapporto tra l’Ambasciata britannica e gli edifici attigui. (Photo Erika Pisa)

Un’epifania postmoderna, che ben distribuisce i suoi ruoli teatrali grazie ai materiali utilizzati. Alla pietra il compito di rappresentare la continuità storica devoluta al recupero dell’impianto esistente, provato già dalle due Guerre Mondiali e dalla successiva divisione delle due Germanie durata quasi mezzo secolo; al metallo la responsabilità di assorbire le nuove funzioni allocate, dagli uffici per i centoventi dipendenti alla nuova copertura spiovente, che cela in realtà un tetto piano.
Fino al 2000 le attività svolte all’interno riguardavano seminari e conferenze, ma successivamente lo sviluppo pensato per l’organismo edilizio fu subordinato ad un finanziamento emesso da parte di una società tedesca per questa nuova attività, cosa rara per un apparato di tipo statale, con la possibilità di espandersi per trenta anni.


Particolare dell’ingresso dell’Ambasciata britannica. (Photo Erika Pisa)

Per il concetto tecnologico alla base del progetto e per l’efficienza energetica derivante dalla scelta effettuata sui materiali impiegati nella costruzione dei 9000 mq su sette livelli, si è ottenuto il primato sugli altri edifici diplomatici con il certificato BREEAM, il protocollo di valutazione ambientale più diffuso al mondo.


Particolare dell’arco d’ingresso dell’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti. (Photo Erika Pisa)

Nell’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti l’accesso, a differenza del grande taglio a Wilhelmstra?e, si traduce con una bucatura vetrata a doppio livello coronata da un arco che va inflettendosi. La luce che entra dalla navata centrale, con un approssimativo orientamento in direzione est-ovest, inquadra lo spazio nel quale le colonne costruiscono la loro relazione con la stella araba vetrata ad otto punte colorate “Mashrabias”, i camminamenti sopraelevati per gli uffici dei piani sovrastanti, la piazza interna e la sala da ballo.


Cortile interno dell’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti. (Photo Erika Pisa)

Nonostante le due architetture siano state pensate da progettisti diversi, presentano alcuni elementi in comune appartenenti alla sfera simbolica.
Il centro della diplomazia araba a Berlino, realizzato in venti mesi e completato nel 2004 dallo studio Tom Krause e Astrid Bohne, accoglie un affaccio sul retro con le sembianze di un giardino intimo, cosa che accade con modalità analoghe quando tra i fabbricati dell’Unter den Linden dove sorgono gli uffici diplomatici britannici si ritaglia un giardino d’inverno con copertura vetrata. Un cortile appena dietro l’ingresso conserva una quercia inglese, ambasciatrice d’identità al pari delle palme, che ornano gli spazi arabi ad Hiroshimastraße, anche se le temperature tedesche non ricordano certo i climi di cui questa vegetazione è originaria.


Torre angolare dell’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti. (Photo Erika Pisa)

Alla luce della ricerca continua di una tradizione da non abbandonare, ci si scontra sempre con una definizione di contemporaneo, che si coniuga ogni volta con chi articola uno spazio, chi lo commissiona e chi effettivamente lo abita, ottenendo in modo ambiguo una risposta mai uguale.


Vista aerea dei due contesti. A sinistra l’Ambasciata britannica; a destra l’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti. (Google Map)

di Nicola Violano

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23 Febbraio 2015

Progetti

Giovanni Michelucci. Un centro sperimentale del marmo dedicato a Michelangelo*


Giovanni Michelucci, Centro sperimentale del marmo a Carrara,
Pistoia, Centro di Documentazione “Giovanni Michelucci”, inventario disegni n. 347

In vista del quinto centenario della nascita di Michelangelo, da celebrarsi nel 1975, il quotidiano livornese “Il Telegrafo”, riprendendo un’idea sviluppata agli inizi del Novecento da Cesare Martignoni (Naldi in La città di Michelucci 1976, p. 184), già nel 1964 aveva lanciato la proposta, accolta favorevolmente da artisti del calibro di Picasso, Moore, Zadkine e Arp (Godoli 2002, p. 82), di un memoriale dedicato all’artista da erigersi sulle Alpi Apuane. Giovanni Michelucci si occupò della parte architettonica del progetto e, nel luglio del 1972, fu premiato dal circolo carrarese “Antonio Dazzi” per il lavoro svolto. I primi schizzi dell’architetto pistoiese risalgono al maggio del 1972, a testimonianza del fatto che l’ideazione del progetto fosse precedente al conferimento del premio: l’area indicata per la realizzazione del memoriale era la località Foce di Pianza, posta tra il monte Borla e il monte Sangro, non lontano da Carrara. Il coinvolgimento dello scultore inglese Henry Moore, che da diversi anni aveva casa a Forte dei Marmi ed era quindi legato all’ambiente delle Alpi Apuane, rendeva ancora più probabile la realizzazione dell’impresa. Giovanni Michelucci, nell’accettare l’incarico, contestò l’idea del monumento celebrativo e propose la realizzazione di un Centro Sperimentale del Marmo, destinato ad accogliere una torre-osservatorio, gli ateliers degli artisti e perfino un teatro all’aperto (Belluzzi 1986, p. 174).


Giovanni Michelucci, Centro sperimentale del marmo a Carrara,
Pistoia, Centro di Documentazione “Giovanni Michelucci”, inventario disegni n. 682

I numerosi schizzi – circa un centinaio, conservati presso il Centro di Documentazione “Giovanni Michelucci” di Pistoia – ci consegnano l’idea di “una copertura che diventa tenda, foglia, lastra, e di un osservatorio astronomico a traliccio che trapassa da allusioni alla torre di Babele a suggestioni fantascientifiche. L’intuizione più convincente assimila gli elementi architettonici ai blocchi e ai lastroni marmorei presenti nelle cave.” (Belluzzi 1986, p. 174).
Il disegno 347, del maggio 1972, è un primo, preliminare studio dell’ambiente delle cave abbandonate su cui dovrà sorgere il memoriale: con pochi segni grafici, Michelucci raffigura il profilo delle Apuane e i vari piani di cava, digradanti. Il foglio 682, datato 23 giugno 1972, raffigura delle platee digradanti, formate da grandi lastre di marmo sovrapposte, destinate a fungere da copertura agli ateliers degli artisti. Compare anche la torre-traliccio destinata a rimanere una costante in quasi tutti gli schizzi successivi. Gli elaborati dell’Ottobre 1972 testimoniano un ulteriore sviluppo del tema delle falde marmoree digradanti che vanno ad integrarsi perfettamente nel paesaggio apuano, quasi anch’esse frammenti delle cave abbandonate. Il foglio 463, infatti, riprende il tema delle lastre marmoree sovrapposte e inoltre si scorge la cavea di un teatro scavato nel marmo.


Giovanni Michelucci, Centro sperimentale del marmo a Carrara,
Pistoia, Centro di Documentazione “Giovanni Michelucci”, inventario disegni n. 463


Giovanni Michelucci, Centro sperimentale del marmo a Carrara,
Pistoia, Centro di Documentazione “Giovanni Michelucci”, inventario disegni n. 692

Il tema del teatro è presente anche nel disegno 692 nel quale sono rappresentate anche delle gradonate affiancate collegate da una passerella metallica; in questo schizzo, come già nel 463, non è presente la torre-osservatorio. Il 10 novembre 1975, alla presenza del ministro dei Beni Culturali, Giovanni Spadolini, e delle maggiori autorità politiche locali, viene posta la prima pietra del memoriale a Michelangelo; successivamente, presso la Camera di Commercio di Carrara, è letto un messaggio di Giovanni Michelucci che tuttavia non presenzia a nessuna delle celebrazioni della giornata, per non impedire ai presenti di formulare eventuali critiche all’iniziativa progettuale. Nonostante le assicurazioni dei Ministeri della Pubblica Istruzione e delle Finanze per la copertura finanziaria del progetto, la realizzazione del memoriale michelangiolesco resta sulla carta: oltre agli schizzi sopravvivono anche alcuni plastici realizzati da Bruno Sacchi ed esposti alla mostra pistoiese “La città di Michelucci”, dell’Estate 1976. Nei plastici viene rappresentata un’ulteriore variante del progetto: la torre-traliccio sostiene un’enorme copertura a vela, memore di una delle più celebri architetture michelucciane, la chiesa di San Giovanni Battista sull’Autostrada del Sole, presso Campi Bisenzio.

di Costantino Ceccanti

Bibliografia:
La città di Michelucci, catalogo della mostra (Fiesole-Pistoia, 1976), Sansoni, Firenze, 1976;
A. Belluzzi, Le malìe della forma e gli imperativi della morale, in A. Belluzzi, C. Conforti, Giovanni Michelucci, Electa, Milano, 1986, pp. 37-68;
C. Conforti, R. Dulio, M. Marandola, Giovanni Michelucci, Electa, Milano, 2006;
E. Godoli, Il progetto di Michelucci per un centro sperimentale del marmo dedicato a Michelangelo sulle Apuane, in IX Biennale di scultura Città di Carrara, Electa, Milano, 2002, pp. 82-91.

*Il testo rielabora una scheda di catalogo firmata dall’autore in Michelangelo e il Novecento, a cura di E. Ferretti, M. Pierini, P. Ruschi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, 2014.

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18 Febbraio 2015

News

Comunicazione Istituzionale e Merchandising


Le targhe litiche DA sono state realizzate dall’azienda Casone Group quale omaggio al Dipartimento di Architettura di Ferrara

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Produrre ricerca, erogare formazione, diffondere sapere costituiscono storicamente per l’Università il focus centrale della propria missione; risulta oggigiorno importante, allo stesso tempo, in una società fortemente dinamica e competitiva, formulare ipotesi di innovazione di tale asset e mettere in atto politiche e strumenti più incisivi di esternalizzazione, disseminazione e internazionalizzazione per valorizzare tali attività.
All’interno di questo orizzonte la Comunicazione istituzionale assume, sempre più, un ruolo centrale e strategico; per una Università pubblica può essere definita come un tipo di comunicazione cosciente, strutturata, pianificata, etica ed indirizzata a dialogare con l’ambiente sociale di riferimento. Obiettivo principale è propagare idee, diffondere flussi di informazioni e stabilire relazioni di qualità con il pubblico rispetto al quale si relaziona, perseguendo un risultato di reputazione sociale e la costruzione di immagine coerente e all’altezza dei suoi fini. Gli elementi che la caratterizzano si incentrano, principalmente, su:
– storia (radici e vita dell’Istituzione)
– patrimonio (beni materiali e immateriali dell’Istituzione)
– identità (singolarità ed unicità dell’Istituzione che evolve nel tempo )
– risorse umane (la comunità attiva ed operante al suo interno)
– finalità (missione, obiettivi, programmi).
Identità e finalità di una Istituzione sono poste a costituire il nucleo fondativo e strategico della comunicazione stessa da cui, coerentemente, possono derivare piani, programmi, progetti, azioni.
La Comunicazione di una Istituzione, normalmente, si definisce e si attua attraverso una serie di attività contestuali ed interagenti fra loro. Le principali attengono alla ricerca e valorizzazione dei caratteri fondativi della sua missione, allo studio dei pubblici di riferimento, alla creazione di un’identità visiva, all’ideazione ed esecuzione di progetti, infine alla valutazione dei risultati ottenuti.

Al processo valorizzativo dell’identità istituzionale può concorrere l’orizzonte del Merchandising che rappresenta – rispetto agli artefatti cognitivi della comunicazione tradizionalmente intesa (ovvero i diversi format informativi e narrativi) diffusi attraverso stampa, radio, televisione, web… – uno scenario molto diverso di artefatti identitari. Siamo qui di fronte ad oggetti i cui caratteri tangibili, fisici, espressi attraverso materiali, forme, colori, texture prevalgono rispetto ad ogni processo cognitivo, celebrale, investendo ed attivando prevalentemente la sfera della sensorialità e dell’emozionalità, ma sempre portatori in qualche modo dell’immagine istituzionale da valorizzare.
La mostra sul Merchandising UNIFE / DA, organizzata in Palazzo Tassoni Estense, intende proporre alla comunità ferrarese una prima verifica della ricerca progettuale e produttiva condotta, secondo la formula di co-design, da allievi e docenti del Corso di Design della Comunicazione su questo tema.

Alfonso Acocella
Coordinatore del Corso di laurea in Design del prodotto industriale
Responsabile di Relazione esterne Comunicazione DA

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13 Febbraio 2015

Opere di Architettura

Villa privata, Studio Arkpabi, Piadena, Italia

Una villa urbana a Piadena, una piccola cittadina nella pianura cremonese.
Il progetto di Giorgio Palù e Michele Bianchi (studio Arkpabi) procede con un’elaborazione misurata sulle proporzioni e sulle invenzioni formali che declinano spazi e materiali in una linea di interconnessione sottile. Le pareti rivestite in lastre di pietra in tessitura a geometria libera. Inserti in pietra si protendono lungo le pareti.

Ai lati del corridoio, si pone il baricentro della residenza con le grandi vetrate verso l’esterno, ulteriore concentrazione luminosa sul percorso di distribuzione, espandendo la vivibilità della villa in una coniugazione di interno ed esterno, che viene arricchita dalla continuità del rivestimento in pietra che trascorre dall’esterno all’interno.

SCHEDA TECNICA
Tipologia:
Villa Privata
Luogo: Piadena (CR)
Anno di realizzazione: 2011
Materiale lapideo utilizzato: Bianco avorio levigato
Progetto: Studio Arkpabi
Realizzazione: B-Stone
Fornitura pietra: Grassi 1880

Vai a:
Grassi1880
Arkpabi
B-Stone

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6 Febbraio 2015

Opere di Architettura

Centro Visitatori del Castello
Max Dudler
Heidelberg, Germania, 2009-2012

Centro Visitatori del Castello di Heidelberg In Germania gli edifici in rovina, colpiti da un evento traumatico, rimandano per lo più alle ferite inferte dalla seconda guerra mondiale. Nel caso del Castello di Heidelberg la storia invece è molto diversa: il suo stato di rovina risale infatti alle guerre contro la Francia nel XVII secolo. Dopo una parziale ricostruzione tra il 1689 ed il 1693, l’edificio venne definitivamente distrutto da un incendio scoppiato nel 1764.
Dopo l’abbandono il complesso iniziò ad essere sfruttato come cava di materiale di costruzione per la nuova residenza estiva di Schwetzingen e in seguito per la stessa città di Heidelberg.
L’imponente rovina divenne alla fine del XVIII secolo meta di letterati e artisti che ne coglievano l’atmosfera romantica e grandiosa.
L’edificio si presenta dunque come una stratificazione, non solo una sorta di palinsesto delle diverse fasi costruttive, distruttive e ricostruttive, ma anche come uno dei più importanti monumenti dell’architettura rinascimentale tedesca.


Fasi di posa del paramento lapideo

Il compito di costruire il Centro Visitatori poneva dunque una serie di problemi non solo funzionali: la realizzazione di una nuova architettura in un contesto così ricco di suggestioni e di stratificazioni storiche apriva delle questioni, certamente non inedite, sul confronto tra passato e presente.
Il progetto di Dudler, vincitore del concorso indetto nel 2009 dal Land del Baden-Württemberg, ha impostato questo dialogo con rispetto ma senza soggezione.
L’edificio si presenta come un compatto volume di forma irregolare, il cui orientamento segue le mura retrostanti mentre l’altezza si raccorda con gli edifici adiacenti, la selleria e la casa del giardiniere.
Allo stesso tempo il corpo del Centro si stacca fisicamente dal contesto lasciandosi attorno uno spazio di rispetto. Le aperture sono ampie e nette, sia per consentire le viste, sia per non cadere in facili mimetismi storicistici con quelle dei diversi edifici che costituiscono il complesso del castello.


Veduta del centro visitatori

Questi sono solo alcuni degli elementi di questo sottile dialogo volutamente mantenuto intenso da Dudler, a partire dalle viste, cosa che aveva posto molti dubbi all’epoca del concorso. L’edificio diventa uno strumento con cui guardare più che un oggetto da ammirare: esso infatti sorge su uno dei terrazzamenti dello Stückgarten in asse con il castello, mentre le finestre incorniciano alcuni suoi elementi come la Seltenleeturm e la Elisabethentor.
Pur risultando discreto allo sguardo, il progetto non rinuncia mai alla sua contemporaneità e al programma funzionale per il quale è stato realizzato. L’intero corpo di fabbrica è articolato attorno ad un ampio spazio centrale per l’accoglienza dei visitatori (biglietteria, bookshop, informazioni), mentre il blocco dei servizi è posto all’estrema sinistra dell’ingresso principale, come a serrare il volume lungo il percorso verso il castello.
La scelta di disporre tutti i vani tecnici ed accessori in un muro di forte spessore ha consentito di mantenere libero lo spazio centrale.
Questa è una delle più evidenti citazioni dell’architettura militare del castello, dove i possenti muri perimetrali ospitano una successione di ambienti più piccoli che consentono di liberare quello centrale, come si può ancora vedere nella Gesprengterturm.


Veduta del camminamento tra il muro di cinta e il Centro Visitatori

Nel caso della nuova architettura questo consente di realizzare la distinzione tra “spazi serventi e spazi serviti”, che anche Kahn aveva dedotto dall’architettura militare dei castelli.
Al piano superiore è ospitata invece la sala per le visite guidate, a cui si accede attraverso una scala contenuta anch’essa nello spessore del muro.
Nei muri perimetrali si aprono le finestre che diventano dei cannocchiali grazie alla strombatura che, non solo richiamano ancora una volta il carattere militare dell’architettura del luogo, ma servono anche ad accompagnare le viste sul parco e sul castello lungo una precisa sequenza. La vista verso il monumento può essere goduta anche dalla terrazza al piano superiore, secondo una differente prospettiva. Una scala esterna porta al passaggio retrostante tra il muro di cinta del castello e il Centro Visitatori.
A. B.


Veduta dell’interno

SCHEDA TECNICA
Titolo dell’opera:
Centro Visitatori del Castello di Heidelberg
Indirizzo: Heidelberger Schloss, Schlosshof 1, Heidelberg, Germania
Data di progettazione: 2009-2010
Data di realizzazione: 2010-2012
Committente: Land Baden-Wu?rttemberg, rappresentato da Vermögen und Bau Baden-Wu?rttemberg, Mannheim, Germania
Gestore: Staatliche Schloösser und Gärten Baden-Württemberg Heidelberg, Germania
Progettazione: Max Dudler
Project team: Simone Boldrin (Capoprogetto), Patrick Gru?ndel, Julia Werner (Collaboratori)
Architetti del Paesaggio: TDB Landschaftsarchitektur, Berlino, Germania
Direzione lavori: Plan-art, Kaiserslautern, Germania
Strutture: Ingenieurbüro Schenck, Neustadt an der Weinstrasse, Germania
Materiali lapidei utilizzati: Arenaria Rossa del Neckar
Fornitura e istallazione pietre: Bamberger Natursteinwerk, Hermann Graser GmbH Bamberg, Germania

Per una documentazione completa dell’opera Download PDF

Rieditazione tratta da Re-Load Stone, a cura di Vincenzo Pavan pubblicato da Marmomacc

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4 Febbraio 2015

News

Il Padiglione Zero curato da Davide Rampello vince il Wallpaper Design Award 2015

Il Padiglione Zero curato da Davide Rampello e progettato da Michele De Lucchi per Expo Milano 2015 vince il Wallpaper* Design Award per la categoria “Best building site”.

Ogni anno a gennaio la rivista Wallpaper, autorevole punto di riferimento internazionale nel settore design, fashion e lifestyle, consegna i Design Awards, i “best of” del design, dell’architettura, della moda passando in rassegna il meglio della creatività dei precedenti dodici mesi, e decretando così i prodotti e i progetti destinati a fare tendenza a livello mondiale.

Il Padiglione Zero, che introdurrà la visita al sito espositivo di Expo Milano 2015, ha ottenuto questo importante riconoscimento perché offrirà un’inedita esperienza di viaggio all’interno della crosta terrestre. Racconterà con un linguaggio emotivo e immediato uno straordinario percorso: quanto l’uomo ha prodotto dalla sua comparsa sulla Terra fino a oggi, le trasformazioni del paesaggio naturale, la cultura e i rituali del consumo come punto di partenza per qualsiasi progetto futuro. “Vogliamo proporre un racconto che parte dalla memoria dell’umanità, passa attraverso i suoi simboli e le sue mitologie, percorre le varie fasi dell’evoluzione del suo rapporto con la Natura – racconta il curatore Davide Rampello – e arriva fino alle forti contraddizioni dell’alimentazione contemporanea. Un percorso emozionale che da racconto universale si fa storia individuale”.

Visita Padiglione Zero su Expo 2015

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29 Gennaio 2015

Opere di Architettura

HYUNDAI MOTOR GROUP Suh Architects – Gyeonggi


Dettaglio del rivestimento in pietra Forte Fiorentina © Suh Architects

Nella provincia di Gyeonggi, in Korea del Sud, si trova questa creazione dei Suh Architects. Le forme regolari della struttura esterna, rivestita in Pietra Forte Fiorentina con finitura damasco, intervallate dalle alte facciate strutturali in vetro, sono valorizzate dal verde d’arredo.
La pulizia della forma caratterizza l’edificio esternamente, e pure ritorna internamente, dove la composizione di livelli e altezze offre una “topografia” di aree emozionali e funzionali, ognuna ben riconoscibile per carattere ed atmosfera. Del resto, la ricerca dello studio sud coreano si indirizza dichiaratamente verso la più stretta relazione tra architettura, ambiente naturale e fruitori.


Vista d’insieme dell’edificio © Suh Architects

All’entrata dello Hyundai Motor Group University Mabuk Campus le linee geometriche sono interrotte dai grandi pilastri circolari a sostegno del doppio volume della hall. Le linee morbide dell’elemento strutturale vengono valorizzate dalla levigatezza della pavimentazione in Pietra Forte Fiorentina e, per contrapposizione, dalla struttura spigolosa delle scale.


Vista degli interni © Suh Architects

Per gli interni l’obiettivo della progettazione è di fornire una dotazione chiaramente riconoscibile per la varietà di richieste delle aree di lavoro, pur mantenendo connessioni visive tra le relative aree funzionali. La personalizzazione è raggiunta grazie all’attenzione ai dettagli delle finiture e degli arredi, differenti da zona a zona. Così l’illuminazione, di diverse colorazioni, gioca con i motivi della pavimentazione, sempre in Pietra Forte Fiorentina piacevolmente levigata, in un incrocio di sfumature percepibile attraverso i doppi volumi all’interno dell’edificio. Le parole chiave della progettazione diventano quindi attenzione, semplicità e creatività, evitando la composizione di estesi spazi monotoni tipici dei luoghi aziendali. Pulizia dei volumi e purezza dei materiali permettono di fare di un luogo di lavoro uno spazio, da vivere piacevolmente.


Giochi di luci con i motivi della pavimentazione © Suh Architects

Vai a:
Suh Architects
Il Casone

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26 Gennaio 2015

Design litico

I dispositivi costruttivi del travertino: Rivestimenti


Centro direzionale del Monte dei Paschi (1996-99) a Siena, di Augusto Mazzini.Scorci dei rivestimenti in lastre di travertino rapolanese.

Il motivo per il quale storicamente il muro in opera isodoma lascia spazio a soluzioni composite ed ibride, oltre a valutazioni di puro costo e reperibilità delle materie prime, risiede in gran parte nell’avanzamento tecnico e nello sviluppo di talune tecnologie. Le possibilità plastiche e tutto sommato anche di resistenza caratteristica del materiale, quando l’architettura cerchi estensioni dimensionali inusitate e superamenti agli orizzonti disciplinari, portano il mondo romano ad esperire le tecniche dei muri compositi, particolarmente di quelli a sacco, che trovano alleato principe nelle applicazioni di riempimento cementizio. Il ruolo prettamente funzionale delle pareti di contenimento di questa pratica muraria ed il conseguente ridotto interesse alla loro resa esteriore, apre all’opposto il campo alla variegata possibilità di rivestimento delle pareti stesse.
L’architettura romana è inoltre disciplina di spazi continui tra loro legati, senza soluzioni od interruzioni; è opera di sviluppi plastici ben raccordati. Il trilite, quando necessario per aspetti tecnici, è frequentemente celato e sormontato dal rivestimento, poiché inadatto al racconto spaziale prescelto.


Rivestimenti tradizionali in travertino posati con malta. Soluzione con liste a spessore e dispositivo a lastre sottili.

Alcuno di questi argomenti impone quale materiale per il rivestimento la pietra; ma rispetto ad esempio ad un intonaco essa è preferita, poiché tecnicamente offre maggiore resistenza meccanica alle intemperie in esterno e comunque pure all’umidità ed all’usura negli interni. Fra le grandi opere pubbliche romane ci riferiamo specialmente alle terme; venendo ai giorni nostri pensiamo alla minuziosa attenzione lapidea testimoniata invece negli spazi per la cura del corpo ed il bagno.
Il passaggio fondamentale nella storia del rivestimento lapideo costituito dall’opus sectile, determina nel tempo commistioni con la pittura, ottenendone in cambio l’accoglimento della sfida rappresentativa di figure di foggia pittorica, eseguite mediante la pratica dell’intarsio. Ed è l’affinamento stesso della tecnica per la messa in opera dei decori lapidei alle pareti costruite, a presentarci i primi casi di commistione fra applicazione tradizionale ed applicazione mediante inserti metallici, con ammorsature vincolate alla parete ospitante, a migliore supporto dell’azione delle malte cementizie.


Il “Muro della memoria” nel monastero di Santa Gemma Galgani (2007) a Lucca, di Pietro Carlo Pellegrini. Viste parziali dell’opera realizzata in travertino senese.

Non ci siamo davvero spostati di molto da qui, in talune applicazioni odierne: in funzione della dimensione in termini di superficie della lastra decorativa e del suo spessore, ancora oggi frequentemente la posa verticale avviene mediante colle o malte, cui eventualmente si associa l’inserimento di aggrappaggi metallici per la maggior tenuta. Appena oltre quest’applicazione ibrida, si aprono i due mondi ancora contemporanei della posa tradizionale mediante sole malte, a render tutt’uno il rivestimento con la superficie di supporto, od al contrario l’applicazione mediante fissaggi meccanici, tipicamente metallici.
La diffusione quasi smodata del rivestimento lapideo sottile d’età romana antica, coincide con la fase storica in cui forse più che in tutte le altre l’apparato decorativo assurge a strumento di determinazione dello status sociale del committente. Secondo l’esempio più classico si mostra in questo modo appieno la natura linguistica e comunicativa del fatto architettonico.


Rivestimento in lastre quadrate di travertino posato a secco; prospetto, sezione schematica e abaco delle diverse lavorazioni delle coste per il fissaggio degli agganci metallici.

Lontanissimi nel tempo, ma accomunati alla fase storica romana dal condiviso interesse agli apparati superficiali, Adolf Loos prima e Robert Venturi poi, seppur con visioni contrapposte riguardo le strategie d’approccio progettuale rivolte agli interni ovvero agli esterni, si fanno interpreti primari e teorizzatori dei vari dispositivi, autonomi, applicati in superficie di costruzione.
«Se in Complexity and Contradiction in Architecture Venturi tentava di unire in un tutto le preoccupazioni per gli effetti della facciata e la tensione dello spazio interno, durante gli anni Settanta passa a difendere una nuova opzione. Secondo Venturi ci sono due vie per fare in modo che un edificio sia comunicativo: che nella sua forma esprima una funzione – come fa una cattedrale gotica o un ristorante a forma di papero – o che sia semplicemente un decorated shed (riparo decorato), un edificio funzionale con un cartello gigantesco» 1. Stiamo dunque ad altra scala parlando del distacco e dell’autonomia concettuale di ciò che si mostra, rispetto a ciò che sta oltre e lo sostiene. Alla scala del dettaglio ci stiamo riferendo all’indipendenza acquisita ed all’autodeterminazione raggiunta dalla veste, ora lapidea e particolarmente calcarea, rispetto al muro che la supporta, qualunque ne sia la natura.


Il “Muro della memoria” nel monastero di Santa Gemma Galgani (2007) a Lucca, di Pietro Carlo Pellegrini. Viste parziali dell’opera realizzata in travertino senese.

In un’applicazione in cui la pietra – il travertino – è chiamata ad essere sottile, il tema della profondità assume rilevanza speciale. A metterla in risalto – o a metterla a nudo – sono ad esempio le soluzioni d’angolo, le dimensioni della fuga fra elementi, l’eventualità superficiale dell’incisione e dei rilievi, oltre a quella dell’assenza di un concio a sfondare visivamente un piano diversamente bidimensionale. Quando così non fosse ci occuperemmo di sola superficie.
Ed appunto: «Se il tema è quello della superficie litica, lo svolgimento si snoda attraverso il percorso interpretativo della sua restituzione in forma di rivestimento, di ricoprimento di altre materie, di altri elementi dell’organismo costruttivo».2

di Alberto Ferraresi

Leggi anche I dispositivi costruttivi del travertino: Muri

Note
1 Josep Maria Montaner, Dopo il Movimento Moderno, pag. 167, Bari, Laterza, 1996, pp. 308.
2 Alfonso Acocella, “Superfici di pietra”, Vincenzo Pavan (a cura di), Nuova estetica delle superfici, pag. 8, Faenza, Faenza Editrice, 2005, pp. 160.

Il presente saggio è tratto dal volume Travertino di Siena a cura di Alfonso Acocella e Davide Turrini

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21 Gennaio 2015

Opere di Architettura

Casa FFF a Trento


Scorcio della casa e del giardino con la pavimentazione in pietra

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All’interno di una delle zone residenziali di maggior pregio della città di Trento, tra i pendii del capoluogo, in un contesto di edilizia residenziale già consolidata, si trova questa casa, ristrutturazione e ampliamento di un edificio preesistente, risalente agli anni sessanta. In accordo con i precetti che guidano il lavoro di Pallaoro e Balzan Associati, qualità e ricerca unite a fattibilità e coerenza progettuale, l’architettura si sviluppa cercando con attenzione l’equilibrio tra esistente e contesto. La ricerca si declina nella cura dei materiali e delle cromie. Sono così motivati gli intonaci bianchi e l’utilizzo del legno per i percorsi che attraversano le corti. Il legno è ripreso nei serramenti, al fine di creare un elemento unificante e identificatore.


Dettagli delle soluzioni litiche del giardino

Corpi aggettanti trasferiscono l’edificio ad una dimensione contemporanea e dinamica, che anticipa la composizione minimale degli interni.
Il setto, murario o lapideo, diventa l’elemento unificatore che compone le forme esterne e i volumi interni. Questi ultimi variano continuamente, grazie alle tecnologie impacchettabili o mobili e alla scelta materica, con prevalenza del vetro e della pietra. La relazione tra architettura e natura sembra ricordare le esperienze wrightiane anche se, a differenza di queste ultime, il progetto è obbligato a misurarsi con il contesto edilizio circostante.


Vista di uno dei bagni con i lavabi in pietra

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L’elemento lapideo risulta qualificante per tutti gli ambienti. Il grigio caratteristico della Pietra Forte Fiorentina, rifinita a seta negli ambienti interni, viene esaltato dai colori primari scelti per gli arredi, sia indoor sia outodoor. Al contempo, il verde acceso della vegetazione si sposa con il design a damasco della pietra utilizzata per i percorsi, i quali sembrano piegarsi e diventare arredo. La composizione a casellario degli elementi lapidei si armonizza con la scelta minimale, linea guida del progetto, che permette di garantire, in uno spazio racchiuso, la sensazione della naturalità della montagna.

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Pallaoro Balzan e Associati
Il Casone

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