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Verso un nuovo Rinascimento


L’affollata platea del Convegno al Palazzo dei Congressi di Firenze.

La rinascenza dei materiali tradizionali
Con il convegno svoltosi presso l’Auditorium di Firenze si è aperta la via al dibattito architettonico, accademico, istituzionale concernente la riconsiderazione dei materiali costruttivi tradizionali, con la presenza di autorevoli figure manageriali del mondo aziendale. A promuovere l’incontro troviamo le aziende Campolonghi, Il Casone e Sannini Impruneta, custodi dei magisteri di tre materiali nobili della tradizione toscana: il marmo di Carrara, la pietra serena di Firenzuola, il cotto imprunetino. Presenti nella prima fase del dibattito Alfonso Acocella, Piero Antinori, Riccardo Bartoloni, Gianni Biagi, Mario Botta, Marco Casamonti, Riccardo Nencini, Boris Podrecca, Vittorio Savi.
Nell’introdurre il pomeriggio di studi Vittorio Savi, noto storico e critico di architettura, ha avviato la riflessione relativa al “Nuovo Rinascimento” lanciato dalla titolazione del convegno. Riunione quindi “augurale”, del “tendere verso”, del promuovere un cammino cosciente di innovazione della cultura e della prassi progettuale italiana, con uno sguardo al passato ed un’attenta ricerca di valori contemporanei, da ritrovare nelle inesauribili potenzialità evolutive dei materiali tradizionali.
I saluti rivolti alla comunità da Riccardo Nencini, Presidente della Giunta Regionale Toscana, contestualizzano tale riflessione nell’ambito fiorentino riflettendo sul ruolo di rottura col passato di cui la città di Firenze è stata portatrice; il pensiero torna repentino al Rinascimento italiano, quando la convergenza tra potere civico, economico e menti geniali del mondo artistico generò un processo di forte cambiamento, favorendo il valore epocale che tale periodo ha rappresentato per la storia moderna. Certamente ciclo irripetibile ma dal quale si può apprendere ancora oggi, proprio riconoscendo la necessità del contributo da parte delle istituzioni civiche nell’accogliere e sostenere il movimento intellettuale ed il processo delle trasformazioni ambientali.
Con l’architetto Gianni Biagi, Assessore all’Urbanistica del Comune di Firenze, si sottolinea quindi l’impegno da parte degli amministratori pubblici a riconsiderare con profondità il ruolo dell’architettura, portatrice dei valori di bellezza della città. L’Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori di Firenze, rappresentato dal Presidente Riccardo Bartoloni, afferma la volontà di avviare in questo senso un dibattito ampio e approfondito.
L’invito alla “rinascenza” è dunque auspicio e promessa. Nella progettualità del titolo “verso un Nuovo Rinascimento” si riconoscono come ancora “vivi” i materiali da costruzione della tradizione che, come specifiche risorse di luoghi, possono offrire radici e identità anche dell’architettura contemporanea.
Sono indirizzi che riguardano la natura dei materiali e la riflessione concettuale sul loro uso, incrociando l’aspirazione di progettazione con i processi esecutivi, giungendo ad affermare il fondamentale ruolo delle forze economiche.
È Piero Antinori, Presidente della Marchesi Antinori, a rappresentare la committenza illuminata del presente fiorentino. L’esperienza, le conoscenze e le attività internazionali legate alla viticoltura ed alla ricerca dei sapori e del gusto italiano fanno indicare nella sua figura un sostenitore del valore dell’architettura; ritorna quest’ultima ad essere protagonista perchè opera capace di rappresentare e costruire l'”immagine” e quindi, da potente mezzo di comunicazione, meccanismo produttore di valore economico. Ciò avviene nella coscienza che l’investimento in cultura, arte e quindi in architettura di qualità, è strumento efficace per la conservazione della cultura critica del passato e per innalzare il valore delle trasformazioni del territorio in un armonioso connubio ambientale.


Cantina Marchesi Antinori. Progetto Archea Associati ed Engineering Hydea.

La Cantina Marchesi Antinori di Bargino
L’architetto Marco Casamonti, dello Studio Archea, ampiamente descrive in anteprima il progetto per la nuova Cantina Marchesi Antinori di Bargino, a San Casciano Val di Pesa. L’audace e ambiziosa proposta rappresenta l’incontro magico tra committenza colta, educata al bello e capace di guardare al futuro, e l’arte di trasformazione dell’ambiente antropizzato di cui è capace l’architettura contemporanea, portatrice di innovazione ma allo stesso tempo rispettosa del contesto in cui si inserisce.
Nel progetto per Bargino si invera il desiderio del committente di fondere architettura e natura con sacro rispetto per il paesaggio. Come la pratica produttiva della viticoltura vive in osmosi con la campagna e nasce dalla terra, l’immagine della nuova cantina è stata concepita come radicalmente appartenente all’ambiente e tradotta in spazio al di sotto della collina, dove gli elementi artificiali della sfera architettonica sono stemperati e dove, nella condizione ipogea, viene data sostanza reale alla migliore maturazione possibile del prodotto.


Cantina Marchesi Antinori. Progetto Archea Associati ed Engineering Hydea.

I filari delle viti scandiscono con le loro linee sottili il paesaggio strutturando il prospetto del nuovo complesso architettonico; solo due fenditure in pietra serena nel fianco della collina sono poste a suggerire le attività al suo interno connesse alla cantina. Lo spazio passa è filtrante e attraverso di esso si guarda l’orizzonte.
L’architetto Marco Casamonti ricorda come le cantine siano al contempo luogo di lavoro, spazio sacro e borgo rurale ovvero abbiano trovato equilibrio in esse l’opificio, la chiesa, la casa contadina e la natura. Nella nuova Atlantide degli Antinori se l’equilibrio con l’ambiente è raggiunto in superficie dove il paesaggio è ricucito col nuovo vigneto, la dimensione spaziale dell’architettura è evocata nella sequenza ritmata di grandi volte sotterranee in terracotta, dalla sezione curvilinea che, evocando Eladio Dieste, custodiscono nell’oscurità il prezioso prodotto. Il viaggio delle uve si svolge dunque in un continuum spaziale ipogeo al di sotto del piano di campagna progettato come una rete di percorsi; il disegno della sezione ne lascia comprendere l’articolazione e la complessità funzionale: in esso trovano posto le attività commerciali, quelle turistico-ricettive, gli spazi propriamente produttivi ed anche quelli di parcheggio e scalo merci.

Cantine altre. Opere di Mario Botta e Boris Podrecca

Monumenti tra le colline di vigne, le nuove cantine, progettate da grandi nomi dell’architettura quali Mario Botta e Boris Podrecca, sviluppano il tema del rapporto fra architettura e paesaggio, quale luogo d’incontro del fortunato binomio vino e architettura.
Prima di soffermarsi su “Petra”, solenne e suggestiva cantina che porta la sua firma, Mario Botta dedica al folto pubblico dell’auditorium fiorentino un excursus delle sue più recenti opere localizzate geograficamente nei vari continenti, svolgendo l’argomentazione con la chiarezza emblematica e intensa di cui è portatore.
Scorrono sullo schermo le immagini del rinnovato e discusso Teatro alla Scala di Milano, il museo Mart di Rovereto, l’ampliamento del Centro Friedrich Dürrenmatt a Neuchâtel, le Kyobo Tower a Seoul, gli Uffici TCS Noida a New Delhi, la nuova Chiesa di Seriate, “Leeum” il Museo d’arte Samsung a Seoul.


Museo d’arte Samsung a Seoul di Mario Botta.

Volumi primari semplici come una immagine astratta per “Leeum”, il Museo d’arte Samsung a Seoul, dove il cono rovesciato si offre come spazio cuore dell’esposizione accompagnando il visitatore in un circolare percorso a pareti oblique e illuminazione zenitale, per incontrare le antiche e preziose miniature di ceramica esposte in vetrine verticali. Un omaggio alla Sannini Impruneta per la capacità innovativa del prodotto sperimentata nel rivestimento delle pareti esterne: saggio esemplare di superficie con elementi sottili in cotto, opportunamente pensati a sezione trapezioidale verticali e di circa 50 cm di altezza per il volume in forma di cono rovesciato; pannelli piatti, invece, composti a strisce orizzontali, per il volume parallelepipedo a delineare il grafismo della tessitura parietale.
In conclusione la cantina di “Petra”. La cattedrale del vino di Suvereto, nell’entroterra di Piombino, progettata per l’azienda vinicola dell’imprenditore bresciano Vittorio Moretti, si offre da lontano al viaggiatore come un grande volto che guarda da lontano il mare. Un segno fuori dal tempo, santuario o nave spaziale, geometria archetipica del nostro immaginario: siamo di fronte ad un cilindro sezionato da un piano inclinato che risale parallelo alla collina. Il nucleo centrale è accompagnato ai lati da due ali porticate, quasi “barchesse”, ed il disegno delle coltivazioni, curato all’architetto stesso, è parte integrante del progetto ambientale. L’ipnotico anello di pietra accoglie i serbatoi d’acciaio per la vinificazione mentre al piano terra e nel sottosuolo invecchia il vino in botti in rovere, poggiate su elementi prefabbricati e rimovibili rivestiti con in cotto, concepiti in concerto dal committente con la Sannini Impruneta.

Le architetture di confine di Boris Podrecca
Narrativo l’intervento di Boris Podrecca che indaga e descrive la sua architettura trasponendo la realtà in linguaggio con un’efficace, sobrio e avvolgente eloquio. In esplicita diversità svela il dischiudersi della sorgente della sua poetica in contesti mitteleuropei e rivela, in parallelismo, come il particolare “Rinascimento” che la città di Vienna ha vissuto, abbia influito in maniera determinante sulla personale cifra stilistica. Delle sue opere scopre le radici “antiche” riconducendole a riferimenti emblematici dell’architettura del moderno: un filo rosso che lega la teoria semperiana dell’origine tessile dell’architettura, le stratificate strutture wagneriane, le stereometriche e solide opere di Loos, alle sue architetture. Podrecca reinterpreta tali valori e ricorda come nella Vienna fin-de-siècle, in una temperie storica di crisi e decadenza, l’architettura sia stata scienza che ha sorretto ed eticizzato la civiltà.
Scorrono le immagini della Banca realizzata a Riva, il progetto per Praterstern Square a Vienna, iI National Museum di Limoge, l’albergo realizzato a Bolzano, le residenze sull’isola della Giudecca, il progetto per il Biocentrum di Imola, i numerosi spazi pubblici ovvero le piazze realizzate non solo in Italia. Tali progetti coniugano le radici classiche della matrice compositiva e le stesse tecniche costruttive tradizionali, con le innovazioni rese possibili dall’evoluta industria contemporanea dei materiali: passano così sul grande schermo immagini di soluzioni costruttive con sottili lastre di pietra a rivestimento di ossature metalliche a vista, lame da tre o quattro metri di ceramica progettate con alluminio interno per originali tipologie di brise-soleil, sistemi a membrana con materiali polimeri come nuovi rivestimenti di facciata.


Cantine Bri? in Slovenia di Boris Podrecca (foto: Miran Kambic)

L’architetto ci conduce attraverso questo percorso all’ultimo intervento, quello per la cantina slovena Bric, progetto che dialoga con l’orizzonte di tre distinte culture quelle italiana, slovena e croata osservandole dalla collina e sorpassandone idealmente i confini. La geometria è caratterizzata da linee tese, sviluppandosi in lunghezza per meglio “aderire” al confine di cui si fa segno e immediatamente esprimere il concetto di “limes”. È edificata sulle montagne del Karst la cui storia millenaria viene richiamata in vita attraverso le potenzialità espressive e “brutali” delle pareti in pietra grezza. Ritorna in questa opera la costruzione a secco, il muro istriano e dalmata, qui dimensionato in 10 metri di altezza e costruito da operai istruiti a selezionare, ad “adattare” e posare le pietre manualmente, configurate in tre ergonomici formati.
Boris Podrecca osserva “se una regione perde il suo muro perde la sua lingua”; proseguendo il ragionamento, se “lingua” è “eticità sedimentata” allora una regione, con l’oblio dei magisteri costruttivi, perde anche la propria cultura.

“Architettura Imprese Istituzioni”, il dialogo conclusivo
Le conferenze d’apertura alimentano la tavola di discussione al termine della giornata di studi. Riccardo Bartoloni modera il dibattito intitolato “Architettura Imprese Istituzioni”, a cui partecipano Ida Beneforti Gigli Sindaco di Impruneta, Claudio Combatti Sindaco di Fiorenzuola, Giulio Conti Sindaco di Carrara, Vando D’Angiolo Presidente Campolonghi Italia, Renzo Cotarella per la Marchesi Antinori, Guido Poccianti Amministratore Unico Sannini Project, Ornella Signorini Sindaco di San Casciano Val di Pesa, Edoardo Speranza Presidente Ente Cassa di Risparmio di Firenze; alle molteplici considerazioni e valutazioni si è aggiunto l’intervento finale di Alfonso Acocella.
Sarebbe difficile fissare in una formula univoca le prospettive aperte per le “pietre” della tradizione, per i materiali dalla natura stereometrica che abbiamo visto magistralmente declinati nei progetti contemporanei presentati nel convegno fiorentino; sono opere proiettate nel futuro dall’ambiziosa intestazione inneggiante al “nuovo”, ma portano testimonianza della permanenza delle tecniche; sono radicate ed identitarie di luoghi e città eppure guardano anche altrove, viaggiando nello spazio come nel tempo a partire dall’Antico, da Roma in particolare, quando si pongono le basi per nuove acquisizioni architettoniche insuperabili protagoniste di moderne “rinascenze”.


Alfonso Acocella durante l’intervento conclusivo.

È necessario, afferma Alfonso Acocella, far prendere il volo ai materiali tradizionali quali cotto, pietre, marmi – ampiamente riabilitati nel Paese – che si saldano idealmente e operativamente in questo Convegno fiorentino al “Nuovo Rinascimento”. Per far questo servirebbero delle ali.
Dopo anni di lavoro scientifico indirizzato a valorizzare la massa, il volume, il peso dei materiali della costruzione stereotomica mediterranea ed italiana è giunta l’ora – avverte Acocella – di conferire leggerezza e trasferibilità alle risorse storiche del Paese, in particolare alle Pietre d’Italia conosciute e stimate nel mondo; ma una leggerezza – però – molto particolare, senza far perdere loro il fascino, la solidità, la durata che il mondo riconosce in esse.
Ai valori tradizionali del cotto, delle pietre, dei marmi bisogna aggiungere valori di altra natura che si impongono nel terzo millennio come già anticipato vent’anni fa da Italo Calvino nelle “Lezioni americane”; questi “valori altri” sono l’immagine, la velocità, la trasferibilità. È necessaria una metamorfosi nell’epoca del mondo globalizzato, evocato anche dai diversi relatori che hanno preceduto Acocella. La metamorfosi dovrebbe dotare – sia pur sotto il profilo squisitamente culturale e comunicazionale – la corporeità del cotto, delle pietre, dei marmi di un Anima immateriale, leggera, veloce, capace di diventare ambasciatrice nel mondo intero dell’identità italiana e del suo serbatoio inesauribile di cultura, di storia, di risorse paesaggistiche e materiche.
Un’Anima sorretta dalla scrittura e dalle immagini che trasmutano le tracce di pietra (ma anche quelle di carta dei libri) nelle tracce digitali del web le quali, grazie alla loro assenza di peso, alla loro rapida pervasività e condivisibilità, interpretino le esigenze e le condizioni competitive dell’economia globale, ormai espansa ed interconnessa su scala planetaria.
Alfonso Acocella associa la nozione di leggerezza a quelle di mobilità e trasferibilità delle immagini e richiama il pensiero di Zygmunt Bauman secondo il quale le immagini, nella nostra società, in avvio di terzo millennio, viaggiano più “velocemente” (e “prima”, in ordine temporale) dei corpi; esse “corrono”, “traboccano”, si “spargono”, “filtrano”, “comunicano” e “orientano” le scelte degli individui. Gli architetti non ne sono esenti.
I bit – portatori di immagini, di idee, di narrazioni – continueranno a parlare di cotto, di pietre, di marmi italiani anticipandoli però nel mondo, sostenendo – a favore – la loro costitutività naturale, il loro solido colorismo, il fascino intrinseco insomma delle Pietre d’Italia e – alla fine – dell’Italia stessa.
Per sviluppare i nuovi valori di tale filosofia comunicativa sarà necessario, però, un altro Convegno. Un Convegno che, oltre a parlare di materialità, di progetto e di prassi esecutive d’architettura, dovrà affrontare, con intelligenza, i problemi del “potere” delle immagini e della comunicazione pervasiva, quali valori irrinunciabili in avvio del terzo millennio. Il titolo potrebbe recitare: “Tracce di pietra, di carta, di web. Innovare la comunicazione di architettura nell’età di internet, fra autorialità ed intercreatività”.

Veronica Dal Buono

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12 Marzo 2005

Recensioni

La recensione di Channelbeta

Channel Beta

L’Architettura di pietra
a cura di Gianluigi D’Angelo

“L’Architettura di pietra” di Alfonso Acocella colpisce non tanto per la grandiosità ricostruttiva che possiede, l’autore è infatti riuscito a riproporre in maniera sistematica un materiale che è tipico delle società mediterranee in maniera completa ed esaustiva. Nonostante ciò l’opera risulta esaltante piuttosto per la sua freschezza di linguaggio. Acocella adotta uno stile asciutto, a tratti essenziale, senza mai rinunciare però al gusto del dettaglio ed alla necessità dell’approfondimento.
In più gli abbinamenti fotografici, giova dirlo dell’abbondante, mai sovrabbondante, carrellata fotografica, non cozzano, come ahimè spesso avviene di recente, con il testo scritto. Anzi foto e testo si combinano in un quadro armonico che riesce in effetti a trasmettere l’energia espressiva di un’architettura così trasversale come è quella in pietra.
Cinque anni di estenuante lavoro hanno portato Acocella a sistematizzare, attraverso il più rigoroso metodo scientifico, una materia che è in primis una cultura e le potenzialità che essa offre: quella dell’architettura lapidea.
L’opera, come dovrebbe essere ogni opera di architettura, non si limita a descrivere scientificamente le costruzioni, ma le interpreta, le contestualizza. In un tempo in cui solo parlare di Trattato spaventa, l’Autore riesce a farci scoprire il vero valore dello scienziato di architettura, più che dell’architetto. Attraverso le pagine, si riscopre il valore degli edifici, delle pulsioni di un tempo, forse passato, forse da riscoprire.
Emerge la pietra con tutta la sua carica di eternità, emerge l’arte in pietra e la sua imperitura superbia, quella di chi sa di dover e poter durare agli altri, ma anche la sua composta linearità, quella della modestia dell’architetto che solidamente progetta qualcosa che durerà al progettista.
Einstein alla domanda su come si sarebbe combattuto il terzo conflitto mondiale, rispose dicendo che non aveva risposta, ma che era certo che la quarta si sarebbe combattuta con “le pietre ed i bastoni”. Volendo così sottolineare trasversalmente il valore di eternità rappresentato dalla pietra.
Acocella ci ha insegnato che quelle stesse pietre, l’uomo, il faber, le ha utilizzate per millenni per costruire, per realizzare opere di architettura e di arte. Questo è il miglior augurio ad uno scritto che vuole essere la prima “pietra” di questa costruzione.

Gianluigi D’Angelo
(Continua su Channelbeta.net)

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8 Marzo 2005

Eventi

Tracce di pietra, di carta e di web a Lucca

Presentazione del progetto
“L’architettura di Pietra”
tra carta e web

Lucca Piazza Bernardini
Palazzo Bernanrdini
18 marzo 2005

Programma
Registrazione ore 16.00
Inizio convegno ore 16.30

Saluto del Presidente dell’Associazione degli Industriali
della Provincia di Lucca, Comm. Luciano Mancioli

Prof. Pietro Carlo Pellegrini
Introduzione

Relatori

Prof. Antonio Paolucci
Soprintendente per il polo Museale Fiorentino

Prof. Augusto Romano Burelli
Ordinario di Progettazione architettonica, IUAV Venezia

Prof. Alfonso Acocella
Ordinario di Tecnologia dell’architettura, Facoltà di Architettura di Ferrara

Interventi istituzionali

Chiusura convegno ore 18:30

Aperitivo

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1 Marzo 2005

PostScriptum

Alfonso Acocella Post Scriptum

Pietre “informi” versus pietre “configurate”
Incipit digitale. Mi fa molto piacere ri-incontrare nello spazio immateriale del web persone, colleghi che ho conosciuto personalmente in occasione delle tante conferenze svolte nelle varie città d’Italia o che solo esprimono una familiarità, una vicinanza per le comuni letture, per le frequentazioni architettoniche e i percorsi disciplinari condivisi o anche svolti a distanza nello spazio, nel tempo delle nostre vite; quel tempo che pensavamo lunghissimo.
Mi accorgo, anche, in questa occasione, come lo spazio del web è vasto, senza confini, labirintico e capace di offrire sorprendenti sorprese.
Mentre aspetto commenti sul blog_architetturadipietra.it da poco editato per sollecitare la formazione di una comunità scientifica interessata ad un progetto collettivo, intercreativo, inerente la produzione di contenuti legati allo “Stile litico”, mi imbatto in un intervento inaspettato sul sito di AntiTHeSI dove incontro le tracce digitali lasciate da Carlo Sarno impegnato a commentare un mio breve saggio (“Dalle pietre della natura alle pietre dell’arte”) in forma di testo inedito e complementare rispetto a quanto più compiutamente pubblicato nel volume “L’architettura di pietra”. Il saggio a cui fa riferimento Carlo Sarno è reso disponibile alla lettura su internet sia sul sito di critica diretto da Sandro Lazier e Paolo Ferrara che sul blog_architetturadipietra.it.
La discussione da me proposta, sollecitata, si apre così, su più fronti, in luoghi diversi della piattaforma internettiana che appena ora iniziamo a conoscere. La possibile geografia del dibattito in spazialità libere dislocate su internet mi appare intrigante per l’emersa condivisibilità partecipativa del web. Faccio tesoro di questo avvenimento attraverso il proponimento interiore di ricercare, al futuro, una collaboratività ancor più allargata per il progetto digitale de “L’architettura di pietra” impegnandomi nel coinvolgere (ed essere coinvolto allo stesso tempo) i “produttori” dei collegamenti ipertestuali di internet.
Rispondo solo ora, con un qualche ritardo, a Sarno e me ne scuso, ma lo sviluppo del blog_architetturadipietra.it, in fase di concettualizzazione, di messa a punto, di comunicazione all’interno della comunità scientifica, impone impegno su vari fronti, su diversi livelli organizzativi, oltre che su quelli meramente contenutistici.
Internet, per quanto mi è dato di intuire, si offre come uno spazio a fruizione pubblica di grande potenzialità; una galassia informazionale e relazionale straordinaria ricca di contenuti variegati dislocati lungo la rete del web, caratterizzata da tanti luoghi di accumulo e di ridistribuzione, alimentata da scansioni temporali del tutto particolari
Il web rappresenta una piattaforma comunicativa oramai irrinunciabile per la collettività internazionale e, allo stesso tempo, inizio ad accorgermi, come in Italia risulti ancora priva di prestigio scientifico soprattutto nella produzione di contenuti appositamente elaborati per questo new media; rilevo anche come tale spazio è visto da molti come “oggetto altro da sè”, lontano dalla familiarità necessaria alle forme di coinvolgimento che il mezzo stesso mette a disposizione, sollecita: una distanza che sembra leggersi nella maggioranza della classe accademica italiana, formatasi generalmente nell’era pre-internet.
Rientrando a questo punto – dopo tale incipit dedicato al medium digitale – sui temi posti da Carlo Sarno ci sembra di avere una risposta già pronta comunicabile a lui, ai lettori di AntiTHeSi e, contestualmente, a quelli del blog_architetturadipietra.it.
Alla questione: monumentalità versus antimonumentalità o, se si vuole, alla formalità antigeometrica legata alla “piccola scala” dell’architettura di pietra realizzata con elementi litici irregolari contrapposta a quella di “grande scala”, di precisissima e raffinata geometrizzazione frutto di un lavoro stereometrico accurato e tecnologicamente impegnativo, ri-affermo che la costruzione di pietra ci ha lasciato in dote, sin dalle fasi remotissime dell’arcaismo, entrambi questi “modi di costruzione” legati – nel primo caso – frequentemente a necessità, a scarsità di risorse o a volontà di enfatizzazione della “brutalità” della materia così come direttamente fornita dalla natura, e – nel secondo caso – invece all’attesa, alla ricerca di “forme modellate”, “configurate” in valore di “seconda natura” dove s’impone l’artificio, spesso la scalarità dilatata, la precisione delle connessioni, l’impiego di notevolissime risorse economiche ed umane, insieme al talento – nei casi sublimi – del genio creativo.
Lo “Stile litico” è il più rigoglioso orizzonte di forme, avendo ricevuto in dote un variegato kit di elementi per la costruzione: scaglie, ciottoli, frammenti, tessere, sassi, conci stereotomici, monoliti giganti, lastre, listelli, masselli. A questa “varietas” geometrico-dimensionale si somma quella coloristica e di disegno legate alla struttura mineralogica costitutiva delle pietre stesse; in tale molteplicità, proiettata infinite volte nella storia dell’architettura su di un piano di spettacolarità dai grandi architetti, risiede lo Statuto ineguagliato dello “Stile litico”.
Provo a citare – per stare al tema posto e per fornire una risposta più precisa e circostanziata possibile ai valori dell’informalità, dell’utilizzo della pietra così come la si trova in natura – dal mio volume “L’architettura di pietra”. Spero che sia consentito ad un autore di auto-citarsi. Se non altro per evitare di ripartire sempre da capo, mettendo anche in condivisione dei lettori del web quanto già disponibile ai lettori del libro e avvicinarli – così – ai contenuti, alle idee, riguardabili come le vere e più importanti protagoniste di ogni avventura sia creativa che anche costruttiva. E allora forniamo una tesi (o forse meglio un avvallo) alla suggestione delle” pietre informi”.
Recupero dalla profondità dell’archivio del mio computer la “cartella contenitore” dei testi de “L’architettura di pietra”, apro il file del capitolo “Muri”, copio e incollo velocemente. È il prodigio dell’informatica che ci dona l’istantaneità di duplicazione a cui seguirà, a breve, quella dell’editazione su internet e – quindi – la condivisibilità dei contenuti, la lettura, l’interattività intesa come commento-discussione di quanto editato in forma digitale. È – tutto questo – innovazione, ricchezza, libertà, relazione: offerte del nuovo mezzo che comincia ad “appassionarci”.


Casa delle guide alpine in Valmasino di Gianmatteo e Roberto Romegialli (foto Alfonso Acocella)

Muri irregolari contemporanei
“Ci siamo chiesti, più di una volta, se è ancora di qualche utilità, di qualche senso architettonico, dare ascolto alla narrazione, allo spettacolo dei muri dell’antichità sin qui evocati.
Abbiamo sollevato questa domanda prima di ogni ulteriore svolgimento sulla condizione del presente cercando di dare una risposta a noi stessi, per poi rivolgerci, eventualmente, al lettore al fine di consegnargli un orizzonte intellegibile entro cui collocare le possibili sorti delle risorse litiche ancora oggigiorno in disponibilità del progetto d’architettura. Lungo quest’azione di riflessione, nella prima parte del capitolo, ci siamo mossi a partire dalla pietra quale materia dell’architettura per esprimere le “formule” murarie degli Antichi, per ricongiungerle e confrontarle idealmente con quelle dell’esperienza contemporanea senza voler avanzare visioni nostalgiche, ma evitando al contempo la perdita dei significati, dei caratteri tecnici ed architettonici intensi ed autentici dei modi d’origine.
D’altronde il mondo attuale ha forse variato le caratteristiche costitutive della materia, della pietra in particolare? Riteniamo proprio di no. Seguendo il senso solo apparentemente provocatorio di un aforisma di Nietzsche, contenuto in Umano troppo umano, affermiamo attraverso le parole del filosofo: “La pietra è più pietra che una volta”. La materia litica si ripresenta a noi, in un eterno presente, riconoscibile ed identica a se stessa come quella del passato; pietra che attende di ricevere oggi – al pari di ogni passato – un’interpretazione, una modalità applicativa specifica, una valorizzazione.
In un’epoca in cui i materiali sembrano perdere ogni consistenza, assottigliandosi, alleggerendosi – a volte addirittura negandosi – la “pietrosità della pietra”, la sua materiale compattezza e pesantezza, sta ancora oggi a sostanziare un significato che può apparire scontato, ovvio, ma che in realtà ci restituisce il senso più autentico e peculiare della materia.
La logica combinatoria delle pietre, al di là di ogni specifica configurazione geometrica di partenza, è ancora oggi quella del “cumulo”, del “concatenamento” murario; ciò che conta, sotto il profilo statico, è che i materiali rispettino le regole di “legamento” collaudate e codificate dal tempo, da una secolare tradizione, da un canone costruttivo.
Ma se la logica assemblativa e la stratificazione della materia stanno a rappresentare il “dire costruttivo”, vi è sempre la necessità di “rappresentare” la strategia attraverso cui il muro viene fatto crescere verso l’alto, risolto verso gli angoli, articolato intorno ai vuoti; ciò che definiamo la figurazione del muro, ovvero il suo “dire architettonico”. Su questo “dire architettonico”, più che sulle regole di costruzione difficilmente trasgredibili od eludibili (più realisticamente da rispettare e perpetuare), si incentra il lavoro di aggiornamento dell’opera muraria in epoca contemporanea.


Biblioteca di Morbegno di Luigi Caccia Dominioni (foto studio Caccia Dominioni)

In via preliminare ci muoveremo, per dare visibilità all’orizzonte dell’architettura muraria dell’oggi, lungo i sentieri e le sorti della materia lapidea grezza, informe, povera per cogliere le permanenze e gli aggiornamenti in una visione unitaria. Le immagini di architetture attuali, a volte, ci aiuteranno lungo lo svolgimento di questa seconda parte del capitolo sui Muri di pietra a rafforzare, a “mettere in forma” il senso delle nostre tesi, mostrando ciò che spesso le parole – da sole – non riescono a dire o a comunicare.
I modi attraverso cui la risorsa litica si è presentata storicamente all’uso murario esprimono ancora oggi tratti e valenze architettoniche dati in continuità di esperienza e di magisteri costruttivi.
La pietra come materia grezza – ovvero così come la si ritrova in natura, “brutale”, non lavorata e “raffinata” – ha continuato ad alimentare un lavoro costruttivo che la lascia allo stato d’origine, accettandola e valorizzandola per quella che è. In questo caso si rimane all’interno della concezione dei muri irregolari in cui gli elementi litoidi (con dimensioni e forme variabili derivanti da uno stato di completa naturalità o di minima modificazione) disattengono alla disposizione in filari orizzontali – come avviene invece per i muri regolari – per essere “combinati” e “correlati” fra loro nel modo più conveniente e specifico al fine di creare un “aggregato” con minor numero di vuoti.
Il carattere dei muri – in tale ipotesi di lavoro costruttivo – è fortemente influenzato dalla tipologia della roccia selezionata, dalla sua costituzione mineralogica e geologica, E’ la natura della pietra, più che la sua lavorazione o la sua disposizione-combinazione, a produrre specificità e figuratività architettonica che vengono trasferite alla stratificazione parietale o, più precisamente, all’aggregato murario (termine che, secondo noi, esprime con maggiore efficacia il dispositivo tecnico che presiede all’opera irregolare).
La pietra usata nelle sue configurazioni naturali, grezze, offre molteplici possibilità nell’alimentare una concezione costruttiva composita, affatto codificabile secondo canoni fissi. Attraverso la compenetrazione, la sovrapposizione, l’adiacenza dei bordi degli elementi litici – dove i margini a volte si toccano, si mescolano, altre si allontanano – vengono composte unità geometricamente indeterminate dove le pietre irregolari (in genere diverse l’una dall’altra, dotate di singolari “personalità”) nell’insieme formano strutture eterotopiche di stratificazione e di interconnesione reciproca.
Da questo carattere di irregolarità, di relativa “instabilità” deriva la condizione inderogabile per l’opera rustica di uno spessore, di una sezione strutturale maggiore che finisce per conferire massa e profondità reale dei manufatti trasmessa, anche visivamente al fruitore dell’opera, attraverso i vuoti delle porte, delle discontinuità delle aperture in genere.
Nell’opera irregolare si assiste, in particolare, al “racconto” delle pietre, al discorso originato dalle caratteristiche geologiche del luogo in cui la costruzione attinge i propri materiali di base.
Ci si trova in questi casi di fronte alla “generosità” della natura, alla variegata offerta di “scapoli”, di “scheggioni” a spigoli vivi (erratici o derivanti dalla frantumazione di cava), di massi con facce perfettamente parallele, o ancora – nei territori attraversati da torrenti e fiumi – di grossi ciottoli morbidamente modellati e arrotondati dall’acqua.
Il carattere rustico che contraddistingue l’opera irregolare mostra frequentemente figure murarie in cui è la materia, la pietra, ad esprimere il “valore” architettonico attraverso la costitutività formale dei litotipi d’origine, le compenetrazioni reciproche, la tessitura del disegno d’insieme. Semplicità e naturalità dei dispositivi connettivi, più di ogni altro carattere, stanno a “segnare” questa famiglia variegata ed allargata di muri dotati di minore aulicità, ma non certo privi di carattere e di vigore architettonico.


Uffici Giudiziari ad Alba di Gabetti e Isola con Guido Drocco (foto studio Gabetti e Isola)

Il fascino che contraddistingue i materiali litici più poveri – frequentemente di estrazione locale, fortemente rappresentativi del senso del luogo, dei valori paesaggistici formatisi nella lunga durata – viene consegnato spesso, senza clamori, a queste figurazioni sobrie dell’opera muraria in pietra; tale bellezza è difficile da descrivere e raccontare. Forse è per questo motivo che nei manuali, nei trattati di progettazione non se ne parla (se non incidentalmente) relegando tali modi costruttivi prevalentemente al mondo appartato e periferico dell’architettura “minore”; di quell’edilizia spontanea inscritta nei territori collinari, montani ricchi di pietre o di quelli rivieraschi – più limitati – dove le rocce strapiombano sul mare.
Chiaramente, nell’evidenziare i caratteri salienti dell’opera rustica, non ci si può fermare all’aspetto litologico, alle sole configurazioni del materiale grezzo; altri elementi emergono nel suo farsi figura architettonica; fra questi, in particolare, le implicazioni di maestria connesse al savoire-faire costruttivo.
Il vocabolario dell’opera irregolare – versione moderna degli opus murari romani, a loro volta evoluzione dei dispositivi megalitici di tradizione greca – è sempre quello della messa in valore della materia lapidea grezza, della disposizione informale dell’apparecchio, dell’incisione lungo i bordi delle pietre a mezzo del contrasto delle giunzioni di malta (queste ultime spesso intenzionalmente “scavate” o “riportate” in aggetto, per risultare evidenti ed autonome rispetto al valore espresso dalla liticità).
La selezione delle forme delle pietre, la loro disposizione come “ordine costruttivo” – che diventa, allo stesso tempo, “partitura” architettonica – alimenta la passione per la figurazione del muro rustico, brutale, essenziale, sincero. Ciò che si conserva è quel carattere primitivo, grossolano, di massa, di chiusura; l’essere del muro rustico, più che articolazione delle parti, è generalmente omogeneità pesantezza, spessore.
Agli apporti della forza materica della pietra, della tessitura combinatoria, nell’opera irregolare si associa un carattere complementare, ma decisivo sotto il profilo figurativo, derivante dalle modalità di esecuzione dei giunti, delle “commessure”, dello “spazio” di cesura compreso fra i diversi elementi costitutivi della struttura muraria. Lo stesso “rilevante” spessore da assegnare ai giunti – al fine di assorbire le tolleranze dimensionali e la singolarità degli elementi di pietra – fa si che la loro incidenza visiva sia maggiore che in qualsiasi altra tipologia di muro.
La malta può risultare “arretrata” ma anche essere “stesa” in modo che sporga rispetto al perimetro delle pietre o, addirittura, che ricopra (come avviene nella tecnica della muratura a “rasapietra”) ampie porzioni del piano litico. Mostrarsi, in sostanza, in rilievo proponendo un’accentuazione del disegno complessivo della rete dei giunti (anche attraverso la caratterizzazione cromatica della malta) oppure – assecondando un atteggiamento oppositivo – “ritirarsi” verso il nucleo interno del muro, segnando in negativo e in profondità i giunti stessi, capaci così di catturare la luce e le ombre che ad essa sempre si accompagnano. Nel momento stesso in cui evidenziamo la forza espressiva, dei giunti ci preme, comunque, sottolineare anche la loro latente, pericolosa invadenza; sia il rilievo che l’incisione sottraggono sempre qualcosa alla forza della pietra; è auspicabile, conseguentemente, evitare, in generale, un’eccessiva enfatizzazione dei giunti di malta.
In queste particolari condizioni di lavoro – a differenza di quanto normalmente avviene nei muri a conci squadrati che si presentano attraverso rigorose e controllate geometrie definite in fase di progetto architettonico – è evidente come il vero protagonista della scena risulti l’esecutore di cantiere, il “maestro” muratore che scandisce i ritmi costruttivi e l’assetto morfologico di crescita dell’opera muraria.


Chiesa di San Giovanni Battista a Firenze di Giovanni Michelucci (foto Alfonso Acocella)

“Il muro in opus quadratum, sia isodomo che pseudoisodomo, – avverte Antonino Giuffrè a proposito delle regole d’arte in Lettura sulla meccanica delle murature storiche (Roma, 1991, p.27) – è definito in modo preciso. Il taglio parallelepipedo delle pietre, le loro dimensioni, la loro posizione nel muro, sono regole non modificabili. Il compito del costruttore consiste nel precisare questi dati con riferimento alla geometria complessiva dell’opera e poi rispettarli con scrupolo. (…)
Le pietre del muro medioevale e moderno sono ben altra cosa, non partecipano al disegno complessivo come i conci pentagonali degli archi del Colosseo, e non richiedono difficili operazioni di stereotomia per essere tagliate e collocate, come i conci degli acrobatici intrecci di nervature nelle strutture gotiche. Il muro di pietra grezza non è progettato dall’architetto assieme all’opera architettonica, ma è formulato, pietra dopo pietra, dal muratore la cui cultura, pur digiuna di geometria, procede sul filo di una logica organica.
Prima di mettersi al lavoro egli osserva il mucchio delle pietre con le quali dovrà lavorare e ne fissa in mente le forme e le dimensioni: quella piatta, quella oblunga, quella informe. E in cima al muro realizza la sua opera di incastro, richiamando per ogni figura in muratura che la posa gli propone la controforma positiva che aveva scorto nel mucchio; e compone il suo discorso alternando la pietra posta “di fianco” a quella sovrapposta di “punta”, colmando un vano irregolare con il pezzo lasciato in disparte in attesa della sua occasione, recuperando il piano con i frammenti e il tegolozzo.
Il muro cresce tanto più compatto e ordinato quanto più il muratore è padrone della sua arte; arte di esprimere con elementi rozzi ma vari il discorso del monolitismo e dell’orizzontalità che è requisito fondamentale di una corretta muratura.”
Gli aspetti sinora evidenziati rappresentano alcuni dei caratteri generali dell’opera rustica. Risulta di qualche interesse – a questo punto – avvicinarsi maggiormente ai diversi tipi di muri irregolari per segnalare peculiarità e regole specifiche di costruzione portatrici nel loro insieme di espressioni architettoniche distinte.”

Alfonso Acocella

Commento all’articolo

L’architettura di pietra. Dalle ‘pietre della natura’ alle ‘pietre dell’arte’. di Alfonso Acocella

Commento 870 inviato da Carlo Sarno

Caro Alfonso ti ringrazio per il recupero del valore del significato di un materiale come la “pietra” che da sempre ha accompagnato la creatività costruttiva dell’uomo e dell’architetto in particolare.
Felice nella tua esposizione il richiamo alla natura del materiale “pietra”, all’idea della permanenza in stretta continuità con il suolo, alle sue caratteristiche di ‘massa’, ‘volume’, ‘solidità’, ‘durata’, ed entusiasmante l’approccio alla geologia della Terra come fonte di stimoli e bellezza naturale.
Mi sorprende però, devo essere sincero, il finale del tuo articolo Alfonso, che sembra rinchiudere e limitare l’utilizzo della pietra al “monumentalismo”, o quanto meno a fattore simbolo dell’idea di monumentalità in architettura, e il richiamo al vuoto formalismo citando l’Estetica di Hegel “…opere di architettura che quasi siano sculture, se ne stiano per sè autonome e portino il loro significato non in un fine e bisogno diverso, ma in loro stesse”.
Alfonso come tu stesso hai precisato nel finale le pietre da ‘naturali’ divengono ‘configurate’ per seguire le aspirazioni di una costruzione, ma occorre precisare bene che le aspirazioni consistono nella vita degli uomini che abiteranno quel determinato spazio e che non necessariamente dovranno rappresentare monumentalità o rigido schematismo (per non dire classicismo), ma anche libertà, divenire, trasformazione.
La pietra può essere utilizzata anche in maniera anticlassica, antimonumentale, frammentaria, non rigidamente conformata – mi riferisco alle architetture della tradizione zen giapponese , o all’utilizzo ‘naturalistico’ della pietra in Frank Lloyd Wright , Bruce Goff, Bart Prince, ecc. esponenti dell’Architettura Organica.
Concludo questa mia breve osservazione ringraziandoti Alfonso per l’attenzione rivolta ad un materiale così importante per gli architetti e per il giudizio critico come la “pietra”, ma volevo solo segnalare agli amici lettori di Antithesi che è possibile un utilizzo della pietra anche in maniera più naturale, anticlassica ed organica.
Termino con una citazione dal libro Per la causa dell’Architettura di Frank Lloyd Wright : ” Ogni materiale ha in sè un suo messaggio e, per l’artista creativo, un suo canto…”.

Carlo Sarno
(Tratto da Antithesi.info)

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25 Febbraio 2005

Eventi

Architettura tedesca di pietra alla FAF

Facoltà di Architettura di Ferrara, via Quartieri 8 / Martedì 1 Marzo 2005


Nord Landesbank a Magdeburgo di Bolles+Wilson

Nuova architettura di pietra in Germania
Presso il Laboratorio di Progettazione Architettonica 3° della Facoltà di Architettura di Ferrara, tenuto dai docenti Gianluca Frediani, Paola Sonia Gennaro, Antonello Stella, si terrà una giornata di studio organizzata da Paola Gennaro sulla recente architettura in Germania.
È stato invitato ad approfondire alcuni temi di pregnante attualità nel contesto tedesco Vincenzo Pavan curatore lo scorso autunno a Verona di una mostra e di un convegno sull’architettura di pietra in Germania nell’ambito delle attività scientifico-culturali della 39° Marmomacc di Veronafiere.
La giornata di studio approfondirà due aspetti cruciali della vicenda urbanistico-architettonica tedesca.
Il primo, attinente alla ricostruzione critica di Berlino in una delle sue tappe conclusive, è mirato al nodo urbano di Potsdamer Platz, l’altro riguarda alcuni interventi esemplari in varie città della Germania nelle quali sono state realizzate opere significative di pietra.
Il nodo di Potsdamer Platz, in gran parte realizzato nello scorso lustro, risulta praticamente concluso con la recente edificazione di architetture-facciate sulla ottagonale Leipziger Platz e sul grande isolato triangolare contiguo, oggi chiamato Lennè Dreieck.
La controversa vicenda di questi progetti collettivi sarà analizzata sia sotto l’angolazione del disegno urbano sia nell’esito formale dell’intervento sulle sequenze di facciate in pietra che definiscono e chiudono lo spazio della piazza.
La seconda parte dell’intervento di Vincenzo Pavan approfondirà i linguaggi architettonici e costruttivi di recenti opere di pietra realizzate dai principali progettisti tedeschi in contesti urbani tra loro assai differenziati come Francoforte, Colonia, Magdeburgo, Berlino, Dresda, Erfurt ecc. dove le e tematiche del rivestimento, della tettonica delle facciate e della costruzione con pietra massiva sono alla base di una straordinaria rinascita dell’architettura litica nella Germania riunificata.

Programma del Seminario
ore 9,00 – 10,00
Video su Berlino. Formazione di una città
ore 10,30 – 13,00
Berlino, Potsdamer-Leipziger Platz
La ricostruzione di un nodo urbano. La storia, il masterplan e le facciate in pietra.

ore 14,30
Germania, Nuovi linguaggi nell’architettura di pietra
Opere recenti a Dresda, Berlino, Magdeburgo, Francoforte, Colonia, Erfurt.

ore 17,00
Presentazione del volume:
Germania, l’arte di costruire in pietra
(a cura di Vincenzo Pavan), Gruppo editoriale Faenza editrice, 2004, pp.158

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24 Febbraio 2005

Recensioni

La recensione di Parametro

L’Architettura di pietra.
Antichi e nuovi magisteri costruttivi

Alfonso Acocella
Lucense-Alinea, Firenze 2004

Punta con decisione ai saperi fondativi della professione la nuova opera a stampa di grande formato (24×33 cm) e qualità editoriale di Alfonso Acocella pubblicata per i tipi di Lucense Alinea, dal cofanetto scuro, la sovracoperta candida, la densità di argomentazioni e spunti; come neve tale veste bianca non azzittisce ma semplicemente ricopre la quantità di contenuti in successione rapida e variegata dopo l’incipit assoluto omaggiante Louis Kahn e, tramite lui, l’architettura italiana.
Oltre l’epidermide L’architettura di pietra -dai rimandi delle evocazioni bibliche in poi- è architettura della permanenza, dello scorrere del tempo inciso sulla materia, della sopravvivenza delle opere agli artefici e, pure, della gravità ponderale dei manufatti. E’ anche -si potrebbe aggiungere- architettura dell’incontro con la natura nella sua incarnazione più solida, architettura della laboriosità di chi ha toccato in sorte la posa e dell’ingegno adoperato dai costruttori.
Accompagna la titolazione principale de L’architettura di pietra il sottotitolo: Antichi e nuovi magisteri costruttivi, che ne definisce gli spazi temporali.
Risulta essere, questa, la chiave di lettura della ricerca proposta, poichè l’autore non si affida deterministicamente alle categorie ben delineate di storicità o di contemporaneità sic et sempliciter. Non è, infatti, cronologico il criterio di acquisizione di pagine e capitoli, ma logico. E’ allora possibile, e non ci preoccupa affatto, incontrare Zumthor a Vals prima di Anselmi a Parabita. Da studenti abbiamo udito spesso ragionando di progetti: "complesso non sta per complicato".
E’ il caso anche della struttura grafica di questo volume, ricondotta con mano sicura all’idea evidente di ordine. Essa è offerta agli sguardi del lettore attento dai contributi della grafica preziosa di Massimo Pucci, i cui assi ordinatori riconducono il fiume vitale d’informazioni entro argini narrativi chiari e fluidi: scopo delle briglie non è già quello di annullare la vigoria del purosangue. In questo senso il libro è testimone eloquente del connubio fra segno scritto ed icona. Nel progetto comunicativo dell’opera le due vesti, testuale ed iconografica, superano noncuranti l’aut aut della struttura impaginativa simmetrica, circolare, insomma classica, opposta a quella asimmetrica impostasi negli anni contemporanei, per divenire cosa sola -racconto unitario e dinamico- ed assorbire i due temperamenti nella stessa opera a stampa.
Si arricchisce dunque il gioco dei rimandi reciproci: a quello "fra" le righe si aggiunge quello "sopra" le righe. La lettura semplice e lineare dei testi è così solo una delle possibilità. Ad osservare L’architettura di pietra in controluce, traspare in filigrana il DNA dello scrivente, il suo coinvolgimento emotivo ai contenuti, l’attenta curiosità della scoperta sia nelle fasi della ricerca -quando il volume non era forse nemmeno in nuce- come pure in quelle di rilettura e labor limae. E’ probabilmente andata alle stampe per Alfonso Acocella una parte di sè, vita e ricerca insieme, per la quale scrivere e rappresentare per immagini costituisce momento atteso di autoverifica. L’autore medesimo suggerisce il tema del viaggio nelle bandelle della sovracoperta, laddove riporta episodi dall’acropoli di Velia. Compagni di viaggio saranno allora i collaboratori -in particolare Davide Turrini- per i contributi critici, redazionali ed iconografici, oltre al già citato Massimo Pucci per il progetto, sempre diverso, della struttura impaginativa dell’architettura del libro.
Una scorsa all’indice disvela infine la matrice tecnologica sottesa alla trattazione degli argomenti, a conferma delle referenze accademiche importanti dell’autore, oltre che delle numerose testimonianze di ricerca offerte nelle note pubblicazioni sullo Stile laterizio. La ricchezza dei progetti, presentati con grande varietà ed originalità di immagini, trova inquadramento in raggruppamenti facenti capo agli elementi costruttivi tipici dell’architettura. Alle due estremità, d’apertura e chiusura, rispettivamente, si sancisce il primato degli Egizi a Saqqara con Imhotep -primo grande architetto della storia- completando l’informazione con gli approfondimenti sui dati più tecnici e stereotomici della materia sottratta alle cave. A filo rosso del disegno complesso ed unitario dell’opera, oltre la materia litica, si candidano la tensione enciclopedica, la volontà di comprensione totale e di appropriazione definitiva degli argomenti, senza mai far salire alcuna presunzione di segnare la linea dalla "L" maiuscola, quanto piuttosto la generosità di offrire al dibattito lo strumento per indagarla.

Alberto Ferraresi
(Visita il sito Parametro)

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Alfonso Acocella Post Scriptum

“Verso un nuovo Rinascimento”
Mercoledì 2 Marzo 2005, con avvio alle ore 16, nel Palazzo dei Congressi-Auditorium di Firenze si svolgerà il Convegno “Verso un nuovo Rinascimento. I materiali della tradizione nell’architettura contemporanea”.
Il Convegno sarà strutturato in due fasi.
La prima, coordinata da Vittorio Savi, prevede interventi di Piero Antinori, Mario Botta, Marco Casamonti, Boris Podrecca,
La seconda, incentrata su una Tavola rotonda dal titolo “Architettura Imprese Istituzioni”, chiama il pubblico alla condivisione di esperienze istituzionali e scientifiche, invitando rappresentanti autorevoli del mondo accademico, politico, aziendale. Riccardo Bartoloni, Presidente dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Firenze, sarà moderatore della Tavola rotonda. Al tavolo di discussione sono invitati: Alfonso Acocella, Ida Beneforti Gigli, Giulio Conti, Claudio Corbatti, Renzo Cotarella, Vando D’Angelo, Guido Poccianti, Ornella Signorini, Edoardo Speranza.
Il Convegno è realizzato grazie al contributo delle aziende toscane Campolonghi, Il Casone, Sannini Impruneta in collaborazione con Federico Motta Editore


La Fabbrica degli Uffizi a Firenze (Foto di Alfonso Acocella)

Pietre d’Italia a Convegno
Nell’ultimo scorcio di millennio, a seguito del naufragio delle tecnologie innovative di costruzione, si è assistito in Italia alla riconsiderazione e alla rivalorizzazione dei materiali e dei magisteri costruttivi tradizionali sia sul piano del dibattito architettonico che su quello della prassi esecutiva rivolta oltre che agli interventi di recupero e conservazione anche alla nuova architettura.
Numerosi e diversificati i motivi di tale riabilitazione.
Fra tutti, per importanza, è apparso proprio la perdita di identità, di radicamento ai diversi ambiti territoriali di appartenenza, da parte dell’architettura contemporanea a largo uso di materiali artificiali standardizzati nelle prestazioni, nelle soluzioni costruttive, negli assetti materici finali.
Riguardando, invece, a ritroso le logiche insediative e l’utilizzo delle risorse disponibili che hanno accompagnato la trasformazione dei territori d’Italia è invece evidente come la diversa e specifica costituzione geologica, orografica e vegetazionale dei luoghi ha offerto per molti secoli sigilli inequivocabili per fissare lo spirito degli insediamenti e della stessa architettura.
Riconsiderare oggi come risorse ancora vive l’ampia varietà delle rocce che informano la geografia fisica del Paese (dalle Alpi alla lunga dorsale appenninica, fino all’orografia del tutto individuale delle Isole maggiori) è operazione strategica per numerose economie locali.
Salvo poche eccezioni, le regioni d’Italia possiedono ancora integro un rilevante patrimonio di materiali lapidei da costruzione che è pensabile – soprattutto a fronte delle nuove e potenziate tecnologie di escavazione e di trasformazione che investono la lavorazione dei semilavorati – poter mettere a disposizione sia del mercato nazionale che di quello internazionale.


Leibnizkolonnaden a Berlino di Hans Kollhoff (foto di Alfonso Acocella)

La società Il CASONE SpA, diretta da Alberto e Lorenzo Bartolomei, attraverso un’azione strategica illuminata, è impegnata da anni in questa attività di riscoperta ed attualizzazione di una cultura di progetto adeguata alle esigenze d’oggi senza trascurare la salvaguardia dei magisteri tradizionali. Un risultato ottenuto integrando esperienza artigianale con le più avanzate tecnologie di trasformazione dei litotipi.
Il CASONE è azienda leader nella lavorazione della Pietra Colombino e, soprattutto, della Pietra Serena: la pietra monolitica che rappresenta l’innovazione del Rinascimento fiorentino resa famosa nel mondo intero da Brunelleschi, Vasari, Michelangelo e – oggi – riscoperta da protagonisti della scena architettonica internazionale quali Bernard Huet nella Piazza dell’Unità a Trieste, Khon Pedersen Fox Associates nel MOMA di New York, o Hans Kollhoff che da Berlino guarda con ammirazione il nostro Paese vagheggiando per le sue opere “L’aria d’Italia”
Il CASONE è stato fra i primi sostenitori del volume “L’architettura di pietra. Antichi e nuovi magisteri costruttivi” promosso dalla LUCENSE di Lucca. In questo Convegno sul Nuovo Rinascimento le due, pur distinte, realtà sono unite nel presentare il libro e nell’ufficializzare l’evoluzione dei contenuti dell’opera a stampa attraverso il progetto digitale inerente le “Pietre d’Italia” connesso al portale tematico architetturapietra2.sviluppo.lunet.it già editato in rete e in fase di progressivo arricchimento.

di Alfonso Acocella


Piazza dell’Unità a Trieste di Bernard Huet (foto Il Casone SpA)

Per prenotazioni ed informazioni inerenti il Convegno:

Segreteria organizzativa
UNI PUBBLICITA’ & MARKETING
unimark@tsc4.com
fax 059356096

Ufficio stampa
FEDERICO MOTTA EDITORE
uffstampa@mottaeditore.it

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14 Febbraio 2005

Recensioni

Pietra protagonista

Alfonso Acocella, autore dell’enciclopedico e godibilissimo L’architettura di pietra – edito da Lucense Alinea – e professore di Cultura tecnologica della progettazione presso la Facoltà di Architettura di Ferrara, ha pensato di dare un seguito al proprio lavoro aprendo una discussione on-line sui contenuti del libro. A tal fine ha già istituito uno specifico blog-forum in cui verranno raccolti recensioni, commenti e scambi di idee sullo stile litico.

(Continua su Abitare)

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14 Febbraio 2005

Recensioni

La recensione di Arch’it

Se in libreria vi capiterà di imbattervi nell’ultima fatica letteraria di Alfonso Acocella, la prima cosa che vi salterà subito all’occhio è sicuramente la sua mole: più di 600 pagine, con copertina rigida, sovracopertina, e custodia. Altrettanto evidente è l’acuta scelta di un elegante stile minimale del volume, quasi a contrastare la ricchezza dello scritto. In effetti quello che troveremo all’interno ci lascerà ancora più stupiti. La nota introduttiva rende subito chiaro l’obbiettivo di questo volume, ovvero contribuire al rilancio della cultura progettuale e costruttiva della tecnologia lapidea, che nel passato recente è stata in parte “emarginata” a causa dell’invadenza delle tecnologie più moderne. Ma è anche vero che il repertorio di progetti recenti presentati nel volume, sia per quantità che, soprattutto, per qualità, non danno l’idea che la cultura delle costruzioni in pietra abbia avuto momenti di flessione.

L’arco temporale dei progetti in pietra è così vasto e più o meno omogeneo da costituire un unicum nella cultura architettonica. E questo è avvenuto per una miriade di ragioni, le prime delle quali sono senza dubbio l’abbondanza del materiale e la relativa facilità di lavorazione. Col termine “pietra”, usato all’interno del titolo stesso del volume, si intende l’intera famiglia dei litoidi; Acocella in questa opera analizza infatti ogni tipo di pietra, da quelle utilizzate dagli antichi Egizi, ai bugnati usate nella Firenze medievale, ai marmi di Mies. Nessuna differenza quindi in base all’origine della materia prima, ma differenziazione in base all’utilizzo dei litoidi; dal materiale grezzo da costruzione, da blocchi lasciati a vista, alle finiture esclusivamente estetiche.

Il volume non è strutturato come un manuale, nè come un saggio nè tanto meno come un repertorio di progetti. Vuole piuttosto essere qualcosa di nuovo, ovvero qualcosa che unisca queste tre categorie della letteratura architettonica e vada a colmare un vuoto esistente nella editoria tecnica, enfatizzando i variegati ed inesauribili valori culturali, costruttivi, espressivi, cromatici, ambientali, di durata, eccetera. L’opera ci riesce benissimo, in una maniera originale che riesce ad affascinare il lettore. Il materiale “pietra” viene analizzato non esclusivamente in chiave storica, ma viene diviso e studiato a seconda del suo utilizzo tecnologico. Ecco quindi che i capitoli del libro saranno: Muri, Colonne, Architravi, Archi, Superfici, Coperture, Suolo, Materia. All’interno di ogni capitolo l’autore illustra la nascita e l’evoluzione delle tecnologie costruttive presentate, utilizzando sia disegni immediatamente chiari che immagini fotografiche delle opere.

Il volume è quindi basato sulla contrapposizione e sul confronto fra le origini, gli archetipi, ed i temi del presente, ovvero come viene utilizzato il materiale ai giorni d’oggi, con un attento sguardo sul panorama architettonico nazionale ed internazionale. La varietà dei progetti presentati è un’altra delle caratteristiche di questo volume. Come detto si va dalle piramidi egizie agli ultimi eleganti progetti di Peter Zumthor. I progetti dal ‘900 ai giorni nostri invece coprono abbondantemente tutti i filoni estetici e tutte le correnti dell’architettura contemporanea. Questo a testimonianza ulteriore di come nel trascorrere del tempo il materiale “pietra” sia sempre stato attuale e quindi il suo utilizzo non abbia conosciuto “tempi morti”. Del resto il valore che riesce a dare anche nell’architettura contemporanea una superficie continua in pietra, ad esempio, è cosa completamente diversa dalle sensazioni date dai cosiddetti “nuovi materiali”.

Quindi se da una parte può essere giustificato il timore delle categorie che per ovvi motivi hanno a che fare con le pietre, espresso appunto nella nota introduttiva, dall’altra parte ci deve essere quella consapevolezza, confermata dalla storia dell’architettura, che la duttilità di questo materiale e del suo utilizzo non è riproducibile da nessun altro prodotto. I progetti presentati sono costituiti da una piccola ma esauriente scheda introduttiva, e presentano disegni e una gran quantità di immagini fotografiche. A proposito delle fotografie, stupisce prima di tutto notare nell’indice delle illustrazioni quante siano, e soprattutto stupisce ancora di più il fatto che la maggior parte di queste facciano parte dell’archivio fotografico dell’autore.


Alberto Campo Baeza, Banca Caja General de Ahorros, Granada (Foto di Hisao
Suzuki)

La densità di informazioni testuali, grafiche ed iconografiche sono inoltre presentate in una veste dallo stile molto minimale, opera di Massimo Pucci, che riesce in maniera elegante a catalizzare ulteriormente l’attenzione del lettore sull’opera. L’architettura di pietra rappresenta un metodo di indagine ed analisi di un materiale che da un punto di vista architettonico nè conosce età nè è legato ad una corrente estetica particolare. Per questo il volume di Acocella colpisce e stupisce; progettisti e studenti che consulteranno o semplicemente sfoglieranno quest’opera vi troveranno senza dubbio un’architettura o un dettaglio da cui rimarranno colpiti e, molto probabilmente, ispirati.

Come detto il volume costituisce al momento un evento unico nel panorama editoriale, per contenuti e forme. L’autore è voluto andare oltre. Il successo immediato e la curiosità che è nata attorno al libro hanno fatto sì che nascesse una comunità virtuale attorno a questo evento. È stato creato un sito che vuole essere un luogo di scambio, un luogo d’incontro dei membri della community dove potersi scambiare informazioni, una piazza virtuale insomma. Al momento sono riportate nel blog forum tutte le recensioni del volume che sono state pubblicate sia su riviste cartacee che su webzine. I visitatori possono inserire messaggi, commenti, insomma discutere di architettura ed in particolare dell’architettura fatta con la pietra. Un evento originale che sta dando buoni frutti, come dice il numero di visitatori del sito. E soprattutto un “precedente” che ci auguriamo venga ripreso per altre iniziative legate alla diffusione e conoscenza della buona architettura.

Samuele Martelli

(Molte altre immagini tratte dal volume ti attendono su Arch’it)

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8 Febbraio 2005

PostScriptum

Alfonso Acocella Post Scriptum

Dalle “pietre della natura” alle ” pietre dell’arte”
Per capire la pietra nel suo millenario rapporto con l’architettura dobbiamo innanzitutto chiederci cos’è la pietra in quanto materia della natura e cos’è la pietra che diventa materiale per l’architettura.
Ubiquitaria e pressochè onnipresente è la roccia intorno a noi in quanto crosta terrestre ed ossatura del mondo intero. Emergendo a formare rilievi montuosi, stabilizzandosi sotto le pianure, inabissandosi a creare scoscendimenti e faglie tiene insieme ogni cosa e conferisce alla terra il suo profilo generale.
Attraverso l’onnipresenza delle rocce coagulate in grandi rilievi, in quella liticità maestosa e sublime di scala paesaggistica che spesso s’impone rispetto alla figura umana, è possibile rileggere anche la nostra storia architettonica evolutasi a ridosso del Mediterraneo, quel meraviglioso spazio acqueo all’intorno del quale si sviluppa la nostra civiltà occidentale. Magistrale l’immagine che ci consegna Fernand Braudel, assunta come ideale “luogo” di partenza del nostro viaggio:
“Che cosa importa se il mare Interno è fantasticamente più vecchio della più vecchia delle storie umane che ha ospitato! Eppure, il mare non si può comprendere a fondo se non nella lunga prospettiva della sua storia geologica, cui deve la forma, l’architettura, le realtà di base della sua vita, quella di ieri come quella di oggi, o di domani. Allora, apriamo la questione!
A partire dall’era primaria, milioni e milioni di anni fa, a una distanza cronologica che sfida l’immaginazione, un largo anello marino (la Teti dei geologi) si estende dalle Antille al Pacifico e taglia in due, nel senso dei paralleli, quella che sarà, assai più tardi, la massa del Mondo Antico. Il Mediterraneo attuale è la massa residua delle acque della Teti, che risale alle origini del globo.
è a spese di questo Mediterraneo molto antico, assai più esteso di quello attuale, che si sono formati i corrugamenti violenti e ripetuti dell’era terziaria. Tutte queste montagne, dalla cordigliera Betica al Rif, all’Atlante, alle Alpi, agli Appennini, ai Balcani, al Tauro, al Caucaso, sono uscite dall’antico mare. Hanno eroso il suo spazio, hanno utilizzato a loro vantaggio i sedimenti depositati nell’immenso incavo del mare – le sue sabbie, argille, arenarie, i suoi calcari spesso prodigiosamente spessi, e anche le sue rocce profonde, primitive. Le montagne che racchiudono, soffocano, barricano, suddividono i lungo litorale marino, sono la carne e le ossa della Teti ancestrale.
L’acqua di mare ha lasciato ovunque la traccia del suo lento lavoro: vicino al Cairo, i calcari sedimentari di grana così fine e di un bianco lattiginoso, che permetteranno al cesello dello scultore di dare la sensazione del volume giocando su incisioni profonde solo qualche millimetro, le grandi placche di calcare corallino dei templi megalitici di Malta, la pietra di Segovia che si bagna per lavorarla più facilmente, i calcari delle Latomie (le enormi cave di Siracusa), le pietre d’Istria portate a Venezia, e tante rocce della Grecia, della Sicilia o d’Italia, sono tutte nate dal mare.”
(“Memorie del Mediterraneo”, 1998, manoscritto originale1969)

Pietre informi
Immersi mentalmente in questo scenario geografico dilatato – caratterizzato dalla onnipresenza di monti, rocce, liticità molteplici e memorie mitiche che affondano nella notte dei tempi – ci siamo chiesti più volte come abbia preso avvio l’utilizzazione della pietra per le esigenze della costruzione, quando – soprattutto – le rocce staccate dal banco di cava e sagomate secondo precise e predefinite configurazioni geometriche, sono passate dall’informalità della natura agli artifici dell’Arte e dell’Architettura.
L’uomo, indubbiamente, ha iniziato a confrontarsi con l’universo litico sin dal suo primordiale essere sulla terra, per proseguire attraverso manifestazioni più coscienti, mirate ed intenzionalizzate, intravedendo in questa materia le condizioni propizie per farne arma, monile, strumento di lavoro, ricovero, recinto, monumento.
In molti sono a sostenere che le origini dell’uso della pietra nelle costruzioni sono da collegare con la semplice ed intuitiva pratica della raccolta in superficie dei frammenti litici staccati dalle masse rocciose dei monti per effetto di fenomeni naturali (fratture della crosta terrestre, frane, alluvioni, depositi morenici, erosioni ecc.). Selezione ed accumulazione, quindi, di pietre erratiche: macigni, massi, pietre stratificate, schegge informi ma anche grandi e piccoli ciottoli fluviali e marini dalle superfici morbide e levigate sia pur più difficili da “stabilizzare” – nell’opera muraria – su di un piano orizzontare a causa della loro “rotondità” che ne impedisce la messa in opera a secco.
è la primitiva valorizzazione delle pietre come si trovano in natura; non “raffinate”, “brutali”, non “configurate” geometricamente dall’uomo sia pur già inscritte all’interno di un progetto, di una logica costruttiva.
Tali elementi litici, di dimensione e forma eterogenea, permettono, in avvio della civiltà dei primordi la creazione di opere rudimentali a secco (muri, sostruzioni, argini di campo, tombe ecc.) la cui stabilità è assicurata da strutture resistenti a forte spessore, con i massi più grandi che fungono da paramento esterno rispetto al riempimento interno di pietrame più minuto.
Siamo di fronte all’archetipo del tumulo la cui massa litica è spesso “erosa” al suo interno con grande difficoltà per la creazione di uno spazio esistenziale oppositivo a quello della capanna lignea, più volte evocata dalla trattatistica nella disputa dei tipi primitivi dell’architettura. La logica concettuale che stà a monte della costruzione a secco con elementi informi è molto istruttiva in quanto ci consente di svolgere una riflessione sul modo di impiego della pietra che viene trasferita direttamente dal mondo della natura a quello dell’architettura.
Con l’opera a secco delle origini si afferamno manufatti dove il livello tecnologico (e la stessa concezione architettonica) si presenta come fattore fortemente limitativo, incapace di superare la “criticità” statica insita nel sistema costruttivo di per sè rudimentale, per certi versi primitivo. Eppure, per quanto “rozze” ed elementari, le opere in pietra informe – con le loro murature che richiedono corposità, spessore e consistenza rilevanti – assumono, all’interno dell’evoluzione dei artefatti dell’uomo, un significato particolare.
Rispetto alla fragilità delle installazioni lignee il semplice accatastamento di pietre pone le condizioni originarie di consacrazione monumentale della costruzione architettonica trasferendo su un piano simbolico la qualità visiva e durativa della materia litica.

Alle origini del monumento
Il processo costitutivo e conformativo delle opere murarie a secco offre – a partire dalle necessità di “sovrabbondanza” di materia litica e dall’enfasi volumetrica degli artefatti che ne scaturisce – una testimonianza di forte presenza ridefinendo le caratteristiche del luogo in cui si insediano. Il permanere della pietra nella lunga durata temporale indurrà ben presto l’uomo a compiere delle valutazioni non attinenti unicamente alla sfera del funzionale e dell’utilitario.
Se ogni manufatto in materiale vegetale, o in argilla cruda, si caratterizzerà sempre come opera effimera dando vita ad una sorta di sovrastruttura rispetto al terrreno su cui sorge, la costruzione in pietra incarnerà sin dalle origini l’idea della permanenza in stretta continuità con il suolo che l’accoglie saldandola ad esso, facendosi apprezzare per una serie di caratteri peculiari ed unici del materiale stesso (massa, volume, solidità, durata) che diventeranno qualità “simbolo” della stessa idea di monumentalità in architettura.
Legno ed argilla cruda quali materie molto diverse dalla pietra esprimono alla fine – anche nel mondo primitivo delle origini – un antitetico investimento rispetto al fattore tempo: un’azione contingente legata ad una prospettiva temporale limitata, contrapposta ad un progetto architettonico proiettato coscientemente nella lunga durata che impegna simbolicamente un clan familiare o addirittura fa convergere le aspettative di autorappresentazione di una fondazione dinastica, di uno Stato intero, così come avverrà nell’esperienza dell’Egitto, già a partire dal III millennio a. C., quando la pietra d’un colpo emerge – dalle sabbie di Saqqara – squadrata, levigata, modanata passando dalla Natura all’Architettura e all’Arte.


Complesso funerario di Zoser a Saqqara (foto di Giulio De Cesaris)

Affinchè questo meccanismo si metta in moto sarà necessario creare – come afferma Hegel in un passaggio contenuto in “Estetica” – “opere di architettura che quasi siano sculture, se ne stiano per sè autonome e portino il loro significato non in un fine e bisogno diverso, ma in loro stesse.”
La pietra sarà, allora, chiamata a dare uno dei contributi più alti e sublimi all’architettura, mai più eguagliato da nessun altro stile tecnologico di costruzione.
Eccoci, così, giunti al capitolo degli INIZI de “L’architettura di pietra”. Il tema è legato alla domanda fondativa che ci siamo posti in avvio del nostro lavoro di studio (e poi di scrittura) connesso al volontà di cogliere e sottolineare il passaggio epocale in cui le pietre perdono la loro “informe naturalità” per diventare “pietre configurate”, sagomate e pronte a seguire le aspirazioni dell’uomo che si rivolge alla costruzione chiedendole di diventare Architettura, Simbolo, Meraviglia.

di Alfonso Acocella

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