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22 Aprile 2015

Opere di Architettura

Greve di pietra, leggero di luce.

Lo spazio sospeso del nuovo concept Valextra di Marco Costanzi
La storia di Valextra inizia nel 1937, quandoGiovanni Fontana apre il suo primo laboratorio di pelletteria in Piazza San Babila a Milano. Nel 1954 il suo il progetto per una “borsa d’affari 24 ore” vince il Compasso d’oro, consacrando il marchio Valextra come punto di riferimento di livello internazionale per il sistema della moda e del design.
Oggi Valextra, sempre legata alle sue origini e alla sua milanesità, intraprende un percorso di crescita internazionale con l’apertura del suo primo store d’oltre oceano, al 833 di Madison Avenue, New York.

Il progetto della nuova boutique, di 120 metri quadri su due piani, è a cura dell’architetto Marco Costanzi e definisce il nuovo retail concept con cui il marchio milanese da oggi si proporrà internazionalmente.
Un progetto che reinterpreta la brand experience in maniera contemporanea e cosmopolita ed è capace di veicolare i valori aziendali a un pubblico sempre più grande e composito in un’atmosfera di ricercata pulizia formale.
In questo nuovo negozio vengono trasposti alla scala dell’interior design tre materiali storicamente legati alle architetture del capoluogo lombardo:
il ceppo di Grè, usatissimo nelle facciate dei palazzi, che diventa un rivestimento orizzontale e verticale, la pelle degli interni borghesi (ma anche e soprattutto la pelle dei prodotti Valextra) e l’ottone, spesso scelto dagli architetti milanesi degli anni ’20 per parapetti, maniglie, corrimani e per le cancellate, che sono velatamente citate da una griglia utilizzata come sfondo permeabile per la vetrina; una griglia realizzata sulla base di un pattern ottenuto dalla ripetizione di lettere V e X, in continuità con l’input dato al marchio Valextra da Ciotola+ Partners che nel 2003-2005 svilupparono la corporate identity. Questo elemento a griglia ricorre poi in altre parti della boutique come veicolo di riconoscibilità del marchio. Una comunicazione che lavora sottotraccia, gerarchicamente subordinata al prodotto esposto, che richiama il nome del brand senza essere esplicita.


La vetrina della boutique di Madison Avenue mostra un gioco di piani e di permeabilità visive. L’attenzione per i rapporti proporzionali ed alcuni particolari come l’allineamento della griglia di ottone con il margine esterno della scala (su un piano visivo retrostante), denunciano una progettualità incentrata sull’alzato prima che sulla pianta. L’effetto è di una accelerazione prospettica, che invoglia a entrare e rende virtù quella longitudinalità della pianta che sempre nel retail viene vissuta come caratteristica limitante.


Il pavimento e la nicchia sulla parete di destra rivestiti in ceppo di Grè. A sinistra le mensole rifinite in pelle hanno per sfondo una ampia pannellatura coperta da carta da parati grigia con texture rigata in rilievo.


Una vista ravvicinata della mensola con il prodotto esposto sul prop in ottone brunito.


In questa immagine si vedono sullo sfondo la griglia con il pattern di lettere V ed X, che al piano superiore assolve alla funzione di parapetto sul vano scala, ed un fondale su cui vengono esposti pezzi sui quali il visual merchandiser di Valextra desidera di volta in volta dare risalto.

Nel fondale anticipato nella foto sopra, una lastra di ottone brunito tagliata e retro illuminata, ricorrono in forma ancora meno riconoscibile, gli elementi generatori del pattern che qui divengono intagli luminosi nei quali incastrare piccole mensole di plexiglass.

E la grande efficacia comunicativa del progetto, nel suo complesso, risiede proprio nella composizione dei suoi elementi, ciascuno carico di valori e significati, come stratificazione disegnata: il Ceppo di Grè dei rivestimenti, il marmo Paonazzo degli espositori, i metalli, la pelle usata per i dettagli, insieme concorrono a creare un’ambientazione per il prodotto e manifestano la straordinaria abilità di suggerire un’atmosfera senza mai concedersi alla riproposizione di stilemi esistenti, senza mai scadere nel citazionismo.
Sobrio, elegante, raffinatissimo e modernista, il negozio Valextra non è affatto uno sfondo neutro, eppure è capace di non rubare la scena ai prodotti esposti, anzi ne esalta sensibilmente le qualità: una palette cromatica priva di disomogeneità, sui toni del grigio, che se osservata risulta estremamente ricca di varianti materiche, tattili e anche cromatiche, fa da sfondo e scandisce un ritmo per le borse che sono esposte in una gamma di colori brillanti e contrastanti. I blu, i gialli, i bianchi e i neri della alta pelletteria che il negozio mette in mostra e celebra, sembrano fluttuare, sospesi a esili prop di ottone che poggiano su mensole sottilissime. L’effetto scenico è ottenuto anche grazie a un curato progetto dell’illuminazione (interamente LED): poca luce ambientale a temperatura di colore più bassa e moltissime lame di luce fredda, dentro le nicchie e sotto le mensole, che investono il prodotto lateralmente, da sopra e da sotto, proiettando quelle ombre dai contorni sfumati che restituiscono la sensazione di un oggetto sospeso, ma soprattutto esaltando le caratteristiche della pelle e delle lavorazioni dei prodotti esposti, che risultano essere il vero catalizzatore dell’attenzione non appena si varca la soglia dell’ingresso.


La scala in ceppo di Gré presenta un’illuminazione che segue la logica di quella usata sul prodotto. Le pedate grevi, in massello di pietra, galleggiano su alzate smaterializzate dalle lame di luce che le investono. Sulla destra gli espositori in marmo Paonazzo, realizzati accostando pezzi contigui di lastra, in modo tale che il manufatto sembri un solido piuttosto che una scatola. Questo accentua l’effetto di stupore che viene prodotto dalla fluttuazione simulata di questo mobile con l’espediente del piccolo rialzo (e di una adeguata illuminazione che gli permette di proiettare una piccola ombra zenitale).

Salendo la scala si accede poi a una zona più intima del negozio, un piccolo salotto dedicato alla personalizzazione degli acquisti, che per la prima volta con questo concept viene resa possibile anche al di fuori del laboratorio di Milano.


Al piano superiore l’aggiunta di tre sedute imbottite di Azucena rende l’atmosfera più raccolta, ma gli elementi della vita conviviale (il tappeto, il tavolino da caffè)sono -anche in questo caso- solamente citati in forma astratta (di fatto il tavolino è un espositore in marmo che tra l’altro non rinuncia ad assolvere alla propria funzione) cosicché non si ha né l’impressione di entrare in un salotto decontestualizzato o nella lounge di un hotel, ma precisamente quella di essere entrati in una zona “speciale” dello stesso negozio.


Sempre al piano superiore, a lato dell’ambiente lounge dedicato alle personalizzazioni, vi è una zona dedicata al prodotto maschile.

di Gianluca Gimini
foto di: Federica Carlet

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16 Aprile 2015

Design litico

I dispositivi costruttivi del travertino: Pavimentazioni


Piazza Garibaldi (2003-04) a Cetona, di Davide Benedetti e Stefano Borsi. Viste d’insieme della piazza e disegno della tessitura del campo pavimentale.

Il muro acquisisce spazio all’ambiente incontaminato esterno agendo nella terza dimensione, quella dell’altezza, ritagliando volumi d’aria e luce utili agli usi dell’uomo; ma è comunque al suolo che si gioca in termini lapidei la competizione più diretta con la preesistenza naturale. È del resto improprio far coincidere una pavimentazione con il solo materiale di sua finitura superficiale, poichè il piano pavimentale pone a sistema una serie di strati sottostanti, di cui la miscela equilibrata delle componenti e più in generale la fattura a regola d’arte, incidono decisamente sulla complanarità finale, sulla tenuta nel tempo, sulla resistenza alle maggiori compressioni e dilatazioni dello strato di usura, a contatto con i calpestii pedonali o con gli usi carrabili.
Il supporto dei lastricati lapidei può essere tradizionalmente continuo, come nel caso di getti, malte o sabbie, con inerti di diverse granulometrie, oppure discontinuo, come nelle occasioni solitamente pedonali, sollevato su sostegni di varia natura, a creare una separazione areata fra vero calpestio e base naturale. Nel primo caso gli spessori delle lastre, pur sempre necessariamente rapportati per dimensione ai carichi caratteristici da sostenersi, trovano un alleato prezioso nella buona composizione degli strati sottostanti; nel secondo invece le maggiori responsabilità ricadono sulle capacità della sola lastra, sui suoi spessori e resistenze specifici. La progettazione dei piani pavimentali richiede dunque particolare attenzione e precisione tecnica, se non vero e proprio calcolo, a partire dalla natura del suolo prima ancora di arrivare alla lastra tagliata dal blocco.


Trattamenti superficiali delle lastre di travertino per pavimentazioni.

La precisione è inoltre condizione necessaria del progetto pavimentale poiché, anche nei casi delle pose apparentemente meno complesse, o di quelle in cui addirittura si ricorra al materiale non ancora ricondotto a lastra e magari spontaneamente posato senza vero e proprio disegno predefinito, sono molteplici le specificazioni ineludibili, specialmente per gli spazi esterni. Ne sono alcuni esempi le eventuali diversità degli strati di supporto, le particolarità geometriche e dimensionali delle superfici d’intervento, gli usi riservati ad utenze differenziate, le pendenze naturali od artificiali sempre necessarie per la raccolta delle acque meteoriche, i salti di quota, i pezzi speciali per bordure o per compluvi, le attenzioni particolari per utenze con difficoltà motoria e localizzativa, l’integrazione d’elementi d’arredo altrettanto lapidei oppure naturali, le combinazioni con materiali altri. Tutte queste variabili riconducono quasi sempre il progetto pavimentale lapideo alla redazione di un casellario o quantomeno di un abaco, in cui ogni lastra è definita in dimensione e finitura superficiale, sia dei suoi piani sia delle sue coste.


Piazza Garibaldi (2003-04) a Cetona, di Davide Benedetti e Stefano Borsi. Viste d’insieme della piazza e disegno della tessitura del campo pavimentale.

Gli intarsi pavimentali travertini segnano così in modo preponderante i centri storici di alcune importanti città italiane, particolarmente le più prossime alle vene di cava maggiormente note.
Ci riferiamo specialmente ai cuori di Roma, Siena, Ascoli Piceno, L’Aquila, i cui estesi e preziosi calpestii lapidei, per traslato, vengono di conseguenza associati idealmente ad un modo non solo locale, ma del tutto italiano, d’intervenire nei centri cittadini. Scendendo dalla scala urbana a quella abitativa, un modo mediterraneo d’approccio al tema pavimentale, e pure consecutivamente senz’altro italiano, è quello degli sconfinamenti inter-esterni, secondo cui verande e patii estendono all’aperto le zone per le attività diurne delle residenze, od al contrario i soggiorni abitativi estendono negli interni gli spazi vivibili normalmente collocati all’aria aperta1.
La differenza tecnica nella posa di un pavimento lapideo destinato ad un interno anziché all’uso esterno, risiede nella generale condizione planare e nei minori spessori di lastra possibili in funzione dei supporti, solitamente affidabili, noti e resistenti. Ciò consente anche, per i fissaggi, di poter alternativamente ricorrere a collanti speciali anziché alle malte di natura cementizia, così come di poter eventualmente ridurre ai minimi percepibili a vista le dimensioni di giunti e fughe fra lastre, in funzione delle minori escursioni termiche e delle minori dilatazioni attese entro ambienti chiusi, prestazionalmente controllati. Da un punto di vista spaziale, l’ulteriore differenza rispetto alla pavimentazione d’esterni è costituita dalla perimetrazione mediante mura od elementi d’involucro come vetrazioni: all’aria aperta infatti il bordo delle superfici di progetto pavimentale può anche non essere verticalmente predefinito in modo altrettanto marcato.


Schemi compositivi di pavimentazioni in travertino con lastre quadrate e rettangolari.

Nella fase attuale in cui il camminare, azione connaturata all’uomo e che da sempre ne ha determinato l’idea di misura geometrica ed il tempo d’acquisizione dello spazio2, pare essere attività indebitamente sempre più confinata, esperita nei soli spazi aperti alla volta delle scoperte visive dei paesaggi costruiti ovvero di quelli naturali, i luoghi interni si sono tramutati sempre più in spazi dello stare, spazi via via dimensionalmente contenuti, nei quali si è raggiunti o si raggiunge qualcuno o qualcosa senza doversi spostare. In parallelo, alle superfici pavimentali lapidee anche interne possono allora dischiudersi possibilità e ruoli di maggiore impegno scenografico, ad aggiornare le più tipiche soluzioni del tutto e soltanto planari primariamente vocate alla deambulazione e, quanto a finitura superficiale, di piatta incontaminazione dell’epidermide levigata e liscia, in favore di scelte di maggiore variabilità e maggiore contenuto espressivo. La ricchezza di cromie e di vene dei travertini senesi implementa il ventaglio di possibilità d’accostamento, secondo le molteplici geometrie di posa.

di Alberto Ferraresi

Leggi anche I dispositivi costruttivi del travertino: Rivestimenti

Note
1 Gio Ponti, “Antica casa all’italiana”, in Amate l’architettura, Genova, Vitali e Ghianda, 1957, pp. 303.
2 Francesco Careri, Walkscapes. Camminare come pratica estetica, Torino, Einaudi, 2006, pp. 167.

Il presente saggio è tratto dal volume Travertino di Siena a cura di Alfonso Acocella e Davide Turrini

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10 Aprile 2015

News

Due progetti di Casone al Fuorisalone 2015

LITTA BEACH
di Marcio Kogan – MK27

Dal 14 al 19 aprile 2015
Salone Internazionale del Mobile di Milano

Palazzo Litta – Corso Magenta, 24
Tutti i giorni dalle 10.00 alle 19.00

Press preview lunedì 13 aprile dalle 16.00 alle 20.00

“Nel seicentesco cortile di Palazzo Litta, suggestiva e avvolgente location milanese, troverà la sua speciale collocazione l’allestimento firmato da Marcio Kogan – fondatore dello studio brasiliano MK27 e progettista di fama internazionale – e realizzato da Casone”

un progetto per Casone
organizzato da Mosca partners
in collaborazione con DAMN°
materiale pavimentazione Casone
struttura pavimentazione Capoferri
supporti tecnici Eternoivica

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Amen Studio logo Ic(r)onic

Ic(R)onic
di Amen Studio

Dal 14 al 19 aprile 2015
Salone Internazionale del Mobile di Milano

Interno18 – Via Solferino, 18
Tutti i giorni dalle 10.00 alle 21.00

“Per il Fuorisalone 2015 Casone presenta inoltre la nuova collezione Ic(R)onic, una famiglia di oggetti in marmo e Pietra serena progettata da Amen Studio – Ilaria Corrieri e Federica Ghinoi. I piccoli artefatti destinati all’ambiente domestico quotidiano saranno visibili negli spazi di Interno18”

Vai a Il Casone

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7 Aprile 2015

Opere di Architettura

River Terminal and Visitor Centre Linzhi,
Tibet, Cina, 2007-2009
Standardarchitecture

Costruire con il paesaggio
Le tre opere costruite nella regione del Linzhi appartengono a un ambiente in bilico tra la fissità del paesaggio dell’Himalaya e il movimento di quello fluviale. Lo studio cinese ha saputo tuttavia leggere in modo vario questo rapporto, inserendo delle architetture che instaurano un dialogo diverso con la natura e il paesaggio. Si tratta dunque di un approccio flessibile alle condizioni fisiche, ma allo stesso tempo riconoscibile, che cerca un equilibrio tra la natura e l’architettura.
La prima opera è l’imbarcadero sullo Yaluntzangpu situato vicino al piccolo villaggio di Pai Town, lungo il cammino che porta nel cuore della valle alle falde del monte Namchabawa. All’interno dell’edificio si trovano una sala d’aspetto, una biglietteria, i servizi e una sala di accoglienza per i viaggiatori. Il semplice volume a L avvolge una serie di pioppi, e viene definito dai percorsi e terrazze che seguono le curve di livello.
Questi accompagnano i visitatori dalla riva del fiume fino alla copertura, vero e proprio belvedere sul paesaggio.


Alcune immagini delle fasi di costruzione

Il dialogo con il luogo viene dunque ricercato percorrendo differenti strade: da un lato mettendo in relazione la geometria dell’architettura con quella del paesaggio; dall’altro attraverso la scelta dei materiali e delle tecniche costruttive. La geometria netta dell’edificio è infatti attenuata dall’impiego di un mix di pietre locali con cui sono realizzati i muri, secondo la tradizione costruttiva tibetana.
La seconda, il Centro visitatori di Namchabawa sorge vicino al precedente progetto e completa con l’approdo di Yaluntzangpu, il percorso turistico lungo il fiume. Tuttavia l’edificio svolge anche l’importante ruolo di centro civico. Per questa sua duplice funzione l’organismo architettonico è piuttosto articolato: per le attività turistiche sono a disposizione una reception, una sala informazioni, un magazzino, un deposito bagagli, gli uffici per le guide turistiche e gli autisti, e i servizi. Per la comunità di Pai Town è invece a disposizione una sala di incontro, un internet bar, una cisterna d’acqua e una centrale elettrica. Per gestire la complessità funzionale richiesta, l’edificio è stato impostato su un sistema di muri in pietra locale che lo suddividono in fasce longitudinali dove sono distribuiti gli spazi serventi e gli spazi serviti. La loro centralità viene sottolineata dalla frattura visiva tra la copertura in cemento, dalle cui aperture passa la luce, e la pietra lasciata a vista anche all’interno degli spazi maggiori.


Veduta del complesso dall’ingresso

Il terzo intervento, anch’esso un Centro di accoglienza turistica, è situato presso il villaggio di Daze, lungo il cammino di Mirui, un itinerario che segue i meandri del fiume Niyang.
L’edificio segue le condizioni fisiche del sito, in modo da stabilire relazioni con l’intorno, superando la separazione tra il fiume e le montagne, dovuta alla presenza della strada. Definite cosí le sue linee esterne, per realizzare lo spazio pubblico interno si è ricorsi al principio di sottrazione. La “corte” centrale collega le quattro aperture disposte secondo le esigenze di orientamento. All’interno della massa lasciata dallo scavo, sono accolte le varie funzioni, quali la biglietteria, il guardaroba per i visitatori che vogliono fare rafting e i servizi. La pianta dell’edificio, che sembra casuale segue invece le esigenze funzionali, i percorsi e la conformazione del sito. Il carattere geometrico ma irregolare del volume stesso vuole cercare un dialogo con il paesaggio roccioso circostante.


Veduta degli ampi spazi interni, destinati ai visitatori, del Namchabawa Visitor Centre

La costruzione impiega e sviluppa tecniche costruttive tradizionali tibetane, come le murature portanti in pietra di 60 cm di spessore. La copertura è ottenuta con due orditure di travi di diversa dimensione e uno strato di 15 cm di argilla Aga copre la membrana impermeabile.
Nelle superfici murarie all’interno della “corte”, in un primo tempo erano stati applicati colori vivaci, legati a particolari cromie della cultura visiva tibetana.
Successivamente è stato preferito il bianco, applicato direttamente sulla pietra. In questo modo non solo si è richiamato il colore tipico della spiritualità tibetana, come nel Potala Palace, ma si è evitato che i colori molto intensi entrassero in conflitto con le viste, distraendo il visitatore.

di Angelo Bertolazzi


Veduta di un accesso alla corte interna del Niyang River Visitor Centre

Scheda tecnica
Titolo dell’opera:
Namchabawa Visitor Centre
Indirizzo: Pai Town, Linzhi, Tibet, China
Data di progettazione: 2007
Data di realizzazione: 2008
Committente: Tibet Tourism Ltd.
Architetti: standardarchitecture
Project team: Zhang Ke, Zhang Hong, Hou Zhenghua, Claudia, Taborda, Maria Pais de Sousa, Gai Xudong, Sun Wei, Yang Xinrong, Wang Feng, Liu Xinjie, Sun Qinfeng, Huang Di, Chen Ling
Collaboratori: China Academy of Building Research, Tibet Youdao Architecture Associates
Direzione lavori: Tibet Yicheng Construction Ltd.
Strutture: Cheng Dafeng
Impresa di costruzione: Wang Wenqiang
Materiale lapideo utilizzato: Granito Locale
Fornitura e installazione della pietra: Impresa locale

Per una documentazione completa dell’opera Download PDF

Rieditazione tratta da Glocal Stone, a cura di Vincenzo Pavan pubblicato da Marmomacc

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31 Marzo 2015

News

Cronaca di “…per esempio, la pietra: Aristotele aveva torto”


Guido Laudani, senza titolo

“Nulla di ciò che è per natura può assumere abitudini ad essa contrarie: per esempio, la pietra che per natura si porta verso il basso non può abituarsi a portarsi verso l’alto, neppure se si volesse abituarla gettandola in alto infinite volte”. Questo sostiene il grande filosofo Aristotele (nella sua Etica Nicomachea nel Libro II detto del Giusto mezzo, IV sec. a.C.). Se leggiamo tale stralcio solo valutando il riferimento alla pietra fatto dal discepolo di Platone – sbaglieremmo a circoscrivere il ragionamento solo a questo, ma diamoci ora tale limitazione – possiamo affermare che egli aveva torto. Perché? Perché sappiamo quanto il materiale lapideo sia modellabile e come l’uomo sia riuscito a condurlo verso l’alto, a quote vertiginose: sfidando la legge gravitazionale. Tale temerarietà costruttiva ha retto nel tempo e quando è finita rovinosamente in caduta libera lo è stata e lo è a causa, quasi sempre, di distrazione, scellerata incompetenza e colpevole dolo umani. Ma questa è un’altra storia; quella che attiene al nostro approfondimento riguarda, invece, la pietra che sta su nell’architettura: sia nel caso di realizzazioni litiche solide, strutturali, molto comuni nel passato, sia come rivestimento, più o meno sottile, applicato sugli edifici specialmente dal Novecento, che poi nella progettazione più recente consentono – nelle migliori delle ipotesi – esperimenti sempre più intrepidi.


Claudio Nardulli, Prua

Risulta alquanto incredibile rendersi conto di come un elemento tanto solito nella vita delle persone – siano esse più cittadine sia più a contatto con la Natura –, e comune nell’Architettura e nelle Arti visive, per esempio, sia poco riconosciuta nelle sue diversità tipologiche e sia tanto parte del panorama quotidiano, specialmente a Roma, da essere diventato invisibile ai più. Eppure, posiamo i nostri piedi sulla pietra, materia concreta tanto quanto fortemente celebrativa e simbolica.
Ciò detto, lo sguardo fotografico di Guido Laudani, Claudio Nardulli, Claudio Orlandi, Rita Paesani e Giovanna Zinghi cerca di fare chiarezza su questa realtà e di riconsegnare immagini di materiali lapidei maneggiati appositamente per diventare parte della Città eterna. Di questo territorio, la straight photography1 dei nostri autori anatomizza solo costruzioni moderne e contemporanee: per allontanarsi da significati aggiunti che la remota storia porta con sé ed evoca; ed anche da una visione oleografica che quasi fatalmente la Capitale sollecita. Prescindendo dalla sua ricchezza e delle sue declinazioni antiche, ci interessa, pertanto, una considerazione che tenga conto delle più odierne entità fisiche costruttive urbane e delle tensioni dinamiche correlate di cui le foto qui esposte ci danno un’estrema sintesi geometrica.


Claudio Orlandi, senza titolo

Pietra e astrazione, insomma, sono le dominanti di quello che i nostri autori tirano fuori dal paesaggio urbano. Ovviamente, ognuno con la propria cifra stilistica: Guido Laudani, assecondando la sua propensione enciclopedica atta a catturare il lato speciale della e nella normalità, prendendo dettagli di scale e corrimani marmorei che appaiono come curve, rettangoli che si fanno trappole per esaltare il chiaroscuro; Claudio Nardulli, radicato nella pratica scultorea e nella specialistica conoscenza dei materiali – anche in quanto architetto –, scoprendo incavi e prue in bianchi edifici del Novecento e riassumendo l’ardimento monumentale in espansioni in successione. Claudio Orlandi modula i contrasti cromatici, attenua o esalta porzioni dello spectrum2 con calibrato equilibrio, indicando piani e superfici a richiamare l’astrattismo pittorico; Rita Paesani, guidata dal suo eccellente occhio fotografico, evidenzia fughe e incastri che si animano di luminescenze marmoree magnificate proprio dalla predominante asciuttezza compositiva; Giovanna Zinghi, sostenuta dalla sua formazione come architetto, dopo la sua erranza tra le strutture romane le riassume svuotate di narrazione storica per dare protagonismo a trasversali, verticali e ortogonali. In tutte le immagini è cercata la ritirata dalla Fotografia più strettamente realistica, dalla figurazione, dal bel panorama… La riconoscibilità delle strutture rappresentate e, anzi, tutto l’insieme che le connota come architetture identificabili, non sono più – e volutamente – agili perché è favorita l’ambiguità che emerge grazie al peculiare punto di vista di ognuno dei singoli autori.


Giovanan Zinghi, senza titolo

Che si tratti del Foro italico (Paesani, Orlandi), dell’Eur e dell’Ara Pacis (Zinghi), della Città Universitaria La Sapienza (Nardulli), dei comprensori di quartiere (Laudani), del Ponte del Brasini (Paesani) ha relativa importanza, per i nostri fotografi: quel che per loro e nei loro lavori spicca è ciò con cui tali manufatti sono prodotti o ricoperti – travertino, granito, ardesia, tufo, marmo, porfido – e il loro manifestarsi attivatori di porzioni di astrazione, di ritmo e combinazioni schematici.
Vediamo, pertanto, immortalate delle “impalcature matematiche” che – come giustamente già affermava Salvador Dalì – non “uccidono” la magnifica “aspirazione dell’artista” per la fallace idea che esse siano troppo essenziali e irrigidite; diversamente da quanto da lui ipotizzato, però, tale griglia geometrica non è escamotage a cui affidarsi come “guida alla simmetria” e per “non avere da pensare e riflettere”.


Rita Paesani, Astratto litico

[photogallery]aristotele_album[/photogallery]

La scelta visiva praticata da Guido Laudani, Claudio Nardulli, Claudio Orlandi, Rita Paesani e Giovanna Zinghi, anzi, innesca il “pensiero” e accompagna proprio alla “riflessione”: scattando su edifici dove – abbiamo detto – la pregnanza litica è consistente, ci consegnano la loro ricerca certosina del particolare, il singolare orientamento diretto alla decontestualizzazione figurativa in funzione di una sintesi e di un minimalismo compositivi; ed è proprio grazie a questa posizione selettiva, minuziosa, trasversale e analitica, di cui la loro Fotografia si fa paladina, che si crea un approdo a un nuovo protagonismo del materiale. Esso si evidenzia sia a livello fisico, reale, sia poetico, concettuale. Non solo. Si palesa il dialogo proficuo tra Estetica e Spazio e tale colloquio, ricomposto nelle loro belle, nette fotografie, è motivo di novella conoscenza: e, per citare ancora il filosofo maestro (Platone), in fondo in fondo, “La conoscenza che la geometria cerca è quella dell’eterno”.

di Barbara Martusciello

Note
1 Sadakichi Hartmann, A Plea for Straight Photography, in “Camera Work”, 1904
2 Roland Barthes, La chambre claire, Gallimard, Paris, 1980

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30 Marzo 2015

News

Omaggio a Gaudì ad Alghero

Generazioni di artigiani catalani si alternano, da oltre 130 anni, sulle bastidas del Temple Expiatori de la Sagrada Família. E proprio da lì nasce l’omaggio di Sciola al grande architetto Antoni Gaudì, alla città di Barce(l)lona e al popolo catalano. Sessanta tubi “Innocenti”, semplici attrezzature al servizio dell’edilizia, con un gioco di giunti e di piccoli attrezzi agricoli si trasformano in architetture plastiche e fantastiche… colonne infinite protese verso il cielo.
Un mistico elogio alla Natura e all’architetto, costruttore di organismi dotati di vita.
In occasione della Setmana Santa, la città di Alghero farà da scenario a tali opere. Un percorso articolato tra diverse piazze cittadine culminante nella grande esposizione, magicamente amplificata, ospitata all’interno della Torre di San Giovanni.
L’esposizione verrà inaugurata sabato 28 marzo alle ore 10.30 presso la Biblioteca del Mediterraneo e sarà visitabile sino al 19 aprile 2015.
La mostra è organizzata dall’Amministrazione Comunale in collaborazione con la Fondazione M.E.T.A e l’associazione NoArte PaeseMuseo.

Omaggio a Gaudì ad Alghero
di Pinuccio Sciola
Alghero – Torre di San Giovanni e piazze cittadine
28 marzo – 19 aprile 2015

Maggiori informazioni su www.alghero-turismo.it o mail@paesemuseo.com

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23 Marzo 2015

Opere di Architettura

La pietra ritrovata


© Hannes Henz

Nella cultura occidentale la pietra rappresenta l’atto stesso del costruire e la sua solidità è il riferimento per l’architettura domestica: la costruzione di pietra diventò così l’aspirazione di tutti i centri abitati e il metro di paragone per ogni architettura. Gli insediamenti e gli edifici in pietra diventarono in questo modo un’aspirazione culturale e un traguardo tecnologico, a cui si associava la prosperità e la stanzialità dell’abitare.
Questa cultura costruttiva che caratterizza principalmente l’area mediterranea si irradia in alcune regioni montuose delle Alpi, come testimoniano molti antichi borghi che traggono origine dalla natura e dalla pietra del luogo. Tra questi c’è il borgo di Scaiano, nel Canton Ticino, a ridosso del confine italiano, formato da un fitto tessuto residenziale che si affaccia sul lago Maggiore. Le trasformazioni sociali ed economiche degli ultimi decenni hanno trasformato questi edifici in case per le vacanze o in alberghi diffusi. Tali trasformazioni, se non controllate, rischiano di distruggere le testimonianze della cultura costruttiva ticinese: il loro recupero richiede un approccio sensibile ma che non per forza deve rifugi sterile arsi nella conservazione o peggio scadere nel finto vernacolo.


© Hannes Henz

Il progetto di Wespi De Meuron ha saputo individuare un giusto equilibrio tra conservazione e innovazione, prendendo delle scelte coraggiose. L’edificio è costituito da un volume di tre piani e da un aggiunta successiva. La costruzione si trovava in condizioni precarie: le murature erano pericolanti a causa del crollo totale o parziale delle strutture lignee orizzontali, ad eccezione della volta in pietra del piano terra, un tempo adibito a cantina.
Invece della costruzione di nuovi solai che un restauro meramente conservativo avrebbe consigliato, gli architetti hanno scelto una strada differente per dare un valore aggiunto all’edificio. All’interno delle murature originali in pietra è stata inserita una struttura di calcestruzzo armato che serve allo stesso tempo da sostegno del perimetro murario e ad accogliere i nuovi ambienti della casa, raccordando le differenti quote. Solo la copertura è stata realizzata in legno, insieme ad alcune contro-pareti interne.


© Hannes Henz

Gli obbiettivi di tale scelta sono stati molteplici, di carattere architettonico e tecnico. Da un lato la volontà di lasciare alla pietra e ai muri il ruolo di protagonisti sia esternamente che intermente. L’arcaica semplicità delle murature non doveva essere cancellata dal nuovo intervento, ma valorizzata. Da questo la scelta di utilizzare superfici lisce in cemento armato, pareti calde in legno o piani trasparenti per le finestre e alcune partizioni interne. Dall’altro invece la necessità di consolidare la struttura esistente e di rendere abitabile gli ambienti secondo gli standard attuali, ha stimolata la ricerca verso una soluzione che rendesse riconoscibile questo consolidamento, senza falsità o inganno. L’utilizzo della struttura in cemento armato ha consentito anche di portare maggiore luce negli ambienti senza dover modificare l’aspetto esterno.


© Hannes Henz

Benché in questo progetto non sia stata impiegata “nuova” pietra, il recupero e la valorizzazione di quella esistente ci indica una via con cui affrontare il recupero e la valorizzazione di antichi edifici, reinserendoli nella contemporaneità.

di Angelo Bertolazzi


Clicca sull’immagine per ingrandire

Scheda tecnica
Progettisti: Wespi de Meuron Romeo architects
Localizzazione: Scaiano (Svizzera)
Pietra: Pietra Locale
Anno: 2014
Fotografie: Hannes Henz

Vai a:
Archdaily.com
Metalocus.es
Hanneshenz.ch

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16 Marzo 2015

News

…per esempio, la pietra: Aristotele aveva torto


Senza titolo, Giovanna Zinghi

Architettura, Fotografia e studio del materiale lapideo si confrontano in questa mostra che vuole essere un primo appuntamento sul tema affrontato dalla curatrice Barbara Martusciello e trattato dagli autori Guido Laudani, Claudio Nardulli, Claudio Orlandi, Rita Paesani, Giovanna Zinghi.


Rettangolo Aureo, Rita Paesani

Il progetto muove da un interrogativo: Aristotele aveva torto, sostenendo –  nella sua Etica Nicomachea, nel Libro II detto del Giusto mezzo, IV sec. a.C. – che “Nulla di ciò che è per natura può assumere abitudini ad essa contrarie: per esempio, la pietra che per natura si porta verso il basso non può abituarsi a portarsi verso l’alto, neppure se si volesse abituarla gettandola in alto infinite volte”? Poiché è provato, invece, quanto il materiale lapideo sia manipolabile e come l’uomo sia riuscito a lavorarlo portandolo ad altezze vertiginose, sfidando la legge gravitazionale, allora sì: Aristotele, da tale punto di vista, aveva torto. Questo è lo spunto alla base di questa esposizione fotografica – la prima a fare in tal modo il punto su questo argomento – titolata, appunto, “…per esempio, la pietra: Aristotele aveva torto”.


CaCO3, Claudio Nardulli

Attraverso lo sguardo di cinque autori sono fermate immagini della città moderna e contemporanea (in questo caso: Roma) lontanissime da una visione oleografica e vicine a un’analisi dei materiali dei suoi edifici e delle sue architetture di pietra; queste sono considerate nei dettagli tanto che la riconoscibilità delle strutture rappresentate non è più – e volutamente – agile in favore di un’ambiguità che emerge grazie al peculiare punto di vista fotografico. Tutte le fotografie immortalano la realtà selezionata con una pratica della decontestualizzazione figurativa in funzione di una semplificazione e di un minimalismo compositivi che svelano l’astrazione delle architetture. Che si tratti del Foro Italico (Paesani, Orlandi), dell’Eur (Zinghi), della Città Universitaria La Sapienza (Nardulli) o della banalità del quotidiano dei palazzoni romani, di androni e scale di comprensori di quartiere (Laudani) è secondario, per i nostri fotografi: quel che spicca è ciò con cui tali manufatti sono prodotti o ricoperti – travertino, granito, ardesia, tufo, marmo, porfido – e che concorre a una visione che restituisce un ritmo cadenzato e le tensioni dinamiche evidenziate sino alla loro estrema sintesi geometrica.


Trittico, Claudio Orlandi

I graditi ospiti saranno intrattenuti da degustazioni biologiche offerte da Officina Agricola Terra di Sapori e di Saperi.


Senza Titolo, Guido Laudani

Info
…per esempio, la pietra: Aristotele aveva torto | # 1 |
Guido Laudani, Claudio Nardulli, Claudio Orlandi, Rita Paesani, Giovanna Zinghi – Mostra fotografica | A cura di: Barbara Martusciello
Testi: della curatrice; altro contributo critico: Alfonso Acocella, Professore Ordinario di Design presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara
Inaugurazione: domenica 22 marzo 2015 dalle ore 11,30
Dal 22 al 31 marzo 2015 | Centro Culturale Elsa Morante, Piazzale Elsa Morante, Roma -Tel.: 06.50512953 – Orari: 9-19 dal lunedì al venerdì;  11-19 sabato e domenica. Tel. 06.50512953; info.elsamorante@zetema.it; Tel. 060608 dalle 9.00 alle 21.00
Light and Exhibit Design: Paolo Di Pasquale_www.paolodipasquale.com
Grafica e comunicazione visiva: KGfree | design for humans: www.kgfree.com
Mediapartner:
Architettura di Pietra Journal architetturapietra2.sviluppo.lunet.it;
Material Design – www.materialdesign.it
Sponsor tecnico: Officina Agricola Terra di Sapori e di Saperi,  terradisaporiedisaperi@gmail.com – cell:  3421614199

Parcheggio free; un modo per raggiungerci con i mezzi pubblici: Metro B, stazione Laurentina e bus 776 con fermata P. Elsa Morante

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12 Marzo 2015

Letture

NEW FUNDAMENTALS OF NATURAL ARCHITECTURE.
Stereotomie contemporanee di Fallacara e Stigliano


La copertina del volume

Nel volume New Fundamentals of Natural Architecture, gli autori Giuseppe Fallacara e Marco Stigliano sviluppano la loro riflessione sulla stereotomia, una pratica costruttiva che si basa sull’impiego di sistemi resistenti per forma, murati a secco in pietra o in legno, partendo da due interrogativi: che cosa è fondamentale per l’architettura? Che cosa è fondamentale per l’architetto? Fallacara e Stigliano rispondono a queste domande mediante la presentazione di alcuni loro lavori architettonici progettati grazie a tecnologie digitali e caratterizzati dall’uso stereotomico dei materiali. Questi progetti sono divisi in cinque temi fondamentali: i muri-involucro, le coperture-scocche, i diaframmi portanti, gli archetipi e il form finding.


Giuseppe Fallacara, Alveare-Hive, progetto, 2013.

La tipologia del muro-involucro litico è sviluppata dagli autori in due loro opere molto recenti: la Symbolic World Cup Structure, una struttura da realizzare a Rio de Janeiro in occasione dei Mondiali di Calcio del 2014 e lo Alveare-Hive, immaginato in conci tipo assemblabili di pietra leccese, realizzati mediante il sistema di taglio assistito CAD-CAM. La copertura-scocca consiste in un involucro ligneo autoportante sotto cui è possibile “ospitare una molteplicità di eventi e attività che favoriscano le vitalità delle aree pubbliche”, come nel caso della proposta Bologna: di nuovo in centro, o che serva da “copertura da abitare”. Il progetto della sede della società francese SNBR, la cui attività è la lavorazione della pietra, permette agli Autori di approntare un’idea basata sul sistema del diaframma portante: si tratta di una serie di arcate litiche con l’intradosso modellato sulla curva delle pressioni a cui l’arco è soggetto, e l’estradosso che ricalca una linea retta.


Giuseppe Fallacara, Marco Stigliano, Bologna: di nuovo in centro, progetto, 2013.

I progetti per due monumenti, quello della Navigazione a Trani e quello in memoria delle vittime del terremoto dell’Aquila del 2009, danno a Fallacara e a Stigliano la possibilità di ripensare la forma del monumento “che risponde con la sua carica iconica alle istanze di rappresentatività di un concetto”. Il form finding è un pensiero alla cui base sta la tendenza della materia ad autorganizzarsi, come nel caso delle strutture la cui forma deriva dalla “figurazione di equilibrio sotto carichi applicati”. Anche per tale tipologia gli autori presentano due loro progetti: quello per la riqualificazione della barese piazza Moro e Berlinguer e quello per un parco urbano nel quartiere Japigia, sempre a Bari.
Completano il volume, dall’impaginazione elegante e raffinata e con buona parte dei testi anche in lingua inglese, la prefazione di Brandon Clifford, già Belluschi Lecturer al MIT e tre capitoli, a firma rispettivamente di Nicola Boccadoro, Micaela Colella e Maurizio Barberio, intitolati Ripensare Musmeci: il form finding oggi, Nuovi fondamenti dello spazio voltato lapideo e Nuovi strumenti per la produzione architettonica.

Giuseppe Fallacara e Marco Stigliano, New Fundamentals of Natural Architecture, Roma, Aracne Editrice, 2014, pp. 121, ill., euro 25,00.

di Costantino Ceccanti

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9 Marzo 2015

News

Michele de Lucchi. Baracche e Baracchette


MICHELE DE LUCCHI. BARACCHE E BARACCHETTE
10 marzo | 4 aprile 2015

Milano | Antonia Jannone | Disegni di Architettura

Inaugurazione 10 marzo ore 18.30

“Le mie baracche e baracchette sono fatte di legno. Tanti pezzetti di legno incollati insieme con pazienza. È la colla la pazienza.
Senza, le baracche non diventano baracche. Hanno i tetti piccoli piccoli o grandi grandi. Non ci sono vie di mezzo perché non esiste convenzionalità e regola compositi va. Le proporzioni sono casuali ma mai fuori luogo. Difficile riconoscere porte e finestre che del resto non sono necessarie a priori. In una vera baracca possono essere aperte o chiuse in ogni momento e in ogni posizione. Nulla è definitivo. Nulla è immutabile. Nulla è eterno. Le baracche siamo noi”

Michele De Lucchi

Nuovo appuntamento con Michele De Lucchi alla Galleria Antonia Jannone di Milano. S’intitola Baracche e baracchette la mostra che inaugura il 10 marzo 2015 e che si compone di circa 20 sculture in legno di noce e alcuni disegni.
Realizzate nel corso del 2014, le baracche di Michele De Lucchi appaiono come strutture tremolanti e composizioni approssimative dalle geometrie sconquassate, ricche di dettagli. Particolari studiati con cura nella combinazione dei materiali e nella scelta cromatica. Più ci si avvicina più ricco diventa l’insieme, più intelligente la soluzione costruttiva.

Vai a Antonia Jannone

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