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Monoliti in travertino per il design urbano

Travertino Sant’Andrea da tre generazioni estrae e lavora il travertino di Rapolano Terme, nella provincia senese. Negli anni l’azienda è cresciuta coniugando la forte identità territoriale e l’attenzione nei confronti della tradizione costruttiva storica con l’aggiornamento continuo dei processi di lavorazione e con una costante ricerca di nuovi linguaggi espressivi.
Utilizzando i travertini delle proprie cave, Travertino Sant’Andrea propone al mercato una vasta produzione, dai semilavorati ai prodotti finiti per pavimentazioni, rivestimenti, elementi architettonici, realizzati secondo specifiche tecniche standard o personalizzate.
Oggi la gamma dei prodotti si arricchisce di due nuove linee: Arredo Dipietra, una serie di oggetti monolitici per l’urban design; Micene, un sistema costruttivo di blocchi litici posati a secco, per realizzare murature ciclopiche in opere pubbliche, interventi di design del paesaggio e progetti di recupero ambientale.


Seduta in travertino della linea Arredo Dipietra, design Augusto Mazzini. (foto Arrigo Coppitz)
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Grazie alla preziosa collaborazione con progettisti quali Augusto Mazzini, Marco Visicaro, Raffaela Zizzari e lo Studio Paladini di Firenze, l’azienda, con la linea Arredo Dipietra, realizza sedute semplici o composte, dissuasori, fioriere e altri oggetti per lo spazio pubblico dal design contemporaneo, raffinato ed essenziale. Tutti i prodotti sono in elementi monolitici di travertino, tagliati grazie all’impiego del filo sagomatore diamantato a controllo numerico.


Muro di contenimento realizzato con il sistema costruttivo Micene. (foto Arrigo Coppitz)

Micene è un sistema di blocchi di travertino grossolanamente squadrati con cui realizzare muri di recinzione, setti di sostegno, rilevati stradali, scogliere artificiali, parapetti e opere di contenimento anche in ambienti particolarmente aggressivi come marine, lagune, zone costiere. I principali vantaggi di Micene stanno nella rapidità ed economia di esecuzione, nella durevolezza e nell’assenza di manutenzione, nel basso impatto ambientale.

di Davide Turrini

(Visita il sito Travertinosantandrea)

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6 Luglio 2005

Letture

Material Stone, Constructions and Technologies for Contemporary Architecture

CHRISTOPH MÄCKLER (a cura di)
Material Stone, Constructions and Technologies for Contemporary Architecture
2004, Basel, Birkhäuser – Publishers for Architecture, pp. 213, 200 ill., 50 dis.
CHF 109.-/ euro 65.-
www.birkhäuser.ch


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Material Stone è pubblicazione che conferma quanto il dibattito culturale relativo alle tecnologie applicative nell’architettura contemporanea sia intenso nel vasto ambito del rapporto fra materia-costruzione e prova come la scelta della “pietra” effettuata da architetti di fama internazionale come Michael Graves, Frank O. Gehry, Mario Botta o Richard Meier, abbia acceso l’attenzione sui concetti di monoliticità e trasparenza, nella dialettica tra pesantezza/leggerezza innescata dall’utilizzo spesso coniugato di materiali “della tradizione” e nuove tecnologie.

Christoph Mäckler, progettista di Francoforte e docente a Dortmund, ha personalmente curato l’edizione del volume Material Stone divulgando riflessioni maturate in due decenni di esperienza nella didattica universitaria e nel campo dell’architettura costruita con la forte carica materica e ponderale della pietra naturale, del laterizio e dei conglomerati cementizi.
È lo stesso Mäckler a rivolgere il libro a chi, studioso o progettista, si sia formato all’architettura attraverso “i nuovi materiali” (acciai, vetri e plastiche; con autentica franchezza è Mäckler stesso ad inserirsi tra questi) per proporre invece un avvicinamento ai fondamentali principi che governano l’uso dei materiali pesanti nell’architettura.

È alla “tradizione moderna” che sono ancorate le riflessioni contenute in “Material Stone” ed il recente passato delle esperienze architettoniche del Novecento risulta il punto di partenza irrinunciabile per evolvere il discorso sulle grammatiche tecnologiche dell’architettura. Come fondale, in particolare, sono assunte le opere dei grandi architetti tedeschi predecessori quali Fritz Höger e Hans Poelzig, particolarmente cari al curatore, ma anche primeggiano le figure di Hendrik Berlage, Le Corbusier, Louis Kahn, Mies van der Rohe.
I numerosi disegni di dettaglio e l’ampio repertorio di illustrazioni a colori, disvelano la matrice tecnologica sottesa alla trattazione degli argomenti ed alla interpretazione dei progetti architettonici presentati. Le stesse opere architettoniche di Mäckler sono documentate con disegni e foto nei diversi capitoli del libro.

Il corpo principale del volume è costituito da contributi di autori conosciuti internazionalmente. Vittorio Magnago Lampugnani, Fritz Neumeyer, Stanislaus von Moos e Hubertus Adam indagano la pietra come materiale che ha conferito il carattere di permanenza alle città, ne studiano l’espressività ed il significato presentando opere del passato ed attualizzandole nel riferimento costante ai temi dell’odierno panorama dell’architettura.
Concorrono alla riabilitazione del sapere costruttivo della tecnologia connessa alla pietra naturale i saggi di Friedrich Müller ed Arnold Wolff, dedicati l’uno alle metodiche di estrazione e trattamento della pietra, l’altro alle tecniche di restauro e di consolidamento.
È precisa scelta del curatore quella di ampliare l’orizzonte dello “Stile litico” sino ad abbracciare il territorio spesso considerato come secondario dell’architettura realizzata in “pietra ricostruita” (“cast stone”), sezione approfondita da David Bennett, per giungere sino alle costruzioni in laterizio (“pietra ricostruita” ante litteram), la cui trattazione è affidata allo storico dell’architettura Piergiacomo Bucciarelli.
Particolare enfasi è data alla pietra naturale nell’Appendice, a conclusione del volume, che illustra le caratteristiche di disegno e i cromatismi di una selezione di 116 litotipi.

Veronica Dal Buono

Indice dei contenuti del volume:

Christoph Mäckler – Intoduction
Fritz Neumeyer – The work of material stuffs, regarded “superficially”
Vittorio Magnago Lampugnani – Technology, industrialization, materiality, simlicity, thoughts on a reflective modernity
Stanislaus von Moos – Stone and semblance
Friedrich Müller – Extraction and working of natural stone products
Christoph Mäckler – Building with stone, constructive design possibilities
Hubertus Adam – Questions of artistic tact, natural stone in architecture
Arnold Wolff – Restoration and maintenance, a case study of Cologne Cathedral
David Bennett – Cast reconstructed stone
Piergiacomo Bucciarelli – Brick an clinker, from ostracism to rediscovery
Illustrations of selected varieties of natural stone.

Il presente volume per i tipi di Birkhäuser è attualmente alle stampe solo in versione inglese e può essere richiesto a:
Birkhäuser – Press and Public Relations
Gisela Graf, Martin Hofmann
press@birkhauser.ch
Phone: +41 61 2050745
Fax: +41 61 2050799

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4 Luglio 2005

News Pietre dell'identità

Terra di Pietra: 1° Concorso Internazionale di design per il marmo di Custonaci

Custonaci (Trapani) è uno dei più importanti centri marmiferi della Sicilia: nella zona si contano circa 200 cave di marmo su una superficie di tre chilometri.
Per promuovere e diffondere la conoscenza di questo territorio, che racchiude un bacino di materiale lapideo di grandissimo pregio, e per diffondere la cultura del design valorizzando l’uso dei marmi di Custonaci, il Comune siciliano bandisce un concorso internazionale per individuare e sperimentare nuove tipologie che si prestano ad estendere ulteriormente l’utilizzo dei materiali locali.
Si rivolge a designer, architetti, ingegneri, classi o corsi di studenti di Università e Accademie in Italia e all’estero.
Richiede la presentazione di progetti inediti per nuovi usi ed applicazioni del marmo nell’ambiente urbano e nel paesaggio extraurbano. Al progetto vincitore sarà assegnato un premio in denaro e per i progetti più interessanti è prevista la realizzazione del prototipo. Sarà inoltre realizzata una mostra per la presentazione al pubblico degli elaborati di concorso.

Il concorso si svolge nell’ambito del progetto “Il Museo diffuso di Monte Cofano – Progetto integrato per la promozione, la fruizione attiva e la valorizzazione delle risorse culturali e ambientali”, finanziato dalla Regione Siciliana, Assessorato Beni Culturali, Ambientali e della Pubblica Istruzione. È stato promosso dal sindaco di Custonaci Alberto Santoro, ideato dalla società AIRA di Palermo e si avvale della collaborazione del Dipartimento di Design dell’Università degli Studi di Palermo.

Terra di Pietra è patrocinato dall’ADI (Associazione per il Disegno Industriale), dalla Provincia di Trapani, dall’Ordine degli Architetti di Palermo, dall’Assindustria di Trapani, dal Consorzio Regionale Lapis, dal Consorzio Perlato di Sicilia e dall’ A.P.I. Trapani.

Per informazioni: www.montecofano.it

(Tratto da Infobuild)

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2 Luglio 2005

Recensioni

La recensione di Universal Stone

Universal Stone
Quest’opera, al pari di poche altre (Magenta, Repetti, Zaccagna), è destinata a rimanere nella storia del settore, perchè costituisce davvero una “summa”, che muove dalle origini dell’impiego nell’antico Egitto, per giungere, infine, alle tecnologie più moderne. In tale ottica, ogni recensione rischia di apparire riduttiva, ed allora, qualche numero può essere di aiuto: la bibliografia, riportata in rigoroso ordine cronologico, comprende citazioni di oltre 350 testi. Le fotografie, in larga maggioranza dell’Autore, raggiungono la bella cifra di 1830. I riferimenti a personaggi ed a luoghi, consultabili nei rispettivi indici, sono addirittura un migliaio.
Il prof. Acocella, che è Ordinario di Tecnologia dell’Architettura presso l’Università di Ferrara, ha dedicato un intero quinquennio alla preparazione di questo prestigioso volume, in cui vive, al di là di una professionalità d’avanguardia, e di un esempio straordinario per quanti si avvicinano al mondo settoriale, il “mal della pietra” che coinvolge coloro che, a vario titolo, operano nel comparto con impegno genuino e con la forza trainante della volontà. In questo senso, i meriti dell’Autore sono davvero “top”, anche per avere dimostrato l’idoneità del marmo e della pietra ad esprimere il massimo, sia nel campo tecnico, sia in quello culturale.
A questi meriti si uniscono le benemerenze degli Editori, che hanno programmato con lungimiranza non priva di coraggio la pubblicazione di questa poderosa opera “in folio”, da raccomandare innanzi tutto a progettisti ed architetti, per l’esauriente trattazione di ogni categoria significativa d’impiego (muri, colonne, architravi, archi, superfici, coperture, pavimenti); ma anche ai marmisti, per il competente approfondimento tecnico, in funzione, tra l’altro, delle specifiche idoneità.
Un motivo di fondo che vale la pena di sottolineare è l’assunto secondo cui il prodotto lapideo risulta vincente nella prova più importante, quella del tempo: affermazione che, nell’opera di Acocella, risulta suffragata da una miriade di esempi probanti, e non certo da un giudizio sintetico a priori, tipico di ogni dogmatismo.
Da qualche tempo a questa parte si sente dire, sia pure in modo precettistico ed avulso da valide basi scientifiche, che marmi e pietre non sarebbero più attuali, anche nel confronto con taluni materiali alternativi. Ebbene, coloro che insistono a ruota libera in tale atteggiamento apodittico, sono pregati di rimandare il loro giudizio, e di consultare propedeuticamente il volume di Acocella, o quanto meno, di sfogliarlo. La forza del lapideo, del resto, non risiede soltanto nella sua tecnologia, ma prima ancora nella sua storia.
Per farla breve, il settore ha un grosso debito di riconoscenza nei confronti dell’Autore, e dei collaboratori che hanno contribuito alla stesura dell’opera (Gabriele Lelli, Davide Turrini, Alessandro Vicari), e dei traduttori (Alice Fisher e Patrick John Barr), tuttora impegnati per consentirne la più ampia diffusione internazionale. Certamente, in un lavoro come questo, non è difficile scorgere, per dirla con lo stesso Acocella, “l’anima che lo ha ispirato”. Quella stessa anima che, secondo Agostino Del Riccio, rende il marmo vivo, o meglio, eterno.

Expò di Lisbona del 1998. Padiglione del Portogallo (1995-1998) di Alvaro Siza.
Expò di Lisbona del 1998. Padiglione del Portogallo (1995-1998) di Alvaro Siza. (Foto di G. Lelli)

On a par with only a handful of others – Magenta, Repetti, Zaccagna – this book is set to go down in sectorial history. Indeed, it is an out and out summary, which starts with the origins of the use of stone in Ancient Egypt, following through to the most modern technologies. As a simple review of the book could appear restrictive, we decided to bring a few figures to the readers’ attention. The bibliography, listed in chronological order, comprises quotations from over 350 texts. The photographs, the overwhelming majority of which were taken by the author himself, total an amazing 1830. The references made to people and places, which can be consulted in the respective indexes, are an incredible thousand or so.
Professor Acocella, who has the Chair of Technology and Architecture at Ferrara University, dedicated five years to writing this outstanding book. Besides cutting-edge professionalism and an extraordinary example to those who are thinking of working in this sector, the book also describes “stone addicts”, namely those who work in the sector with genuine commitment and the driving strength of their own will. The author, therefore, deserves a top rating, especially because he managed to demonstrate that marble and stone are quality materials, both in the technical and cultural fields.
The Editors’ merit can be added to this, as they far-sightedly and indeed courageously planned the publication of this important “in-folio” book. They decided it be recommended first and foremost to designers and architects, because of the exhaustive reports about all the important categories of use (walls, columns, architraves, arches, surfaces, roofing, flooring); but also to marble-cutters, due to the competent and indeed thorough technical analysis according to specific fields of work.
One basic reason worth underlining is that stone products have passed the most important test, that of time. In Acocella’s work, this statement is backed by a myriad of probative examples, rather than the brief a priori opinions which are so typical of other publications.
For some time now, we have been hearing that marble and stone are no longer topical materials, although indeed these statements lack any valid scientific base, even in their comparison with alternative materials. Anybody insisting on this should be asked to defer their opinion, and carefully consult Acocella’s book, or at the very least leaf through it. Moreover, the strength of stone is not only in its technology, but more importantly in its history.
In short, the sector has a huge debt to acknowledge to both the author and those who contributed to drafting this book (Gabriele Lelli, Davide Turrini, Alessandro Vicari), as well as the translators (Alice Fisher and Patrick John Barr), who are still busy working to ensure the very widest international circulation. One thing is certain, however, in a book such as this, it is not difficult to discern, to use Acocella’s words, “the soul which inspired it”. That same soul which, according to Agostino Del Riccio, makes marble alive, or better, eternal.

Dieses Werk ist wie wenige andere (Magenta, Repetti, Zaccagna) dazu bestimmt, in die Geschichte des Sektors einzugehen, weil es eine wahre Sammlung darstellt, die mit dem Ursprung der Verwendung des Steins im alten Ägypten beginnt und bis zu den modernsten Technologien von heute reicht. In dieser Hinsicht ist jede Rezension überflüssig, wir erwähnen deshalb ein paar Zahlen: Die in streng chronologischer Reihenfolge aufgelistete Bibliografie umfasst Zitate aus über 350 Büchern. Die Zahl der überwiegend vom Autor selbst stammenden Photografien beträgt 1830. Die Zahl der Personen und Orte, auf die hingewiesen wurden und die in einem entsprechenden Index konsultiert werden können, beträgt etwa eintausend.
Prof. Acocella – Ordinarius für Technologie der Architektur an der Universität von Ferrara hat der Vorbereitung dieses großartigen Werkes fünf ganze Jahre gewidmet. Man fühlt, neben seiner Professionalität und seinem beispiellosen Einsatz buchstäblich sein “Steinweh”, eine Sehnsucht, die all jene befällt, die mit Leib und Seele im Steinsektor tätig sind. In dieser Hinsicht sind die Verdienste des Autors erstklassig, auch weil er bewiesen hat, dass die Identität von Marmor und Stein – sowohl im technischen als auch im kulturellen Bereich – eine unübertreffliche Ausdruckskraft besitzt.
Anerkennung gebührt auch dem Verlagshaus, welches die Veröffentlichung dieses großartigen Werkes mit Weitsicht programmiert hat. Das Buch ist auf Grund der ausführlichen Behandlung aller wichtigen Einsatzkategorien (Mauern, Säulen, Tragbalken, Balken, Oberflächen, Verkleidungen, Fußböden) vor allem Planern und Architekten zu empfehlen. Aber auch Steinmetze finden darin wertvolle Hinweise, was die spezifische Eignung der Materialien für die verschiedenen Einsätze betrifft. Ein weiterer wichtiger Grund, der erwähnt werden sollte, ist die These, gemäß der das Steinprodukt in dem wichtigsten Härtetest – nämlich dem Test der Zeit – der absolute Gewinner ist. Eine Behauptung, die im Werk von Acocella von einer Reihe von Beweisen gestützt wird und nicht von einer voreiligen, synthetischen Beurteilung.
Seit geraumer Zeit hört man immer wieder, – vorschriftsmäßig und von wissenschaftlichen Grundlagen untermauert – dass Marmor und Stein im Vergleich zu einigen Alternativmaterialien nicht mehr aktuell sind. Denjenigen, die so sehr darauf bestehen, sei empfohlen, das Werk von Acocella zu konsultieren oder wenigstens durchzublättern. Die Stärke des Steins ist nicht nur in seiner Technologie zu sehen sondern vor allem in seiner Geschichte.
Zusammengefasst schuldet der Sektor dem Autor und dessen Mitarbeitern, die zu der Verwirklichung dieses Werks beigetragen haben (Gabriele Lelli, Davide Turrini, Alessandro Vicari), große Anerkennung – das gleiche gilt für die Übersetzer (Alice Fisher und Patrick John Barr), die noch immer an der Arbeit sind, um das Werk auch international veröffentlichen zu können. Bei einer Arbeit wie dieser ist es nicht schwer, “der Seele, die dazu inspiriert hat, gewahr zu werden” (wie es Acocella ausdrückt. Denn – wie Agostino Del Riccio sagt – ist es genau diese Seele, die den Marmor zum Leben erweckt und ihn ewig werden lässt.

Esta obra, como poucas outras (Magenta, Repetti, Zaccagna), tende a permanecer na história do setor, visto que constitui realmente a “suma”, desde as origens do emprego no antigo Egito, atè chegar, finalmente, nas tecnologias mais modernas. Nesta ótica, cada recensão corre o risco de parecer mínima e, portanto, alguns números podem constituir um auxílio:
a bibliografia, fornecida em ordem cronológica rigorosa, inclui citações de mais de 350 textos. As fotografias, na maioria do Autor, chegam a 1830. As referências a personagens e lugares, consultáveis nos respectivos índices, são cerca de mil.
O prof. Acocella, que è Ordinario de Tecnologia da Arquitetura na Universidade de Ferrara, passou cinco anos inteiros preparando este prestigioso volume, no qual vive, alèm da profissionalidade de vanguarda, e de um exemplo extraordinário visto que se aproximam do mundo setorial, o “mal della pietra” que envolve as pessoas que, por tantos motivos, trabalham na repartição com empenho genuíno e com força de tração da vontade. Neste sentido, os mèritos do Autor são realmente “top”, inclusive por ter demonstrado a identidade do mármore e da pedra exprimindo o máximo, quer no campo tècnico, quer naquele cultural.
A este propósito, unem-se as benemerências dos Editores, que programaram com clarividência e com tanta coragem a publicação desta poderosa obra “in-folio”, aconselhável em primeiro lugar aos encarregados de projeto e arquitetos, por tratar satisfatoriamente cada categoria significativa de emprego (paredes, colunas, aquitraves, arcos, superfícies, coberturas, pavimentos); mas tambèm aos marmoreiros, pelo competente aprofundamento tècnico, de acordo, entre outras coisas, com as idoneidades específicas.
Um motivo de fundo que vale a pena exaltar è o assunto segundo o qual o produto lapídeo resulta vencedor na prova mais importante, o tempo: afirmação que, na obra de Acocella, resulta sufragada por uma miriade de exemplos que provam, e não por um julgamento sintètico prèvio, típico de cada dogmatismo.
Há algum tempo ouve-se falar, teoricamente de bases científicas válidas, que mármores e pedras não seriam mais atuais, atè comparando com alguns materiais alternativos. Muito bem, rogamos àqueles que insistem com este comportamento evidente, que retardem o seu julgamento, e consultem inicialmente o volume de Acocella, ou no mínimo, desfolhem-no. A força do material lapídeo, não está somente na sua tecnologia, mas antes de mais nada, na sua história.
Sintetizando, o setor há uma grande dívida de reconhecimento com o Autor, e os colaboradores que contribuíram para a redação da obra (Gabriele Lelli, Davide Turrini, Alessandro Vicari), e dos tradutores (Alice Fisher e Patrick John Barr), atè o momento comprometidos para consentir a máxima difusão internacional. Logicamente, num trabalho como este, não è difícil distinguir no próprio Acocella, “a alma que o inspirou”. Aquela mesma alma que, segundo Agostino Del Riccio, torna o mármore vivo, ou melhor, eterno.

Esta obra, como pocas otras (Magenta, Repetti, Zaccagna), está destinada a permanecer en la historia del sector, porque constituye realmente una suma, que parte desde los orígenes de la utilización en el antiguo Egipto para llegar, finalmente, hasta las tecnologías más modernas. Desde dicha óptica, toda reseña corre el riesgo de parecer restrictiva, pues entonces algunos números pueden ser de ayuda: la bibliografía, reproducida en un orden cronológico riguroso, incluye citas de más de 350 textos. Las fotografías, en su gran mayoría del autor, alcanzan la gran cifra de 1830. Las referencias a personajes y lugares, que pueden consultarse en los índices correspondientes, son nada menos que un millar.
El Prof. Acocella, quien es Profesor Titular de Tecnología de la Arquitectura en la Universidad de Ferrara, ha dedicado un lustro completo a la preparación de este prestigioso volumen, en el que vive, más allá de una profesionalidad de vanguardia y de un ejemplo extraordinario para quienes se aproximan al mundo sectorial, el “mal de la piedra” que involucra a aquellos que, en distintas actividades, operan en el sector con un compromiso genuino y con la fuerza pujante de la voluntad. En este sentido, los mèritos del autor son en verdad “top”, incluso por haber demostrado la identidad del mármol y de la piedra expresando lo máximo, tanto en el campo tècnico, como en el cultural.
A dichos mèritos se agregan los de los editores, que han programado con una previsión audaz la publicación de esta poderosa obra en folio, recomendable ante todo a proyectistas y arquitectos, por el exhaustivo tratamiento de cada categoría de uso significativa (muros, columnas, arquitrabes, arcos, superficies, coberturas, pisos); pero tambièn a marmolistas, por la especializada profundización tècnica, en función, entre otras cosas, de idoneidades específicas.
Un tema fundamental que vale la pena destacar es la hipótesis según la cual el producto lapídeo resulta vencedor en la prueba más importante, la del tiempo: afirmación que, en la obra de Acocella, es sostenida por una incontable cantidad de ejemplos que la prueban y ciertamente no por un juicio sintètico a priori, típico de todo dogmatismo.
De un tiempo a esta parte se oye decir, incluso por bases científicas válidas de manera normativa e individual, que mármoles y piedras ya no son actuales, incluso en comparación con ciertos materiales alternativos. Pues bien, a aquellos que insisten a rienda suelta en dicha actitud apodíctica, se les ruega posponer su opinión y consultar a modo de propedèutica el volumen de Acocella o, al menos, hojearlo. Por otro lado, la fuerza del lapídeo no reside sólo en su tecnología, sino aún más en su historia.
Para abreviar, el sector tiene una gran deuda de reconocimiento con el autor y los colaboradores que han contribuido a la redacción de la obra (Gabriele Lelli, Davide Turrini, Alessandro Vicari) y con los traductores (Alice Fisher y Patrick John Barr), aún comprometidos en permitir su más amplia difusión internacional. Ciertamente, en un trabajo como èste no es difícil vislumbrar, para decirlo con palabras del propio Acocella, “el espíritu que lo ha inspirado”. Ese mismo espíritu que, según Agostino Del Riccio, le da vida al mármol o, mejor aún, lo torna eterno.

(Universal Stone, Aprile/Giugno 2005)
(Visita il sito Universal Stone)

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Stili tecnologici plastico-murari

A seguito della crisi ambientale connessa alle tecnologie costruttive a largo uso di materiali artificiali e seriali, abbiamo assistito negli ultimi decenni alla riconsiderazione critica e alla rivalorizzazione dei materiali naturali, sia sul piano teorico che su quello della prassi esecutiva, rivolta oltre che agli interventi di recupero e conservazione anche a quelli di nuova edificazione.
A livello personale, spero, di aver dato un qualche contributo in tale direzione con le ricerche che mi hanno visto impegnato per circa un ventennio sulla riabilitazione della tecnologia laterizia. Numerosi e diversificati convincimenti mi hanno animato in tale azione. Fra tutti – indubbiamente – per importanza mi è apparso proprio la perdita di identità, di radicamento ai diversi ambiti territoriali di appartenenza, da parte della nuova architettura a largo uso di materiali artificiali standardizzati nelle prestazioni, nelle soluzioni costruttive, negli assetti materici finali.
Riguardando, invece, a ritroso in Italia le logiche insediative e l’utilizzo delle risorse che hanno accompagnato la trasformazione dei territori dall’incontaminata natura alla formazione dello spazio storico antropizzato, è invece evidente come la diversa e specifica costituzione geologica, orografica e vegetazionale dei luoghi ha offerto per molti secoli sigilli inequivocabili per fissare lo spirito dei centri abitati.
Con la riabilitazione della tecnologia a base laterizia abbiamo inteso produrre, alla fine, un recupero di tradizione costruttiva soprattutto per quella estesissima area territoriale di ambito sovraregionale individuabile a larghe maglie nella pianura Padana.
In questa vasta area (contrassegnata dall’assenza pressochè totale di masse rocciose e dall’estensione veramente cospicua di terreni argillosi), si respira – principalmente – la diffusione e la predominanza all’uso del laterizio sia pure, spesso, alternato ed impreziosito dall’integrazione di altri materiali (legno, intonaco o pietra utilizzata nei nodi di maggiore rilevanza costruttiva).
Evocare le immagini di alcune di queste città e dei loro territori come nel caso di Torino, Mantova, Cremona, Parma, Bologna, Ferrara, Ravenna ecc. significa, inequivocabilmente, richiamare alla mente i profondi ed incancellabili segni lasciati sul volto delle città dal “rosso mattone”.
Ma anche in tante aree geografiche a ridosso degli Appennini è facile rilevare una presenza rimarchevole del laterizio; basti pensare a Siena, ad Urbino, a Macerata, a Roma o ai tanti centri storici minori dove la semplice continuità dei tetti a falde con manti di coppi infonde unitarietà e familiarità agli insediamenti.
A queste aree soprattutto il nostro sguardo era rivolto conducendo le ricerche sulla tecnologia laterizia tentando di gettare un ponte, librato sulle macerie del Moderno, capace di riconnettere, in qualche modo, il presente al recente passato, troppo spesso frettolosamente dimenticata da parte dalla cultura architettonica egemone del Novecento.


Monolite di travertino di Rapolano al taglio con filo diamantato

Le “Pietre delle citta d’Italia”.
Conclusosi questo ciclo di ricerca – fortunato sotto il profilo editoriale e delle influenze esercitate, come qualcuno ha sottolineato, entro la prassi realizzativa italiana recente – avendo atteso invano, in tutti questi anni, un analogo lavoro ad opera di altri studiosi che investisse la tecnologia a base lapidea (l’altro caposaldo della gloriosa tradizione costruttiva del Paese) progressivamente mi ha intrigato l’idea di avviare una esplorazione sul tema dell’architettura di pietra . Il web site che ospita questo Post scriptum è la testimonianza ultima di tale impegno.
Ciò al fine di rendere omaggio all’ampia varietà e ricchezza tipologica delle rocce del Paese (dalle Alpi alla lunga dorsale appenninica, dagli altopiani pugliesi e all’orografia del tutto individuale delle Isole maggiori) che ha offerto generosamente materiali all’azione costruttiva contribuendo a contrassegnare peculiarmente l’architettura urbana e rurale dei diversi territori .
“Anche fra le pietre che da sole improntano l’aspetto edilizio di qualche città – evidenzia Francesco Rodolico nel suo bellissimo libro “Le pietre delle città d’Italia” che ogni architetto dovrebbe leggere – le differenze sono tali da colpire il viaggiatore più distratto: i calcari compatti di Trento, di Brescia, d’Assisi o di Sulmona, quelli teneri di Lecce o di Noto; il travertino di Ascoli Piceno; l’arenaria grigia di Cortona o quella giallastra di Volterra; gli gneiss di Bellinzona; il tufo vulcanico di Viterbo; la lava etnea di Randazzo. Nè differenze di tanto rilievo si notano solo tra città lontane; l’accennato frazionamento geologico agisce anche sul breve spazio, differenziando città vicine, sotto questo particolare aspetto.”
Com’è noto la tradizione all’uso delle pietre in architettura – ancor più di quanto sia avvenuto per la tecnologia laterizia – ha registrato, soprattutto nella seconda metà del XX secolo, un forte ridimensionamento applicativo con una specializzazione d’uso che ha ricondotto tali materiali alla limitata funzione ornamentale, sottoforma di lastre sottili per rivestimenti parietali o superfici orizzontali di calpestio.
È forse il momento anche qui di riprendere a studiare i lasciti di tradizioni costruttive plurisecolari e, insieme a queste, le condizioni e i materiali suscettibili di un uso tecnologicamente avanzato ricercando anche un aggiornamento dei modi applicativi.
D’altronde, salvo pochi casi, ogni regione d’Italia possiede integro, ancora oggi, un rilevante patrimonio di materiali lapidei da costruzione che è pensabile – soprattutto a fronte delle nuove e potenziate tecnologie di escavazione e di trasformazione che investono la lavorazione della materia grezza di cava – poter rivalorizzare, sia pur in modo non generalizzato ed estensivo come nell’architettura del passato.
Oggigiorno, se si escludono i materiali di pregio (quali sono i marmi che oramai individuano una categoria indirizzata prevalentemente al rivestimento ornamentale attraverso semilavorati in forme di lastre sottili), restano di potenziale utilizzo architettonico – a fini strutturali o quantomeno collaborativi alla costituzione degli involucri murari – i graniti, i travertini e soprattutto l’ampia famiglia delle pietre che si offrono attraverso una diversificata distribuzione geografica e una relativa facilità di trasformazione soprattutto per le cosiddette “pietre tenere”. È il caso, in particolare, dei materiali lapidei correnti dell’Italia centro-meridionale che – oltre ad essere contraddistinti da parametri di economicità e facilità di taglio in conci squadrati o sagomati – posseggono considerevoli requisiti di resistenza, di compattezza, di buon aspetto.
Fra questi, poi, possiamo ancora evidenziare le varie tipologie di tufi che si possono vantaggiosamente lavorare in blocchi di ogni forma e il cui uso, ancora vivo e diffuso, informa i caratteri ambientali ed urbani di regioni quali l’Umbria, il Lazio, la Campania, la Sicilia, la Puglia.
Respingendo l’atteggiamento più ricorrente indirizzato alla promozione della pietra come semplice rivestimento (nella fattispecie di lastre o masselli di pochi centimetri di spessore) alcune proposte sono di nuovo oggi indirizzate a sfruttare la suggestione corposa e massiccia dei vari strati di pietra murati in masse tali da mostrare la natura più autentica del materiale.
È da evidenziare, comunque, come all’interno di chi si è riavvicinato recentemente all’uso della pietra non sempre è riscontrabile la padronanza di una cultura progettuale ed esecutiva specifica, capace di riproporre un rapporto profondo fra pietra ed architettura.
Di qui la necessità di impostare, a vari livelli – coinvolgendo le forze più vive presenti nella cultura tecnica, nel settore produttivo, nel mondo accademico – una seria rilettura delle tradizioni a base lapidea differenti, avviando anche l’approfondimento delle nuove potenzialità connesse alla alta specializzazione ed innovazione di lavorazione dei litotipi (e anche delle “pietre ricomposte”)
Un impegno in tal senso sembra indispensabile oggi. Per quanto ci riguarda lavoreremo in tale tale direzione nei prossimi mesi.

Alfonso Acocella

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24 Giugno 2005

Recensioni

La recensione di Murature Oggi

Il panorama della letteratura architettonica si è da poco arricchito di una nuova imponente opera:
"L’Architettura di Pietra" del professor Alfonso Acocella, docente presso la facoltà di Ferrara, e già autore di numerose ed importanti pubblicazioni riguardanti soprattutto opere in laterizio.
L’obbiettivo dell’ente promotore del volume,e naturalmente dell’autore, è quello di contribuire al rilancio della cultura progettuale e costruttiva della tecnologia lapidea, che nel passato recente è stata in parte "emarginata" a causa dell’invadenza delle tecnologie più moderne.
Ma è anche vero che il repertorio di progetti recenti presentati nel volume, sia per quantità che, soprattutto, per qualità, non danno l’idea che la cultura delle costruzioni in pietra abbia avuto momenti seppur temporanei di flessione.
Infatti l’arco temporale dei progetti in pietra è così vasto e più o meno omogeneo da costituire un unicum nella cultura architettonica. E questo è avvenuto per una miriade di ragioni, le prime delle quali sono senza dubbio l’abbondanza del materiale e la relativa facilità di lavorazione.
Il termine "Pietra" è molto generico, si allarga infatti a tutta la famiglia dei litoidi; ed Acocella in questa opera analizza infatti ogni tipo di pietra, da quelle utilizzate dagli antichi Egizi e
Greci per le loro costruzioni, ai bugnati usate per i palazzi nella Firenze medievale, ai marmi del padiglione di Barcellona di Mies.
Nessuna differenza quindi in base all’origine della materia prima, ma differenziazione in base all’utilizzo dei litoidi; dal materiale grezzo da costruzione, da blocchi lasciati a vista, alle finiture esclusivamente estetiche.
Il volume non è strutturato come un manuale, nè come un saggio nè tanto meno come un repertorio di progetti. Vuole piuttosto essere qualcosa di nuovo, ovvero qualcosa che unisca queste tre categorie della letteratura architettonica e vada a colmare un vuoto esistente nella editoria tecnica, enfatizzando i variegati ed inesauribili valori culturali, costruttivi, espressivi, cromatici, ambientali, di durata, eccetera.
L’opera ci riesce benissimo, in una maniera originale che riesce ad affascinare il lettore.
Il materiale "pietra" viene analizzato non esclusivamente in chiave storica, ma viene diviso e studiato a seconda del suo utilizzo tecnologico. Ecco quindi che i capitoli del libro, dopo una introduzione sulle prime costruzioni in pietra, saranno: Muri, Colonne, Architravi, Archi, Superfici, Coperture, Suolo, Materia.
All’interno di ogni capitolo l’autore illustra la nascita e l’evoluzione delle tecnologie costruttive presentate, utilizzando sia disegni immediatamente chiari che immagini fotografiche delle opere, provenienti in gran parte dallo sterminato archivio personale dell’autore.
Il volume è quindi basato sulla contrapposizione e sul confronto fra le origini, gli archetipi, ed i temi del presente, ovvero come viene utilizzato il materiale ai giorni d’oggi, con un attento sguardo sul panorama architettonico contemporaneo nazionale ed internazionale.
La varietà dei progetti presentati è un’altra delle caratteristiche di questo volume. Come detto si va dalle piramidi egizie agli ultimi eleganti progetti dello svizzero Peter Zumthor passando pwe i marmi del Pantheon.
I progetti dal ‘900 ai giorni nostri invece coprono abbondantemente tutti i filoni estetici e tutte le correnti dell’architettura contemporanea. Questo a testimonianza ulteriore di come nel trascorrere del tempo il materiale "pietra" sia sempre stato attuale e quindi il suo utilizzo non abbia conosciuto "tempi morti".
Del resto il valore che riesce a dare anche nell’architettura contemporanea una superficie continua in pietra, ad esempio, è cosa completamente diversa dalle sensazioni date dai cosiddetti "nuovi materiali".
Quindi se da una parte può essere giustificato il timore delle categorie che per ovvi motivi hanno a che fare con le pietre, espresso appunto nella nota introduttiva, dall’altra parte ci deve essere quella consapevolezza, confermata dalla storia dell’architettura, che la duttilità di questo materiale e del suo utilizzo non è riproducibile da nessun altro prodotto.
I progetti presentati sono costituiti da una piccola ma esauriente scheda introduttiva, e presentano disegni e una gran quantità di immagini fotografiche. La densità di informazioni testuali, grafiche ed iconografiche sono inoltre presentate in una semplice ma elegante veste minimale, opera di Massimo Pucci, che riesce a catalizzare ulteriormente l’attenzione del lettore sull’opera.
Come detto il volume costituisce al momento un evento unico nel panorama editoriale, per contenuti e forme. L’autore è voluto andare oltre. L’immediato successo e la curiosità che è nata attorno al libro hanno fatto nascere nell’autore e nel suo staff la voglia di dialogo, di un dibattito sulla pietra fra gli addetti al settore.
È stato quindi creato un sito architetturapietra2.sviluppo.lunet.it che vuole essere un luogo di scambio, d’incontro dei membri della community dove potersi scambiare informazioni, una piazza virtuale insomma. Il blog_forum raccoglie già le recensioni del volume che sono state pubblicate sia su riviste cartacee che sulle cosiddette web-zine. Inoltre visitatori potranno inserire messaggi, commenti, insomma discutere di architettura ed in particolare dell’architettura fatta con la pietra. Un evento originale che sta dando buoni frutti, come dice il numero di visitatori del sito, e destinata a crescere notevolmente nei prossimi tempi.
"L’architettura di pietra" rappresenta un metodo di indagine ed analisi di un materiale che da un punto di vista architettonico nè conosce età nè è legato ad una corrente estetica particolare. Per questo il volume di Acocella colpisce e stupisce. Un libro nuovo insomma, ma che già fa parte di quella serie di volumi che bisogna avere nella propria collezione privata.

Samuele Martelli

Murature Oggi n.86 2005

(Visita il sito Murature Oggi)

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Intervista all’architetto Augusto Romano Burelli. Palazzo Bernardini, Lucca, 18 marzo 2005


Augusto Romano Burelli Ordinario di Progettazione architettonica, Iuav, Venezia

Il Professor Augusto Romano Burelli, eloquente progettista, attento conoscitore dell’architettura contemporanea e delle sue tecniche, instancabile ricercatore della classicità, nel rispondere alle nostre domande si rivela nuovamente penetrante critico.

Veronica Dal Buono: Come fondale alla nostra conversazione l’ultima opera a stampa di Alfonso Acocella. “Antichi e nuovi magisteri costruttivi” è il sottotitolo che accompagna “L’Architettura di pietra” ed anche la sua chiave di lettura; racchiusa in questa proposizione è l’intenzione di rilanciare la cultura progettuale e costruttiva della tecnologia lapidea. Quale a Suo giudizio l’apporto che l’opera offre più di altre al soggetto pietra e tecnologie?
Augusto Romano Burelli: innanzitutto il libro di Acocella rappresenta a mio avviso un modo nuovo di costruire il rapporto tra la storia del costruire in pietra ed i problemi del progetto architettonico oggi, assediato com’è dalle tecniche.
È evidente che “L’Architettura di pietra” non è stato scritto con l’intenzione di trattare della storia come storia del passato ma come storia necessaria a cambiare la condizione odierna del progetto di architettura.
È diffuso oggi da parte degli architetti un atteggiamento talvolta idolatra talvolta sottomesso nei confronti delle tecnologie contemporanee, ciò pensando di non poter più esercitare controllo sulle loro continue evoluzioni.
“Gettare la spugna dell’architetto davanti alla tecnica “: ho dato provocatoriamente questa definizione in un articolo per la rivista Bauwelt riferendomi alle tendenze nelle quali rifuggono le nuove generazioni come quella della “de-costruzione”, invocando una architettura lontana dalla produzione edilizia e dall’industria, autonoma dal “costruire” .
L’opera di Acocella vuole entrare in questa dicotomia, da una parte la concezione diffusa tra i giovani architetti che la storia non abbia più nulla da suggerire ed invece dall’altra una storia che lavora sul presente divenendo contemporanea.

V.D.B.: come potrà figurarsi secondo Lei il futuro dei materiali della tradizione costruttiva come la pietra? O meglio, vi è un futuro oltre che nella ricerca del materiale anche nella sua tecnologia applicativa e nella cultura di progetto?
A.R.B.: un futuro certo esiste ma di esso bisogna saper anticipare i caratteri; se si va a rimorchio delle convenzioni costruttive e delle esperienze del mondo non europeo, comunicateci tramite le riviste di settore ed imposteci dal mercato, è chiaro che questo futuro non lo sapremo nè usare nè dominare.
Una questione è necessario metter subito in campo, un grave problema deve precedere qualunque tipo di argomentazione sull’arte del costruire in pietra.
Prendo per esempio il caso del legno: noi italiani ne siamo importatori puri, non inventiamo le macchine che lo lavorano comprandole all’estero, le tecnologie specifiche le impariamo ed imitiamo sempre dai paesi stranieri.
Per quanto riguarda la pietra invece siamo nella situazione opposta: siamo i primi produttori europei, la importiamo addirittura dall’estero come unica testa di ponte in Europa, siamo i primi ed unici a realizzare le macchine utensili intelligenti per la lavorazione della pietra che esportiamo, gli unici che hanno sperimentato nelle aziende le pietre artificiali, i nuovi collanti e le nuove vernici.
Tuttavia non facciamo quel passo ulteriore che è la tecnologia dell’applicazione della pietra nell’architettura, lasciamo che siano gli altri paesi europei a precederci.


“Testa di Zeus”, “Il sonno della memoria”, disegni di studio di A.R.Burelli

V.D.B.: è quindi nel progetto che deve trovare sintesi la ricerca nel mondo dei lapidei. Quali lezioni si possono ancora apprendere dal passato? Facendo riferimento alle Sue opere il riferimento al “classico” è chiaramente denunciato, tuttavia non posso fare a meno di chiederLe di raccontarci quali siano stati i Suoi riferimenti, chi abbia considerato “maestri”.
A.R.B.: i modelli ideali hanno radici nel passato, lontanissime. Sto conducendo ricerche da più di vent’anni sull’architettura greca che è inizio e fine di tutte le architetture perchè in essa sono già presenti le malattie che di tempo in tempo sconvolgono, mettendo in crisi alcuni statuti dell’architettura stessa. L’architettura greca ha lavorato la pietra facendo di essa qualcosa che nessuno di noi riesce ancora a percepire: la perfezione ed il grado di necessità filosofico-tecnico-scientifico- matematico che essi hanno raggiunto.
Io amo ripetere sempre in Germania, nelle lezioni che tengo presso l’Università tedesca “i Greci sono avanti a noi come una promessa”; e parafrasando Nietzsche, “reggono come aurighi le nostre qualsivoglia culture, ne hanno in mano le briglie, ma purtroppo i cocchi, i cavalli sono inadeguati a tali aurighi”.
Per quanto riguarda l’attualità del costruire in pietra, il progetto è stato sconvolto e assediato da molteplici fatti.
Pensiamo all’architettura in pietra dallo stupefacente risultato tecnico-scientifico che è ad esempio il Didymaion, tempio di Apollo a Didima in Asia minore; un grande tempio oracolare non finito, con fughe perfette da un millimetro lunghe cinquecento metri, esatte. Pensiamo alle grandi maestranze che lavoravano la pietra e con cui l’architetto lavorava fianco a fianco; ancora per esempio Palladio, strepitoso, Bernini e Borromini sconvolgenti, il mio prediletto Francesco di Giorgio Martini.
Le esperienze del passato sono inevitabilmente decapitate da ciò che sta avvenendo nel cantiere contemporaneo, ovvero la progressiva sparizione degli artigiani. Già a fine ottocento cessano di esistere quelli che riuscivano a realizzare due superfici che venivano a contatto in modo esatto come nell’Atene periclea; dalla fine della guerra in poi, nel secolo che si è appena concluso spariscono gli artigiani banali, comuni. Quindi cosa accade nel mondo tedesco, che è quello che più conosco? Non essendoci più l’artigiano e essendo dunque il cantiere in mano a manodopera senza formazione specializzata, si costruiscono i pezzi in stabilimento ed il cantiere si sta trasformando in opera di puro montaggio da parte dei montatori specializzati delle ditte fornitrici dei componenti. Questa è la grande differenza, il pensiero pratico che scompone il tutto in semplici elementi.

V.D.B.: cosa pensa invece dell’architettura contemporanea italiana?
A.R.B.: l’architettura italiana contemporanea ha un deficit di credibilità politecnica, per non dire tecnico scientifica. Le scuole di architettura erano in principio una gemmazione delle Écoles des Beaux-Arts, con una piccola iniezione di carattere tecnico-scientifico. Ma in Italia anche le materie tecnico scientifiche insegnate nelle scuole di ingegneria non sono affatto “tecnico-tecnologiche”.
Questo deficit esiste, rimaniamo abbagliati dalle applicazioni delle tecnologie che chiamo “fini” dell’architettura non europea, le applichiamo in modo puro-visibilista, guardando solo al fenomeno finale e quindi, inevitabilmente, non in tutti i settori ma in molti siamo alle dipendenze di conoscenze altre, non propriamente fatte “nostre”.

V.D.B.: quali strumenti per sostenere, rivalutare, insegnare l’architettura?
Mostre, riviste, concorsi d’architettura, premi, fiere… il web, sono strumenti che possono dare considerazione e ausilio al progetto d’architettura?
A.R.B.: qualunque strumento può essere utile se usato in modo critico. Quello che manca in Italia è la critica. Noi non sappiamo correggere i nostri difetti perchè non li critichiamo; qualunque strumento è buono ma qualunque cosa di particolare succeda, progetti male o ben riusciti, nessuno lo riporta. Talvolta persino la pubblicistica di settore riporta errori nel descrivere tecnicamente i progetti, ma cosa ancor peggiore, non ne è neppure consapevole. Questo perchè non si può comprendere l’opera di architettura se non ne si è capita la tecnica.
Noi non facciamo critica e non facendola non capiamo a che stadio di arretratezza ci troviamo, illudendoci poi che il talento naturale che indubbiamente abbiamo rispetto agli stranieri, cresciamo infatti nella placenta nutritiva che sono le città storiche d’Italia, sia sufficiente a colmare il vuoto che ci distanzia da loro.


“Il progetto e l’assedio delle tecniche”, disegno di A.R.Burelli

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18 Giugno 2005

Eventi

Architettura di pietra: un convegno a Rimini

Architettura di Pietra
Immagine della città antica e della città moderna attraverso la lettura critica di antichi e moderni processi costruttivi per la qualità dello spazio pubblico

Giovedi 23 giugno 2005 | pomeriggio
ore 15.00 – 18.00
Partecipazione gratuita

Presentazione:
Seguendo il senso solo apparentemente provocatorio di un aforisma di Nietzsche, contenuto in Umano troppo umano, affermiamo attraverso le parole del filosofo: “La pietra è più pietra che una volta”. La materia litica si ripresenta a noi, in un eterno presente, riconoscibile ed identica a se stessa come quella del passato; pietra che attende di ricevere oggi – al pari di ogni passato – un’interpretazione, una modalità applicativa specifica, una valorizzazione.
In un’epoca in cui i materiali sembrano perdere ogni consistenza, assottigliandosi, alleggerendosi – a volte addirittura negandosi – la “pietrosità della pietra”, la sua materiale compattezza e pesantezza, sta ancora oggi a sostanziare un significato che può apparire scontato, ovvio, ma che in realtà ci restituisce il senso più autentico e peculiare della materia. La logica combinatoria delle pietre, al di là di ogni specifica configurazione geometrica di partenza, è ancora oggi quella del “cumulo”, del “concatenamento” murario; ciò che conta, sotto il profilo statico, è che i materiali rispettino le regole di “legamento” collaudate e codificate dal tempo, da una secolare tradizione, da un canone costruttivo.
Da queste stimolazioni, attraverso una lettura critica della città antica e dell’immagine della città moderna, durante il convegno, sarà possibile entrare in contatto con diverse stimolazione della progettualità che interviene nello spazio urbano.

Coordinamento e organizzazione: Alfonso Acocella

Programma:
Inizio lavori ore 15.00

L’Architettura di Pietra: tracce di pietra, di carta e di web
Alfonso Acocella –
Università di Ferrara

Il settore lapideo in Italia: produzione e consorzi di valorizzazione e promozione
Davide Turrini –
Università di Ferrara

L’Architettura Orizzontale: il piano di calpestio e la pavimentazione nel progetto di riqualificazione della scena urbana
Marcello Balzani –
Università di Ferrara

Fine lavori ore 18.00

(Vai a EuroP.A.)

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15 Giugno 2005

Recensioni

La recensione di AL (Architetti Lombardi)

L’architettura litica
Agosto 1999 – settembre 2004, data d’inizio e di fine “lavori”; 1.850 immagini pubblicate tra fotografie (in gran parte inedite, a cura dell’autore) e disegni realizzati appositamente; 624 pagine complessive; questi sono solo alcuni dati che dovrebbero servire per farsi un’idea della dimensione dell’opera.
L’autore, Alfonso Acocella, ordinario di Tecnologia dell’architettura presso la Facoltà di Architettura dell’Ateneo di Ferrara, non è nuovo ad imprese del genere: basta citare L’architettura del mattone faccia a vista (1989) o L’architettura dei Luoghi (1992), due volumi realizzati per le Edizioni Laterconsult di Roma, rispettivamente di 440 e 584 pagine e con oltre 700 immagini ognuno che, credo, possono considerarsi come antenati della sua ultima “fatica” letteraria.
Ma, a parte la mole, quello che colpisce maggiormente è la dichiarazione di voler tentare di costituire una “nuova architettura” per questo tipo di volumi: “Nuova nella individuazione e nella strutturazione dei contenuti, nuova nello sguardo portato sul tema attraverso i diversi apparati iconografici, nuova nell’articolazione e gerarchizzazione dei livelli di informazione” e “nella progettazione grafica e nella comunicazione del tema”. Dunque, non si tratta più di un “semplice” trattato o manuale e neanche di un libro di storia o di critica d’architettura, ma di un’opera “a cavallo dei vari generi”, che coglie gli aspetti più importanti di ogni singola “famiglia” facendoli interagire tra di loro.
Sicuramente i promotori dell’opera, l’autore e la Lucense di Lucca, devono aver pensato (almeno per un attimo, in questi cinque anni) anche di realizzare un “prodotto interattivo e multimediale”, ossia un Cd, meno costoso e più veloce da fare, ma troppo spesso, spacciato come il “vero” prodotto “moderno”. In realtà occorre distinguere tra essere “alla moda” ed essere “moderni”. Il volume di Acocella è moderno, nel senso che rigetta “vecchi” schemi – è proprio il caso di dirlo, visto che da almeno un secolo non si realizzano più trattati di architettura – e ne propone uno nuovo “contemporaneo”. Inoltre, il libro “prosegue” con un blog sul sito architetturapietra2.sviluppo.lunet.it dove si possono trovare post scriptum inediti, recensioni già pubblicate, commenti dei lettori, ecc.
I capitoli sono: Gli Inizi, Muri, Colonne, Architravi, Archi, Superfici, Coperture, Suolo e Materia. L’autore ne propone una lettura trasversale individuando tre ambiti tematici: i fondamenti (le “basi” progettuali), i modi (la “tecnica”, le prassi esecutive) e le opere contemporanee (gli esempi).
Infine, come succede per opere di questo genere, ogni lettore può divertirsi a stabilire un proprio percorso, a scegliere il capitolo più assonnante al modo di progettare, a cercare gli esclusi (personalmente ho trovato poco Schinkel) o quell’opera che ci sembra non meriti la pubblicazione, ecc., ma la prima “cosa da fare” è acquistare il volume o, ancora meglio, farselo regalare.
Igor Maglica

(AL, Architetti Lombardi n. 3, 2005)

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12 Giugno 2005

Recensioni

La recensione di d-Architettura

“L’Architettura di pietra. Antichi e nuovi magisteri costruttivi”

Giulia Pellegrini. Una complessa architettura riunisce e compatta un tema molto vasto, diffuso, ma già trattato in maniera consistente. Qual è l’apporto che questo libro più degli altri ci offre?
Alfonso Acocella. Ritengo che l’apporto più originale de “L’architettura di pietra” – o quanto meno l’aspetto che più ha interessato il suo autore – riguardi la modalità di avvicinamento e di restituzione del tema disciplinare, oggetto, prima, di analisi e, poi, di racconto, di narrazione.
Cercare di penetrare l’essenza dell’architettura per coglierne, soppesarne, godere – anche, alla fine – il fascino della materia, la magia dell’opera, è stato l’obiettivo di fondo e il campo di azione della lenta preparazione de “L’architettura di pietra”; specchio, in sostanza, del percorso intellettuale che ha alimentato l’opera a stampa di cui ora ne discutiamo i risultati.
Andare incontro frontalmente all’architettura o immergersi nel suo modellato cavo fatto di spazialità, di luci, di ombre esprime la volontà di essere partecipi dell’opera, di intercettarne le aspettative del suo creatore, del costruttore e – allo stesso tempo – trasmetterne, comunicarne i caratteri, il valore in qualche modo, a chi giunge in quell’intrigante crocevia del libro interpretabile come medium in cui convergono l’opera, l’autore/i, lettore/i.
Ripristinare i “ponti concettuali” fra architettura contemporanea ed architettura antica – quella delle origini, fondativa e incancellabile per la cultura di progetto – rappresenta il tentativo, simmetrico, di conferire evidenza ad una temporalizzazione circolare del tema discioìplinare dove “inizi” e “presente” si trovano non separati e distanti, ma vicini e dialoganti.

G. P. “L’Architettura in pietra” potrebbe appartenere indifferentemente a vari generi: si può interpretare come un manuale, un trattato, un repertorio, ma anche come una monografia. Qual è la corretta chiave di lettura? Oppure l’intento era proprio quello di raggiungere questa pluralità?
A. A. Opera a stampa di natura polifonica mi piace definire “L’architettura di pietra”. Genere trans_disciplinare, trans_temporale di libro d’architettura. La chiave di fruizione proposta dall’autore ai lettori suggerisce uno spostarsi, un muoversi fra le pagine del libro con partecipazione, curiosità, disponibilità alla suggestione sia delle grandi narrazioni dell’architettura di pietra ma anche alla scoperta dei dettagli, dei piccoli gioielli litici quali rovine, lacerti, frammenti di un mondo che fu ma che ancora può parlarci.

G. P. L’impostazione grafica, elegante e accurata, riflette l’impianto rigoroso di tutto il lavoro. Come si legano i contenuti presentati alle scelte di carattere grafico?
A. A. La convergenza di contenuti di diversa natura e provenienza (fondamenti teorici, regole e prassi costruttive, trattazioni critiche di opere di architettura ecc.) all’interno de “L’architettura di pietra” non ha voluto perseguire la soppressione delle diverse valenze e dei caratteri d’origine. La ricerca di un progetto grafico unitario nel suo insieme ma articolato e differenziato nelle singole parti ha costituito, sin dall’avvio della nostra ricerca, un obiettivo centrale per la comunicazione dei suoi contenuti.
Assi centrali di pagina, capaci di alimentare sia in simmetria (offrendo una sorta di omaggio alla composizione “architettonica”, ma anche “tipografica”, tradizionale) che in asimmetria (in analogia con il linguaggio e la tendenza “maggioritaria” della ricerca artistica contemporanea), individuano le linee ordinatrici – invisibili, ma estremamente efficaci – delle lunghe fasi e sequenze impaginative del libro.
Da cinquemila scansioni di partenza sono state selezionate circa duemila immagini. Intorno ad esse e ad un denso, serrato, concatenato tessuto di testi – ma anche intorno agli spazi bianchi accuratamente “dimensionati” e “dislocati” fra immagini e testi – ruota il senso della elaborata costruzione editoriale del volume. Precisione, rigorosità, sequenzialità logica – ma anche “colpi di scena” impaginativi – scandiscono ritmicamente, dall’interno, il racconto de “L’architettura di pietra”.
L’impegno per pervenire ad una “buona scrittura” speriamo ben valga il tempo prezioso dei lettori là dove la forza delle immagini, spesso, da sola, sembra esprimere con immediatezza più di mille parole l’ineguagliato Statuto dell’architettura di pietra.

G. P. La struttura del lavoro è definita e riconoscibile. Ognuna delle otto sezioni, che prendono il nome dai vari elementi costruttivi, è conclusa da una serie di progetti che esemplificano il contenuto della sezione. Quale il criterio per la scelta delle opere?
A. A. Il criterio adottato per la scelta delle opere di architettura, selezionate e proposte al lettore, potrebbe recitare: qualità, intensità, rappresentatività – in termini di “continuità” o di “innovazione” rispetto al tema costruttivo di riferimento (Muri, Colonne, Architravi, Archi, Superfici, Coperture, Suolo) – delle opere. Le opere d’architettura a cui si è dedicato spazio significativo e approfondimento autonomo sono declinate “temporalmente” al presente, per scelta deliberata al fine di sottolineare il valore della pietra quale risorsa viva per il progetto contemporaneo. Scorgiamo alla fine del nostro lavoro selettivo, qualche eccezione, qualche “edificio” che cerca di apparire “architettura” fra le molte opere autentiche di architettura, testimonianza dei rapporti di colleganza, o se si vuole delle azioni inevitabilmente imperfette degli individui, anche quando questi cercano di essere Autori imparziali.

“d’Architettura” 26, 2005
(Vai a d’Architettura)

Laboratorio di prove sui materiali dello I.A.U.V. a Mestre
Laboratorio di prove sui materiali dello I.A.U.V. a Mestre di Francesco Venezia (foto di Davide Turrini)

Giulia Pellegrini. The book’s complex structure gathers and condenses a vast, wide-ranging subject that has already been well covered. What contribution does this book make beyond what others have given us?
Alfonso Acocella. I think that the original contribution of “L’Architettura di Pietra” – or at any rate, the aspect that most interested its author – has to do with its methods for exploring and reformulating a disciplinary theme, subject first to analysis and then to story, to narration.
Its fundamental objective was to penetrate the essence of architecture, to grasp it, weigh it, and ultimately enjoy the fascination of the material, the magic of the work. This was the scope of action of the long preparation of “L’Architettura di Pietra”. It essentially mirrors the intellectual path that informed this published work of which we are discussing the results.
Facing architecture head-on or immersing ourselves in its fashioned hollow, made of space, light and shadow, expresses the desire to participate in the work, to tap into the expectations of the creator, the builder, while somehow conveying it, communicating its characters, its value, to those who come to the fascinating intersection of the book, which we can understand as a medium in which the work, the author (s) and the reader (s) converge.
Repairing the “conceptual bridges” between contemporary and historic architecture – the original architecture, fundamental and indelible for the history of architectural planning – is a symmetrical attempt to draw attention to a circular temporalization of the disciplinary issue in which “origins” and “present” are not separate and apart, but close and dialoguing.

G. P. “L’Architettura in Pietra” could easily belong to various genres. It could be seen as a manual, a treatise, a catalogue, or it could be a monograph. Which is the correct interpretative key? Or was the intent to achieve this plurality?
A. A. I like to call “L’Architettura di Pietra” a polyphonic printed work. A cross-disciplinary, cross-temporal type of architecture book. The author’s usage suggestions to the readers involves a movement, a traveling among the book’s pages with participation, curiosity, and openness to its impressions, both of the great narrations of the stone architecture and the discovery of details, small lithic jewels such as ruins, fragments, pieces of a world that once was and can still speak to us.

G. P. Its precise, elegant graphic layout reflects the meticulous organization of the entire work. How are the presented contents connected to the graphic choices?
A. A. The convergence of contents of varying type and origins (e.g., theoretical foundations, construction rules and practices, critical reviews of architecture works) in “L’Architettura di Pietra” tried to avoid smothering the diverse values and base characteristics. Graphic design that was unified as a whole, yet articulated and differentiated in the individual parts, was a primary objective from the start for conveying its contents.
There are central page axes, which can be taken both symmetrically (a sort of homage to “architectural” composition as well as traditional typography) and asymmetrically (fitting with the language and “majority” trend of contemporary artistic pursuits) identifying the organizing lines – invisible, but highly effective – of the book’s long layout phases and sequences.
About two thousand images were chosen from about five thousand original scans. The sense of the book’s elaborate editorial construction revolves around these images and a dense, linked fabric of texts and around carefully sized and “spread out” white spaces between the images and texts. Precision, rigor, logical sequencing – plus dramatic layout effects – rhythmically and internally pace the story of “L’Architettura di Pietra”.
We hope the effort to create “good writing” makes it worth the readers’ valuable time when the force of images on their own often seems to express the incomparable stature of stone architecture with more immediacy than a thousand words .

G. P. The work’s structure is definite and recognizable. Each of the eight sections, named after the different construction elements, ends with a series of projects that exemplify the section’s contents. What were the criteria for choosing the projects?
A. A. The criteria used for choosing the architecture projects to select and present to readers could be summed up as: the works’ quality, intensity and representativeness – in terms of “continuity” or “innovation” of the construction theme (Walls, Columns, Architraves, Arches, Surfaces, Roofs, Floors). The architecture projects to which we gave significant space and independent discussion are “temporally” in the present, as a deliberate choice to emphasize the value of the stone as a living resource for contemporary design. At the end of our selection, we saw some exceptions, some “buildings” that try to appear like “architecture” among the many genuine works of architecture, evidence of close relationships, or, if you will, of the inevitably imperfect actions of individuals, even when they seek to be impartial authors.

“d’Architettura” 26, 2005
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