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2 Novembre 2005

Opere di Architettura

Stone Museum, Nasu Tochigi di Kengo Kuma


Stone Museum (foto Archivio Kengo Kuma)
fg118
Stone Museum
Il museo nasce dalla volontà di recuperare tre antichi granai di pietra nella città di Nasu, situata tra Tokyo e Yamagata, nella provincia di Tochigi.(1) Gli edifici preesistenti sono stati integrati con nuovi volumi ed organicamente collegati con percorsi-passerelle, che si sviluppano su piani d’acqua artificiale. Le passerelle di collegamento, ‘passaggi lineari’, sono di due tipi: scoperti e coperti. I primi sono larghi 1,50 m, sono pavimentati con lastre di pietra di Shirakawa (2) da 60 mm e sono posti 80 mm più in alto della superficie d’acqua delle vasche. I percorsi esterni convergono in una sorta di piazza, posta a nord, intorno alla quale sono dislocate le aree espositive e gli spazi di servizio. Le gallerie coperte accolgono, invece, piccoli spazi espositivi.
In questo progetto l’attenzione di Kuma è rivolta prevalentemente agli spazi relazionali, ai ‘vuoti’ tra gli edifici, tanto che lo stesso Kuma ha dichiarato: “i tre edifici esistenti erano di una bellezza senza pari, avevano una delicata presenza, ma la mia attenzione fu catturata soprattutto dagli spazi tra le strutture (…), i quali sono stati progettati come focus (…) ed i magazzini come sub-caratteristica di questo”.
Oltre alle gallerie espositive, il complesso accoglie una libreria sul lato sud, una sala per la cerimonia del tè a nord, gli uffici amministrativi ad est e spazi per la messa in scena di piccole rappresentazioni teatrali. Le aree espositive sono dislocate in due gallerie adiacenti: la più grande tra le due chiude il lato nord-ovest del complesso, è lunga 18,18 m ed è larga 9,08 m; l’altra, posta a nord, è larga 14,00 m e lunga 7,40 m. La galleria più grande è posta 1,40 m più in alto della seconda ed è connessa a questa per il tramite di una scala. La galleria collocata a nord, quella piccola, ingloba una vasca d’acqua, che dallo spazio esterno si estende al suo interno. La vasca d’acqua artificiale misura 8,00×2,60 m, è profonda 15 cm ed è rivestita con pietra di Shirakawa da 30 mm.

La struttura dei padiglioni è realizzata utilizzando pietra vulcanica di Ashino, la stessa pietra adottata per la costruzione degli antichi magazzini. Questa scelta, più che per uniformarsi alle preesistenze, risponde alla volontà di porre a confronto modalità costruttive analoghe, rendendo evidente gli avanzamenti tecnici ed i nuovi possibili impieghi della pietra. I padiglioni manifestano un diverso carattere, la tradizionale ‘muratura solida’ si dissolve, si assottiglia, i muri perdono quel senso di pesantezza tipico delle costruzioni in pietra. Pur usando la pietra in forma massiva Kuma ne rende ambigua la percezione smaterializzandola: ricorre alle più aggiornate tecniche di lavorazione; sperimenta nuove possibili applicazioni; restituisce un senso di ‘morbidezza’ e d’ambigua leggerezza alla pietra; compie un’azione di ‘desolidificazione’ della materia; pratica lungo la parete ‘feritoie’; realizza un ‘muro poroso’. Le pareti sono alte 2,97 m (3) e sono realizzate impiegando lastre di pietra di Ashino di dimensioni 900×300 mm, spesse 50 mm (4). Le pareti sono caratterizzate da una tessitura ‘vibrante’ che Kuma definisce sfalsando i giunti; arretrando i blocchi rispetto al filo esterno della parete; interrompendo la continuità della muratura; sottraendo, ad intervalli orizzontali di 1,10 m e verticali di 1,45 m, un blocco di pietra. I vuoti nella muratura sono tamponati con lastre di marmo di Carrara spesse 6 mm, che si lasciano attraversare dalla luce. Il solaio di copertura è realizzato con un’orditura di travi di legno di cedro a sezione rettangolare, di dimensione 60×165 mm, poste ad intervalli di 30 cm. Le travi sono ancorate alla muratura in pietra mediante profili d’acciaio ad U, di dimensione 70×120 mm, realizzati con lamiera da 6 mm. Il piano di copertura è configurato disponendo sulle travi un pannello di MDF spesso 25 mm, un pannello coibente di polistirene da 25 mm, un doppio strato impermeabilizzante.

L’idea di ‘muro poroso’ è un concetto che Kuma applica anche alle pareti del tratto meridionale, al percorso che funge da filtro tra la libreria e la vasca di acqua artificiale. La parete-filtro è realizza con listelli di pietra di Ashino fissati a telai d’acciaio. I telai sono ancorati alla struttura, che è formata da pilastri d’acciaio del tipo HE, di dimensione 175x175x7,5×11 mm, e travi d’analoga sezione. I listelli di pietra sono a sezione rettangolare, misurano 40x120x1500 mm e sono disposti ad intervalli verticali di 80 mm.
La chiarezza delle soluzioni costruttive adottate da Kuma, in continuità con la tradizione giapponese, sottende un’interpretazione tettonica, costruttivista dell’architettura. Kuma persegue un’idea di leggerezza che non è espressa attraverso un uso banale e superficiale di ‘materiali leggeri’ ma estesa ad un pensiero più vasto, ai meccanismi compositivi, alle possibilità intrinseche della materia. Un obiettivo che lo ha portato a dichiarare: “l’uso di questo materiale presentava per me una sfida: raggiungere un senso di leggerezza e di morbidezza (…), fino a convertire la solidità della pietra in qualcosa di ‘debole’ e di ambiguo”. Cosicchè, ponendo in relazione la solidità della pietra e la sua ingannevole rarefazione, Kuma perviene ad un senso d’immaterialità dello spazio per effetto della ‘natura particellare’ della luce. (4)

Luigi Alini

(Vai a Kengo Kuma & Associates)


1Gli edifici risalgono all’Era di Taisho (1912-26).
2 Pietra scura di origine vulcanica
3 La quota 0,00 di riferimento è il piano d’acqua delle vasche.
4 Lo spessore dei blocchi utilizzati per le pareti del padiglione varia solamente in corrispondenza della parete est del padiglione piccolo, quella prospiciente la ‘piazza’ in cui convergono le passerelle-ponte. I blocchi utilizzati per questa parete sono di 100 mm di spessore.

(4) Location: Nasu, Tochigi Prefecture / principal use: museum site area: 1,382.60 sq.m. / building area: 532.91 sq.m. / total floor area: 527.57 sq.m. basement 280.86 sq.m. first floor125.31sq.m. 281.62 sq.m. / structure: masonry costruction, steel structure; 1 story / maximam height: 5.50m / structural engineers: K. Nakata & Associates / mechanical engineers: M. I. Consultane / general contractor: Ishihara Construction, ECRIS / completion date: July 2000.

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31 Ottobre 2005

Eventi

Architetture e manufatti del cotto


Palazzo Roverella a Ferrara. Decorazione in cotto.

Architetture e manufatti del cotto
Approfondimenti di storia e cultura materiale
Convegno nazionale
Ferrara, Palazzo dei Diamanti
14-15 novembre 2005

Comitato scientifico e organizzativo:

Arch. Rita Fabbri – Università degli Studi di Ferrara, Facoltà di Architettura
Arch. Carla Di Francesco – Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia
Prof. Fabio Bevilacqua – C.R.C. Restauri, Bologna

Con il patrocinio di:

Con il contributo di:

Il convegno si propone di affrontare temi inerenti le tecniche costruttive ed esecutive e le metodologie per la conservazione e il restauro delle terrecotte, dei laterizi e del cotto plasmato, e costituirà l’occasione per riunire esperti del settore, allargando il confronto tra molteplici ambiti disciplinari e tecnico-scientifici e tra diverse realtà geografiche, proponendosi, infine, come appuntamento ricorrente negli anni futuri.
Le architetture del cotto saranno indagate, nelle diverse sessioni, attraverso l’esemplificazione di studi e restauri di grandi cantieri tra Emilia e Lombardia, gli aspetti metodologici nello studio della terracotta decorativa, l’uso del laterizio nella costruzione dell’architettura e le modalità di finitura e trattamento delle superfici in mattone, la statuaria in terracotta e la coroplastica. Nella sessione poster saranno raccolti numerosi studi e restauri inerenti i temi delle diverse sessioni orali.

Lunedì 14 novembre, ore 9.30
Apertura del convegno e saluti
Dott. Gaetano Sateriale, Sindaco di Ferrara
Prof. Graziano Trippa, Preside della Facoltà di Architettura di Ferrara
Arch. Carla Di Francesco, Direttore regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia
Arch. Anna Maria Iannucci, Soprintendente per i Beni Architettonici e il Paesaggio di Ravenna

Prima sessione
Lunedì 14 novembre, ore 10.00 – 13.00

Grandi architetture del cotto, tra Emilia e Lombardia:
studi e restauri
coord. Arch. Anna Maria Iannucci

La decorazione in terracotta nei grandi cantieri ferraresi
Carla Di Francesco, Fabio Bevilacqua

Restauri ferraresi: San Carlo, San Francesco
Andrea Alberti

Il restauro della facciata dell’ex Oratorio di Santa Croce in Argenta
Costanza Cavicchi

La Fornace Grandi di Bondeno: Palazzo Roverella e altri cantieri
Lucio Scardino

Cotti plasmati per la Certosa neo-estense di Ferrara
Antonio P. Torresi

Guardando il cotto
Maria Cristina Loi, Annamaria Navone, Sonia Sganzerla

I cantieri nella Milano del Quattrocento: Santa Maria delle Grazie e Ca’ Granda
Libero Corrieri, Giovanna Alessandrini, Paola Villa, Luciano Formica

Nuove acquisizioni per la storia della decorazione architettonica in cotto in Lombardia tra gotico e rinascimento
Maria Teresa Mazzilli Savini

Il chiostro piccolo della Certosa di Pavia: studi, indagini e ipotesi conservative
Fabio Bevilacqua, Carla Di Francesco, Gian Carlo Grillini, Mari Mapelli, Corrado Pedelì, Francesca Tomba, Antonella Tucci

Seconda sessione
Lunedì 14 novembre, ore 14.30 – 16.30
Aspetti metodologici nello studio della terracotta decorativa
coord. Prof. Amedeo Bellini

Le scialbature bianche del chiostro grande della Certosa di Pavia. Indagini archeometriche
Maria Pia Riccardi, Bruno Messiga, Marica Forni, Marco Leona, Elisa Sacchi, Enrico Allais

La pulitura dei materiali in terracotta e laterizio. Metodologie, esperienze e problematiche a confronto
Antonio Sansonetti

Percorsi del cotto nelle architetture ferraresi
Monica Bagatin, Serena Ciliani, Rita Fabbri, Fabio Bevilacqua

Color del mattone: finiture cromatiche delle murature e terrecotte decorative attraverso i documenti di fabbrica
Rita Fabbri

Conservazione programmata di ceramiche esposte all’aperto a Faenza: le terrecotte
Anna Maria Lega, Valentina Mazzotti

Sessione poster, presso il Museo di Casa Romei
Lunedì 14 novembre, ore 17.00 – 18.30
Coord. Arch. Mario Lolli Ghetti

Le terrecotte di Santa Maria in Vado. Studi e restauri
Carla Di Francesco, Fabio Bevilacqua, Barbara Pazi
Le decorazioni in cotto nella facciata della prima sala dell’ex Ospedale Sant’Anna
Valeria Virgili
Le terrecotte dell’abside della Cattedrale
Rita Fabbri, Irene Armari, Federica Framba
Terrecotte decorative della chiesa di San Francesco
Andrea Alberti, Serena Ciliani
Un cantiere scuola: i "lavori in corso" del fregio con grifoni nell’area di San Vitale – Ravenna
Cetti Muscolino, Elena Cristoferi, Maria Lucia Rocchi
I laterizi di recupero nell’architettura altomedievale ravennate
Gianluca Battistini, Lara Bissi, Luca Rocchi, Gian Carlo Grillini, Fabio Bevilacqua, Rita Fabbri
Le copie delle formelle in terracotta della Commenda in Faenza
Rosanna Manuzzi
Il Campanile di Campogalliano: pezzi speciali per l’intervento di restauro
Matteo Brioni, Giovanni Gazzotti, Corrado Caselli
Indagine tecnico-scientifica e restauri sulle decorazioni in cotto del chiostro piccolo di San Lanfranco (Pavia)
Maria Pia Riccardi, Giuseppina Vago
Il Tripudio Angelico in S. Eustorgio
Chiara Colombo, Giovanna Alessandrini, Bruno Fabbri
Il lavabo della Certosa di Pavia
Fabiana Fondi e Giuseppe Napoleone
Per il recuperato rosone di S.Tommaso. Interventi di conservazione e restauro della facciata ovest della Chiesa di S.Tommaso a Pavia
Giuseppe Maggi, Lorenzo Jurina, Giorgio Codecà, Alessandro Cini
Guardando il cotto
Maria Cristina Loi, Annamaria Navone, Sonia Sganzerla
Giovan Battista Carducci e l’espressività del mattone, Fermo 1806-1878
Keoma Ambrogio, Annalisa Conforti
La ricomposizione dei frammenti della "cona dei Lanii" – Appunti di cantiere
Maria Ida Catalano, Giuseppe Giordano
Prime verifiche su murature in laterizio di una metodologia poco invasiva per la determinazione del contenuto di acqua
Massimo Valentini
Esperienze professionali: la formazione delle maestranze per la lavorazione delle terrecotte
Maurizio Zerbini, EUSPE

Terza sessione
Martedì 15 novembre, ore 9.30 – 12.00
Apertura lavori: Saluti introduttivi Dott. Raffaele Atti, Assessore Urbanistica e Pianificazione Territoriale del Comune di Ferrara

L’uso del laterizio: costruzione e finiture
coord. Prof. Riccardo Dalla Negra

Paramenti in mattone a vista a Ferrara: indagine sulle finiture
Carla Di Francesco, Fabio Bevilacqua, Rita Fabbri, Luca Roversi

L’intervento di conservazione dei fronti esterni di Palazzo Brera a Milano
Christian Campanella, Michela Tessoni

L’uso del cotto nel Torrazzo di Cremona
Luciano Roncai, Elisabetta Bondioni, Anna Lucia Maramotti

L’arte di fabbricar con mattoni nel cantiere storico abruzzese: le volte
Claudio Varagnoli
L’arte di fabbricar con mattoni nel cantiere storico abruzzese: le murature
Lucia Serafini

Manufatti in cotto nell’architettura napoletana post-medievale: questioni metrologiche e costruttive
Luigi Guerriero

Rosso italiano. Manufatti in cotto per pavimentazioni
Alfonso Acocella

Karl Friedrich Schinkel: architettura e tecnica degli apparati decorativi
Paola Sonia Gennaro

Alcune considerazioni sui processi di adesione tra malta e mattone
Guido Biscontin, Elisabetta Zendri

Terza sessione
Martedì 15 novembre, ore 12.00 – 13.00 / ore 14.30 – 17.30

Cotto plasmato: la statuaria in terracotta
coord. Dott. Jadranka Bentini

La modernità della produzione di Agostino de Fondulis
Sandrina Bandera

Il compianto dell’Ambrosiana
Fabio Bevilacqua, Carlo Birrozzi, Mari Mapelli

1525 circa: qualche riflessione su Alfonso Lombardi e sul raffaellismo emiliano
Giovanni Sassu

Il Sant’Antonio Abate della Chiesa di San Giovanni di Dio a Faenza
Anna Maria Colombi Ferretti

Gruppi scultorei in area ferrarese: aspetti di tecnica esecutiva e di restauro
Paola Degli Esposti

Storia e restauro del compianto di Sant’Antonio in Polesine
Andrea Fedeli, Micaela Torboli

Le Fornaci Longari-Ponzone: la produzione di coroplastica per giardini
Luciano Roncai, Marida Brignani

Policromie a freddo su terracotta
Chiara Colombo

Dibattito

Segreteria del convegno:
Arch. Serena Ciliani
architetture_cotto@libero.it

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Marazzi Architetti. Quattro progetti.


Torri mimetiche sulla costa del Fujian, Cina

La prima edizione di Attraversamenti, biennale d’architettura contemporanea in varie sedi umbre, a Foligno ha presentato progetti di uno studio italiano emergente. Si tratta di quattro progetti sull’uso innovativo della pietra, in cui all’interno del ventaglio di soluzioni della famiglia “struttura e rivestimento” si offre un approfondito aggiornamento nell’applicazione di prodotti e tecniche di assemblaggio industrializzati, pur sempre a partire dall’originario approvvigionamento in cava; il tutto con l’attenzione particolare e contemporanea ai trattamenti di superficie, ma scegliendo la via propositiva e più difficile sui temi materici della tradizione. Incipit della sezione “Progetti”, presentiamo di seguito alcuni lavori dello studio Marazzi con sede a Parma: pur attingendo alla medesima tecnologia di pannelli leggeri S.P.I. in struttura alveolare e rivestimento, i primi due interventi presentano finitura in lapidei ridotti a graniglia e ricomposti tipo Minibèton, i restanti due in lastra sottile applicata alla griglia metallica d’irrigidimento tipo Ultra-Lite Natural Stone.


Progetto di concorso per il nuovo Stadio Comunale di Siena

Nuovo Stadio Comunale di Siena
Il progetto vincitore del concorso per il nuovo stadio comunale di Siena affronta direttamente il tema dell’edilizia specialistica entro il paesaggio naturale. Risolve la sfida lanciata da un contesto dalle connotazioni assai forti riferendosi, e non con mero intento di raccoglierne la suggestione visiva quanto tipologica, alle qualità spaziali delle cave litiche. La sensibilità diffusa a riconoscere piacevolezza ai luoghi al margine fra natura e presenza antropica è solamente assecondata. Si è piuttosto ricercata la continuità nel paesaggio, come pure l’appartenenza al sedime di progetto: prova ne sia ad esempio il parco rurale accessibile alla viabilità ciclo-pedonale, vero legante fra la quota del campo da gioco e quella della campagna circostante. L’erosione compiuta sul tufo dal tempo e dagli agenti atmosferici ha modellato il terreno, lasciando affiorare insoliti volumi e declivi in cui le aree per l’esercizio fisico e le attività didattiche previste da bando hanno trovato la collocazione più adatta. Il progetto è frutto della collaborazione con gli architetti Paolo Iotti e Marco Pavarani.


Progetto di concorso per la nuova sede della Provincia di Arezzo

Nuova sede della Provincia di Arezzo
Giò Ponti sosteneva che la casa d’abitazione dovesse possedere la leggerezza della farfalla: piani orizzontali e verticali si scostavano dunque da terra e tra loro a suggerire la violabilità delle regole tecnico-statiche. L’edificio ideato per ospitare la nuova sede della Provincia di Arezzo concentra un simile intento particolarmente rispetto al suolo e si distribuisce parallelo al livello di terra apparentemente senza toccarla.
Applicando a pieno la strategia dei contrasti dinamici e visivi, la pietra basaltina di rivestimento ai volumi, ridotta a graniglia e miscelata in impasto con altri inerti, è chiamata per scelta espressiva a rappresentare la gravità, così come il regista sceglie l’interprete protagonista.
E’ inoltre la pietra storicamente il materiale dell’edificio pubblico: conformemente alle scelte di programma è dunque preferita in quest’occasione a rappresentare -avvolgendoli- gli uffici dell’ente provinciale. La natura pubblica dell’intervento è arricchita dall’apprezzabile intento dei progettisti a liberare al livello terreno superfici per piazze verdi, in continuità con gli spazi aperti d’intorno. Superiormente si collocano in distribuzione continua orizzontale gli uffici, disposti secondo la maglia geometrica estendibile teoricamente all’infinito alla scala urbana, a rappresentare la risposta della ricerca tipologica sul modo di vivere l’ufficio, e proponente ora un modello a-gerarchico anzichè la consueta suddivisione piramidale per piani.


Progetto per edificio di residenze temporanee a Fuzhou, Cina

Residenze temporanee a Fuzhou, Cina
Alla famiglia dei graniti si lega il rivestimento in lastre sottili delle residenze temporanee di Fuzhou in Cina. Il complesso di progetto è compreso in area urbana e presenta il doppio affaccio strada-corte interna. A difesa dall’aggressività automobilistica e stradale in genere, non la sola pelle ma tutto l’edificio si mobilita distributivamente alla realizzazione sul fronte esterno di un muro inteso come barriera protettiva. La monoliticità esteriore è proposta e percepita come resistenza invalicabile, facendo corrispondentemente seguire il trattamento materico alle destinazioni funzionali in alzato: l’osservare l’edificio in sezione trasversale consente di riconoscere infatti verso strada una fascia di vani di servizio e di depositi. Procedendo poi verso la tranquillità controllata della corte interna si incontrano prima gli ambienti distributivi ed infine gli alloggi, affaccianti con ampie vetrazioni sugli spazi aperti privati. Si riacquisisce cioè dopo lungo tempo il principio di trasparenza fra contenitore e contenuto, appellandosi dunque ad un’architettura della continuità. L’irregolarità dei ricorsi orizzontali con cui il progetto fronteggia la strada, variamente dimensionati in altezza utile secondo le funzioni ospitate, rompe la monotonia seriale di costruzioni speculative all’intorno – oltre alla propagazione del suono della carreggiata – ingigantendo la suggestione dell’immagine di lastre litiche accatastate in deposito.


Progetto di torri mimetiche sulla costa del Fujian, Cina

Torri mimetiche sulla costa del Fujian, Cina
Le torri mimetiche immaginate per la costa del Fujian in Cina sono totem naturali in pietra erosa dal vento e dal tempo, poi incavata ed acquisita internamente dall’uomo, al pari di una grotta. Il progetto, nell’assunzione di un programma d’urbanizzazione impegnativo per volumetrie richieste, è assai più sofisticato di quanto non possa essere il frutto di un’intenzione meramente monumentale. Si tratta infatti di una scelta decisa sul paesaggio – rispetto all’ipotesi opposta d’intervento più cautelativo basso ma denso – puntuale e parimenti audace nelle strategie d’acquisizione dei suoli.
La naturalità è perseguita con nettezza nella scelta materica, ricaduta sull’essenza lapidea capace di meglio garantire le volute suggestioni cromatiche mimetiche. Pur nella veste reale di rivestimento leggero la pietra, tradizionale depositaria dei caratteri di portanza, preesistenza e durata, fornisce qui nelle sue venature lo spunto per la realizzazione dei punti di permeabilità fra interno ed esterno: sono essi infatti frutto di derivazioni digitali in più passaggi sul pattern naturale della bowenite. Ritorna con forza, particolarmente dopo il progetto per il nuovo stadio di Siena, il tema dell’architettura specialistica in ambiti di spiccata presenza contestuale, risolto con atteggiamento non certo difensivo, ma piuttosto propositivo, accettante la sfida, cui si risponde con tentativi d’inserimento nel paesaggio dalle connotazioni ugualmente forti alle preesistenze.
fg116
di Alberto Ferraresi
(Vai a Marazzi Architetti)

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25 Ottobre 2005

Interviste

Intervista a Kengo Kuma


Kengo Kuma (foto di Luigi Alini)

Nicola Marzot, lungo il percorso interpretativo del Nagasaki Prefectural Art Museum di Kengo Kuma, intervista l’architetto giapponese.

Nicola Marzot. I musei oggi sono istituzioni complesse, che producono, distribuiscono e consumano opere d’arte, entrando talvolta in competizione con la città che li accoglie. Qual è la concezione complessiva che lei ha inteso affermare a Nagasaki?
Kengo Kuma. Mentre progettavo questo museo d’arte ho deciso di costruirlo come se fosse un’interfaccia tra Nagasaki e la gente che visita la città. In passato la stessa Nagasaki ha svolto un ruolo di interfaccia – esclusivo, a dire il vero – tra il Giappone e l’Europa. In epoca Edo, era l’unico porto autorizzato ad avere contatti commerciali con gli altri paesi. Ho voluto recuperare questa meravigliosa tradizione in seno al museo. Oggi l’arte è un elemento basilare per creare un’interfaccia nelle città, perchè ha il potere di fungere da veicolo che consente alle persone di interagire sia con la città sia con altre persone.

N.M. Il museo occupa un’area ibrida, in cui i tessuti urbani, riducendosi a puri tracciati stradali, si dissolvono progressivamente nell’orizzonte marino, che pervade la città attraverso il sistema dei canali. Quali suggestioni le ha trasmesso il contesto durante la definizione dell’idea progettuale?
K. K. L’area stessa è tagliata in due da una linea che segna il confine tra spazi e ambiti eterogenei: è ubicata su un tratto che separa un canale dalla terraferma, i vecchi terreni da quelli appena bonificati e il quartiere commerciale dalla zona verde sul mare. Il museo è stato studiato per collegare questi diversi spazi e ambiti. L’edificio diventa un quindi un ponte che unisce il canale alla terraferma e, trasformando il tetto in parco, sono stato in grado di integrare due spazi dissimili (un parco e un edificio) in un’unica entità. Si tratta di una soluzione urbana singolare, derivante dal concetto generale di "museo come interfaccia".

N. M. Il museo ha una configurazione fortemente introversa, aperta verso l’esterno quasi esclusivamente lungo il canale che lo percorre e ne diventa il fronte principale. L’ingresso al museo è definito attraverso una stratificazione successiva di diaframmi con un diverso grado di trasparenza, sovrapponendo teorie di frangisole e pareti vetrate. Che risultato spaziale ha inteso ottenere?
K. K. Il mio obiettivo è sempre stato quello di dare vita a edifici che non fossero semplicemente oggetti indipendenti, bensì "aperture o cavità". Se paragoniamo un edificio al corpo umano, il punto più importante sono gli organi interni, ossia le "aperture o cavità". Le cavità costituiscono l’interfaccia; è attraverso di esse che si raggiunge la comunicazione tra esterno e interno. Questo spiega perchè la pelle che riveste una cavità è costituita di delicate mucose che consentono l’ingresso e la fuoriuscita soltanto alle sostanze necessarie.
Questo museo è diviso in due sezioni da un canale che lo attraversa. Ho ideato il progetto immaginando il tratto di canale come cavità, in modo che il canale agisse da interfaccia di collegamento tra la città e il museo. Ecco perchè la "membrana" di questa cavità, come le mucose umane, è delicata ed espleta la funzione di filtro complesso. Si tratta di un layout in netto contrasto con i soliti progetti di costruzione. In un certo senso è paragonabile a un sistema biologico.

N. M. Il grande filosofo tedesco Martin Heidegger sosteneva che il ponte, rivelando per antonomasia il carattere performativo dell’architettura, costruisse il luogo attraverso l’azione del collegare le opposte rive di uno stesso fiume. Mi pare che tale definizione si adatti perfettamente al museo di Nagasaki. La trova appropriata per descrivere sinteticamente il suo lavoro?
K. K. È molto interessante che Heidegger percepisse l’architettura come "un ponte" piuttosto che "una torre." In realtà intendeva dire che l’architettura non è un simbolo. Al contrario, creandola, o sperimentandola, gli oggetti e le idee che fino a quel momento erano rimasti divisi gli uni dagli altri, o che si ritenevano in conflitto gli uni con gli altri, si univano a formare un’unica entità. Analogamente, in questo progetto ho deciso di avvalermi di tutta una serie di elementi contrastanti per poi collegarli mediante questo edificio. Ad esempio, ho cercato di congiungere elementi antitetici e contraddittori: la terra e il mare, l’edificio e il parco, la trasparenza e l’opacità. In questo modo il ponte che attraversa il canale rappresenta l’essenza della struttura. A mio avviso la definizione di Heidegger di architettura descrive perfettamente questo edificio.

N. M. Lei distingue chiaramente l’articolazione degli spazi utili, continui ed intercomunicanti, dal sistema dei collegamenti orizzontali, tangenziali all’edificio e nettamente distinti dai primi, tanto in termini strutturali che figurativi. In che misura l’architettura tradizionale giapponese ha influenzato queste scelte?
K. K. Con il canale situato al centro, i tre elementi spaziali comprendenti il canale, la linea di scorrimento e la galleria hanno una disposizione tettonica. Ciò potrebbe richiamare l’allineamento del vano corridoio noto come engawa, o veranda, nell’architettura tradizionale giapponese. Ad esempio, il Palazzo Katsura di Kyoto si presenta con un corridoio tra lo spazio principale e quello esterno. Questo corridoio ha un carattere spaziale intermedio che serve anche da filtro per regolare la luce, la temperatura e gli altri elementi ambientali dello spazio principale. La vista del giardino da quel punto è estremamente piacevole. In questo museo vi è uno spazio intermedio simile, sempre presente tra il canale e la galleria e tra il canale e l’atrio. Non ho creato questi allineamenti rifacendomi alle tradizioni giapponesi, piuttosto volevo dare vita a uno spazio semiaperto gradevole, di cui i visitatori possono godere passeggiandovi mentre ammirano il canale. L’allineamento si è sviluppato in modo naturale.

N. M. La struttura dell’atrio di ingresso sembra perseguire una riduzione dell’architettura all’archetipo, rivelando una chiara concezione tettonica basata sulla discontinuità tra struttura portante ed involucro chiudente, corrispondenza tra interno ed esterno, unità dello spazio sotteso. In altre parti prevale il tema dell’architettura come "paesaggio artificiale", le cui pareti litiche idealmente affiorano dall’orizzonte marino, coronate da un sistema di suggestivi giardini pensili posti a quote differenti. Condivide l’esistenza di una duplice matrice concettuale nel progetto e, nel caso, qual è il suo significato?
K. K. Come ho già detto in risposta alla seconda domanda, l’ubicazione di questo museo è caratterizzata da contesti urbani eterogenei contrapposti. In altre parole, parco e città, terra e acqua, oggetti statici e oggetti dinamici si incontrano in questo luogo. La funzione del museo è di armonizzare e bilanciare questi elementi discordanti. Ad esempio, la vegetazione del parco si estende al tetto del museo fino ad assumere l’aspetto di un giardino pensile. L’atrio di ingresso è stato progettato affinchè avesse una struttura il più trasparente possibile, per accogliere all’interno dell’edificio il meraviglioso scenario del porto di Nagasaki che si estende di fronte. Di conseguenza, vari linguaggi architettonici che di norma striderebbero fra loro, in realtà coesistono in questo edificio, e sono molto prossimi gli uni agli altri. È il caso, ad esempio, di una scatola di vetro e di un giardino pensile, o della trasparenza e dell’opacità. A tale risultato si è giunti sviluppando e dilatando il concetto di fondo, ovvero, gettare un ponte di collegamento tra spazi e ambiti diversi.

N. M. L’opera di carpenteria metallica del museo risulta molto complessa, ed assume un ruolo significativo nella qualificazione dei suoi spazi. Come si è sviluppato il rapporto progettuale con il partner Nihon Sekkei?
K. K. La sfida maggiore nel progettare questo museo è stata quella di creare un equilibrio fra trasparenza e opacità. L’edificio in sè era trasparente, ma presentava un oggetto pesante e opaco sul tetto, il giardino pensile, e si correva il rischio che rimanesse staccato dall’incantevole ambiente circostante. Mi serviva un corpo strutturale leggero in acciaio piuttosto che in cemento armato, cupo e greve. La struttura del ponte che attraversa il canale doveva essere in acciaio leggero. Se avessi usato materiali diversi per rivestirli, la luce e l’elegante costruzione che avevo creato con tanta fatica sarebbero diventate smorte e opprimenti. Le parti metalliche, comprese quelle dell’ossatura muraria, hanno richiesto una cura e un’attenzione di gran lunga maggiori. Ne ho discusso a fondo e minuziosamente con i progettisti di Nihon Sekkei, e alla fine abbiamo sviluppato particolari nuovi e unici.

N. M. L’uso della pietra nel rivestimento dell’involucro murario e nei frangisole sembra contraddire il peso e la resistenza propri della materia naturale, conferendole una inusuale leggerezza e fragilità. Risultati, questi, per altro già perseguiti nello Stone Museum. Ci può spiegare le ragioni poetiche di questa scelta e, soprattutto, come è stata ottenuta in termini tecnici?
K. K. La coesistenza di trasparenza e opacità, leitmotiv di questo edificio, è rappresentata dai frangisole ottenuti dal granito brasiliano. Avevo già adottato quest’idea quando mi fu chiesto di progettare lo Stone Museum a Nasu, nella prefettura di Tochigi. Per il museo di Nagasaki ho usato una pietra ancora più delicata. Oggi la pietra trova impiego come copertura di strati superficiali. Un edificio, raramente per non dire mai, trasmette la forza della pietra pura e intatta. In questo museo, frammenti di pietra dello spessore di 30 mm sono fissati a massicce colonne d’acciaio come se stessero "galleggiando" per conto loro. Se mi fossi limitato a rivestire le colonne di pietra, questa sarebbe diventata un materiale contraffatto usato solo per adornare alla meglio la superficie. Sentivo che non era possibile sfruttare la forza della pietra nell’edificio, così ho elaborato un particolare che dà l’impressione che la pietra stessa stia "galleggiando" a mezz’aria, disgiunta dalle colonne. Grazie a questo dettaglio la vigorosa presenza della pietra può coesistere con la trasparenza dello spazio.


Nagasaki Prefectural Art Museum (foto di Daici Ano)
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N. M. Il museo risulta programmaticamente privo di finestre, sostituite da diaframmi continui in vetro, parzialmente oscurati dai frangisole verticali, e da lucernari. Come interviene la luce, naturale ed artificiale, nella definizione degli spazi del museo, anche in funzione della percezione delle opere esposte.
K. K. Abbiamo pensato che una finestra fosse troppo banale e scontata, sia come strumento per far entrare la luce sia per ammirare il paesaggio esterno. Una finestra, alla stregua di una cornice, sortisce il proprio effetto soltanto quando ci si trova davanti. Inoltre scontorna il paesaggio esterno, creando un effetto statico e restrittivo. I frangisole verticali in pietra che abbiamo usato per questo museo gettano ombre che cambiano di minuto in minuto con il movimento del sole. Questo schema consente di percepire lo scorrere del tempo e di scoprire l’alternarsi delle stagioni. Passando accanto alla struttura dei frangisole i visitatori sono in grado di sviluppare una serie di percezioni del paesaggio esterno. A volte i frangisole appaiono come una lastra di vetro completamente trasparente, oppure, se visti da un’angolazione ridotta, vengono percepiti come una massiccia parete litica. Quindi una parete frangisole litica può definirsi una parete "fenomenologica" rispondente alle percezioni che di essa abbiamo.
Il museo utilizza il frangisole – uno strumento delicato che si presenta come un oggetto infinitamente mutevole – quale mezzo per collegare lo spazio espositivo con l’area esterna. Le opere sono illuminate da diversi tipi di luce, a seconda della stagione e dell’ora, e per questo possono apparire ai nostri occhi in svariate forme espressive. Inutile dire che ogni singola luce viene regolata con estrema cura, in modo da non danneggiare le opere esposte.

Marzo 2005 Nagasaki

(L’intervista è tratta da Kengo Kuma, Nihon Sikkei. Nagasaki Prefectural Art Museum, a cura di Nicola Marzot, Bologna, Editrice Compositori, 2005, pp. 119. Si ringrazia l’Autore e l’Editore per la gentile concessione alla rieditazione)

(Vai a Compositori
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24 Ottobre 2005

Citazioni

Tempo e Spazio


Attraversare lo spazio in Eurostar (foto Alfonso Acocella)

Tempo e Spazio
“Modernità significa molte cose, e possiamo tracciarne nascita ed evoluzione usando molti e diversi parametri, C’è tuttavia un tratto della vita moderna e della sua organizzazione che forse si distingue come "la differenza che fa differenza", l’attributo cruciale dal quale tutti gli altri conseguono. Tale attributo è il mutato rapporto fra spazio e tempo.
La modernità nasce allorchè spazio e tempo vengono disgiunti fra loro e dall’esperienza di vita quotidiana, diventano in tal modo teorizzabili come categorie distinte e indipendenti di strategia e di azione (…)
Nella modernità, il tempo ha una storia, ha la sua storia in virtù della "portata" in continua espansione del tempo: l’allungamento delle estensioni spaziali che le unità temporali consentono di "passare", "attraversare", "coprire" o "conquistare". Il tempo acquisisce una storia allorchè la velocità di movimento nello spazio (a differenza dello spazio stesso, che non è flessibile, non può essere dilatato, nè si contrae) diventa una questione di ingegno, immaginazione e risorse umane.
Allorchè la distanza misurata in unità temporali venne a dipendere dalla tecnologia, da mezzi di trasporto meccanici, tutti i limiti esistenti (ereditati) alla velocità di movimento poterono essere in via di principio trasgrediti. Il cielo (o, come si scoprì più tardi, la velocità della luce) divenne allora l’unico limite e la modernità fu un unico continuo, irrefrenabile e rapidissimo sforzo di accelerazione per raggiungerlo.
Grazie alla sua neoacquisita flessibilità ed espansibilità, l’epoca moderna è diventata, prima di ogni altra cosa, l’arma di conquista dello spazio. Nella lotta moderna fra tempo e spazio, lo spazio rappresentava il lato solido e stolido, ingombrante e inerte, capace di condurre esclusivamente una guerra difensiva, di trincea, un ostacolo alle agili e dinamiche avanzate del tempo.
In tale battaglia il tempo era la partita attiva e dinamica, quella perennemente all’offensiva; la forza di invasione, conquista e colonizzazione. Nell’epoca moderna, velocità di movimentazione e accesso a mezzi di mobilità sempre più veloci conquistarono rapidamente il ruolo di principale strumento di potere e di dominio.”
Zygmunt Bauman

Zygmunt Bauman, "Sull’essere leggeri e liquidi" p. XIV in Modernità liquida, Bari, Laterza, 2002 (tit. or. Liquid Modernity, 2000), pp. 263

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21 Ottobre 2005

Interviste

Intervista all’architetto Antòn Garcìa Abrìl


Spain General Society of Authors and Editors, Santiago de Campostela

Lo scorso primo ottobre, a Verona in occasione del 40° Marmomacc, la redazione di Architetturadipietra.it ha intervistato alcuni dei vincitori della nona edizione del "Premio Internazionale Architettura di Pietra".
La conversazione con Antòn Garcìa Abrìl, architetto madrileno premiato per il progetto del Centro di Alti Studi Musicali della Galizia, inaugura la pubblicazione del ciclo di interviste sul Blog e sarà presto seguita dalla conversazione con Alberto Campo Baeza.

Alberto Ferraresi: Vorrei tornare a quanto diceva durante la conferenza riguardo l’impressione degli abitanti del luogo che fosse un edificio esistente da molto tempo prima del suo progetto. Questa strategia di perseguire un intervento in qualche modo "archeologico" quanto ha influito sulle scelte materiche e della pietra in particolare?
Antòn Garcìa Abrìl: Beh, la pietra considerata come materiale ci parla del tempo. Come ho detto nella conferenza dopo aver terminato l’edificio c’era gente che mi diceva di vedere come un progetto che esisteva già da 10 o 15 anni. Si tratta dunque di un’architettura che si lega al tempo in un modo speciale, con il suo linguaggio e con la sua materialità. E rapportarsi al tempo significa ovviamente rapportarsi al tempo della città. Ogni città ha il suo tempo ben distinto, e la città di Santiago ha un tempo lento, molto lento. Chi conosce la città ha evidenza di questo tempo lento, del fatto che il suo passato è fatto di tanti momenti della storia in cui sono successe delle cose.

A.F.: Parlando di Santiago è facile richiamare alla memoria progetti molto noti ad esempio di Alvaro Siza Vieira. L’uso della pietra nei progetti di Siza a Santiago è un uso che potremmo definire non tradizionale, nel senso che si tratta spesso di una struttura di metallo e dell’applicazione di una lastra litica molto sottile. Lei invece in un certo senso ha cercato il recupero di un’applicazione quasi tradizionale, una parete in pietra pressochè strutturale: un’applicazione che richiama più l’antico che non il contemporaneo. L’innovazione è forse più nel proporre un tipo di finitura che oggi non si cerca, cioè quella grezza e scabra del suo progetto. Ha trovato delle difficoltà nella realizzazione di questa finitura? Mi riferisco in particolare alle fasi del confronto con gli artigiani.
A.A.: In ciò che lei mi chiede ci sono in realtà più domande.
Per iniziare, oggi abbiamo, e questa esposizione lo mostra, una tecnologia che permette di fare con la pietra qualunque cosa. La stessa cosa con la pietra che ad esempio con la plastica. Abbiamo visto pietre sottilissime, pietre di vari colori, pietre che quasi si possono mangiare.., sono tutte trasformazioni tecniche di un materiale. Io rispetto questo tipo di atteggiamento. Però il mio interesse è riconoscere, che non significa recuperare, ma riconoscere, solamente quella qualità della pietra che le è intrinseca. Stiamo cioè parlando della massa, stiamo parlando del peso, stiamo parlando di questi aspetti che sono intrinseci al materiale. E sono gli insegnamenti, gli aspetti, a cui io ho cercato di prestare attenzione nell’osservare tutta la storia. In questo senso va inteso il mio interesse particolare. E lo perseguo con relativa difficoltà: quando c’è un’industria strutturata, con una propria pianificazione e qualcuno vuole fare qualcosa di differente è sempre difficile. Nel caso particolare del mio edificio quello che io ho fatto è stato di andare alla cava e di supplicare il responsabile di interrompere il suo processo di manipolazione della pietra al suo primo stadio. Questo sembra semplice perchè se la pietra frutto dei processi industrializzati ha normalmente cinque o sei fasi di lavorazione, io domandavo solo di fermarsi alla prima. La mia fortuna è stata che la persona con cui ho parlato si è dimostrata molto intelligente: dopo le mie suppliche lui si è lasciato convincere a realizzare un piccolo campione, ed ha deciso di prendersi il rischio di realizzare un edificio. L’unico problema è che il rischio che gli architetti volevano assumersi nella loro indagine non era ugualmente condiviso con l’industria. E’ necessario guadagnarsi la fiducia dell’industria per poter lavorare e poter far mettere mano alle cose secondo la propria idea. Non è impossibile, ma non è certo facile.


Spain General Society of Authors and Editors, Santiago de Campostela. Modello di progetto

A.F.: Dal momento che si tratta di una finitura, come diceva, non rigorosa – lei stesso affermava di aver voluto ricercare una finitura scabra, "sporca", non finita – dal punto di vista del progetto questo che cosa ha comportato, nel senso: fino a che punto è arrivato il disegno e quando invece ha pensato che fosse arrivato il momento di fermare la rappresentazione per passare all’intesa diretta con gli artigiani ed al controllo diretto della costruzione?
A.A.: Noi architetti, o forse i progettisti in generale, cerchiamo di trovare la bellezza in modi difficili. La bellezza non è sempre evidente. Quando è evidente si perde. Allora questa sorpresa di trovare la bellezza e la nettezza nella pietra è ciò che mi soddisfa di più. Ora, tornando a quanto dicevo prima, questo che io chiedevo al responsabile della cava era ciò contro cui lui si era formato, erano tutte le cose che lui si era applicato ad evitare. E sono quelle che io cercavo, che volevo inserire nel mio progetto: l’irregolarità, l’impurezza, l’imprecisione, l’irregolare, e questo è il ricorso espressivo.

A.F.: Che in parte, ricordava questa mattina, è dovuto all’interpretazione del luogo: il tipo di luce in particolare presente in quel luogo.
A.A.: Questo non è solamente un vezzo, una decisione presa per un qualche capriccio. E’ una riflessione che sorge dal comprendere che questo luogo ha una luce fisica, se non chimica, che manda scariche energetiche, che riflette molto la meteorologia: l’umidità di Santiago è costante, la corrente atlantica incide direttamente in quest’area, ed il tempo e la climatologia sono in mutazione continua. Ogni giorno ha luce, pioggia, nuvole, tutta la gamma di variabili metereologiche. I piani neoplastici lecorbusieriani funzionano bene con la luce e l’ombra, con il colore mediterraneo. Non sono invece adatti con questo clima, con quest’area, che ha bisogno di una superficie e di un volume che esposto al sole raccolga quest’energia propria del luogo, del suo clima e della sua luce.

A.F.: In qualche modo adesso abbiamo parlato delle preesistenze naturali. Al di là di questo specifico progetto le volevo invece chiedere se ci sono in lei e nel suo modo di operare delle preesistenze a livello di insegnamenti di altri progettisti per quanto riguarda l’uso dei materiali e della pietra in particolare, se c’è qualcuno che ha influito in modo speciale o che guarda particolarmente per poi reinterpretare il suo lavoro.
A.A.: Beh, mia maestra è tutta la storia. I contributi che ho più vivi sono quelli di Raphael Moneo, in cui ho riconosciuto una sensibilità speciale nel percepire in un certo senso il "rumore" del luogo, della città e della gente. Poi Alberto Campo Baeza in generale per la poesia, la sensibilità personale, la poetica. Infine Rem Koolhaas per il coraggio, le motivazioni della sua ricerca.


Spain General Society of Authors and Editors, Santiago de Campostela. Modello di progetto

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20 Ottobre 2005

News Pietre dell'identità

La pietra armata

La Pietra Armata
VERONA – grande successo della partecipazione della delegazione pugliese alla 40° edizione di MARMOMACC (MOSTRA INTERNAZIONALE DEI MARMI E DELLE MACCHINE 29.09/02.10 2005)

A Verona si è parlato in pugliese in occasione delle giornate internazionali della Mostra dei Marmi e delle Macchine. Un grande successo che è andato ben oltre le attese degli stessi organizzatori dell’evento. Un evento che si è espresso ai massimi livelli caratterizzando diversi aspetti della kermesse veronese:
dalla presentazione dello stand della Regione Puglia che ha visto la partecipazione di numerose imprese ed operatori del settore durante tutte le giornate della fiera ed in particolare con la presenza di molti progettisti italiani ed esteri in occasione della presentazione delle iniziative da parte della delegazione regionale;
alla continua visita di studenti, progettisti ed operatori culturali che hanno animato lo spazio della mostra dedicata alla realizzazione della nuova Chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, progettata dall’architetto Renzo Piano ed interamente realizzata in pietra di Apricena;
per concludersi con il successo avuto con il convegno sul rapporto tra tradizione ed innovazione che ha indagato alcuni aspetti specifici della disciplina stereotomica per la lavorazione delle pietre e delle nuove frontiere della pietra strutturale per l’architettura contemporanea, al quale hanno preso parte nomi illustri della ricerca e della professione tra i quali, il prof. Claudio D’Amato del Politecnico di Bari, che ha curato la mostra sulla stereotomia e ha coordinato i lavori del convegno, il prof. Joel SaKarovich, il Maestro Richard Simmonet ed il ricercatore Giuseppe Fallacara che hanno presentato le meraviglie della costruzione in pietra dei Compagnons du Devoir, il prof. Alfonso Acocella studioso ed autore del Manuale di Architettura in Pietra, il prof. Amerigo Restucci storico dell’Architettura e consigliere di amministrazione della Biennale di Venezia e l’ing. Maurizio Milan che con la Bavero&Milan ha ingegnerizzato le strutture della chiesa di Padre Pio.
Molto soddisfatto il curatore della mostra, l’arch. Domenico Potenza, in particolar modo per la grande affluenza registrata nella Cittadella di Marmo Arte e Cultura, per il quale questa mostra non può chiudersi con la fiera e, proprio in ragione del grande successo deve essere portata in giro sia in Italia che all’estero.

Renzo Piano
Renzo Piano

La disponibilità dell’architetto Piano, ha confermato in proposito l’arch. Parisi (vice presidente della Provincia di Foggia, che ha promosso la mostra) la grande e sincera amicizia con qualificati Estimatori della pietra, le importanti adesioni istituzionali ed imprenditoriali hanno reso realizzabile, un progetto di promozione che porterà questo territorio meridionale in un percorso itinerante in Italia ed all’estero, dove presentare il grande genio costruttivo italiano.
La sfida, ha concluso il dr. Dario Stefàno, (responsabile della delegazione Puglia e Presidente della 4° commissione Sviluppo Economico) sarà quella di unire in un patto ambizioso il sistema delle imprese, il mondo del lavoro, il sistema accademico, dei saperi e della scienza e le istituzioni nell’obiettivo di coniugare una delle tradizioni più alte del nostro territorio con le nuove tecnologie, recuperando quel gap che ci relega ad un ruolo di mero fornitore di materia grezza e, quindi, quasi di osservatore rispetto ai processi di sviluppo che la stereotomia e l’architettura contemporanea stanno perseguendo già da tempo.
Molto soddisfatti anche e soprattutto i responsabili di VeronaFiere che hanno invitato la regione Puglia a rinnovare l’interesse per questo settore gia a partire dalla 41° edizione di Marmomacch per presentare un territorio che, tra i più importanti a livello nazionale, ha dato un grande contributo al successo di questa manifestazione.
Intanto si sta già lavorando per presentare la mostra in Puglia nel prossimo mese di novembre, l’allestimento della mostra sarà accompagnato dalla presentazione di un dibattito sugli sviluppi futuri del costruire in pietra, al quale prenderanno parte studiosi ed esperti che hanno contribuito al successo della manifestazione veronese.

(Vai a Marmomacc)

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18 Ottobre 2005

Elementi di Pietra

Sottile, leggera, trasparente: la pietra del futuro


Jim Clemens – Banca Generale del Lussemburgo.
Dettaglio della facciata in vetro con brise-soleil motorizzati in pietra traslucida

Sullo sfondo dei processi di innovazione tecnologica che hanno caratterizzato il settore delle macchine per la lavorazione dei lapidei nell’ultimo decennio, è oggi possibile rilevare una significativa tendenza verso un’innovazione costruttiva basata sul progressivo assottigliamento degli spessori degli elementi litici da costruzione.
I rivestimenti montati a secco, gli schermi lapidei mobili con funzioni di brise-soleil, i diaframmi di pietra traforati, le lastre ultrasottili che esaltano le qualità di traslucenza di alcuni litotipi, esprimono inedite potenzialità tecnologiche e formali, in relazione alle istanze del costruire contemporaneo, indirizzate verso prodotti leggeri e procedure razionalizzate di messa in opera.
L’evoluzione della concezione del prodotto si coniuga infatti con processualità esecutive di tipo seriale, che privilegiano metodi di assemblaggio meccanici, basati su una stretta integrazione tra elementi lapidei e sistemi metallici di fissaggio.
Tale prassi produttiva e costruttiva, legata all’abbassamento dei costi di costruzione, rappresenta una realtà più che mai dinamica, capace di innescare un processo di continuo rinnovamento dei caratteri intrinseci del tema del rivestimento architettonico, con significative ricadute anche nell’interior design e nella progettazione degli allestimenti navali.
La Fiberstone Technology, con sede a Villeurbanne in Francia, è una realtà leader a livello mondiale nella produzione di materiali compositi ultrasottili a base lapidea per l’architettura. Inoltre l’azienda, in stretta collaborazione con i progettisti, sperimenta e realizza componenti e sistemi tecnologici avanzati per il rivestimento esterno ed interno degli edifici.

I materiali prodotti da Fiberstone si suddividono i tre grandi famiglie:
– i pannelli Fiberstone Honeycomb, con spessore variabile tra i 9 e i 25 mm e peso compreso tra gli 11 e i 17 kg/mq;
– i pannelli Fiberstone Fiber, con spessore di 7 mm e peso di 18 kg/mq;
– i pannelli Fiberstone Glass, con spessori che vanno dai 13,5 ai 27 mm e peso variabile dai 31,5 ai 63 kg/mq.

La prima tipologia di pannelli è costituita da uno strato litico e da uno strato di rinforzo in maglia di alluminio a nido d’ape. I due materiali sono resi solidali da una colla strutturale interposta. I pannelli Fiberstone Fiber sono realizzati unendo la sezione di pietra ultrasottile ad una lamina fibrosa impregnata di resina epossidica. Infine, i pannelli Fiberstone Glass sono costituiti da uno strato litico traslucido e da una lastra di vetro semplice o di vetrocamera, con interposta colla strutturale trasparente. In tutti i prodotti la pietra è presente in sezioni sottili con spessori compresi tra i 4 e i 6 mm.


Variatio cromatica e traslucenza di onici e marmi tagliati in sezioni ultrasottili
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Tra le principali opere di architettura realizzate con materiali e sistemi costruttivi Fiberstone si ricordano la Banca Generale del Lussemburgo (progettista Jim Clemens), l’edificio Benrather Karree a Düsseldorf (progettisti Kohn Pedersen Fox Associates) e la Biblioteca Pubblica di Marsiglia (progettista Adrien Fainsilber).
I pannelli Fiberstone trovano inoltre ampia applicazione nella realizzazione di rivestimenti e diaframmi interni, pavimenti galleggianti, soffitti sospesi, corpi illuminanti, arredi fissi e allestimenti navali.

di Davide Turrini

(Vai a Fiberstone)

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16 Ottobre 2005

Citazioni

Le forme nella materia


Intradosso di volta leccese (foto di Alfonso Acocella)

Le forme nella materia
“La forma non è che una veduta dello spirito, una speculazione sull’estensione ridotta all’intellegibilità geometrica, fino a che non vive nella materia. (…)
Nel momento in cui affrontiamo il problema della vita delle forme nella materia, noi non separiamo l’una nozione dall’altra, e, se pure ci serviamo dei due termini, non è allo scopo di dare una realtà obiettiva ad un procedimento d’astrazione, ma, anzi, è per mostrare il carattere costante, indissolubile, irriducibile d’un accordo di fatto. Così la forma non agisce come un principio superiore che modelli una massa passiva, giacchè si può pur sostenere che la materia imponga la propria forma alla forma. Così pure non si tratta di materia e di forma in sè, ma di materie al plurale, numerose complesse, cangianti, aventi un aspetto e un peso, sorte della natura, ma non naturali.
Da quanto precede si posson trarre parecchi principi. Il primo, è che le materie comportano un certo destino o, se si vuole, una certa vocazione formale. Esse hanno una consistenza, un colore, una grana. Sono forme, come dicemmo, e per ciò stesso, chiamano, limitano o sviluppano la vita delle forme dell’arte. Sono scelte, non soltanto per la comodità del lavoro, oppure, nella misura in cui l’arte serve ai bisogni della vita, per la bontà del loro uso; ma anche perchè si prestano ad un trattamento particolare, perchè danno certi effetti. Così la loro forma del tutto bruta, suscita, suggerisce, propaga altre forme e, riprendendo un’espressione apparentemente contraddittoria che i capitoli precedenti permettono di comprendere, perchè le liberano secondo la loro legge. Ma giova osservare subito che questa vocazione formale non è un determinismo cieco, poichè – e qui è il secondo punto – quelle materie così ben caratterizzate, così suggestive ed anche così esigenti riguardo alle forme dell’arte sulle quali esercitano una specie d’attrazione, si trovan da queste, di rimbalzo, profondamente modificate.
Così si stabilisce un divorzio tra le materie dell’arte e le materie della natura, anche se unite tra loro da una rigorosa convenienza formale. S’assiste allo stabilirsi d’un ordine nuovo. Sono due regni, anche se non intervengono gli artifici e la fabbrica. Il legno della statua non è il legno dell’albero; il marmo scolpito non è più il marmo della miniera; l’oro fuso è un metallo inedito; il mattone, cotto e messo in opera, è senza rapporto con l’argilla della cava. I colori, l’epidermide, tutti i valori che agiscono otticamente sul senso tattile, sono cambiati. Le cose senza superficie, nascoste dietro la scorza, interrate nella montagna, bloccate nella pepita, inglobate nella mota, si sono separate dal caos, hanno un’epidermide, aderito allo spazio ed accolto una luce che la lavora a sua volta. Anche se il trattamento subito non pure ha modificato l’equilibrio ed il rapporto naturale delle parti, la vita apparente della materia s’è trasformata.”
Henry Focillon

Henry Focillon, "Le forme nella materia" p. 52 in Vita delle forme, Torino, Einaudi, 1990 (tit.or. Vie des Formes suivi de Éloge de la main, 1943), pp. 134.

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13 Ottobre 2005

Eventi Pietre dell'identità

Mostra Mario Ridolfi Architetto

Palazzo delle poste di Piazza Bologna a Roma, 1933-1935
Palazzo delle poste di Piazza Bologna a Roma, 1933-1935 (foto Alfonso Acocella)
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mostra MARIO RIDOLFI ARCHITETTO

Dal 4 ottobre al 7 dicembre,
Roma, Palazzo Carpegna – Accademia Nazionale di San Luca,
Roma, Palazzo della Calcografia – Istituto Nazionale per la Grafica. Telefono 066798848 – 066798850

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La mostra dedicata all’opera di Mario Ridolfi, si inserisce nel quadro delle manifestazioni organizzate dal Comitato per le celebrazioni del centenario della sua nascita, promosso dall’ Accademia Nazionale di San Luca, dalla DARC – Direzione generale per l’Arte e l’Architettura Contemporanee e dall’Istituto Nazionale per la Grafica del Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Come prima manifestazione, si è tenuto il Convegno di Studi (Roma – Terni, 9 e 10 dicembre 2004). Gli atti, pubblicati dalla Casa Editrice Electa, verranno presentati nel corso della mostra.
Nel 2006, sempre a cura della Casa Editrice Electa, verrà pubblicato il volume di studi che concluderà la serie delle onoranze promosse dal Comitato.
La mostra, a cura di Enrico Valeriani con Alida Moltedo, organizzata con la collaborazione del Comune di Roma, Assessorato alle Politiche Culturali, si articola lungo un itinerario cronologico – dagli anni Venti al 1984, anno della morte di Ridolfi – all’interno del quale vengono evidenziati alcuni dei nodi tematici più rilevanti dell’ opera di Mario Ridolfi e della sua maniera di intendere il “mestiere” dell’architetto.
Attraverso una ricca scelta di disegni originali, alcuni inediti, con materiali provenienti in massima parte dal Fondo Ridolfi-Frankl-Malagricci dell’Accademia Nazionale di San Luca, l’esposizione illustra il percorso intellettuale del Maestro: dagli inizi del razionalismo italiano, alla fine degli anni venti, ai concorsi di architettura (l’ufficio postale di piazza Bologna, 1932-34); dall’esperienza della cultura tecnica tedesca dovuta alla collaborazione con Wolfgang Frankl , alla riflessione sul tema delle abitazioni, in particolare durante la guerra, fino alla compilazione delle tavole tecniche di uso corrente nello studio professionale (che comprenderà, oltre a Ridolfi e Frankl, anche Domenico Malagricci) al Manuale dell’architetto del 1946; dal progetto per la stazione Termini, della fine degli anni quaranta, al tema della ricostruzione; dai progetti residenziali per l’UNRRA Casas e per l’INA Casa negli anni Cinquanta a quelli per edifici pubblici, come le carceri di Nuoro e l’Asilo Olivetti a Ivrea.
A partire dagli anni cinquanta Ridolfi lavora sempre di più a Terni, dove aveva già progettato il piano regolatore. Si dedica in questo periodo alla realizzazione di numerose case di abitazione, fino al cosiddetto “ciclo delle Marmore”, una serie di progetti sempre più intensi e attenti alle forme della tradizione e che possiamo esemplificare in Casa Lina, un progetto del 1964 e realizzato negli anni 1966-67. La mostra si conclude con gli ultimi progetti non realizzati, da quello per il Motel Agip di Settebagni, del 1968-69, all’ampliamento del Municipio di Terni, 1978- 1992.
La mostra si avvale, oltre che dei disegni conservati nell’Archivio dell’Accademia Nazionale di San Luca, di modelli originali o ricostruiti a cura delle Facoltà di Architettura italiane, di rivisitazioni virtuali, di filmati e fotografie d’epoca, di fotografie “d’autore” eseguite nel tempo (da Paolo Portoghesi, da Maurizio Di Puolo e Mario Curti) o richieste per l’occasione a Mario Ciampi, Alberto Guerri, Andrea Jemolo, Franco Mapelli, Silvia Massotti.

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