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Le strategie dei maggiori sistemi lapidei italiani*
Distretto Marmi e Pietre, Verona


Pietra di Prun. Museo di Castelvecchio a Verona di Carlo Scarpa.
(foto: Alfonso Acocella)

Ora tocca ai distretti. Un inchiesta di Versilia Produce

La nostra indagine per illustrare le strade intraprese dai più importanti insiemi locali di pmi nel settore della pietra naturale. I temi che abbiamo chiesto di approfondire:
1. Che tipo di governance, o comitato, indirizza l’attività;
2. Di quali risorse ha usufruito, o usufruisce oggi, il sistema;
3. I principali ambiti di applicazione degli interventi distrettuali;
4. Quali, nella fase attuale, i progetti d’area e le iniziative promozionali a favore della pietra locale e dei suoi lavorati;
5. Esistono strutture specifiche come un osservatorio con funzioni di conoscenza e di progettualità attiva o in grado di fornire servizi diretti alle imprese?
6. Quali sono i principali fattori di competitività del distretto e perchè è importante che esso venga costituito.
La parola ai poli produttivi di Trento, Genova, Sassari e Verona

Distretto Marmi e Pietre, Verona. I numeri
Distretto istituito dalla Regione Veneto con DGR 2502 del 08/08/2003 (Legge Regionale n. 8 del 4 aprile 2003 riguardante la “disciplina dei distretti produttivi e interventi di politica industriale locale”)
Regione: Veneto
Province: Verona – Vicenza
Imprese: 800 (5% estrazione e 95 % lavorazione )
Principale tipologia produttiva: trasformazione, lavorazione modellatura e finitura delle pietre naturali e produzione di agglomerati.
Occupati: 8500
La curiosità: il distretto industriale rappresenta il principale polo italiano, unitamente a quello Carrara, per la lavorazione del marmo e granito ed il più importante a livello mondiale per la produzione degli agglomerati (che ricopre l’80% della produzione mondiale e il 95% di quella nazionale)

Distretto Marmi e Pietre, Verona. Imprese ad alta specializzazione tecnologica
Il Distretto è distribuito in un territorio che abbraccia le zone veronesi della Valpolicella, Lessinia e Valpantena e quelle delle valli vicentine del Chiampo, dell’Agno senza dimenticare le zone del Basso Vicentino e la zona di Asiago.
Il distretto del marmo e delle pietre del veneto è nato con la sottoscrizione formale di 213 aziende (130 veronesi e 80 vicentine) ed è appoggiato dei seguenti enti: CCIAA Verona, VeronaFiere, Associazione delle Piccole e Medie Industrie di Verona, Assindustria Verona, Assindustria Vicenza, Banca di Credito di Marano Valpolicella, Banco Popolare di Verona San Prospero e San Giminiano, Centro di Formazione Professionale CNOS-FAP San Zeno-Cim & Form, Co.Trim, Comuni di Caprino Veronese, Cavaion Veronese, Grezzana, Dolcè, Sant’Ambrogio Valpolicella, Parco Scientifico STAR di Verona, CGIL CISL UIL Verona, Provincia di Verona, Unicredit Banca d’Impresa, Centro Prove Materiali Lapidei.
Il numero degli addetti nel nostro distretto è di 8500 occupati, per il 5% impegnati in aziende di estrazione e per il 95% in quelle di trasformazione e lavorazione dei materiali lapidei. Le imprese si configurano come imprese manifatturiere di piccole e medie dimensioni con un elevato grado di specializzazione tecnologica. Il 59% di queste aziende sono imprese artigiane.
Il distretto ha la leadership negli scambi internazionali, il 5% dell’export mondiale è coperto dalle pietre lavorate dalle aziende del distretto
Per quanto riguarda l’export del veronese nel 2004: 530 milioni euro (con incremento complessivo + 3,9% in termini di valore rispetto 2003. La crescita delle vendite all’estero è stata soprattutto per il materiale lavorato (+4,13%) mentre per le pietre grezze le esportazioni sono restate stabili sui valori 2003). I principali mercati di destinazione sono Germania, USA e Austria
I principali giacimenti di pietre si rinvengono nelle formazioni calcaree del Giurassico e del cretaceo superiore del Monte Baldo ma soprattutto in Lessinia. Dalle formazioni calcaree Giurassiche pervengono la gran parte dei calcari lucidabili un tempo ed attualmente estratti nel Veronese: il Bronzetto, il Rosa del Garda, la Breccia Pernice, il Giallo Reale, il Rosso Verona.
La storia dell’escavazione di tali pregiati materiali edilizi si svolge lungo il corso di più di duemila anni. Nelle zona della Provincia di Verona e Vicenza i marmi erano estratti e lavorati già in epoca romana. Come stanno a testimoniare i vari monumenti ottenuti da tali marmi e da tali pietre a Verona (si pensi alle quantità di marmo rosso e bianco impiegato ad esempio nella costruzione dell’anfiteatro Arena), ma anche in tutto il bacino padano. Cave e laboratori attivi anche in età romanica, e più avanti per tutto il basso medioevo e per l’età moderna, che pur furono oggetto di massicce esportazioni, sempre via acqua, verso regioni vicine e meno vicine.
Lodi di questi marmi veneti verranno celebrate nel Rinascimento da Leonardo da Vinci, Giorgio Vasari, Giovan Battista Alberti, Jacopo Sansovino e Andrea Palladio e Vincenzo Scamozzi.
Nel vicentino e nel veronese operavano fin dall’età romana una comunità di scalpellini che lavoravano la pietra con metodi arcaici del tutto simili a quelli praticati poi nel medioevo, nell’età moderna e in quella contemporanea fino agli anni ’50. Generazioni di scalpellini ricevettero una formazione culturale e una preparazione professionale dalla Scuola d’Arte “Paolo Brenzoni” fondata nel 1868 a Sant’Ambrogio Valpolicella.
Le applicazioni per questo prodotto naturale sono molteplici, e risentono anche delle mode del momento, ciò nonostante si possono riassumere così i principali campi di impiego: settore edile, creazioni artistiche, oggettistica e arredo abitativo, arredo urbano, restauro, arte funeraria, utilizzo dei sottoprodotti di cava, cocciame e fanghi di lavorazione.
Per quanto riguarda il prodotto le qualità più famose sono la pietra della Lessinia o di Prun, il marmo rosso Verona, la pietra di Vicenza, il marmo di Chiampo.


Marmo rosa e prugna di Verona, alternati al bianco di Carrara e al verde Alpi.
Pavimento della Fondazione Querini Stampalia di Carlo Scarpa a Venezia.

(foto: Alfonso Acocella)

Intervista al Presidente di Distretto.
Distretto Marmi e Pietre, Verona. Showroom permanente a S. Pietroburgo

Governance. Dal 2003 Videomarmoteca è sede e referente del Distretto Industriale del Marmo e delle Pietre del Veneto. Tutte le attività di Videomarmoteca sono concertate a livello di cda e grazie a questo ruolo,essa ha presentato alla Regione progetti esecutivi a sostegno delle imprese e del territorio del Veneto. Videomarmoteca, sorta nel 2000 grazie al sostegno della CE e per volontà della CCIAA di Verona, è un centro polifunzionale in cui sono svolte attività di informazione, consulenza, ricerca, formazione e promozione a servizio degli operatori, di architetti e progettisti. La sede legale è la Camera di Verona, mentre la sede operativa si trova a Volargne di Dolcè, Verona, dove sono localizzate parecchie aziende. Il centro è dotato di un’area per il ricevimento degli utenti e la consulenza, una biblioteca specializzata, postazioni internet, una sala riunioni ed una sala conferenze a disposizione degli operatori. Al suo interno è stata allestita una mostra permanente di materiale lapideo, dove si trovano campioni con informazioni tecniche. La sala mostra è a disposizione di tutti i visitatori che desiderano conoscere le principali pietre ornamentali in commercio.
Risorse. Il distretto usufruisce direttamente della professionalità e della lungimiranza imprenditoriale dei componeneti del cda di Videomarmoteca e del sostegno (in termini di risorse economiche e non) di imprenditori, associazioni di categoria, istituzioni pubbliche e private e consorzi universitari.
Interventi. Il programma del Distretto ha previsto una serie di iniziative per lo sviluppo e il sostegno di tutta la filiera produttiva del comparto del marmo. Quattro le macro aree di interesse: promozione, incontri per imprese, progettisti e tecnici comunali, servizi innovativi e ricerca, scuola e formazione.
Iniziative. Il Distretto ha presentato in Regione alcuni progetti rivolti proprio alla promozione e all’innovazione del materiale lapideo quali:
– “Progetto Canova 2″ che promuove il prodotto in ambito internazionale, rafforza la visibilità del Distretto attraverso una presenza stabile nel territorio russo, con la realizzazione di uno showroom permanente nella città di S. Pietroburgo nel quale raccogliere ed esporre i prodotti delle aziende del Distretto.
– ” La pietra del Palladio”, percorsi ed azioni di innovazione rispondenti alle esigenze delle imprese per la valorizzazione e analisi della qualità delle pietre vicentine.
– “Partecipazione a manifestazioni fieristiche italiane” per promuovere a livello internazionale i nostri materiali.
– “Progetto di ricerca industriale avanzata per marmi e pietre ” che propone un’indagine sperimentale per arrivare all’invenzione di nuovi e insoliti materiali lapidei e di speciali materiali lapidei ri-composti. Tale progetto vuole verificare non solo una molteplicità di diverse caratteristiche funzionali del materiale, ma anche porre l’attenzione sull’esecuzione del prodotto privilegiando gli aspetti estetici, nonchè l’esperienza tattile del fruitore. Con l’aiuto di nuove tecniche di taglio, di fresatura e di finitura e con la proposta di vari materiali lapidei trattati e ricomposti in maniera innovativa, il risultato di questa ricerca vorrebbe facilitare e stimolare processi tecnologici inventivi nell’industria della pietra nel Veneto. Con la compilazione inoltre di un database e la catalogazione di una serie di campioni dei materiali studiati, si intenderebbe offrire un reale strumento di consultazione utile per gli industrial designers, gli architetti e gli operatori del settore design in genere, promuovendo la creazione di nuovi prodotti in pietra.
Realizzato nel 2004 ed in fase di perfezionamento il progetto per la creazione di un magazzino on line di prodotti lapidei veronesi
Strutture. Videomarmoteca, la casa dei marmisti, è proprio la struttura che si occupa del programma progettuale a servizio diretto delle imprese.
Competitività. Tradizione, esperienza e innovazione tecnologica, soni i fattori che distinguono le imprese del nostro distretto e che per tali caratteri sono arrivate a livelli d’eccellenza nel corso degli anni.
La continua ricerca di innovazione tecnologica e il servizio completo (dalla posa alla consulenza – attraverso anche i programmi digitali di simulazioni delle superfici) offerto ad architetti e progettisti è quello che quotidianamente sprona questi professionisti ad utilizzare il nostro pregiato materiale.
Perchè il Distretto. Il distretto è importante perchè permette alle aziende di fare sistema e fare squadra. Credo fortemente che il ragionamento dei distretti sia direttamente collegato al concetto del fare squadra.
La situazione della nostra realtà sta soffrendo molto delle continue sfide del mercato globalizzato e della forte concorrenza dei cosiddetti paesi emergenti che devono essere contrastate con strategie efficaci. Il distretto è importante perchè oltre ad essere un polo informativo è anche un centro progettuale e tecnologico capace.
Offre a tutte le aziende, anche a quelle piccolissime, un appoggio per affrontare assieme, con intelligenza e concretezza, le sfide che quotidianamente si presentano nel nostro settore attraverso lo studio – sviluppo di programmi e progetti rivolti alla ricerca dell’ innovazione del prodotto lapideo e soprattutto alla sua promozione.
Filiberto Semenzin

* Con questo post il blog_architetturadipietra riedita, a puntate, il servizio “Le strategie dei maggiori sistemi lapidei italiani” a cura di Stefano De Franceschi apparso su Versilia Produce n. 51, 2005, Anno XII

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Le strategie dei maggiori sistemi lapidei italiani*
Distretto Gallura, Sassari


Colonne di granito. Teatro di Portorotondo (foto di Alfonso Acocella)

Ora tocca ai distretti. Un inchiesta di Versilia Produce

La nostra indagine per illustrare le strade intraprese dai più importanti insiemi locali di pmi nel settore della pietra naturale. I temi che abbiamo chiesto di approfondire:
1. Che tipo di governance, o comitato, indirizza l’attività;
2. Di quali risorse ha usufruito, o usufruisce oggi, il sistema;
3. I principali ambiti di applicazione degli interventi distrettuali;
4. Quali, nella fase attuale, i progetti d’area e le iniziative promozionali a favore della pietra locale e dei suoi lavorati;
5. Esistono strutture specifiche come un osservatorio con funzioni di conoscenza e di progettualità attiva o in grado di fornire servizi diretti alle imprese?
6. Quali sono i principali fattori di competitività del distretto e perchè è importante che esso venga costituito.
La parola ai poli produttivi di Trento, Genova, Sassari e Verona

Distretto Gallura, Sassari. I numeri
Distretto granito della Gallura istituito dalla Regione Sardegna con Decreto Assessoriale del 7 agosto 1997
Regione: Sardegna
Provincia: Sassari
Imprese: circa 280 (90% estrazione, 5% lavorazione)
Principale tipologia produttiva: rivestimenti, pannelli, arredi urbani, opere murarie.
Occupati:2000 circa
La curiosità: il granito sardo è conosciuto ed utilizzato da oltre 5.000 anni.

Distretto Gallura, Sassari. Una pietra tra le più antiche e pregiate
Il paesaggio dell’isola è costellato di vestigia monumentali e il granito, che un tempo era faticosamente trasformato dagli scalpellini in conci, lastre e monoliti, venne utilizzato per la costruzione dei nuraghi e le Tombe dei Giganti.
Già i Romani utilizzavano il granito per costruire mounumenti e ville patrizie e i resti di antiche cave sono ancora individuabili in alcune località soprattutto della costa.
Il commercio organizzato dei graniti sardi risale al 1870 e da questa data in poi la sua escavazione e lavorazione divennero in breve la più fiorente attività del nord della Sardegna: grazie alle proprietà del materiale e all’eccellente fattura dei lavorati, il lapideo sardo si impose rapidamente sui mercati nazionali esteri e celebri opere furono realizzate agli inizi del ‘900 con il granito grigio-rosa di La Maddalena, come il basamento della Statua della Libertà e il Palazzo della Borsa a Milano.
La prima impresa sarda di escavazione e lavorazione venne invece costituita nel 1961 a Buddusò – piccolo centro a circa 60 km. a sud di Olbia, nel nord della Sardegna – nei cui dintorni è fortemente concentrata la produzione di granito.
Da allora il comparto si è costantemente evoluto (attualmente conta circa 170 cave attive) e, grazie all’innesto della tecnologia con l’antichissima tradizione liofila dell’isola, costituisce già da molti anni più del 75% del granito estratto in Italia.
Il successo del prodotto deriva, come accennato, dalle sue caratteristiche tecniche; infatti, il granito di Sardegna assicura la più alta performance di durevolezza e resistenza complessiva tra i poche lapidei ornamentali utilizzabili nei rivestimenti esterni di grandi opere (pannelizzazioni) e nella copertura di estese superfici interne calpestabili.
In questo tipo di applicazioni il granito sardo è impiegato in tutto il mondo, con all’attivo molteplici e prestigiose opere rivestite o pavimentate. Le caratteristiche tecniche di una roccia sono frutto della sua storia geologica e non tutti i graniti possiedono le caratteristiche eccellenti di quello della Sardegna, tra i più pregiati e, geologicamente, tra i più antichi litotipi della Terra.
Da rilevare che, per quanto riguarda il Distretto della Gallura, la produzione e le vendite si attestano in gran parte sul semilavorato anzichè sul prodotto finito. Il che, come è noto, non contribuisce a valorizzare al massimo e in loco, l’indubbia qualità della pietra estratta, restringe pesantemente, come è apparso negli ultimi e difficili anni, la possibilità di vendita sui mercati esteri e, in definitiva, crea minor valore aggiunto rispetto alla potenzialità.
Causa principale della crisi è la massiccia concorrenza cinese che si è accaparrata una grossa fetta di mercato, ai danni del prodotto sardo ma anche spagnolo. La stessa Germania, che con una quota del 30% circa continua ad essere il principale importatore di granito sardo, di recente ha effettuato ingenti ordini di granito cinese per la realizzazione di grandi opere pubbliche.
Va tuttavia ricordata l’importanza del settore non solo per i territori interessati ma anche per il rilevante indotto suscitato lungo una “filiera” terra-mare di trasporto speciale in cui gioca un ruolo centrale il sistema portuale di Olbia-Golfo Aranci, anch’essa purtroppo penalizzata da carenze infrastrutturali.


Cave di granito a Buddusò. (foto di Alfonso Acocella)

Intervista al Presidente della Sezione Lapidei di Assindustria Sassari
Distretto Gallura, Sassari – Il peso del gruppo

Governance. “Non essendo ancora costituito il Distretto di fatto non esiste nessun comitato. Le decisioni sono prese nel corso di periodiche riunioni con istituzioni, associazioni di categoria, parti sociali, consorzi ed enti locali. Ma noi insistiamo nei confronti della Regione tutte le volte che ci riuniamo perchè venga riconosciuto formalmente il Distretto, in quanto lo riteniamo un elemento fondamentale per lo sviluppo del nostro settore e per la nostra economia”.
Risorse. “Abbiamo usufruito solo della legge 37 del 1998, che ha concesso dei contributi alle aziende consorziate del “Distretto” su specifici progetti. Purtroppo, questi fondi, per una serie di motivi, non sono stati utilizzati al 100%”.
Interventi. “La mancanza di fatto di un comitato ha impedito l’attuazione di specifici interventi. E’ difficile, senza un organo composto da rappresentanti delle varie realtà operanti nel comparto, attuare interventi di reale efficacia. Ritengo che la presenza e l’azione di una governance strutturata, portavoce delle esigenze territoriali, possa essere una delle strade per meglio rispondere alle necessità del mondo produttivo, senza limitarsi a realtà importanti certo, ma circoscritte, come i sistemi industriali territoriali; questo, a lunga scadenza, potrebbe creare disomogeneità nel tessuto economico-sociale difficili da recuperare.
Iniziative. Sopperiamo alle difficoltà con l’azione di associazioni di categorie, enti o consorzi. Per esempio, il consorzio Graniti e Marmi di Sardegna usufruendo dei bandi disponibili, vuole avviare specifici progetti su alcuni temi importanti come la marcatura CE dei materiali e il marchio Pietra Naturale. Il consorzio svolge anche un’azione di rappresentanza e promozione sui mercati interni ed esteri delle aziende associate. Importante è stata l’azione congiunta che ha permesso la messa a norma dei siti di cava ed infine, dopo un periodo in cui le aziende tendevano ad svolgere servizi in proprio, stiamo lavorando per concentrare nelle mani del consorzio questa attività. Oggi, per affrontare la crisi, vedo necessario ed improrogabile il rilancio dell’aggregazione di imprese.
Strutture. Il Consorzio 21, struttura dedicata alle attività riguardanti la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo: in particolare, tale organismo è titolare della facoltà di istruire le pratiche e seguire le imprese nell’attuazione della L. R. 37 del 1998, che concede contributi alle imprese associate del distretto industriale. Obiettivo della legge è quello di realizzare e migliorare le reti comuni di servizi informatici, controllare e certificare la qualità, progettare, realizzare e gestire sistemi di impianti di depurazione e di smaltimento dei residui di lavorazione e sistemi e impianti per il risparmio idrico ed energetico; realizzare, migliorare e gestire reti e centri consortili comuni di magazzinaggio, di vendita e di assistenza ai clienti.
Competitività. Le ottime performance fisiche della nostra pietra, unite ad indubbie qualità estetiche. E’ fondamentale la valorizzazione del prodotto naturale locale contro l’invasione dei prodotti succedanei. Del resto, ci sarà un motivo se il marmo sardo è conosciuto in tutto il mondo: ecco, il nostro obiettivo è mantenere questa credibilità. Altri fattori di forza sono la centralità della Sardegna nel Mediterraneo e lo sviluppo del porto industriale di Cagliari, struttura studiata e realizzata per il trasporto dei container, che deve ancora sfruttare tutte le sue potenzialità.
A fronte di questi aspetti positivi ci sono però alcuni problemi: l’eccessiva burocratizzazione che vige in Sardegna, vero e proprio freno allo sviluppo economico. Poi i costi: è giusto valorizzare la trasformazione in loco dei materiali: si pensi che sino agli anni Settanta la quasi totalità dei blocchi di granito prendeva la via del mare, per essere trasformati altrove, e pochi erano gli operatori che sapevano che quello era granito proveniente dalla Sardegna. Oggi le cose sono migliorate e negli ultimi quindici anni le lavorazioni locali sono aumentate e la quota continua a crescere: sono più di mille le imprese che si occupano di taglio, modellatura e finitura della pietra, con migliaia di addetti. Ma, come dicevamo, i problemi vengono dai costi di trasformazione: siamo in una fase di transizione e prima di parlare di delocalizzazione, che pare la strada del futuro, di cerchiamo di interpretare bene tutta la situazione.
Perchè il Distretto. Perchè l’unione fa la forza. Piccolo non è più bello, o per meglio dire, piccolo non è più confacente a quelle che sono le dinamiche dei mercati moderni. Occorre organizzarsi e presentarsi sul mercato con un peso specifico adeguato, appunto “di distretto”. E per dare vita a questo occorrono investimenti importanti che non è possibile reperire se si agisce come cani sciolti. I rapporti con le istituzioni locali, regionali e nazionali, i servizi specifici e costosi, le tematiche relative ai siti di cava, le nuove forme di comunicazione e marketing, tutto deve essere fatto a livello di consorzio. Questa è la strada per rispondere alla crisi.
Faccio solo un esempio: il Decreto Ministeriale del 15.08.05 ha stabilito nuove condizioni per l’uso e il trasporto di esplosivi, in materia di antiterrorismo; l’applicazione alla lettera di queste disposizioni avrebbe significato a chiusura di gran parte delle attività. Ma il “peso” del gruppo fatto di più consorzi di imprese, rapportandosi con la Questura e la Prefettura, ha permesso una applicazione della norma meno invasiva, pur nel rispetto delle esigenze e della tutela delle norme contro il terrorismo. Da sole non so se le aziende sarebbero state in grado di ottenere questo importante risultato.

Piero Tamponi

Distretto Gallura, Sassari – L’idea
La Gallura sfida la Cina nel mercato mondiale del Granito, e con un concorrente che si chiama Cina, la necessità di puntare su nuovi e qualificati mercati, sulla lavorazione in loco, e sulla priorità del granito nei capitolati degli appalti pubblici. Mercato globale vuol dire anche questo. Ma l’ingegno dei “cavatori” isolani va oltre e propone uso finora impensati per il granito: supporto per i non vedenti grazie ad una particolare lavorazione del materiale che lo renderebbe una sorta di braille stradale.

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Le strategie dei maggiori sistemi lapidei italiani*
Distretto Ardesia, Genova


Banco roccioso di ardesia in Liguria (foto di Alfonso Acocella)

Ora tocca ai distretti. Un inchiesta di Versilia Produce

La nostra indagine per illustrare le strade intraprese dai più importanti insiemi locali di pmi nel settore della pietra naturale. I temi che abbiamo chiesto di approfondire:
1. Che tipo di governance, o comitato, indirizza l’attività;
2. Di quali risorse ha usufruito, o usufruisce oggi, il sistema;
3. I principali ambiti di applicazione degli interventi distrettuali;
4. Quali, nella fase attuale, i progetti d’area e le iniziative promozionali a favore della pietra locale e dei suoi lavorati;
5. Esistono strutture specifiche come un osservatorio con funzioni di conoscenza e di progettualità attiva o in grado di fornire servizi diretti alle imprese?
6. Quali sono i principali fattori di competitività del distretto e perchè è importante che esso venga costituito.
La parola ai poli produttivi di Trento, Genova, Sassari e Verona

Distretto Ardesia, Genova. I numeri

Distretto istituito con leggi regionali n. 45/1997 e n.33/2002
Regione: Liguria
Provincia: Genova
Imprese: 43 (70 % estrazione, 30 % solo lavorazione)
Principale tipologia produttiva: estrazione e lavorazione ardesia
Occupati: 270 unità
Fatturato complessivo: 60 milioni circa di euro
La curiosità: il 25% delle aziende produce lastre da biliardi per il mercato statunitense, il restante 75% fornisce prodotti per edilizia.
Nessuna emissione nociva, anche in caso di intemperie.

Distretto Ardesia, Genova – Il tetto in Lavagna ecologico al 100%
Il distretto è distribuito su un territorio che abbraccia la Val Fontanabuona, entroterra del Golfo del Tigullio, e precisamente i Comuni di Cicagna, Lavagna, Lorsica, Moconesi, Ne e Orero.
Le aziende ardesiache, di cui una trentina sono micro-imprese (sotto i dieci dipendenti), sono così suddivise: 70% dedite all’estrazione e lavorazione, 30% dedite alla sola lavorazione.
Inoltre, volendo fare una prima suddivisione tra imprese rivolte al mercato edilizio ed imprese operanti sul mercato dei biliardi, si può accennare che tra le due classi di aziende esistono notevoli differenze.
Le più piccole, infatti, sono prevalentemente attive nella produzione di componenti per l’edilizia tradizionale ligure: tetti di abitazioni e chiese, pavimentazioni, scale, arredo urbano, ecc. Questo segmento risente quindi dell’andamento dell’industria delle costruzioni e del recupero e preservazione del patrimonio architettonico e paesaggistico locale.
La concorrenza è rappresentata dalla diffusa tendenza a utilizzare, nelle coperture, prodotti alternativi all’ardesia, economicamente – forse – più convenienti ma che non fanno parte della tradizione ligure.
Senza contare che la copertura in ardesia è al 100% ecologica, in quanto priva di emissioni in atmosfera anche in caso di intemperie e garantisce una perfetta ventilazione del sottotetto.
Il distretto ha la leadership negli scambi internazionali, il 100% dell’export è coperto dalle pietre lavorate dalle aziende del distretto (non esiste altra realtà significativa su territorio nazionale) e principalmente il prodotto esportato è identificato come la lastra da biliardo.
L’ardesia è una pietra naturale caratteristica della Liguria, riveste i tetti delle case liguri e grazie alla sua funzionalità si utilizza elegantemente anche negli interni.
Utilizzata nei palazzi gentilizi liguri del Medioevo e del Rinascimento, ha trovato in seguito vasta applicazione anche nei rivestimenti delle pareti e nei pavimenti; oggi costituisce un tratto distintivo dei centri storici in Liguria.
L’export non è più il solo modo di interscambio internazionale; più che sulla quantità del materiale esportato, diventa indispensabile puntare sulla qualità, poichè solo le qualità locali distintive instaurano rapporti di mercato stabili nel tempo. Gli elementi di specificità che contraddistinguono la produzione locale diventano fondamentali.
E’ necessario valorizzare le caratteristiche peculiari dell’ardesia, la sua originalità distintiva, condizione indispensabile per sostenere e qualificare la presenza dell’ardesia “made in Italy” nella dimensione internazionale.
L’ardesia viene estratta anche in Francia (dove, come per Lavagna, esiste il paese L’Ardoise nella regione Languedoc-Roussillon), nel Galles, in Germania e negli Stati Uniti, ma la qualità ligure è tra le migliori, più morbida e calda.
Le sue peculiarità sono fra le altre, lo spacco facile, l’ottima flessione e resistenza all’acqua piovana, la bassa conducibilità e dilatazione termica.
L’ardesia del distretto è oggi impiegata per svariati utilizzi come biliardo, edilizia, coperture, arredamento, lavagne e oggettistica.


Il paesaggio dei tetti in ardesia di Genova (foto Alfonso Acocella)

Intervista al Presidente di Distretto
Distretto Ardesia, Genova – La nostra formula: il design applicato all’attrattiva unica delle ardesie

Governance. “Il nostro distretto è regolamentato dalla L.R. 33/02 prevede l’istituzione,all’art.8, attraverso un decreto del Presidente della Giunta Regionale di un Comitato di Distretto formato, nel nostro caso da 9 membri (un rappresentante dei Comuni compresi nell’ambito territoriale del distretto, un rappresentante della CCIAA nel cui ambito territoriale è ricompreso il distretto, quattro rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali maggiormente rappresentative previsti nell’area e tre rappresentanti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative esistenti nell’area).
Il Comitato dura in carica quattro anni ed elegge tra i propri membri il Presidente, che ha un mandato biennale rinnovabile.
Il Comitato rappresenta la sede di confronto fra le parti istituzionali, economiche, sociali operanti nell’area riguardo ai temi di politica industriale locale. Tra le funzioni del Comitato vi sono la predisposizione del Programma Annuale di interventi, eventuali proposte alla Giunta Regionale in materia di politica industriale di interesse locale, la promozione di progetti comuni fra le imprese del distretto”.
Risorse. “La Regione non ha previsto la concessione di risorse per il funzionamento del distretto, quindi il Comitato di Distretto non è dotato di fondi. Sono previsti, attraverso bandi, agevolazioni a favore di consorzi di aziende (almeno 5 con prevalenza numerica di PMI) sotto forma di contributi a fondo perduto e di finanziamenti a tasso agevolato (0,5%).
L’ammontare delle risorse per il primo bando relativo ai distretti industriali (chiuso il 4 agosto u.s.) è pari a 6.100.00 euro”.
Interventi. I principali ambiti di applicazione degli interventi del distretto si concentrano su l’internazionalizzazione,l’ innovazione di prodotto e il marchio di qualità”.
Iniziative. “Al momento è in fase di attuazione il progetto Ardesia – USA di Liguria International mirato al sostegno informativo e la conseguente salvaguardia dell’internazionalizzazione delle imprese liguri ardesiache sul mercato USA, a fronte delle critiche condizioni internazionali presenti sul mercato dei biliardi costruiti con ardesia ligure”.
Strutture.“Nel 1994 è stata costituita la Società Consortile LAPIS tra un gruppo di aziende ardesiache e la FILSE (società finanziaria Ligure della regione Liguria), Camera di Commercio, Industria Artigianato Agricoltura e Comunità Montana Val Fontanabuona, per svolgere le funzioni di innovazione, ricerca e sviluppo di prodotti. Questo ha permesso di sviluppare una gamma di prodotti innovativi che armonizzano design all’attrattiva peculiare della pietra.
Oltre all’iniziale attività di fornire servizi e lavorazioni particolari alle aziende del comparto del distretto, ha svolto una notevole opera di commercializzazione e promozione del materiale in sè in Italia ed all’estero”.
Competitività. Il fattore principale di competitività del distretto è, senza dubbio, la unicità della materia prima estratta cioè dell’ardesiache è un materiale completamente naturale, che durante le attività di estrazione, lavorazione e taglio, non subisce alcuna alterazione, nè entra in contatto con sostanze inquinanti o capaci di mutarne la composizione”.
Perchè il Distretto. “Il distretto è molto importante perchè obbliga le aziende, che nel nostro settore sono tutte medio-piccole ed a conduzione familiare, a prendere in considerazione seriamente l’aggregazione tra le stesse.
E’ impensabile, infatti, pensare di competere a livello internazionale con altri paesi senza una crescita delle realtà aziendali. Il piccolo è bello non è più vero.
Per seguire tutte le normative e conformarsi alle direttive che ci sono a livello europeo, per esempio direttiva sulle macchine che è recentemente entrata in vigore, è indispensabile essere aggregati”.

Franca Garbarono

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Distretto Porfido, Trento


Pavimentazione con elementi in porfido del Trentino (foto: Alfonso Acocella)

Ora tocca ai distretti. Un inchiesta di Versilia Produce
(servizio a cura di Stefano De Franceschi)

La nostra indagine per illustrare le strade intraprese dai più importanti insiemi locali di pmi nel settore della pietra naturale. I temi che abbiamo chiesto di approfondire:
1. Che tipo di governance, o comitato, indirizza l’attività;
2. Di quali risorse ha usufruito, o usufruisce oggi, il sistema;
3. I principali ambiti di applicazione degli interventi distrettuali;
4. Quali, nella fase attuale, i progetti d’area e le iniziative promozionali a favore della pietra locale e dei suoi lavorati;
5. Esistono strutture specifiche come un osservatorio con funzioni di conoscenza e di progettualità attiva o in grado di fornire servizi diretti alle imprese?
6. Quali sono i principali fattori di competitività del distretto e perchè è importante che esso venga costituito.
La parola ai poli produttivi di Trento, Genova, Sassari e Verona

Distretto Porfido, Trento. I numeri
Il Distretto deve essere costituito nel 2006 con la modifica dell’attuale legislazione provinciale del settore estrattivo (l. 04.03.80 n.6)
Regione: Trentino Alto Adige
Provincia: Trento
Imprese: circa 200 (50 % estrazione, 50 % lavorazione)
Principale tipologia produttiva:
pavimentazione urbana (cubetti, lastre, cordoli) e rivestimenti
Occupati: 1500 diretti, 1500 indotto
Fatturato: 400 milioni circa di euro
La curiosità: la maggioranza degli addetti sono immigrati, fatto che reso la valle trentina quella con il più alto tasso di extracomunitari.
Oltre il 40% della produzione va nel Nord Europa e Usa

Duecento aziende divise in estrazione e lavorazione
Il Distretto è localizzato nella Val di Cembra, che divide le superiori Valli di Fiemme e di Fassa dalla Val d’Adige, su un territorio che abbraccia le zone ed i comuni di Albiano, Fornace, Lona-Lases, Baselga di Pinè e Trento. Le circa 200 aziende di cui circa la metà a carattere artigianale, sono equamente suddivise in estrazione e lavorazione. Il Distretto ha la leadership negli scambi internazionali, il 5% dell’export mondiale è coperto dalle pietre lavorate dalle aziende del sistema. Ogni anno, dalle 100 cave del distretto vengono estratte 3 milioni di tonnellate di porfido, di cui il 40% rappresentante il prodotto vendibile come cubetti e piastrelle, mentre i rimanenti 2 milioni di tonnellate sono considerati scarti e di scarsa qualità e vengono destinati ad altro uso; il 90% viene infatti trasportato nei frantoi per trasformarlo in prodotti edili e conglomerati bituminosi. I giacimenti più importanti della pietra porfirica si trovano nella zona della bassa Val di Cembra (Albiano, Baselga di Pinè, Capriana, Cembra, Fornace, Giovo, Lona-Lases, Divezzano,Trento).
La conoscenza e l’uso del porfido è di antica data. Importanti reperti e monumenti in porfido sono stati scoperti nei luoghi delle civiltà assiro-babilonesi, egizie e romane. In epoca romana il porfido rosso, così definito a causa del suo colore porpora, assunse a simbolo di grande prestigio e di dignità regale. Il titolo di “porfirogenito” voleva dire “nato in una stanza completamente rivestita di porfido”, stanza esistente solo nei palazzi del potere. Molti imperatori vennero pure sepolti entro sarcofaghi di porfido.
Nell’antichità fino al 500 d. C., il porfido proveniva quasi unicamente da cave situate nel deserto egiziano. Si narra che in porfido fossero i sepolcri di Nerone e di Settimo Severo e le parti più importanti dei palazzi imperiali di Diocleziano e di Costantino. Dalle rovine dei palazzi romani proveniva il porfido usato in epoche successive, ad esempio per la costruzione dei monumenti tombali dei regnanti siciliani (tuttora conservati nella Cattedrale di Palermo). Nel Rinascimento del porfido ne parla Giorgio Vasari nella sua opera “Dell’Architettura”. L’autore metteva in luce la durezza del porfido, che sottopose a dura prova gli strumenti degli scultori suoi contemporanei, sai pur del calibro di Leon Battista Alberti e di Michelangelo Buonarroti. Nel ‘900, poi, l’evolversi ed il moltiplicarsi delle aziende interessate all’estrazione ed alla lavorazione del porfido, unito all’espandersi del mercato (particolarmente al Centro ed al Sud Italia) hanno portato, in particolare negli anni 60/70 ad un fortissimo incremento della produzione, nonchè ad un progressivo miglioramento dei mezzi e delle tecniche di estrazione. Si assiste così ad un ulteriore espandersi del settore determinato dal formarsi di nuove imprese e dall’introduzione di nuove macchine per il taglio meccanico dei cubetti e delle piastrelle, nonchè all’intensificarsi della meccanizzazione nella fase di abbattimento e trasporto. Negli ultimi anni, infine, accanto all’azienda produttiva vera e propria, delle strutture di sostegno, i consorzi, che svolgono delle funzioni di primaria importanza ed indispensabili nell’attuale contesto economico, quali la regolazione domanda/offerta, con funzioni di polmone per le aziende nei confronti della variazione della domanda, la ripartizione dei rischi commerciali, l’informazione specialistica e la promozione, il controllo di tutto il ciclo produttivo e commerciale (per sottrarre all’improvvisazione ed alla speculazione). Oggi il porfido della Val di Cembra viene in gran parte esportato fuori provincia e per oltre il 40% all’estero, in particolare nei paesi del nord Europa (Germania, Francia, Austria) e negli Stati Uniti, sfidando con la qualità del prodotto i concorrenti argentini e portoghesi.
Il marmo e pietra del Distretto è impiegato per svariati lavori come la pavimentazione e l’arredo urbano, nonchè i rivestimenti interni ed esterni.

“L’Atlante della Pietra Trentina” il manuale del nostro prodotto
“Da qualche anno il comparto porfido, assume la denominazione di distretto ancorchè la Giunta Provinciale della Provincia Autonoma di Trento non lo abbia istituito con proprio provvedimento deliberativo ad hoc.
La promotrice dell’iniziativa è stata l’Associazione degli Industriali di Trento Sezione Porfido che lo ha inserito come obbiettivo da raggiungere nel breve, nei propri programmi di attività. Il distretto dovrebbe essere istituito con legge nel corso del 2006 con la modifica dell’attuale legislazione provinciale del settore estrattivo (Legge 4 Marzo 80 N. 6).
Per anni tutta la promozione faceva capo ad Espo – Ente Sviluppo Porfidi – ed alle singole aziende che promuovono anche in proprio workshop, eventi fieristici e altre manifestazioni di settore. Fondamentale è sempre stato il supporto economico della Provincia di Trento attraverso le leggi di settore che hanno permesso un importante attivismo in proposito da parte dell’Ente di Sviluppo. Oggi troviamo sul mercato una miriade di pietre provenienti dal mondo a costi notevolmente inferiori ai nostri, ci sono diversi prodotti “surrogati” della pietra che lasciano il tempo che trovano, trattandosi non di una “pietra naturale”.
Da qualche anno, dunque, grazie ad un iniziativa della Camera di Commercio e della Provincia è stato attivato il “Progetto Pietra Trentina”, nato per promuove tutte le pietre del Trentino e focalizzata su alcuni aspetti che riteniamo imprescindibili per affrontare la nuova e difficile sfida lanciata dai nuovi competitors internazionali: una efficace attività promozionale in primo luogo, per il rilancio sui mercati nazionali ed esteri del nostro prodotto, progetti ad hoc su nuove realizzazioni ad alto valore aggiunto che utilizzano la nostra pietra e pubblicazioni tecniche. Fra queste in particolare, vorrei citare l’Atlante della Pietra Trentina, una vera enciclopedia sulle caratteristiche e sulle possibili applicazioni della nostra pietra, vero e proprio strumento utile all’attività degli operatori del settore oltre che mezzo d’informazione. Altra idea è quella di abbinare la promozione del territorio alla quella dei nostri prodotti, mediante eventi spettacolari da tenersi nei siti di cava. Per questi motivi riteniamo opportuna l’istituzione del Distretto della Pietra Trentina, oltre che di quello del Porfido.
Altra nostra precisa attività è il Progetto Qualità e le relative marchiature, sviluppata anche grazie ad appositi eventi promozionali rivolti a varie categorie di professionisti come architetti, ingegneri, general contractors ed altri operatori del settore. Nostra convinzione è che la qualità certificata, “attuata”, sia il più importante presidio di difesa di un prodotto come il nostro.
Attraverso il coinvolgimento dei vari attori del Distretto (industriali, artigiani, categorie economiche, amministrazione pubblica, consorzi, cooperative e società di servizi stiamo attuando la creazione di una rete o “filiera”, usare un termine oggi molto in auge, che, partendo dalla fase estrattiva giunga dopo la trasformazione al momento finale e veramente qualificante per i nostri prodotti, la posa in opera. Quest’ultimo dovrebbe essere un tema su cui concentrarsi maggiormente nell’ottica di poter fornire, nell’immediato futuro, un ulteriore ed importante servizio al cliente che oggi, spesso, soprattutto nel settore marmo, non sa a chi rivolgersi per una ottimale posa del prodotto acquistato. Superfluo sottolineare il fatto che in tutti i passaggi della filiera gli stessi protagonisti debbono essere parte attiva, ognuno per la propria parte,con reciproca soddisfazione ed anche un ritorno economico, fondamentale per mantenere le imprese e promuoverne lo sviluppo e la crescita.
Ultimo tema su cui siamo impegnati, ma non ultimo in ordine d’importante, è la “modernizzazione” del processo di prima lavorazione (estrazione e sfaldamento della pietra) anche quale risposta alle attese delle nostre maestranze in primo luogo, ma anche dei vari enti di sorveglianza come il Distretto Minerario, la Medicina del Lavoro, Inail e gli altri enti ispettivi”.
Marco Stenico, Gianpietro Magagni

* Con questo post il blog_architetturadipietra riedita, a puntate, il servizio “Le strategie dei maggiori sistemi lapidei italiani” a cura di Stefano De Franceschi apparso su Versilia Produce n. 51, 2005, Anno XII

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Cimitero di guerra tedesco (1960) al Passo della Futa di Dieter Oesterlen*


Visione del cimitero. (foto: Alfonso Acocella)

L’opera
È, forse, la damnatio memoriae toccata in sorte agli sconfitti a segnare questo cimitero di guerra tedesco che sorge, sconosciuto ai più, tra Romagna e Toscana, lungo la strada per la Futa.
Progettato dall’architetto Oesterlen e dai paesaggisti Walter Rossow ed Helmut Bournot, il camposanto ospita più di 30.000 sepolture di soldati caduti durante il secondo conflitto mondiale.
Un muro di contenimento rimodella le pendici di un rilievo naturale dando vita a terrazzamenti che si sviluppano, senza soluzione di continuità, a partire dal piccolo edificio d’ingresso sulla strada. Un unico nastro murario avvolto a spirale attorno alla collina e concluso, sulla cima, da un acuminato sperone stagliato contro il cielo. Si tratta del corpo che ospita la cripta e si configura come una monumentale, simbolica, scheggia di memoria, confitta nell’Appennino e ricoperta dalle incrostazioni marmoree di un mosaico astratto opera di Helmut Lander.
Sulle terrazze, le piccole lapidi quadrate in granito sono semplicemente adagiate sul tappeto erboso, ordinate in “ranghi” serrati alternati a specchi d’acqua circolari.
Il materiale litico utilizzato per le murature è la pietra serena locale, cavata nei dintorni di Firenzuola, tagliata in lastre e piccoli masselli per dar vita ad un dispositivo stratificato, a tessitura larga, che accentua l’orizzontalità dei terrazzamenti. L’opera muraria mostra un carattere architettonico definito, ordinato, anche se frequentemente variato dall’inserimento di blocchi di altezza maggiore che interrompono i filari e i giunti di malta sottili e regolari. Nei muri di contenimento sono poi incastonate croci litiche; simboli che, come episodi scultorei, aggettano rispetto al paramento murario, emergendo dal piano con la forza della materia appena sbozzata, sottolineata da una scura linea d’ombra.


Visione del cimitero. (foto: Alfonso Acocella)
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La pietra serena, in forma di lastre dai bordi sbrecciati accostate a scabri getti di calcestruzzo, ritorna nelle scalinate che salgono fino alla sommità dell’altura.
Nel cimitero della Futa, aldilà di ogni giudizio storico, architettura, scultura e disegno del paesaggio si uniscono nel segno della neutralità, affinchè insieme al ricordo di quei caduti, per la patria tedesca, sia onorata la memoria di ogni vittima degli orrori della guerra.

Davide Turrini

(*) Il brano rieditato è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624.

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13 Febbraio 2006

Letture

Europa, civiltà del costruire

Europa, civiltà del costruire
Dodici lezioni di cultura tecnologica dell’architettura
a cura di Giovanni Morabito

Collana Studi & Ricerche
Gangemi Editore
2004
Pagg. 278
Prezzo 25 euro

La tecnica vista come ‘ strumento di dialogo e comprensione della realtà ‘ (Vittorio Gregotti) è il leit motiv della raccolta di interventi curati da Giovanni Morabito, docente di Tecnologia dell’Architettura presso la Prima Facoltà di Architettura di Roma ‘la Sapienza’.
Partendo da questa, infatti, e avanzando in un ordine cronologico che vede nel tardo medioevo gli albori della tecnica moderna e che arriva fino alla contemporaneità, gli interventi danno origine ad un testo in cui l’elogio di questa disciplina avviene proprio grazie alla multidisciplinarità che, allora come oggi, sta alla base di un buon progetto. I dodici contributi portati da Mario Como, Mario Manieri Elia, Arnaldo Bruschi, Claudia Conforti, Sandro Benedetti, Vittorio Nascè, Salvatore Di Pasquale, Fulvio Irace, Fabio Brancaleoni, Vittorio Gregotti, arricchiscono il testo con autorevolezza.
La trattazione dei modelli di progetto e di tecnica di Brunelleschi e di Leon Battista Alberti, ad esempio, da parte di Mario Manieri Elia, propone un parallelismo tra i due architetti rinascimentali e due architetti moderni, rispettivamente Mies Van Der Rohe e Le Corbusier. Brunelleschi riesce per primo a coniugare il gotico al classico grazie allo sviluppo della tecnica, allo ‘spirito di precisione’ e al metodo induttivo, realizzando la cupola di Santa Maria del Fiore senza centinatura. Questo lo porterà in primis ad inventare un ruolo nuovo per l’architetto, ovvero quello di direttore dei lavori, poi ad assumere un ruolo socio-politico, grazie alla nomina da parte di Cosimo I de’ Medici a vicario culturale. La ricerca di un nuovo linguaggio unisce e al tempo stesso separa questo architetto da Leon Battista Alberti. Il primo cerca di coniugare ‘ l’ordine e la misura dell’architettura classica ‘ alla ‘ disponibilità funzionale e l’intelligenza economica di quella gotica ‘, trovando nel classico la soluzione al disordine medievale: nella loggia dell’Ospedale degli Innocenti il tempo sembra fermarsi, ci si distacca dal caos e dalla stratificazione medievale, giungendo alla perfezione formale e alla leggerezza sintattica. Mies Van Der Rohe persegue il medesimo risultato nell’ Illinois Institute of Technology grazie all’iterazione di un elemento che diventa modulo, studiato in ogni suo dettaglio e caricato di creatività, segnando così il passaggio da ‘ modello ‘ a ‘ tipo ‘. Il loro linguaggio si pone a difesa dell’architettura dalla confusione comunicativa, dalla contemporaneità, rinchiudendosi in un modello ermetico che diventa linguaggio implicito e universale. Al contrario l’Alberti mette in comunicazione il contemporaneo con il classico: in Palazzo Rucellai riesce a reinterpretare gli stilemi degli ordini architettonici, fondendoli però con la confusione e la stratificazione medievale. In maniera analoga Le Corbusier lavora con l’immagine icastica, tendendo a prescindere dalla materia e dalla costruzione. Si genera così uno scisma tra architetti scrittori e architetti che comunicano solo grazie alle loro costruzioni. Se per i primi il linguaggio è quello della molteplicità interpretativa, per i secondi tutto si racchiude in un modulo universale caricato di valore.
Salvatore di Pasquale, invece, ci propone un Le Corbusier alle prese con la filosofia della natura, e in particolar modo con la matematica. Incaricato, infatti, da Francois Le Lionnais di apportare un contributo alla sua rivista con un testo dal titolo ‘ L’Architecture et l’esprit mathèmatique ‘, ricerca il ‘ fattore umano ‘ all’interno della geometria. Da questi ragionamenti nascerà il Modulor, e la teoria che vede l’unione tra geometria e figura umana, in cui l’uomo, appunto, diventa dominatore assoluto dello spazio. La teoria, datata 1948, vede l’inserimento di un uomo con il braccio alzato in due quadrati, all’interno dei quali si possono ritrovare le sezioni auree, da cui nascerà la moderna ergonomia.
Fulvio Irace ci riporta alla tecnologia, ed in particolare al tema dell’alleggerimento della facciata. Dalla ‘curtain wall’ americana si vuole giungere a definire uno stile italiano grazie a figure come Giò Ponti, Caccia Dominioni e Asnago e Vender. In particolare l’intervento affronta il tema della facciata leggera in ambito milanese, attraverso alcuni lavori di Ponti, e di come la tensione verso la leggerezza e l’immaterialità si siano concretizzate nella sua evoluzione progettuale. Dal Primo Palazzo Montecatini alla Cattedrale di Lecce, attraverso il grattacielo Pirelli, Ponti ha fatto propria la tecnologia e la ricerca sui materiali. La leggerezza diventa un fenomeno sociale, una peculiarità del contemporaneo. Asnago e Vender vi lavorano in ‘ maniera maniacale ‘, creando una loro poetica fatta di scostamenti quasi impercettibili e di leggere varianti, producendo un’edilizia residenziale di qualità. Caccia Dominioni è tra i portavoce delle idee di Rogers: il rifiuto dell’astrattismo del moderno in favore di una diversificazione formale e tipologica, e il recupero della complessità visiva dell’antico.
Si giunge anche alla trattazione di un tema attuale e discusso come il ponte sullo Stretto di Messina spigato in maniera molto chiara da Fabio Brancaleoni. Le difficoltà legate a questo sito, la distanza di 3000 metri, la profondità delle acque (110-120 metri), la presenza di forti correnti e venti in superficie, non hanno impedito agli ingegneri di trovare delle risposte a tutte queste domande. Dal concorso indetto nel ’69, alla presentazione del progetto preliminare del 2002, si sono avvicendati studi, teorie e progetti. Ma la soluzione è arrivata dopo otto anni di studio (dall’84 al ’92) sulla campata unica. La profondità delle acque impedisce infatti la costruzione di piloni intermedi. La vera innovazione viene dal progetto dell’impalcato, divenuto già famoso all’estero come ‘Messina Style’, costituito da una struttura a 3 cassoni larga 60 metri. Questo impalcato per le sue caratteristiche è già diventato modello di riferimento per due ponti di prossima costruzione a Hong Kong.
L’intervento conclusivo del curatore racchiude un riassunto delle principali nuove tecnologie applicate all’architettura, convenendo che il progresso tecnologico rimanga un mezzo, e non un fine del processo progettuale.

Veronica Cupioli

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12 Febbraio 2006

News

Storia della progettazione architettonica

Corso di perfezionamento

Finalità
Con una approfondita analisi critica del lavoro progettuale (individuale e collettivo) che ha contribuito, nelle varie epoche, alla trasformazione dell’ambiente della vita umana, il Corso intende porre al centro della sperimentazione didattica il rapporto tra storia e progetto.
Tale approfondimento appare essenziale per fornire a tutti gli operatori che agiscono nei settori della conservazione – dalla tutela alla programmazione, al recupero e alla progettazione trasformativa – un supporto storico-critico che li abiliti, sul piano scientifico e tecnico, ad intervenire sull’esistente.
I valori della città e del territorio storici sono oggi divenuti essenziali alla qualità della vita e dovunque si moltiplica l’impegno alla loro conservazione e al loro rilancio in un contesto – quello dell’ambiente urbano e territoriale post-industriale – in cui l’attenzione agli aspetti funzionali e quantitativi rischia di prevalere sulla cura dei valori qualitativi e culturali; mentre tra la disciplina della Storia e quella della Progettazione si è creato un distacco tanto innaturale quanto difficilmente colmabile.
Storia del progetto, quindi, come settore di lavoro intellettuale e di sperimentazione non sufficientemente approfondito nei corsi tradizionali di Storia dell’Architettura ma in realtà bisognoso di rafforzare la propria specificità, in quanto assolutamente centrale in un processo produttivo che dovrebbe svilupparsi con continuità dalla conoscenza al progetto e all’intervento.

Pre-Iscrizione
Gli interessati dovranno far pervenire, a mezzo posta raccomandata, domanda di presicrizione, indirizzata al Direttore dl Corso, presso la Segreteria del Dipartimento di Progettazione e Studio dell’Architettura (Piazza della Repubblica, 10 – 00185 ROMA), entro e non oltre il
28 febbraio 2006. Nella domanda dovrà essere indicato nome,cognome, data e luogo di nascita, nonchè il recapito postale e telefonico del candidato. Alla domanda dovrà essere allegato un curriculum vitae, copia del certificato di laurea, ed eventuali attestati dei titoli in fotocopia.

Ulteriori Informazioni

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Intervista a Giuliano Vangi*

L’uomo giovane:
“La mia arte racconta un’umanità che deve ancora crescere e migliorare”


Il Maestro. Giuliano Vangi

Biografia
Giuliano Vangi nasce nel 1931 a Barberino di Mugello (Firenze). Studia all’Istituto d’Arte e all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Dal 1950 al 1958 insegna presso l’Istituto d’Arte di Pesaro e dal 1959 ed il 1962 si trasferisce in Brasile dove si dedica a studi astratti, lavorando cristalli e metalli. Le sue opere iniziano ad essere conosciute: vince il Primo Premio al Salone di Curitiba, espone al Museo di San Paolo e partecipa ad una mostra negli USA. Nel 1962 torna in Italia e riprende l’attività didattica all’Istituto d’Arte di Cantù. È stato presente alle più prestigiose rassegne d’arte, dalla Biennale di Venezia, alla Quadriennale di Roma, alla Biennale di Scultura di Carrara. Memorabili restano la grande antologia del 1995 al Forte Belvedere di Firenze, la mostra agli Uffizi “Studi per un crocefisso e opere scelte 1988-2000” del 2000, l’esposizione personale all’Ermitage di S. Pietroburgo. Vangi ha realizzato diversi monumenti collocati in contesti prestigiosi: la statua di San Giovanni Battista a Firenze, il Crocefisso ed il nuovo Presbiterio per la Cattedrale di Padova, il nuovo altare ed ambone del Duomo di Pisa, “Varcare la Soglia”, scultura in marmo posta nei Musei Vaticani, una scultura in legno policromo per la sala Garibaldi del Senato e un ambone sul tema di Maria di Magdala per la Chiesa di Padre Pio a S. Giovanni Rotondo.

L’intervista
L’amico Alessandro, che abita di fianco allo studio di Giuliano Vangi, ci tranquillizza sulla disponibilità dell’artista. Quando lo dobbiamo incontrare per concordare l’appuntamento, infatti, ci coglie una inquietudine che mescola soggezione nei confronti di un personaggio di fama internazionale con il retaggio di voci che da più parti dicono di una presunta ritrosia a parlare di sè, se non attraverso il proprio lavoro.
“Va bene, se ha tempo possiamo fare anche subito”. Stupore, gratitudine, ma sopratutto sollievo; ringraziamo, ma purtroppo non abbiamo ancora preparato l’intervista. Torniamo nello studio di Giuliano Vangi, poco fuori l’abitato di Pietrasanta, due giorni dopo; il sole si propone come prezioso collaboratore alla nostra missione,offrendo una luce calda e avvolgente, perfetta per gli scatti fotografici. (S.D.F.)

Stefano De Franceschi: Leggiamo dalla sua biografia che dopo aver studiato a Firenze ed insegnato all’Istituto d’Arte di Pesaro, dal 1959 al 1962 si è trasferito in Brasile. Perchè questa trasferta e cosa ha significato per la sua attività di scultore?
Giuliano Vangi: Dopo aver insegnato a Pesaro per 8 anni iniziai ad avere la sensazione che la città fosse troppo piccola e senza particolari prospettive per il futuro della mia attività di giovane scultore. Mi trasferii allora prima a Milano, poi a Roma ed in altri luoghi, ma la mia attenzione fu attratta dal Brasile dove esisteva una architettura molto avanzata grazie alla presenza e ai lavori di architetti all’avanguardia sotto l’aspetto professionale. Grande interesse suscitava in me anche la presenza in quel paese di enormi disparità sociali ed umane, una realtà che poteva dare importanti spunti al mio lavoro. Diversi temi che ho approfondito in occasione del soggiorno in Sudamerica sono rimasti fondamentali e caratterizzanti della mia produzione artistica successiva.


Opere dalla grande antologia del 1995 al Forte Belvedere di Firenze.
(foto Alfonso Acocella)

S.D.F.: Quale è stato il percorso che l’ha portato al figurativo ed ad un’opera incentrata sull’uomo contemporaneo?
G.V.: Fin dal periodo pesarese ho avvertito l’esigenza di confrontarmi con altri temi oltre quello della rappresentazione della figura umana appresa dall’insegnamento scolastico e che pure resta alla base del mio lavoro. Chiuso nel mio studio, maturando una nuova personalità artistica, ho concentrato l’impegno nella ricerca di altri orizzonti. Sentivo limitative le nozioni della scuola e volevo aprirmi verso nuove libertà, una sete di conoscenza che era placata dalla lavorazione di un particolare materiale: l’acciaio. Solo saldando un pezzo con l’altro, infatti, potevo creare inesplorate forme e plasmare nuovi volumi capaci di riempire lo spazio in cui viviamo.
L’uomo di oggi e la sua lotta contro un mondo ostile resta comunque il tema fondamentale della mia opera, tutto il resto m’interessa poco. Voglio raccontare i suoi conflitti interiori e i problemi che affronta a livello sociale, solo così sento dei essere a posto con la mia coscienza: aver “raccontato” qualcosa che riguarda tutti gli uomini e non essermi limitato alle mie piccole gioie o dolori personali.”

S.D.F.: Nel 2002 è stato inaugurato a Mishima un museo dedicato a Giuliano Vangi. E’ la prima volta che un intero museo giapponese viene dedicato ad un artista straniero vivente. Perchè è stato scelto Vangi, scultore italiano? Come è nata l’idea del museo?
G.V.: Sono stato scelto perchè alcune mie opere erano già state esposte a Tokyo ed altre erano state acquistate da musei e collezionisti privati. Il mio nome era dunque conosciuto in Giappone, tanto più che alcuni miei lavori erano riportati su alcuni libri di testo scolastici.
L’idea del museo è nata grazie ad un industriale e uomo di cultura giapponese, al quale avevo fatto un ritratto in occasione di una sua visita in Italia. Dopo aver acquistato alcune mie sculture in pietra le ha spedite in Giappone per esporle in un giardino. Poi, grazie all’accordo con il Comune di Mishima è nato il museo, progettato dall’architetto Munemoto. All’interno ci sono 60 sculture e altre 40 opere, tra modelli in gesso policromato, disegni e opere di grafica.

S.D.F.: Sempre nel 2002 è insignito del Praemium Imperiale giapponese, un riconoscimento fondato con l’obiettivo di promuovere una cultura senza confini, la cooperazione e la solidarietà fra gli uomini. Quale può essere il contributo in questo senso dell’arte italiana a livello internazionale?
G.V.: Non possiamo ridurre l’arte ad un concetto nazionalistico e parlare di una scultura italiana, francese o americana. L’arte è come un libro aperto in cui è scritto un messaggio universale scritto in una lingua accessibile a tutti gli uomini indistintamente. Lo sforzo dell’artefice dovrebbe essere allora in questo senso, fare in modo che la pittura, la scultura e tutte le altre espressioni della creatività umana siano comprensibili da tutti, senza distinzione di classe o cultura.


Opere dalla grande antologia del 1995 al Forte Belvedere di Firenze.
(foto Alfonso Acocella)

S.D.F.: Veniamo in particolare ai contenuti della sua opera. Il critico d’arte Giorgio Segato afferma che “Vangi ripropone la policromia – ottenuta accostando materiali eterogenei come bronzo, ceramica, marmo, legno e vetroresina – non solo come citazione della scultura classica colorata, ma come risposta ad una sollecitazione del nostro tempo: i colori della la fotografia, del cinema e della la pittura fanno parte ormai della nostra cultura visiva”. L’opera d’arte, allora, per essere lingua veramente viva che ci racconta dell’uomo, deve essere policroma?
G.V.: Non c’è nessuna legge che impone la policromia. Utilizzare i colori è per me un gesto istintivo che ho fin da bambino, quando mi cimentavo con qualsiasi materia mi capitasse fra le mani per formare piccole sculture che poi coloravo. Forte era il bisogno di esprimere me stesso attraverso la materia. Nel corso della mia maturazione professionale, poi, ho imparato a sfruttare la policromia per ottenere luci e riflessi particolari, per dare profondità dell’immagine e per separare volumi nella continuità di una singola forma.

S.D.F.: A partire dagli anni ’80 lei si confronta anche con opere di carattere sacro. L’arte religiosa, non rischia di essere emarginata in una società odierna sempre più tecnologica e secolarizzata?
G.V.: E’ capitato che a volte la Chiesa stessa ha commissionato sculture “commerciali” e prodotti fatti in serie: ciò è avvenuto non soltanto per motivi economici ma forse anche a causa di una diffusa ignoranza. Sono però convinto che oggi si sia compiuto un passo in avanti sotto l’aspetto culturale, di cui abbiamo diverse prove tangibili: Renzo Piano, Mario Botta ed altri architetti, per esempio, hanno profuso un notevole impegno per un recupero della centralità del sacro. Nel nostro tempo l’arte sacra può trovare nuovi ed importanti spazi, non solo come punto di riferimento contro le difficoltà che sta vivendo il mondo, ma soprattutto a favore del singolo individuo; negli affanni e nelle ansie che tutti viviamo giorno per giorno c’è un maggior bisogno di fermarsi per un momento di riflessione intimo, necessario per non farsi travolgere dalla frenesia quotidiana.

S.D.F.: Nella sua ultima produzione affronta con frequenza il tema della figura della donna. Vangi racconta un’umanità contemporanea fragile, sola e inquieta: vuole dire che la speranza proviene dalla figura femminile, oppure si tratta semplicemente di un tributo alla bellezza?
G.V.: La figura femminile è caratterizzata da forme talmente armoniche e plastiche che viene spontaneo associarle alla natura e alla fecondità. La donna ha inoltre un grande “vantaggio” rispetto all’uomo, da sempre stato dedito agli aspetti più violenti dell’esistenza: essa rinnova la vita, è portatrice della maternità, l’evento forse più sconvolgente e meraviglioso che la natura ci ha donato. Nella donna, degna dunque del massimo tributo, riponiamo le speranze di un mondo migliore e più pacifico.

S.D.F.: Ha spesso accennato all’uomo che soffre e lotta sulla scena del mondo.
G.V.: Siamo ancora troppo”giovani” di fronte alla storia. Sembra passato tanto tempo dalle civiltà egizia o da quella greca, in realtà la nostra conoscenza è ancora molto superficiale. C’è tanta strada ancora da fare perchè l’uomo giunga ad un livello tale di “intelligenza” da capire che non possiamo continuare a violentare e sfruttare la nostra terra. Sono molto spaventato dall’eredità che lasceremo ai nostri figli e proprio per questo la mia arte è drammatica. Come posso poi rappresentare un uomo felice e sereno?

S.D.F.: Lei ha insegnato arte. Cosa direbbe ai quei giovani che vogliono intraprendere questa strada così affascinante ma anche estremamente difficile?
G.V.: Il talento naturale non basta, occorre infinita dedizione al sacrificio e al lavoro duro. Ma più di tutto serve l’umiltà di imparare, leggendo, viaggiando e con lo studio di quello che altri hanno fatto. Ai giovani che scelgono la strada gravosa dell’arte raccomando di non pensare al guadagno facile, al successo immediato, al gallerista che può fare un favore per una mostra. Lavorate, imparate e sarete scultori. Ma attenti: il passo successivo, il diventare artista, non è alla portata di tutti; si tratta di un dono che la natura non dispensa facilmente.”

Il fotografo ci dà appuntamento da lì ad un’ora per ritirare le fotografie del servizio, già pronte e digitalizzate. Vangi ha ragione quando ci racconta dell”uomo che ancora ha scarse cognizioni di fronte all’immensità della scienza. Ma è anche un genere umano avido di conoscenza che corre verso il progresso a velocità impressionante.


Opere dalla grande antologia del 1995 al Forte Belvedere di Firenze.
(foto Alfonso Acocella)

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(*) L’intervista è stata pubblicata su Versilia Produce n. 51, 2005. Si ringrazia Cosmave e Stefano De Franceschi, autore dell’intervista, per la disponibilità alla rieditazione.

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7 Febbraio 2006

PostScriptum

Passa parola di Comunità

Passa parola di Comunità
Sono poche le strategie per riuscire a comunicare con efficacia all’esterno la presenza di iniziative, attività, progetti sul web.
Il primo modo – e sicuramente il più efficace – per richiamare velocemente l’attenzione di visitatori su un website è quello di eseguire una vera e propria campagna pubblicitaria.
Un lavoro, normalmente a tempo pieno, eseguito da professionisti della comunicazione sul web se non da vere e proprie agenzie di crossmedialità appositamente specializzate per azioni sinergiche fra pubblicizzazione sui diversi tipi di media (rete, stampa periodica generalista e di settore, radio ecc.). In questi casi pubblicazione ai motori di ricerca, inserzioni pubblicitarie sulla stampa, annunci radio, invii di folder illustrativi, affissioni di poster, campagne di newsletter ecc. sono tutte azioni che puntano al massimo impatto fuori e dentro la rete nel tentativo di raggiungere il target di riferimento del servizio, dei prodotti, del progetto culturale che si vuole comunicare e che ha la sua presenza virtuale su internet.
Questo tipo di strategia chiaramente – a causa dei mezzi, strumenti, supporti, azioni accuratamente programmate nei contenuti, nel tipo di messaggio veicolato e nella precisione di esecuzione scadenzata da un accurato cronoprogramma – necessita di risorse economiche spesso rilevanti.

Il blog_architetturadipietra.it è un progetto nato spontaneamente sulla rete e privo – almeno a questo stadio – di risorse, se non quelle umane dei componenti della Comunità culturale che lo alimentano attraverso il personale impegno in qualità di autori, lettori, commentatori. I ruoli cambiano e si alternano reciprocamente svolgendo anche attività di gestione, di evoluzione del blog stesso visto come piattaforma informatica autogestita.
Inevitabilmente per il blog s’impone una strategia oppositiva (rispetto alla pubblicizzazione professionale a pagamento) orientata soprattutto a produrre ed editare costantemente contenuti di qualità aspettando tempi lunghi per l’affermazione del progetto stesso. Ma di tale temporalizzazione di lunga durata non ci preoccupiamo.
È questo, chiaramente, il nostro obiettivo ed impegno che più ci entusiasma.
Volendo però tentare di raggiungere – all’interno del cyberspazio – in qualche modo potenziali interlocutori interessati ai temi mossi dal nostro blog ci rimane – oltre la promozione di collegamenti (linkaggi) interni alla rete – il metodo, di gran lunga più antico e anche il più economico, del vecchio passa parola, adeguandolo e finalizzandolo alla logica riverberativa di internet e a quella connettiva fra web e posta elettronica.
Un passa parola a partire dai lettori – già numerosi – del blog che comunicano ai propri amici, ai propri colleghi, ai gestori di mailing list il messaggio di seguito riportato.
È questo il tentativo di valorizzare un’azione comunicativa dal basso, poco sfruttata ma forse decisiva per la condivisione più allargata del progetto.
Un modo per far crescere la Comunità in formazione ed arricchirsi di intelligenza collettiva.
In grigio – a seguire – il messaggio da far rimbalzare lungo la rete.

Alfonso Acocella

Blog_architetturadipietra.it
Un progetto innovativo di comunicazione sull’universo litico.
Rubriche:
Elementi di pietra / Pietre artificiali / Interviste / Letture / Eventi / News / Post Scriptum / Ri_editazioni / Citazioni / Recensioni / Links / Eventi / News / Progetti / Opere di architettura.
Contribuisci alla comunicazione di tale spazio collettivo di informazione e confronto re_indirizzando, lungo la rete, a potenziali interessati tale messaggio con lo spirito di creare un passa parola e un invito a partecipare, come lettori, come autori o commentatori al progetto di valori culturali condivisi e accumulativi.
architetturapietra2.sviluppo.lunet.it

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Sulle ali di Perseo (IV parte)


“Senza Titolo” 1996. Disegno di Tullio Pericoli

Bits di pietra
Il volume de L’architettura di pietra editato a fine del 2004 – posto all’origine dell’attuale svolgimento digitale del progetto culturale – è segnato, al pari della materia litica, dai tratti di corposità, di massa, di peso.
Mentre portavamo a termine la pubblicazione promossa dalla Lucense ci è apparso che nell’epoca della globalizzazione e dell’economia delle reti (con flussi di dati in perenne trasferimento assicurato dai nuovi canali comunicativi capaci di rendere veloci, istantanee e in perenne aggiornamento le informazioni, le immagini senza più alcun vincolo di spazio e di tempo) fosse necessaria una evoluzione, se non una vera e propria metamorfosi, per il nostro progetto culturale non valutato come concluso.
Avvicinare il mondo della velocità e della leggerezza comunicativa contemporanea – potente e redistributiva su scala mondiale – rispetto al più statico e pesante orizzonte dell’editoria cartacea è diventato, ad un certo punto, il nostro sogno.
Ecco allora che – già nella fase finale di chiusura del volume, prima di rilasciarlo definitivamente alla sua vita e ai suoi lettori – si “materializza” un primo evento, segnale premonitore di una futura ed allora inattesa rinascita.
Il cammino verso uno stato di smaterializzazione investe già l’atto conclusivo della produzione del libro, potendosi intendere – ex post – come segno inaugurale della metamorfosi dei modi di svolgimento del progetto culturale. La sovraccoperta candida che avvolge L’architettura di pietra è come posta a nascondere, a dissimulare la corposità del volume cartaceo; prima azione protesa ad una sostanziale sottrazione – sia pur solo illusiva – di peso.
Non casuale – allora – apparirà al lettore la riproposizione del carattere diafano della home page del weblog, porta di accesso e di transizione al nuovo spazio comunicativo di natura immateriale.
Riguardando il millennio appena conclusosi dalla prospettiva del sapere, della trasmissione della memoria attraverso tracce registrate indelebilmente su supporti fisici, possiamo rilevare come tale lunga stagione temporale abbia rappresentato l’epoca del libro.
Inaugurando il nuovo secolo, sempre più, invece, ci si interroga sulle forme attraverso cui oggi è “erogata” l’informazione, la formazione, la comunicazione; lo stesso ruolo – finora centrale – del libro è messo in discussione. La rivoluzione culturale in atto – tutta al di fuori dello spazio tradizionale della scuola, dell’Università – non è rappresentabile più attraverso il sapere dei libri o degli spazi delle biblioteche (una volta affollati e frequentati) con pile di volumi sui tavoli in attesa di essere aperti, sfogliati, letti, riprodotti o trascritti in appunti.
Sempre più, flussi di dati ed immagini scorrono velocemente ed interrottamente distribuendosi sui circuiti dei diversi canali sotto forma di bits, di impulsi elettronici senza peso e corporeità.
Nel momento in cui il settore editoriale tradizionale (insieme alla produzione intellettuale universitaria che lo alimenta, oramai sempre più stancamente, in forma puramente autoreferenziale o di “assecondamento” commerciale) rischia di avviarsi alla staticità e alla inerzia ridistributiva del sapere, ci ha affascinato l’idea di provare – attraverso un “colpo di ali” – a volare nel nuovo spazio del web.
Non una fuga, bensì il confronto con un nuovo e, per certi versi, sconosciuto medium comunicativo.
L’esperimento si lega ad un’idea di alleggerimento dei “vincoli di peso” del progetto culturale dell’architettura di pietra: vincoli autoriali (dall’autorialità individuale a quella collettiva, cooperativa), temporali (dalla temporalità lunga e lenta dell’editoria cartacea all’istantaneità e alla velocità del web), spaziali (dalla spazialità puntiforme del libro alla continuità di distribuzione e ubiquità dei contenuti in internet), produttivi (dai condizionamenti economici della proprietà editoriale alla libertà dell’autopubblicazione del weblog), di peso dell’informazione stessa (dalla materialità della carta all’immaterialità e leggerezza assoluta dei bits). In sintesi un cambio di prospettiva attraverso cui guardare il mondo (compreso l’orizzonte disciplinare specifico dell’architettura di pietra) adottando nuovi metodi di reperimento e raccolta delle informazioni, di rielaborazione e condivisione delle conoscenze, di confronto dialettico dei risultati conseguiti lungo un continuo work in progress.
La ricerca di leggerezza nello svolgere l’avanzamento del progetto culturale è per noi uno stato d’animo nuovo che poggia le sue attese più autentiche nella libertà delle idee, nella disponibilità di una spazio comunicativo espandibile (che immaginiamo illimitato), di una scrittura fluida (non risolutiva o definitiva, ma interlocutoria e dialogativa) indirizzata a raggiungere velocemente (senza limiti di spazio, di tempo, di peso) i propri interlocutori augurandosi di ricevere – di rimbalzo, dai lettori – altre posizioni, altre interlocuzioni, altre scritture sull’architettura di pietra diventata concetto e sfondo immateriale di confronto.
La solidità, la corposità, la pesantezza della materia (“litica” nel caso della realtà architettonica di pietra; “cartacea” nel caso dell’oggettualità del libro che la trasferisce su di un piano di memoria, di rappresentatività e di comunicatività) sembra d’un tratto dissolversi di fronte alla leggerezza, alla virtualità esistenziale del nuovo medium scelto per l’evoluzione del progetto culturale.
L’azione scientifca posta ad esercitarsi sul tentativo della riabilitazione e soprattutto dell’attualizzazione dello Stile litico, ricerca così i “modi” del nuovo spazio in cui si evolve la prosecuzione del viaggio; uno spazio comunicativo immateriale, per certi versi simmetrico all’incorporeità delle idee: spazio ideale, etereo, effimero, instabile, fluido, debordane, pluridirezionato, libero.
Ecco allora che la “pesantezza” della pietra viene rovesciata – anche da questa particolare prospettiva – nel suo contrario.
La leggerezza ritorna.

Alfonso Acocella

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