aprile 2025
L M M G V S D
« Dic    
 123456
78910111213
14151617181920
21222324252627
282930  

Ultimi articoli

Ultimi commenti

Rubriche

Pubblico dei lettori

 

rss

 

Notizie

30 Marzo 2006

Eventi

Wine & Design

9 APRILE ORE 10.30,
SALA SALIERI CENTRO CONGRESSI EUROPA VERONAFIERE

Design, gusto e buongusto
Tavola rotonda con Philippe Daverio, Tobia Scarpa, Giovanni Cutolo, Angelo Micheli

8 APRILE ORE 18.00,
NUMEROUNODESIGNCENTER VIA DEI MUTILATI, 8/A VERONA

Il sapore del progetto
Esposizione dei lavori di ricerca sul tema del decanter e del bicchiere in vetro/cristallo degli architetti Boris Podrecca, Massimo Vignelli, Tobia Scarpa, Numeruonodesigngroup, Studio Blam, Angelo Micheli, Cleto Munari, Sergej Babushkin, Michael Reva, Archunion, Atodesign, David Palterer, Simone Micheli, Kazuhiko Tomita, Gianmaria Colognese, Giandomenico Sandri, Norberto Medardi.

Informazioni
numerounodesigngroup.org
tel. 0458008288
info@numerounodesigngroup.org
via dei Mutilati 8a Verona
Attivo dal 4 aprile www.winedesign.it

commenti ( 1 )

29 Marzo 2006

Eventi

I Panorami del contemporaneo

Venerdì 31 marzo “design_studies”
invita alla presentazione del libro
I PANORAMI DEL CONTEMPORANEO
e del n° 04 della rivista
TUTTO DA CAPO

commenti ( 0 )

26 Marzo 2006

Citazioni

“Turismo e viaggio, paesaggio e scrittura” *


Il Tempio della Concordia ad Agrigento. Disegno ottocentesco di Karl Ludwig Wilhelm Zanth.
fg178
Le ambivalenze del viaggio
“La terza ambivalenza sarebbe quella dell’andata e del ritorno, del passato e del futuro: è un’ambivalenza che può esprimersi anch’essa spazialmente, ma che in sostanza è temporale. In questo campo la strada era stata aperta dai viaggiatori letterari dell’Ottocento, nella misura in cui, viaggiando per scrivere, per raccontare il loro viaggio, ne facevano dipendere il senso dal ritorno e dallo sguardo retrospettivo col quale il viaggio stesso sarebbe stato ricostruito. Fin dalla partenza, essi si esprimevano al futuro anteriore. Certe pagine di Chateaubriand o di Flaubert son rivelatrici in proposito. Ma è possibile risalire ancora più indietro e tener presente che i viaggi di scoperta, ispirati dalla curiosità scientifica o dalla brama di lucro, includevano la necessità del ritorno in quella della partenza.
La cosa è ancora più evidente con il turismo, attività del tempo libero limitata nel tempo. Le vacanze sono un elemento atteso indubbiamente aiutano le persone a sopportare la vita quotidiana, la vita di lavoro, assegnandole una scadenza piena di sole. Ma è un momento misurato; e quella misura fa parte della definizione stessa di vacanza (“partiamo per due sole settimane; andiamo a passare tre giorni a Venezia, otto giorni sulla neve” ecc.).
L’immagine, oggi, attribuisce un colore particolare alla tensione tra attesa e ricordo che fin dalla partenza costituisce l’ambivalenza del viaggio. Le immagini, prima della partenza, sono tantissime: dilagano sui nostri muri e, ovviamente, sugli schermi televisivi. Nelle agenzie turistiche, i dèpliant, i cataloghi e addirittura i percorsi virtuali su schermo che fin d’ora è possibile effettuare presso gli operatori più attrezzati, permettono di vedere le cose prima di andarle a rivedere. Il viaggio diventerà ben presto analogo a una verifica: per non deludere, la realtà dovrà assomigliare alla sua immagine.
Tuttavia, la produzione di ricordi rimane una parte importante, spesso prevalente, dell’attività turistica. Le macchine fotografiche, le cineprese delle più diverse specie, ogni giorno più perfezionate e facili da maneggiare, svolgono all’incirca lo stesso ruolo che l’osservazione, l’immaginazione e la scrittura avevano per i viaggiatori letterari dell’Ottocento: progettate per il ritorno, le diapositive e le sequenze filmate offriranno l’occasione non di rivivere il passato, ma di raccontarlo, di ricavarne una narrazione, una storia dotata di momenti forti e di peripezie, di conferirgli talvolta una tonalità mitica e di mettere in scena dei personaggi.
Questa produzione di immagini (e di ricordi) è per alcuni così allettante che si potrebbe dire che essi viaggino fra due serie di immagini: quelle che hanno visto prima della partenza e quelle che vedranno al ritorno (le loro, quelle di cui si considerano autori). Il tempo intermedio è quello della produzione delle immagini. Si svolge in uno spazio anch’esso intermedio, lo spazio del soggiorno e della gita, nel quale il viaggiatore fotografo o cineasta vede l’essenziale di quel che vede attraverso il visore della cinepresa o sul suo schermo di controllo.”

Marc Augè

(*) La citazione è tratta da Marc Augè “Turismo e viaggio, paesaggio e scrittura” pp. 53-55 in Rovine e macerie, Milano, Boringhieri, 2004 (tit. or. Le temps en ruines, 2003), pp.139.

commenti ( 0 )

23 Marzo 2006

Appunti di viaggio

Visitando Il giardino Zen di Ryoan-ji

Con questa nuova rubrica vogliamo lanciare una nuova occasione di scambio-interazione con gli amici del blog_architetturadipietra.
Appunti di viaggio è un semplice resoconto emozionale dei nostri incontri con le architetture, dei nostri viaggi alla scoperta delle forme e dei materiali.
Invitiamo quindi tutti a partecipare attivamente alla nuova iniziativa, inviando i propri contributi alla redazione con un piccolo corredo fotografico.

Visitando Il giardino Zen di Ryoan-ji


Giardino Zen del monastero buddista di Ryoan-ji a Kyoto.
(fine del XV secolo inizi del XVI)

Da qualche tempo sto riflettendo, e ringrazio per questo anche lo spazio del blog, sul valore evocativo della pietra nelle applicazioni architettoniche.
La sacralità della roccia ha origine remote, la percezione mistica della materia litica è misteriosa e affascinante.
È una sensazione che sto attraversando e mi spinge ad interrogarmi sui motivi che la suscitano.
La formazione di una roccia, sedimentaria o magmatica che sia, ha in sè il germe della creazione, della durevolezza, della documentazione geologica; la roccia è una pagina scritta, una fonte indiziale; la roccia imprigiona odori remoti, anfratti misteriosi, sorprese fossili.
Le 15 pietre di Ryoan-ji non hanno peculiarità rilevanti, nessuna forma che possa intendersi zoomorfa o rappresentativa di qualche cosa, sono solamente disposte in un’armonia incantata, solamente atte ad essere contemplate senza esserne oggetto di contemplazione.
Le rocce di questo giardino Zen sono elemento veicolare alla meditazione.


Esterno del Kyoto Concert Hall, Arata Isozaki, Kyoto, 1995.

Grandi opere architettoniche hanno beneficiato della vibrazione materica della pietra quale elemento imprescindibile dell’esito finale. Voglio solo ricordare uno per tutti l’esempio, qui ampiamente citato, di Antonio Abril e la sua casa della musica a Santiago di Compostela, dove il granito Galiziano e le sue spaccature sono elemento primario del tema architettonico.
Abbiamo quindi un materiale dalle straordinarie intrinseche proprietà espressive, allusive e pregnanti, che impone un utilizzo adeguato e compiuto.
Già voi più volte avete affrontato il tema dell’uso massivo della pietra, ma non credo, come alcuni mi hanno rimproverato, che sia solo questo l’approccio ideale alla materia litica.
È la consapevolezza del valore materico della pietra che può innescare o determinare il processo creativo architettonico. Un materiale che è forma stessa, che non è fatto per essere semplicemente affettato e spalmato sulle superfici, che non è quindi prescindibile dalla forma.


Ristorante sushi Roku Roku, presso il Grand Hyatt Hotel,
Pederson Fox and Associates, Tokyo, 2003.

Ho trovato gli elementi di arredo esterno, in granito giallo, del Kyoto Concert Hall di Arata Isozaki, un motivo di continuità con la concettualità Zen della disposizione delle rocce ed anche una occasione di ammorbidimento di un involucro metallico che conferisce un impatto esterno molto austero.
Riporto anche le immagini di un ristorante sushi all’interno del Grand Hyatt Hotel di Tokyo, di cui non conosco l’architetto, ma che è stato un piacevole incontro con la cultura giapponese per le rocce.
Mi è stato utile leggere di Francois Berthier, Il Giardino Zen, Electa, Milano 2001.

Damiano Steccanella

commenti ( 5 )

Idee per la qualità del prodotto


AudioRoks-TM
AA.VV., Harvard design school guide to shopping, Tashen Gmbh, Kohln, 2001

Il design industriale sembra una disciplina lontanissima dal mondo della pietra. Nell’era post-industriale mentre la pietra sembra un materiale legato alla tradizione, il design accelera le sue specializzazioni in applicazioni sempre più connotate dalla tecnologia in campi specifici ed interdisciplinari.
Tuttavia le tecnologie di supporto ai processi materiali ed immateriali di progettazione e sviluppo dei prodotti sembrano, al contrario, convergere sia nel campo del design che nell’area litica.
Infatti, in entrambe i settori, assumono sempre maggiore importanza quelle innovazioni capaci di promuovere qualche significativo avanzamento nel processo di progettazione e produzione.
Ciò era fino ad ora inimmaginabile, perchè si instaura un apparente paradosso fra il Design e la pietra, dove il primo normalmente inteso come abbreviazione del termine anglosassone industrial design, nell’accezione italiana disegno industriale, che va tradotto più correttamente con l’espressione “progettazione per la produzione industriale”, indica l’insieme delle attività di ricerca, ideazione e progettazione, finalizzate alla realizzazione di un qualsiasi prodotto da offrire sul mercato, tanto materiale (per esempio oggetti quali una sedia o un’automobile), quanto immateriale (come nel caso di un software o un audiovisivo)1 e la seconda, da millenni, legata al costruire. La questione di fondo, che in genere viene asserita, è che i due mondi sembrano distanti, come separati anni luce: la scala del prodotto sembra così diversa, o almeno così si pensa, da quella dell’architettura.
Tuttavia la parola inglese design significa progettazione e indica un insieme concertato di conoscenze, azioni, metodologie e strumenti finalizzati al raggiungimento di uno scopo, che rappresenta l’aspetto fondamentale di ogni attività di progettazione per l’industria 2. Anche la pietra oggi è il risultato di un processo industriale e lo è ormai anche l’architettura, con buona pace di chi oppone argomentazioni contrarie in merito.
Comunemente il termine design viene tradotto in italiano con “disegno” e questo porta a scambi di significato e di interpretazione delle attività e delle professionalità legate al design, per cui si tende a pensare che il design riguardi soltanto il disegno della forma e dell’apparenza di un prodotto. In realtà si tratta di un processo completo e articolato che dalle primissime fasi di esplorazione e generazione di un’idea (nota come “concept design“) si svolge fino alla definizione finale di un prodotto e la sua collocazione sul mercato3. Per accumunare design e pietra, tuttavia, bisognerebbe davvero dimostrare che il metodo del design possa essere adattato dal cucchiaio alla città.
Nella corsa del design verso la specializzazione in applicazioni sempre più specifiche, esso genera continuamente settori nuovi, apparentemente connotati anche da metodi progettuali diversi: fashion design, food design, transport design, visual design, retail design, ecc.
La visione tradizionale del progetto di design, che è legato al mondo della produzione industriale degli oggetti d’uso e dell’arredo subisce una sorta di “effrazione morfologica”4, non solo formale, ma anche sostanziale: perchè rimane il fatto che nel campo del design la forma è sostanza5.
Lo spazio tecnologico6 dal quale trae i propri strumenti il progettista di oggi è, infatti, caratterizzato da opzioni convergenti. In particolare tali opzioni sono riferite alle tecnologie dell’informazione e comunicazione (ITC), le quali evidenziano impatti simili in tutti i settori applicativi del progetto. Tra le conseguenze più significative possiamo osservare le seguenti tendenze:

  1. La tendenza a non sviluppare più la progettazione in modo lineare-sequenziale, bensì, proprio grazie alle tecnologie di progetto, in modo di nuovo integrato e, per la prima volta, reticolare-relazionale. Cioè osserviamo che il processo di progettazione non è più caratterizzato da una sorta di divisione del lavoro di tipo industriale, quanto piuttosto, da un aumento di complessità delle decisioni di progetto le quali devono tenere conto di dati di fatto7 relativi alle diverse aree che un progetto coinvolge. Ci si riferisce in particolare a processi di sviluppo basati sul performance design.
  2. La tendenza ad operare a scala reale: la continuità spaziale offerta dai presupposti informativi ITC consente di non utilizzare le convenzioni di scala dimensionale, ma di “vedere l’oggetto” della progettazione al vero e contemporaneamente in tutte le sue dimensioni (2D, 3D, geografiche, descrittive degli attributi, ecc.). La scala dimensionale è una convenzione che si tende ad utilizzare, ormai, solo al termine del processo decisionale per rendicontare e comunicarne gli esiti mediante la produzione di copie cartacee degli archivi digitali del progetto sviluppato a scala reale. Da notare che, da un punto di vista informativo-logico, con la stampa e la necessaria definizione di scala e dei simboli associati si opera sul piano logico una selezione e proiezione dei dati rispetto al loro insieme sulla base di criteri definiti e di convenzioni tradizionalmente relazionate ad una certa scala del disegno.
  3. Il progetto tende a non avere più un autore: questo fenomeno si collega a quanto affermato da chi8 raffronta il libro con l’ipertesto, affermando che quest’ultimo, a differenze del primo, non ha più un autore perchè non è più riconducibile ad un’unica opera di scrittura, bensì ad una scrittura collettiva. Anche il progetto post-industriale sembra assumere una tale connotazione proprio perchè orchestrato da una rete di attori che utilizzano tecnologie distribuite ed interattive.
  4. La tendenza a comprendere (to intelligence, ingl.) e trattare il prodotto del processo di progettazione come un oggetto, a prescindere dalla sua natura e dimensione. Non importa che si tratti di un aspirapolvere oppure di un edificio, lo si affronta con un primo approccio di tipo “concept” direttamente in 3D ed in modo che sia già caratterizzato nella forma da eventuali tecnologie o materiali dominanti. Alcuni esempi:
  1. Un telefonino che sembra un palmare, ha molte delle sue funzioni e registra filmati, si connette con la rete per scaricare musica…
  2. mentre con il computer si può telefonare, mentre si lavora, si “chatta”9, si mandano e-mail e si scrive su un blog del web
  3. e con un lettore multiformato si può scaricare un intero hard disk di 6 GB e oltre che ascoltare musica e vedere anche un film!
  4. Un altoparlante che sembra una pietra (in un progetto di centro commerciale americano di J.Jerde)
  5. Un edificio che sembra una scultura pop fatta di lattine riciclate (il museo Guggenheim a Bilbao)
  6. Un grattacielo che sembra un gadget di un sexy shop (la torre Agbar a Barcellona)
  1. La tendenza ad adottare forme neo-organiche e zoomorfe10 in un nuovo stile bio-barocco. La libertà di concezione spaziale derivata dalla potenza algoritmica del calcolo messa a disposizione delle tecnologie di progetto, offrono la possibilità di adottare forme e, quindi, strutture complesse. Dalla forma che non è solo immagine ma anche sostanza si genera l’innovazione nei sistemi complessi, ad imitazione della natura. Tale concetto è assai più simile all’approccio olistico al progetto che ha caratterizzato il Rinascimento Italiano che non a quello dell’epoca industriale, ossessionato dai vincoli tecnologici ed ideologico-formali della linearità cartesiana.
  2. La tendenza ad un rapporto di cross fertilisation tra progetto e cultura nelle sue diverse espressioni. Anche questa tendenza è comune sia al mondo del design che a quello dell’architettura. Tale relazione è evidente ad esempio già nel fashion design italiano degli anni 1954-1961: l’ispirazione dichiarata ai luoghi ed ai Beni Culturali Italiani trova precisi riscontri nelle collezioni di Emilio Pucci11 e di altri stilisti italiani dell’epoca fino alle ispirazioni street style della moda delle ultime stagioni. Ancora di più è evidentissima nella creazione della cucina12, oggi ribattezzata food design, ad opera dei grandi chef da Paul Bocuse13 a Fernand Andria e dei giovani che sperimentano le nuove tecnologie come Roberto Carcangiu14. Anche in architettura, benchè l’era dell‘International Style abbia cercato di negarla, tale relazione esiste inevitabile e diretto, in particolare dove è la pietra il materiale di costruzione: il barocco siciliano, leccese, ed il calcare di quelle terre; il barocco romano ed il travertino, le architetture del Brunelleschi e la pietra serena di Firenze. Infine le attuali tendenze nel settore dell’arredo evidenziano anch’esse una relazione particolare con il territorio e la sua cultura con il recupero dei materiali ed il re-design di oggetti tradizionali ri-qualificati come “sostenibili”, in quanto, appunto, permangono nella loro significatività i valori territoriali che li hanno generati nel tempo.
  3. La tendenza a non considerare più come illimitata la possibilità di creare prodotti sulla base di semplici meccanismi di induzione di bisogni, che a differenza di quanto accadeva nel periodo industriale, difficilmente funzionano in un mercato saturo come quello attuale. Il nuovo mercato post-industriale non considera più il concetto di consumatore medio tipizzabile, bensì pone al centro il cliente specifico, in un contesto di mercato molto più dinamico e caratterizzato da segmentazioni molto articolate o da nicchie15. Si tende perciò a progettare prodotti “su misura” piuttosto che “standard”. Anche questa tendenza è in fin dei conti ascrivibile tra gli impatti delle tecnologie di progetto, perchè queste sono capaci di gestire efficacemente sia i molteplici dati in entrata, sia le più complesse verifiche del progetto, sia il suo riesame e la validazione del prodotto in condizioni d’uso16 ed infine l’assistenza post-vendita del prodotto (garanzia, assicurazione, manutenzione).
  4. La tendenza ad orchestrare la produzione mediante reti di fornitura che organizzano la produzione della fabbrica virtuale formata da imprese diverse, le quali operano con varie tecnologie in luoghi anche remoti del pianeta e, presto, anche dello spazio. Ad esempio: la facciate litiche dei grattacieli sono cavate in Italia, spesso lavorate in un altro paese Europeo e quindi montate negli USA o in estremo oriente.
  5. Infine la tendenza ad adottare tecnologie di progetto che offrono la possibilità di orientare la progettazione del prodotto ad-hoc sulla base sia delle esigenze esplicite di qualità, mediante la definizione di requisiti del prodotto, che implicite, tali da rappresentare le attese di qualità non ancora definite del cliente, anche se appartenente ad una nicchia molto piccola, ma pur sempre identificabile17.

Possiamo concludere che tutte le tendenze elencate sono allo stesso modo in atto sia nel campo del design che nel settore litico18.
Questo scenario è la conseguenza di una convergenza che caratterizzata dallo spazio tecnologico ormai inevitabilmente globale dove si verifica che esso ha la capacità di assimilare i metodi di progetto del design e dell’architettura sulla base della nuova codifica culturale post-industriale. Ciò influisce sui prodotti modificando la loro qualità finale nel senso del superamento dell’istanza seriale legata all’industrialismo, per approdare ad una serie di nuove possibilità da sperimentare con reciproche incursioni del design e del settore litico.Idee per la qualità del prodotto.
Sulla base delle tendenze attuali il processo di progettazione si è modificato ad un punto tale da aumentare la propria influenza sul risultato in modo determinante.
Le tecnologie di progetto aprono la possibilità di nuove sperimentazioni con minori costi e, soprattutto, nelle situazioni produttive caratterizzate da reti di fornitura orchestrate mediante sistemi informatizzati di manifattura ed esecuzione19, si nota che le barriere invisibili che generalmente ostacolano la disponibilità dei dati, accurati, tempestivi e sincronizzati, per creare le informazioni di progetto e produzione possono essere rimosse. In questa nuova condizione si può progettare la qualità del prodotto:

  • sulla base dei precisi riferimenti culturali collegati a specifici mercati
  • per piccole serie o prodotti personalizzati
  • in tempi molto rapidi
  • con costi relativamente bassi ed ampie marginalità positive
  • in accordo con i requisiti specificati dal cliente ed anche impliciti nel target.

Il settore litico oggi, specie in Italia, offre grandi possibilità di applicazione per questi concetti innovativi di design del prodotto perchè si può collocare in una intersezione fra cultura e mercato che dà luogo a qualità specifiche del prodotto corrispondenti alle attese di potenziali clienti del mercato globale. Un approccio progettuale adeguato, capace di un fine tuning rispetto a queste tendenze deve, pertanto, essere in grado di cogliere con efficacia, sia in termini formali che sostanziali in entrambe i settori questa opportunità.
Questo è quello che noi progettisti del III millennio vogliamo fare, lasciando, come Ulisse e i suoi compagni i porti domestici del conformismo accademico e professionale per iniziare un viaggio in mare aperto per la esplorazione di nuovi approdi della creatività tecnologica.Maria Antonietta Esposito

Note
1 http://it.wikipedia.org/wiki/Design#Note_storiche, 06-03-2006.
2 Ibidem.
3 Ibidem.
4 Virilio P., L’orizzonte negativo, Edizioni Costa & Nolan, Milano, 1986.
5 Trabucco F., Cos’è la forma?, in gelati sorbetti, granite e Firenze: dal Buontalenti al Barattolino, conferenza AIC – Firenze Pitti, 13-10-2005.
6 Antonelli C., Cambiamento tecnologico e teoria dell’impresa, Torino, Loescher,1982. La diffusione dei principali contributi sull’argomento risale agli anni 70: v. Freeman C., The economics of industrial innovation, London, Penguin Book, 1974; Prodi R., La diffusione delle innovazioni nell’industria italiana, Il Mulino, 1971; Saraceno P., Effetti del progresso tecnico sull’economia industriale, sta in Brugger ( a cura di), Letture di gestione della tecnologia, Scritti di Carbonaro – Club Turati / ENI, Milano, Franco Angeli, 1974; L’origine di qtuesti studi è dovuta alle teorie esposte negli anni ’30 da Shumpeter J.H., The teory of Economic Development; Cambridge, Mass, Harvard University Press, 1934; Business Cycles, New York, Mc Graw Hill, 1939; gli ultimi contributi di Shumpeter riguardano quel fenomeno che oggi indichiamo come globalizzazione dei processi di diffusione dell’innovazione:Technical Innovation and Long Waves in the World Economic Development, Futures, vol.13 n.4, Agosto 1981 e n.5 Ottobre 1981.
7 UNI EN ISO 9001:2000, Sistemi di gestione per la qualità- Requisiti , punti 7.3.2, 8.4
8 Rifkin J., L’era dell’accesso, 2000, op. cit. in Acocella A., Bit di pietra, architetturapietra2.sviluppo.lunet.it/wp, 03-02-2006.
9 Neologismo apocrifo generato da popolo della rete tratto dal neo-verbo inglese to chat (discutere in uno spazio telematico con altri utenti che vi si possono registrare).
10 Aldersey-Williams H.,Zoomorphic new animal architecture, Laurence King Publishing Ltd, London, November 2003.
11 Collezione Palio (1957), Monreale (1955), il famoso carrè Cupola (1964-65), Esposito M.A., Stile e qualità – Il caso Emilio Pucci, conferenza Creatività è Design, Novembre 2004, non pubblicato.
12 Ballarini G., La creazione della cucina. Orme biologiche nell’esperienza gastronomica, Accademia Italiana della Cucina, Roma, 2005.
13 Zizza-Lalu E.M. et Alii, Paul Bocuse. Le feu sacrè, Glènat, Grenoble,2005.
14 R.C. Food Consulting S.a.s.; v. Barrichella P., Carcangiu R, Esposito M.A., Le Tecnologie del gelato, DVD per la giornata AIC sulla cucina del freddo, 2005.
15 AA.VV., Riflessioni sui consumi al giro del millennio, sta in Micro e Macro Marketing, Rivista del Il Mulino, n.3/ 2000. In particolare v. Collesei U., Consumi e consumatori nell’Italia che cambia, pp.343-348; Romano D., Forme di consumo e stili in Italia, pp.387-396; Farrell J.J., One Nation under goods, Smithsonian Institution, 2003.
16 UNI EN ISO 9001:2000, Sistemi di gestione per la qualità- Requisiti , punti 7.3.4-5-6
17 Esposito M.A., architetturapietra2.sviluppo.lunet.itblog, 26-01-2006, 10:33:57
18 Turrini D. , architetturapietra2.sviluppo.lunet.itblog
, 22-11-2006, 13 :01
19 MES (Manufacturing Execution Systems), Esposito M. A., Design e fabbrica virtuale, non pubblicato.

commenti ( 8 )

Orfica, surrealistica*
Casa Malaparte a Capri e Adalberto Libera

Casa Malaparte a Capri e Adalberto Libera
All’ennesimo promontorio, la stradicciola del Pizzolungo curva e quasi torna su sè medesima e, ecco, là in fondo, casa Malaparte occupare la sommità di capo Massullo. Ci sentiamo Ruskin in vista della cattedrale gotica. Ricapitoliamo il cammino; registriamo l’ora e la circostanza e non le scorderemo; mettiamo a fuoco il sito e l’architettura.
Da questo belvedere, il capo appare come avvallamento della costa cui succede il monte. L’avvallamento è profondo e la roccia sembra staccarsi, diventare faraglione errante nel mare di Capri. Casa Malaparte appare come semipiramide muraria con scalea rovesciata e confitta nel suolo della sella naturale, dalla quale si sviluppa un parallelepipedo color rosso pompeiano. La copertura è piana, pianissima, parallela alla distesa acquorea. Sul tetto-terrazza, un bianco muretto ellittico e calante. Fossimo venuti tempo fa, avremmo guardato e pensato che l’edificio era la concretizzazione del progetto che Libera nel 1938 allestì per conto di Malaparte e il cliente poi rimaneggiò molto. Ma adesso, dacchè siamo al corrente delle scoperte di Maria Ida Talamona1, si affaccia alla mente una versione diversa.
Nel Natale 1937, condotto dall’amico ambasciatore Rulli, lo scrittore Curzio Malaparte (pseudonimo di Kurt Suckert), si era recato fin sulla punta. Rapito dalla bellezza del luogo e del panorama, già nel gennaio 1938 aveva comprato un tratto di costa, comprensivo della scoscesa parete rocciosa, secata dalla stradicciola volgente a Matromania, nonchè della rupe impervia tuffata nel mare. Non si era limitato a stupire Rulli, gli aveva anche rivenduto la porzione alta e accessibile del Massullo. Aveva riservato a sè il promontorio inaccessibile. Si era consultato con il capomastro capriota Adolfo Amitrano. Fattosi coraggio, aveva deciso di raccogliere la sfida del posto, di costruire un’abitazione. Rulli lo aveva imitato, ovviamente relativamente all’area di sua proprietà.
Dietro suggerimento di Orfeo Tamburi, art director di “Prospettive”, la rivista fondata e diretta da Malaparte, Malaparte aveva incaricato del progetto Adalberto Libera, che del resto si raccomandava da solo, professionista colto, emergente (quanto e più dei giovani colleghi di fede razionalista). All’esecuzione avrebbe provveduto l’impresa Amitrano.
Di febbraio e di marzo, Libera vagliò il caso e studiò la proposta per quel che occorreva. Il progetto era disegnato in scala 1/100 e prevedeva un volume elementare, prisma puro, convenzionale, tipico della ricerca razionalista, diminuito però verso terra della porzione parallelepipoidale, onde dare luogo alla terrazza. Erano conseguenti le piante e gli schemi distributivi: al piano superiore, in successione lineare, la terrazza e il salone; al pianterreno il pettine delle camere, e, sfalsata di +0,50, la cucina. Semplici le caratterizzazioni architettoniche: copertura a volticine ripetute, prospetti scompartiti regolarmente, zoccolo di bugne rustiche. Progetto di sostanza analoga alla qualità del contemporaneo progetto del palazzo dei Congressi all’E42 (in particolare per il rapporto del corpo sopraelevato con le terrazze speculari). Capace di renderlo capostipite della famiglia dei suoi lavori, che avrebbero insistito sulla forma tipologica lineare. Insomma inaugurativo di uno dei molti liberiani itineraria perfectionis. Inoltrò i disegni prima al Comune; poi, considerato che l’isola stava per sottoporsi a piano paesistico di iniziativa ministeriale e il Massullo era classificato inedificabile, al ministero dell’Educazione nazionale/Soprintendenza di Napoli.
Al 24 aprile, Libera fu pregato da Malaparte di spedire “la copia del piano” a Capri, da Amitrano, che ne aveva bisogno per aprire il cantiere2. Forse Libera non potè, forse non volle, allestire “il piano”, diciamo pure l’esecutivo, pertanto non accontentò il committente. Più probabilmente, si mise al lavoro e mandò l’esecutivo con ritardo tollerabile3. Ma non si peccherà di psicologismo sostenendo che, in entrambi i casi, Malaparte ebbe la reazione seguente. Mentre continuava a brigare presso Bottai ministro e i funzionari affinchè il progetto fosse approvato – e avrebbe riscosso successo: la Soprintendenza napoletana avrebbe concesso il nullaosta, in deroga al piano paesistico, conseguentemente il Comune avrebbe concesso la licenza edilizia – Malaparte era deluso, tradiva scontento, affettava propositi di fare a meno di Libera. Circa alla metà dell’anno il cantiere progrediva. Intanto Malaparte rimuoveva la figura di Libera, allontanava l’idea della sua fatica. Non si sbaglierà troppo affermando che, se andò per il sopralluogo, Amitrano lo accolse freddamente. Mi viene in mente che Malaparte, cercatore di identità di artefice, avesse in animo di immedesimarsi in Eupalinos, l’architetto greco, vissuto durante il VI secolo a.C., che Valèry nell’omonimo dialogo filosofico aveva reinventato assegnandogli ragione e irragione, pensiero artistico, logica e saperi artigianali4. Era Eupalinos di Valèry, figura orfica, reinterpretazione del ruolo del mitico Orfeo – che, sonando la lira, sapeva addolcire gli uomini, ammansire le bestie, chinare gli alberi, trascinare le pietre, vale quanto dire, con i mezzi della poesia, dare ordine al disordine naturale, dare forma all’informe, architettura alla materia. Motivo per cui la rimozione non dovette essere fine a sè, ma all’ottenimento dello spazio per poter realizzare il suo desiderio.
Malaparte sarebbe stato architetto – di quelli che, sulla scorta dell’ orfismo ricco di componenti esoteriche e sul filo del sentimento lirico, ridisegnano la natura, ricompongono la realtà, e, dopo, attingono alla mimesi per avere l’opera. Per lo meno, si sarebbe vantato di essere stato l’architetto sui generis della casa Malaparte sui generis, secondo quanto avrebbe richiesto il proprio modulo creativo (valutato senza categorie estetiche, con categorie morali, negativamente). Basti leggere un paio di pagine del romanzo memoriale La pelle5. Malaparte finge che, nella primavera 1942, il maresciallo Rommel gli abbia reso visita a Capri. Rommel e Malaparte avevano compiuto il giro della villa conversando. Si erano fermati “nell’immenso atrio dai finestroni aperti sul più bel paesaggio del mondo”, Rommel stava per prendere congedo, ma esitava. Dopo un attimo di silenzio, sbottò e chiese all’ospite se avesse acquisito la casa già costruita oppure fosse stato lui a progettarla e a costruirla. L’ospite disse che sì, la casa gli preesisteva (bugia), però lui aveva “disegnato il paesaggio”. E tracciò in aria il mezzo cerchio, dai faraglioni alla vertiginosa parete di Matromania.
La mappa indica il percorso ancora lungo tutta la cala del Massullo, e, al bivio, la sinuosa linea della discesa alla villa, a quota 25 sul mare. Pieghiamo la carta e ci incamminiamo. Mentre scendiamo, viene alla mente lo scritto di Malaparte, la relazione, una relazione sulla casa del Massullo – del genere delle relazioni con le quali gli architetti accompagnano i loro progetti6.
Malaparte esordisce dichiarando di aver teso all’obbiettivo alto: il ritratto architettonico di sè e della personalità malapartiana. Stimandosi uomo duro, strano, schietto, senza trucco, la dimora sua sarebbe stata dura, strana, molto moderna. Ma l’uomo era anche memoria della propria esistenza, ad esempio del periodo del confino a Lipari, e l’architettura ne avrebbe portato il segno. Continua riferendo del procedimento, che fu adeguato e degno di antico rituale. L’esplorazione della roccia palmo a palmo, per trarne l’oroscopo dell’architettura. La credenza che l’architettura sarebbe stata un unicum mediterraneo, nella misura in cui lo erano i templi isolati dell’Attica a picco sull’Egeo, mentre non avrebbe intrattenuto rapporti con l’ambiente locale, l’edilizia pittoresca di Capri, Anacapri, Marina Piccola, Marina Grande (che pure allora pretendevano maestra di stile). La collaborazione stretta con il capomastro, artigiano, oracolo, in opposizione agli architetti e agli ingegneri, buoni esclusivamente per le “questioni legali”. La considerazione del cantiere come autentico progetto. L’assiduità sui lavori. L’amore della costruzione. L’entusiasmo del costruito.
Malaparte riferisce di aver orientato l’edificio con gli angoli a tagliare i punti cardinali e le direzioni dei venti prevalenti, il greco e lo scirocco. Di avere mutuato il taglio volumetrico dell’architettura dalla conformazione del Massullo, la semipiramide dalla depressione, il parallelepipedo dal pianoro terminale (tralascia la mediazione determinante del progetto Libera). Precisa di aver voluto la pietra cavata dal posto a modo di materiale costruttivo (non menziona il cemento, i tondini di ferro, la calce, i mattoni, che trasportarono con le barche).
Arriviamo alla biforcazione, dove trovasi la targa di terracotta con l’iscrizione Fondazione Giorgio Ronchi (in sostituzione dell’originaria Casa come me). Prendiamo a scendere per il sentiero, pieno di scalette di raccordo. Distogliamo spesso gli occhi dagli incanti del paesaggio per fissare il tracciato. Non a causa di qualche perversione estetica, bensì perchè aiuta a riflettere. Che cosa pensiamo? Che costruirono il sentiero nel 1938 o nel 1939, in contemporanea con la costruzione della villa; e il manufatto garantiva il collegamento tra la villa e la città alta di Capri.
Avessimo noleggiato una barca e navigato sino alla cala del Fico, ora saremmo approdati al molo minuscolo e ci arrampicheremmo per la scala di cemento. Staremmo pensando Fanno il molo e la scala nello stesso periodo; il sistema garantisce il collegamento tra la villa e i porti dell’isola. Più in basso capita di incontrare dei fili che scendono insieme a noi, i cavi della luce e del telefono. Fecero subito le istallazioni e, intanto che il cavo della luce assicurava il funzionamento moderno di Casa come me, il cavo del telefono metteva in contatto Casa come me con le città italiane e europee. Allora, crediamo, la casa non era inaccessibile e, mancando l’ingrediente essenziale, non coincideva con l’eremo e non avrebbe dovuto possederne la veste; semmai fingeva l’inaccessibilità.
Il progettista divenuto abitante, affetto da protagonismo, aveva escogitato una terapia straordinaria. Si tratteneva laggiù a recitare la fuga, il ritiro, la solitudine, la meditazione e tutto il resto, ed era la maniera più sicura di chiamare la gente, i potenti, gli intellettuali europei, e le telefonate7. Nonchè l’auspicio migliore che un giorno sarebbe giunto l’occhio massmediologico, a scrutarlo.
Varchiamo il cancello. Ma scendiamo ancora e, un po’ più sotto, i nostri piedi toccano la piazzola pavimentata di cotto. E, come quando battono il fondo della piscina, siamo spinti verso l’alto, a salire la scalea triangolare frontistante. Sembra il bucranio stilizzato e rappresenta l’immagine più sintetica e conosciuta della casa.
Il percorso dovrebbe essere facile. Invece è difficoltoso. La scalea è abbastanza ripida e lunga: consta di trentatrè gradini ed è priva di pianerottolo per la sosta. Inoltre si riceve la sgradevole impressione che la meta si allontani, anzichè avvicinarsi; ciò per colpa della strombatura rovescia, simile a quella dell’Annunziata di Lipari8. La salita ha parecchio dell’iniziazione. Una volta sulla terrazza, versiamo nella condizione superumana e ci sentiamo ammessi alla liturgia. Oggi come ieri la scena non è limitata al grande solarium, ma sconfina nel cielo, nel mare, in ogni direzione. L’attore principale è il Sole e recita. L’attore recita fino alla metà del pomeriggio, quando tramonta dietro Tragara. Attore irresistibile, incontrastabile, nè contrastato dal personaggio inanimato come la vela impietrita, oppure da personaggi animati come un tempo lo scrittore, in vena di esibizioni, prodezze ciclistiche, ad esempio.
Procediamo in linea retta e guadagniamo l’orlo della pista. Non c’è il parapetto e sono attuabili solamente il dietrofront e il salto suicida. Voltarsi e intraprendere il tragitto a ritroso equivale a ridiventare uomini, invero architetti atti ad affrontare e decifrare episodi architettonici. Dal solarium senza ringhiere tubolari (avrebbero destato aure moderne) alla colonna senza capitello (unica concessione alla stilematica capriota); al muretto ellittico calante a includere la canna fumaria; alla scalinata triangolare assumente l’aspetto di cavea, volta alla scenafronte, il dirupo asperrimo (benchè imboschito di pini, lecci, cespugli). Ci pare, tale sequenza, il frutto della composizione orfica, lirica, modulata sopra il metro peculiare, riscontrabile nella metrica di qualcuna delle splendide rovine cui si riducevano le architetture classiche mediterranee9.


Salone di casa Malaparte
fg174
Nella foto scattata da terra, databile alla primavera 1939, l’architettura è ormai finita al rustico e l’abitazione comincia ad assomigliare alla nave incagliata. Si nota la presenza di un vomitorio nella zona della cavea. In realtà, si trattava del passaggio utile al viavai dei muratori e dei materiali. Tutte le volte che Malaparte andava sul posto, si fermava a considerare l’apertura. Gli piaceva. La stimava, la giudicava il mezzo concreto della continuità del paesaggio naturale con l’interno della casa. E la candidava a ingresso assiale. Ma una volta Amitrano, devoto alla pratica, disprezzando le ragioni estetiche e tipologiche, osservò che l’acqua delle piogge invernali avrebbe trovato un varco troppo comodo e invaso le stanze del piano superiore. Conveniva finire i lavori, introdurre i mobili che sarebbero stati grossi, pesanti più delle pietre, e chiuderla10. Malaparte si lasciò convincere e, al momento opportuno, ordinò l’otturamento.
Di fatto, se tiriamo il bilancio della visita all’architettura orfica, abbiamo tutto, tranne la radice dell’intèrieur. Non sappiamo da dove entrare. Quanto all’ingresso, esso si trova sulla facciata sudoccidentale, insieme ad altre bucature, ricavate di netto dal muro intonacato (come nelle coloniche toscane amate dal pratese Malaparte e frequentate dagli architetti razionalisti a scopo più di ispirazione che di studio).
Apriamo la porta a cristallo unico e siamo nel vestibolo: ambiente di risulta, eppure nodo di qualsiasi itinerario interno. Già accedere al tinello significa compiere il primo viaggetto. Entriamo e gettiamo un’occhiata: piccola folie che, grazie al rivestimento e all’arredo di legno, la panca, il tavolaccio, la stufa maiolicata, induce a paragonare il panorama di là dal vetro, Matromania, con paesaggio dolomitico. Una possibilità è solcare il corridoio o spina distributiva delle camere da letto degli ospiti. Ne approfittiamo e ci rendiamo conto che si costituisce l’ospizio (parola di Malaparte), organismo tipologico netto, quanto la foresteria contemplata al pianterreno dal progetto Libera, quanto l’ostello delle ville augusto-tiberiane in cima ai picchi capresi, scavate dagli archeologi con un misto di passione e di terrore. Un’altra occasione è perlustrare il sottogradonata. La si coglie e si va nella cucina dove è l’orditura dei pilastri e delle travi inclinate di cemento armato. Di là si scende negli inferi, nelle celle a diretto contatto con la sella tra il precipizio e il promontorio.
Tornati nel vestibolo, tramite una scaletta montiamo al piano superiore. Transitiamo per la balconata che, ove non fosse colpevole di cancellare l’impronta dell’ingresso assiale carezzato da Malaparte, sarebbe irrilevante. Ci affacciamo al salone, al correlativo interno del volto parallepipoidale della casa.
Ai quattro angoli sono tagliate altrettante finestre sdraiate, a rettangolo corto. Il caminetto sorge tra le finestre aperte a sud-ovest. Dei mobili superstiti poggiano sul pavimento di pietre bigie posate a opus incertum . Nonostante che il mondo solare esterno cerchi di continuare, che lame di luce irrompano, l’arredo vibri di Kunstwollen, il salone è come è adesso: polveroso, evanescente. Ci muoviamo e vaghiamo qui e là, quasi sperassimo di afferrare il fantasma di Malaparte calcante il palcoscenico, che preferiva da vivo. Non acchiappiamo nulla. Di slancio passiamo in rassegna finestroni. Al primo, fra i pini cresciuti, la visione di Matromania; al secondo, in lontananza, punta Campanella; al terzo, i faraglioni; al quarto, lo scoglio Monacone. A nessuno, il riflesso di Malaparte.
Nel 1938-39, Malaparte inclinava al superamento della rielaborazione lirica attuata a lungo della materia poetica, inquinata dagli umori privati, corrosa dagli acidi della storia pubblica. Mirava, il letterato, alla poesia che ricreasse il creato, reinventasse l’inventato inventato nell’agire sulla realtà già data, rivelasse la surrealtà. ” alle leggi fisiche, chimiche, biologiche, la poesia sostituisce le sue leggi poetiche. Le sole che contino. Non esistono atti, pensieri, oggetti, sentimenti poetici o no. Esiste soltamente ciò che è nella poesia. Che appartiene al mondo della poesia. All’infuori di ciò, nulla esiste. Vi sono rapporti di identità, fra oggetti, idee, sentimenti, atti sopra lo stesso piano fisico: e questa identità alcuni hanno voluto spiegare col sogno”11. Insomma sembrava aderire alla ricerca del prediletto Éluard, di Breton e compagni – anche se, in sede teorica, proclamasse il Surrealismo francese inefficace più degli indirizzi artistici italiani, limitato più della Metafisica, del Magismo, del Novecentismo12.
Malaparte si sarebbe impegnato nel tentativo di concretare la sua poetica: e in occasione della sistemazione degli interni della casa, dentro la villa finita, con la scrittura dei racconti e dei romanzi13. Da architetto, da designer, si applicò ai mobili, specie ai mobili destinati al salone. Ideò e fece fabbricare poltrone ipertrofiche come le poltrone immaginate da De Chirico; divani eleganti, estenuati, snervati come i divani dipinti da Savinio. Un tavolo dal ripiano di massello sinuoso, sostegni in forma di pigna, un oggetto delirante, al limite del parossissmo daliano. Una panca dalla seduta serpentinosa e retta da rocchi di colonna, sembravano provenire dalla bottega del rigattiere anzichè dallo scavo archeologico. E, con lo stesso disegno, consolles ermafrodite. Non trascurò gli arredi fissi. Ad esempio, le finestre. Cornici modanate lungo i tagli del muro, specie di boccascena. Siparietti al posto delle tende. Serramenti ridotti a niente, a tre lastre di cristallo, di cui la centrale a bilico. Di modo che le finestre diventarono insoliti prosceni. O, per altro esempio, il caminetto. Cappa a immagine delle fasi lunari, crescente e calante. Cristallo di Jena sul fondo del focolare, così che, magia, il fuoco danzasse contro il mare illuminato dalla luna.
Radunò i mobili per bande trasversali. In corrispondenza delle finestre-proscenio, le poltrone con il luminator, e i divani. Sulla mediana, il bassorilievo di Fazzini, il tavolo, la panca, a richiamare i fedeli davanti al caminetto-altare14. Probabilmente non conseguì l’arredamento vero e proprio, piuttosto la vaga allegoria dell’intèrieur. La quale certo stava al salone, come il mobilio surrealistico voluto da Charles de Beistegui stava alle stanze dell’attico Beistegui, sopratutto la chambre à ciel ouvert, disegnata otto anni prima da Le Corbusier.
Alla pagina 254 de La pelle, Malaparte chiama il salone atrio. Ma atrio a che cosa? Intanto il salone si proietta oltre la porta a sud. Finalmente, di là dalla porta, la pianta conquista l’asse di simmetria e guadagna due trasversali, e assume l’aspetto della croce decussata. Il corridoio cardinale conosce subito l’incrocio con il primo braccio trasversale, che sfonda in due finestrelle, l’una aperta a oriente, l’altra a occidente. Poco più vanti incontra l’ingresso e il doppio. A e B sono attigui e danno adito ad appartamenti speculari, ma la specularità esclude l’integrazione. Tant’è che noi siamo costretti a visite distinte.
Da A entriamo nell’appartamento di Curzio. Curiosiamo. Una camera da letto dai mobili massicci e scuri; un bagno rivestito di marmi, sanitari marca Ideal Standard. Da B ci trasferiamo nell’appartamento detto della favorita. Una camera da letto analoga; un bagno simile. Ma le differenze non sono di piccolo conto: nella camera di Curzio mancano il caminetto e il bell’armadio a muro, in più c’è una porticina. Come se ne varca la soglia, ci si accorge di abbandonare tutto ciò che era un’alternativa in loco alla vita domestica, e di penetrare nel santissimo – laddove Curzio officiava al dio per lui supremo.
Eccoci nel ricetto finale. Lo studio dello scrittore si atteggia a secondo braccio trasversale, di dimensione pari all’intera larghezza della casa. La parete lunga coincide con il muro della casa e inquadra il mare-cielo. Anche le pareti brevi coincidono con i muri e rispettivamente inquadrano la punta Campanella e i faraglioni. La pavimentazione è di piastrelle ceramiche, ciascuna delle quali reca la figura della lira. Alle pareti una scaffalatura, carica di libri stazzonati, vecchie edizioni degli anni trenta, quaranta, cinquanta. Gli scaffali girano torno torno e terminano nella scrivania. Sedia con schienale a forma di lira. Poltrona. Divano. Stufa tirolese. Poche suppellettili superstiti.
Ispirandosi allo schizzo della lira tracciato da Goethe in margine al manoscritto del Viaggio in Italia, Curzio suggerì alla mano di Savinio lo stesso motivo. Provvide al disegno degli scaffali e della scrivania, con tanto di scrittoio incatenante, macchina celibe. Scelse i quadri di Dufy, Delaunay, Pascin, Kokoschka, Chagall, Morandi, De Pisis. Curzio si preoccupò anche dell’accrochage, somigliante all’accrochage della mostra della pittura surrealista15.
Dentro il microcosmo16, l’aria odorava di luce elettrica, resina, brillantina, acqua di colonia. Con il caschetto di capelli neri come la notte, con il volto lucido, il fazzoletto stretto al collo, Curzio indossava maglietta caprese e shorts, calzava ciabatte comuni (il massimo dell’eccentricità). Curzio sedeva e scriveva. Interpretava un atto di vita intellettuale.

Vittorio Savi

*(Scritto nel 1988, pubblicato, con lo stesso titolo, nello stesso anno da “Lotus international”, numero 60. Corretto, grazie all’aiuto di Ramona Loffredo, nel 2006, ma non aggiornato. La traduzione è la stessa di allora e differisce appena dal testo italiano di oggi. Si ringrazia il direttore della rivista, che è rimasto lo stesso, Pier Luigi Nicolin, di aver autorizzato la pubblicazione on line. Vittorio Savi, svv@unife.it)

Note
1- M. I. Talamona ha cercato, rintracciato e pubblicato il progetto originale di Adalberto Libera e approfondito la storia della progettazione liberiana di villa Malaparte: cfr. L’architetto e lo scrittore, di recente pubblicazione in Adalberto Libera, Electa, Milano 1989 (catalogo della retrospettiva su Libera, Trento, palazzo delle Albere). Contributo eccellente, il suo, che mi permetto di sunteggiare infra. Talamona si appresta a ricostruire anche la vicenda della progettazione e dell’esecuzione malapartiana, in un saggio già annunciato in volume dalla Clup di Milano. In assenza de L’architetto e lo scrittore, a questa dimora particolare si erano dedicati studi monografici, il valore critico dei quali dura integro e permane alto. Ecco l’elenco: G. C. Argan, Libera, Editalia, Roma 1975, pp. 12-13; F. Venezia-G. Petrusch, Casa Malaparte a Capri, “Psicon”, II (1975), n. 5, pp. 140-144 (con rilievi e foto degli autori); J. Hejduk, Casa come me, “Domus”, 1980, n. 605, pp. 8-13 (fotografie di G. Basilico); M. Tafuri, L’ascesi e il gioco, “Gran Bazaar”, 1981, n. 15, pp. 92 -97; e P. Depietri, (relatore prof.V. Savi), Album di Casa Malaparte, tesi di laurea in Caratt. dell’arch. contemp., Bologna 1988 (fotografie dell’autrice).
2- Il sollecito indirizzato a Libera da Malaparte su carta intestata “Prospettive” è conservato nell’archivio Libera, Roma. Il testo trascritto in Malaparte: una proposta, catalogo della mostra, Roma, De Luca, 1982.
3- L’eventuale esecutivo di Libera è andato smarrito; comunque, malgrado ogni indagine, fino ad oggi non è riemerso.
4- Non c’è motivo perchè Malaparte, lettore onnivoro, non conoscesse Eupalinos ou l’architecte nell’ed. NRF, Parigi 1921 e nelle sgg., oppure nella trad. it. Di R. Contu, Carabba, Lanciano, del 1932.
5- Si veda C. Malaparte, La pelle, Roma-Milano, Aria d’Italia, 1949, pp. 253-254; ed. francese, Parigi, Denoël, 1949, pp. 305 – 306.
6- Il dattiloscritto è posseduto dal prof. Ruffolo di Napoli ed è apparso a stampa con il titolo redazionale, Una casa tra greco e scirocco, ne “Il Mattino”, 20.6.1987. Che sappia, non è datato, ma forse, poichè insiste sull’analogia tra l’opera e il creatore, è contemporaneo di Città come me, Donna come ne, Cane come me ecc., le prose d’arte dei tardi anni trenta raccolte in Donna come me, Milano, Mondadori, 1940.
7- La carta da lettera del Malaparte di quel tempo porta stampigliato: Curzio Malaparte / Casa come me / telefono n. 160 / Capri.
8- Lo scrittore fu ritratto sullo sfondo della scala della chiesa di Lipari (foto in Malaparte: una proposta, cit.). E affermava esserne stato ispirato per la gradonata della sua villa (cfr. testimonianza di Guglielmo Rulli in L. Sorrentino, La Cina resta sull’uscio di villa Malaparte, “Tempo”, XXVI (1964), n.2, p. 23).
9- Nell’art. cit. Francesco Venezia legge la casa quale canto orfico, e, implicitamente, lo sceglie a paradigma di una linea di tendenza architettonica, comprensiva delle sue stesse architetture “di poesia”; linea destinata a crescere, a dispetto delle ostilità.
10- Parole messe in bocca ad Adolfo Amitrano dal figlio Ciro, che lavorò al cantiere della casa (cfr. la testimonianza in P. Depietri, op. cit.).
11- C. Malaparte, Notizia, 1938 in L’arcitaliano e tutte le altre poesie, Vallecchi, Firenze, 1963, p. 229. Notizia è un importante testo di poetica, così scopertamente neosurrealista da potersi firmare Eluard, Breton ecc.
12- Si veda Il surrealismo e l’Italia, “Corriere della Sera”, 12.10.38; ampliato nel saggio omonimo in “Prospettive”, 1940, n. 1, pp. 3-7.
13- Cfr. Kaputt, Casella Napoli, 1944 e La pelle, cit. L’indole di questi testi, compiuti nella casa, è rilevata da G. Grana, Malaparte, La Nuova Italia, Firenze 1968 (unica monografia valida criticamente, a prescindere dai contributi al convegno “Malaparte scrittore europeo”, Prato 1987, atti ancora inediti).
14- Lo stato originario del salone è fissato da scorci di vecchie fotografie (conservate dalla Fondazione Giorgio Ronchi, attuale proprietaria di casa Malaparte).
15- Lo stato originario dello studio è documentato da scorci di vecchie fotografie e da un notturno malpartiano, l’incipit s.d. di Benedetti italiani, Firenze, Valecchi, 1961.
16- In Surrealism and architecture, “A.D.”, 1978, n. 2-3 ( monografico), nè Dalibor Veseley, nè Raymond Koolhaas, nè altri annettono gli interni di questa dimora al catalogo delle architetture surrealiste. Nell’art. cit. John Hejduk sfiora appena l’assegnazione. Ciò non toglie che gli interni siano situabili all’origine di una ricerca architettonica neosurrealista ormai esemplificabile con le opere progettuali di Veseley, Koolhaas, e, sopratutti, di Hejduk.

commenti ( 10 )

7 Marzo 2006

Eventi

La conservazione e la valorizzazione della casa dell artista e del collezionista del XX secolo

Assessorato alla Cultura della Provincia di Varese.
Assessorato al Marketing territoriale della Provincia di Varese.

Convegno di studi
LA VALORIZZAZIONE DELLA CASA DELL’ARTISTA E DEL COLLEZIONISTA DEL XX SECOLO.
LA CONSERVAZIONE E LA TRASFORMAZIONE DI CASE E ATELIER IN MUSEI O FONDAZIONI PER LA CULTURA

Varese, sabato 11 marzo 2006
Sala Convegni della Provincia
Piazza Libertà 1

Programma della giornata
ore 9.45 Inizio dei lavori.

Saluto da parte del Presidente della Provincia Marco Reguzzoni.
Saluto da parte dell’Assessore al Marketing territoriale
della Provincia Giangiacomo Longoni.
Presentazione delle finalità della giornata di studio e l’importanza della valorizzazione museale delle case di artisti e collezionisti presenti nel territorio di Varese.

Prima sessione
La conservazione, la valorizzazione e la gestione
della casa dell’artista e del collezionista

ore 10.00
Peter Höhenstatt
Facoltà di Architettura di Parma. Corso di Museografia.
Apertura prima sessione: moderatore del dibattito.

ore 10.15
Giovanni Pinna
museologo, già Presidente nazionale ICOM Italia.
La valorizzazione della casa dell’artista e del collezionista del XIX e XX secolo nella museografia di oggi. Il ruolo dell’ICOM e del DEMHIST.

ore 10,45
Giuseppe Panza di Biumo
Collezione Panza di Biumo di Varese.
Un tema di grande attualità: la casa del collezionista dei nostri giorni e la successiva trasformazione da dimora privata ad istituzione museale.

ore 11.15
Jo-Anne Birnie Danzker (sotto riserva)
Direttrice del Museo Villa Stuck a Monaco Baviera.
Conservazione dell’edificio storico della casa dell’artista.
Quali nuove finalità e modalità di gestione richiede una fondazione artistica contemporanea.

ore 11.45
Maria Camilla De Palma
Direttrice del Museo Castello d’Albertis a Genova.
Restauro dell’antico manufatto e trasformazione della dimora in una moderna istituzione museale. Differenti modalità di gestione di una collezione etnografica.

ore 12.15
Dibattito e risposte al pubblico.

ore 12.45
Buffet.

Seconda sessione
Il progetto architettonico.
La progettazione della casa e del giardino dell’artista. Esperienze recenti di trasformazione in museo di case e di studi di artista.

ore 14.15
Aldo De Poli
Facoltà di Architettura di Parma.
Apertura seconda sessione: moderatore del dibattito.

ore 14.45
Paolo Portoghesi
Facoltà di Architettura di Roma.
Il progetto della casa Portoghesi a Calcata. Una casa di collezionista tra storia e contemporaneità. Le linee guida nella stesura del progetto.

ore 15.15
Pierluigi Cerri e Alessandro Colombo
Studio di architettura Cerri & Associati di Milano.
La Fondazione Arnaldo Pomodoro.
Le sedi milanesi di Quinto de’ Stampi e di Via Solari.
Esperienze recenti di intervento architettonico in edifici già industriali.

ore 15.45
Piero Giadrossi
Fondatore del Parco-Museo del Chianti a Pievasciata.
Il parco-museo nell’esperienza di un collezionista.
Analisi delle problematiche e delle esperienze collegate all’allestimento e alla gestione di un museo a cielo aperto.

ore 16.15
Dibattito e risposte al pubblico.

ore 16.45
Conclusione del convegno.

ore 17.00
La trasformazione della casa dell’artista e del collezionista in museo.
Visita alla mostra.
Presentazione delle due sezioni della mostra a cura degli architetti Marco Piccinelli e Nicola Poggi.

È prevista la pubblicazione di un volume di documentazione nella collana di Museografia a cura di Edizioni Lybra Immagine di Milano.

L’iniziativa è rivolta ad amministratori, direttori di musei, proprietari di ville, architetti e progettisti, storici dell’arte, professionisti della conservazione e dei beni culturali.

Organizzazione
Assessorato alla Cultura della Provincia di Varese.
Assessorato al Marketing territoriale della Provincia di Varese.
Associazione Amici del Sacro Monte di Varese.

Con l’adesione di "Nuova Museologia",
rivista dell’Associazione Italiana di Studi Museologici.

Comitato scientifico
prof. Aldo De Poli, prof. Giovanni Pinna,
prof. Peter Hohenstatt, prof. Gabriele Cappellato.

Comitato organizzativo
arch. Elena Brusa Pasquè (+39) 0332.23.63.17, elena@brusapasque.it
arch. Marco Piccinelli (+39) 349.60.44.156, PiccinelliMarco@libero.it
arch. Nicola Poggi, (+39) 328.45.22.432, nicola.poggi@aliceposta.it

commenti ( 0 )

7 Marzo 2006

Ri_editazioni

Orphic, surrealistic*
Casa Malaparte in Capri and Adalberto Libera

At the umpteenth promontory, the lane of the Pizzolungo curves, almost turning back on itself, and there it is, at the end: Casa Malaparte stands at the top of Capo Massullo. We feel like Ruskin catching sight of the Gothic cathedral. We go back over the walk in our minds; we record the hour and the circumstances and we will not forget them; let us put the site and the architecture into focus.
From this viewpoint, the cape looks like a depression of the coast after the mountain. The hollow is deep and the rock seems to be detached, wandering in the sea of Capri. Casa Malaparte appears as a half-pyramid with an upside-down flight of steps, driven into the soil of the natural saddle, from which extends a parallelepiped coloured a Pompeian red. The roof is flat, very flat, parallel to the expanse of water. On the roof-terrace, a low white wall, elliptic in shape and sinking downwards.
If we had come some time ago, we would have looked and thought that the building was the concrete outcome of the project that Libera drew up for Malaparte in 1938 and which was then considerably revised by the client. But now, since we were aware of the discoveries made by Marida Talamona1, a different version sprung to mind.
At Christmas 1937, led by his friend Ambassador Rulli, the writer Curzio Malaparte (the pseudonym of Kurt Suckert), had gone right to the end of the point. Carried away by the beauty of the place and the panorama, as early as January 1938 he bought a stretch of coast, including the precipitous wall of rock cleaved by the lane leading to Matromania, as well as the totally impassable crag plunging into the sea. He had not just astonished Rulli, but had also re-sold the upper and accessible portion of the Massullo to him. He kept for himself the inaccessible promontory. He talked it over with the master builder of Capri, Adolfo Amitrano. Encouraged, he had decided to accept the challenge of the site and build a house on it. Rulli followed his example, on his own part of the property.
At the suggestion of Orfeo Tamburi, art director of Malaparte’s magazine Prospettive, he gave the task of drawing up the plans to Adalberto Libera, who commended himself in any case as a cultivated and outstanding professional (as much and more so than his young colleagues of rationalist bent). The Amitrano firm was to be responsible for the construction.
From February to March, Libera weighed up the situation and studied the proposal in order to find out what was needed. The design for the building was at the scale 1: 100, and the form envisaged was a simple volume, a pure, conventional prism, typical of rationalist design, but with a parallelepipedal portion cut out of it towards the ground to make room for the terrace. The plans and patterns of distribution derived from this: in linear succession on the upper floor, the terrace and sitting – room; on the ground floor the bedrooms laid out in the pattern of a comb and, deflected by +0.50 m, the kitchen. The architectural characteristics are simple: roof made up of repeated small vaults, regularly subdivided fronts, socle of rusticated ashlars.
The project is essentially similar in quality to his contemporaneous one for the Reception and Conference Building at the E42 (especially with regard to the relationship of the raised block to the terraces laid out in mirror fashion). Capable of standing as the founder of the whole family of his works, in which a linear typological form is insisted on. In short the beginning of one of Libera’s many itineraria perfectionis. He sent the plans to the Commune first; then, in view of the fact that the island was about to be made subject to a ministerial landscaping plan and the Massullo had been classified as land that could not be built on, to the Ministry of National Education I Government Office of Naples.
On 24 April Libera was asked by Malaparte to send “the copy of the plan” to Amitrano on Capri, as he needed it to begin work2. Perhaps Libera was unable, or perhaps unwilling, to get the plan, or let us say the executive version, ready, for he did not do as his client asked. More likely, he set to work and sent the final version after a tolerable delay3.
Yet we would not be guilty of over-emphasizing psychological factors to say that, whatever the case, Malaparte’s reaction was the same. While he continued to pull strings with the Minister Bottai and his officials to get the plans approved – and was successful: the Naples office granted permission, as an exception to the landscaping plan, and consequently the Commune gave the go-ahead to build – he was disappointed and showed signs of his discontent, proposing that the architect should give up the project. Construction work began around the middle of the year. In the meantime Malaparte cut out the figure of Libera, dismissing the idea of his efforts from his mind. Nor would it be far off the mark to say that, if he went for an on-the-spot inspection, Amitrano received him coldly.
I would guess that what Malaparte, an untiring seeker after the identity of creator, had in mind was to take the part of Eupalinos, a Greek architect who actually lived during the 6th century B.C., but who had been re-invented by Valèry in the philosophical dialogue of the same name, attributing to him rationality and irrationality, artistic thought, logic and the knowledge of a craftsman4. It was Valèry’s Eupalinos, an Orphic figure, a reinterpretation of the role of the mythical Orpheus who, by playing his lyre, was able to soothe men, tame wild beasts, bow down trees and carry away stones. That is to say, by means of poetry, bring order to the disorder of nature, give form to the formless, architecture to matter.
This is why the dismissal must not have been an end in itself, but was intended to create the room for him to realize his desire. Malaparte would have been one of those architects who, on the basis of an Orphism more or less rich in esoteric elements and, on the lines of a lyrical sentiment, redesign nature, reorganize reality and, afterwards, resort to imitation in order to produce the work. At the least, he would have boasted of being the architect sui generis of the sui generis Malaparte house, depending on what his typical canon of creativity would have required (evaluated without aesthetic categories, but negatively, with moral categories).
It suffices to read a couple of pages from his autobiographical novel La pelle5. Malaparte pretends to have received a visit from Marshal Rommel on Capri in the spring of 1942. Rommel and Malaparte walked round the villa talking. They stopped “in the immense hall with its great windows looking out onto the most beautiful scenery in the world.” Rommel was about to take his leave, but hesitated. After a moment of silence, he asked his host whether he had acquired the house already built or whether he had designed and built it himself. His host replied that yes, the house already existed (and this was not true), but that he had “designed the scenery.” And traced a half-circle in the air, from the rocks in the sea to the vertiginous wall of Matromania. The map showed the route all along the bay of the Massullo and, at the junction, a winding line of descent to the villa, 25 metres above sea level. We folded the map and set off. As we descended, something Malaparte had written came to mind, a report, a report on the Massullo house of the kind that architects attach to their projects6.
Malaparte begins by stating that he had set himself a very high objective: an architectural portrait of himself and of his personality. Reckoning himself to be a hard, strange and plain man, free of ornaments, his home would have to be hard, strange and very modern. But the man was also memory of his existence, for instance of the period of his confinement on Lipari, and the architecture would bear the mark of this. He continues by referring to the procedure, which was suitable for and worthy of an ancient ritual. His exploration of the rock hand over hand, in order to read there the horoscope of the architecture. His belief that the architecture would be a Mediterranean unicum, like the isolated temples sheer above the Aegean in Attica, while it would have no relationship with the local surroundings, the picturesque buildings of Capri, Anacapri, Marina Piccola and Marina Grande (which even in those days were vaunted to be a masterpiece of style). His close collaboration with the master builder, craftsman and oracle, in opposition to the architects and engineers, good only for “the legal questions.” His view of the construction site as a genuine project. His steady application to the work. His love of building…
Malaparte refers to having oriented the building so that the corners cut the cardinal points and the directions of the prevailing winds, the greco (north-east) and the scirocco (south-east). To having taken the volumetric form of the architecture from the shape of the Massullo, the half-pyramid from the depression, the parallelepiped from the hint of a plateau at the end (and, of course, neglects to mention the decisive part played by Libera’s design).
He says that he wanted to use stone quarried on the site as a construction material (and does not refer to the concrete, the iron reinforcing rods, the cement and the bricks that were carried there by boat).
We reached the fork, where stands a terracotta tablet bearing the inscription “Fondazione Giorgio Ronchi” (in place of the original “Casa come me” – “House like me”). We started down the path, interspersed with short flights of steps. Often we tore our eyes away from the charms of the scenery to look at the layout of the path. Not because of some aesthetic perversion, but because it helped us to reflect. What were we thinking? That they built the path in 1938 or 1939, during the construction of the villa; it provided a link between the house and the town of Capri above.
Once the designer of the house had become its inhabitant, and found himself afflicted with the desire to play a leading part, he devised an extraordinary cure: he stayed down there to play the part of flight, withdrawal, solitude, meditation and all the rest. And it was the surest way to attract people, to draw the powerful, the intellectuals of Europe, along with their telephone calls7. As well as the best omen that the gaze of the mass media would one day turn his way.
We went through the gate. But we still had to go farther down and, a little lower, our feet touched the platform paved with terracotta tiles. And, just like when they touch the bottom of a swimming-pool, we were pushed back up, to climb the triangular flight of steps in front. It looks like a stylized bucranium and represents the most synthetic and familiar image of the house.
The climb should have been easy. Instead it was difficult. The flight of steps is fairly steep and long: it is made up of thirty-three steps and has no landing on which to take a rest. Moreover one gets the disagreeable impression that the goal is receding, rather than drawing nearer; this is the fault of the inverted splay, similar to that of the Annunziata on Lipari8.
The climb is something of an initiation. Once on the terrace, we found ourselves in a superhuman situation and felt that we had been admitted to a sacred ritual. Today as yesterday, the scene is not limited to the grand solarium, but spills over into the sky, the sea, in every direction. The leading actor is the sun, and it plays its part. The heavenly body performs until the middle of the afternoon, when it sets behind Tragara. An irresistible, incontrovertible performer, it is not even resisted by an inanimate character like the petrified sail, or by animate ones such as the writer himself, when he used to put on his displays of cycling.
We went on in a straight line and reached the edge of the track. There is no parapet and the only feats possible are the about turn and the suicide jump.
To turn round and make our way back meant becoming men again, architects in fact, capable of tackling and deciphering architectural matters. From the solarium without tubular railings (which would have given it a rationalistic air) to the column without a capital (sole concession to the stylistic characteristics of Capri), to the elliptical wall declining to embrace the chimney and to the triangular flight of steps taking on the appearance of an auditorium, facing the scene in front, the steep precipice (although dotted with pines, holm oaks and bushes).
It looked to us, this sequence, like the fruit of an Orphic, lyrical, modulated composition in a peculiar metre, the kind to be found in some of the splendid ruins to which the classic works of Mediterranean architecture have been reduced9. In a photograph taken from land, that can be dated to the spring of 1939, the carcasse of the architecture is already finished and the house is beginning to resemble a ship stranded on the rocks. One notes the presence of a vomitory in the upper zone of the auditorium. In reality, it was the passage used by the builders to carry their materials back and forth.
Every time that Malaparte visited the site, he stopped to consider that opening. It pleased him. He regarded it as the concrete means by which the natural landscape was made continuous with the interior of the house. And he decided to make it the axial entrance. But then Amitrano, always practical and scornful of aesthetic and typological motives, observed that during the winter rains the water would find it all too convenient a passage and run into the rooms on the upper floor. It would be better to finish the construction work, bring in the big pieces of furniture, even heavier than the stones, and dose it10. Malaparte allowed himself to be persuaded and, when the moment was right, ordered it to be sealed.
By this time, if we weighed up our visit to the Orphic work of architecture, we had got everything, except for its heart, the interior. Nor did we know how to get in.
As for the entrance, that is located on the south-west facade, together with a number of other holes, cleanly cut through the plastered wall (like in the Tuscan farmhouses dear to Malaparte, who was born in Prato, and visited by rationalist architects more for the purposes of inspiration than for those of study. We opened the door with its single pane of glass and found ourselves in the vestibule: left-over space, and yet the node of every internal route. Going to the breakfast room already meant a first short journey. We entered and took a look round: it is a little folly in which the wood panelling and furniture, the bench, plank-bed and stove covered with majolica tiles, induce one to compare the panorama on the other side of the glass, Matromania, with one from the Dolomites. One possibility was to follow a corridor or spine of distribution for the guests’ bedrooms. We did so and realized that it formed the hospice (Malaparte’s name for it), a separate typological system, as are the guest-quarters on the ground floor provided for in Libera’s plans, or the hostel of the villas of Augustus and Tiberius perched on the peaks of the island of Capri, excavated by archaeologists in a mixture of enthusiasm and terror. Another opportunity was to explore the space beneath the flight of steps. We took it and arrived in the kitchen where the reinforced concrete framework of the pilasters and slanting girders is visible. From here one descends into the bowels of the house, into cells in direct contact with the saddle between the precipice and the promontory.
Returning to the vestibule, we climbed a short flight of steps to the upper floor. We passed through the balcony which, if it were not responsible for cancelling out the mark of the axial entrance cherished by Malaparte, would be irrelevant. And we came into the sitting-room, located inside the parallelepipedal volume of the house.
Set at the four corners are the same number of horizontal windows, in the shape of rectangles set on their sides. The fireplace stands between two openings to the south-west. The surviving pieces of furniture stand on a floor of ash grey stones laid in opus incertum. Although the sunlit outside world seeks continuation, shafts of light break in and the furnishings vibrate with a peculiar Kunstwollen, the sitting-room now resembles its former owner: dead, corrupted, dusty and fading. We wandered here and there, almost hoping to run across the ghost of Malaparte treading the boards of what had been his favourite stage. We found nothing. On impulse we moved to survey the view from the large windows. To the first, Matromania appeared amidst the pines now grown tall; to the second, in the distance, Punta Campanella; to the third, the rocks in the sea; to the fourth, the crag of the Monacone. To no-one, the shade of Malaparte.
In 1938-39, the man of letters was inclined to go beyond the lyrical revision, long underway, of the field of poetry, polluted by private moods and corroded by the acids of collective history. He was aiming, the man of letters, at a poetry that would recreate the already created, re-invent the already invented and, by acting on reality as given, reveal surreality. “For the laws of physics, chemistry, biology, poetry substitutes its poetic laws. The only ones that count. There are no actions, thoughts, objects, feelings, whether poetic or not. Only that which is in poetry exists. What belongs to the world of poetry. Outside this, nothing exists. There are relationships of identity, between objects, ideas, feelings, actions, above the physical plane itself: and some have tried to explain this identity with dream”11. In short he seemed to follow the line of his beloved Éluard, of Breton and company, even though, in theoretical terms, he proclaimed French surrealism to be more limited than metaphysical art, magismo and novecentismo, less effective than typically Italian artistic currents12. Malaparte was committed to the attempt to make his poetics concrete: both in the layout of the interiors of his home and, inside the finished house, in the writing of stories and novels13.
As an architect, or rather a designer, he applied himself to the furniture, especially the furniture intended for the sitting-room. He designed and set about making armchairs, as hypertrophied as the armchairs depicted by de Chirico, and couches, as elegant, exhausted and limp as the couches painted by Savinio. A table with a sinuous block as its top and cone-shaped legs, a crazy object verging on the paroxysm of Dalì. A bench with a serpentine seat and supported by columns that look like they come from the junk-yard rather than from an archaeological excavation. And, to the same design, hermaphrodite consoles. Nor did he neglect the fittings. The windows, for example. Moulded frames along the cuts in the wall, a sort of proscenium. Theatrical drop-curtains instead of the usual ones. Casements reduced to nothing, with three panes of glass, the middle one on a pivot. All so that the windows are transformed into unusual prosceniums. Or, to take another example, the fireplace. The cowl bears an image of the phases of the moon, waxing and waning. Jèna crystal at the back of the hearth so that, by magic, the fire would dance against the moonlit sea.
He arranged the furniture in transverse rows. In line with the proscenium-windows, the armchairs with the “luminator”, and the couches. Down the median line, the bas-relief by Fazzini, the table and the bench, to lure the faithful to their places in front of the fireplace-altar14.
Probably what resulted was not a true set of furnishings, but a vague allegory of intèrieur. This certainly fitted the sitting-room, just as the surrealistic furniture desired by Charles de Beistègui suited the rooms of the Beistègui penthouse, especially the chambre à ciel ouvert, designed eight years earlier by Le Corbusier.
On page 254 of La pelle, Malaparte calls the sitting – room an atrium. But an introduction to what? In the meantime the sitting-room extends beyond the door to the south. Finally, beyond the door, the plan conquers the axis of symmetry and acquires two transverses, taking on the aspect of a St. Andrew’ s cross. The cardinal corridor is immediately crossed by a first transverse arm, that ends in two small windows, one facing east, the other west. A little further on it encounters an entrance and its twin. A and B are adjacent and provide access to apartments that are mirror images of one another, but this mirroring prevents their integration. So that we were compelled to make separate visits.
From A we entered Curzio’s apartment. We looked around curiously. A bedroom with solid and dark furniture, a bathroom lined with marble and fitted with Ideal Standard appliances. From B we reached the apartment “of the favourite.” An almost identical bedroom; an almost identical bathroom. However the differences are not of small account: in Curzio’s bedroom the fireplace and the fine built-in wardrobe are missing, but there is a little door. As one crosses its threshold, one becomes aware of leaving behind everything that served in that place as an alternative to domestic life, and of venturing into the sacred – the place where Curzio officiated to his own supreme deity.
We had reached the last refuge. The writer’s study occupies the second transverse arm, extending the entire width of the house. The longest side coincides with the wall of the construction and frames sea and sky. The short sides are also the building’s outer walls and frame the Punta Campanella and the rocks in the sea respectively. The floor is covered with ceramic tiles, each of which bears the figure of the lyre. Shelving on the walls is laden with crumpled books, old editions from the thirties, forties and fifties. The shelves run all the way round and end at the desk. Chair with a lyre-shaped back. Armchair. Couch. Tyrolean stove. A few surviving bits of furniture.
He suggested to Savinio’s hand the motif of the lyre, taking his inspiration from the one sketched by Goethe in the margins of his Italian Journey. He was responsible for the design of the shelves and desk, which gives the impression of a fettering device, a celibate machine. He chose the pictures by Dufy, Delaunay, Pascin, Kokoschka, Chagall, Morandi and de Pisis. He took care of their hanging, resembling that of an exhibition of surrealist painting15.
Inside the microcosm16, the air carried an odour of electric lighting, resin, brilliantine and eau de cologne. With a helmet of hair black as night, a shiny face, a scarf knotted tightly round his neck, Curzio used to wear a Capri jersey, shorts and ordinary slippers (the height of eccentricity). Curzio sat and wrote. He struck an attitude of intellectual life.

Vittorio Savi

(Written in 1988, published with the same title, in the same year, by Lotus International, n° 60. Corrected, thanks to the assistance of Ramona Loffredo, in 2006, but not updated. The translation is the same as in the first publication, and differs only slightly from today’s Italian text. We would like to thank the editor of the journal, Pier Luigi Nicolin, for authorizing publication online. Vittorio Savi, svv@unife.it)

Note
1- M.I. Talamona has sought, tracked down and published the original plans by Adalberto Libera and thoroughly investigated the history of his design of Malaparte’s house: cf. “L’architetto e lo scrittore”, in Adalberto Libera, Electa, Milan 1989 (catalogue of the retrospective exhibition on Libera, Palazzo delle Albere, Trent), He has done an excellent job of work, which I have permitted myself to summarize above. Marida is also preparing to reconstruct the story of Malaparte’s design and execution. in an essay that will appear in a volume to published by the Clup of Milan. Prior to this peculiar home, the critical value of which remains unimpaired. Here is the list: G.C. Argan, Libera, Editalia, Rome 1975. pp. 12-13; F. G. Petrusch, “Casa Malaparte a Capri”, Psicon, II (1975), no. 5, pp. 140-144 (with drawings and photographs by the authors); J. Hejduk, “Casa come me” Domus, 1980, no, 605, pp. 8-13 (with photographs by G. Basilico); M. Tafuri, “L’ascesi e il gioco”, Gran Bazaar, 1981, no. 15, pp. 92-97; P, Depietri, Album di Casa Malaparte, graduate thesis, Bologna (with photographs the author).
2- The reminder sent to Libera by Malaparte on paper headed “Prospects” is preserved in Libera Archives, Rome. The text is given in Malaparte: una proposta,(catalogue of the exhibition conference of the same name, Capri 1978), De Luca, Rome 1982.
3- Libera’s probable executive plan has been lost; in any case, in spite of much inquiry, it has not come to light so far.
4- There is no reason why Malaparte, an omnivorous reader, shou]d not have been familiar with Eupalinos ou l’architecte, in the NRF edition, Paris 1921 or subsequent editions, or in the Italian translation by R. Contu, Carabba, Lanciano 1932.
5- Cf. C. Malaparte, La pelle, Aria d’Italia, Rome-Milan 1949, pp. 253-254; French ed., Denoël, Paris 19-19, pp. 305-306.
6- The typescript is in the possession of Prof. Ruffolo of Naples and has appeared in print under the editorial title “Una casa tra greco c scirocco” in il Mattino, 20.6.1987. One cannot be sure, but perhaps, as it insists on the analogy between the work and its creator, it is contemporaneous with Città come me, Donna come me, Cane come me…., the artistic prose works of the late thirties collected in Donna come me, Mondadori, Milan 1940.
7- Malaparte’s note paper of that time bore the stamped heading: Curzio Malaparte / Casa come me / telefono n.160 / Capri.
8- The writer was photographed against the background of the staircase of the church on Lipari (photograph in Malaparte: una proposta, cit.). And he declared that it had been the inspiration for the f1ight of steps in his house (cf. the account by Guglielmo Rulli in L. Sorrentino, “La Cina resta sull’uscio di villa Malaparte”, Tempo, XXVI (1964), no. 2, p. 23).
9- In the article cited Francesco Venezia interprets the house as an Orphic canto and, implicitly, takes it as a paradigm of an architectural tendency, including his own architecture “of poetry”; a tendency destined to grow in spite of hostility.
10- Words ascribed to Adolfo Amitrano by his son Ciro, who worked on the construction of the house (cf. the account in P. Depietri, op. cit.).
11- C. Malaparte, “Notizia” (1938), in L ‘arcitaliano e tutte le altre poesie, Vallecchi, Florence 1963, p. 229. “Notizia” is an important piece of poetry, so openly neo- surrealist that it could bear the signature of Éluard, Breton, etc.
12- Cf. “Il surrealismo e l’Italia”, in Corriere della Sera, 12.10.1938; expanded on in the essay of the same name in Prospettive, 1940, no. l, pp. 3-7.
13- Cf. Kaputt, Casella, Naples 1944, and La pelle, cit.. The character of these texts, completed in the house, is described by G. Grana, Malaparte, La Nuova Italia, Florence 1968 (the only critically valid monograph, apart from the contributions to the conference “Malaparte scrittore europeo”, Prato 1987, the proceedings of which have nor yet been published).
14- The original state of the sitting-room can he seen in old photographs (preserved by the Fondazione Giorgio Ronchi, the present owner of Malaparte’s house).
15- The original state of the study is documented in old photographs and in a nocturne by Malaparte, the undated incipit of Benedetti italiani, Vallecchi. Florence 1961.
16- In “Surrealism and Architecture”, A.D., 1978. nos. 2-3 (monograph), neither Dalibor Veseley nor Raymond Koolhaas, nor others include the interiors of this house in the catalogue of surrealist architecture. In the cited article by John Hejduk they are barely mentioned. This does not mean that the interiors cannot be placed at the origin of a neo-surrealistic line of architectural research now exemplified in the works of Veseley, Koolhaas and, above all, Hejduk.

commenti ( 1 )

5 Marzo 2006

Letture

Immateriale|Ultramateriale

Immateriale|Ultramateriale
Architettuta, progetto e materiali
a cura di Toshiko Mori
Traduzione dall’inglese di A. Bergamin
Postmedia srl, Milano
2004
Pagg. 127
Prezzo 16.00 euro

Possono i materiali perdere il loro ruolo passivo e diventare soggetti attivi nella progettazione? E che impatto avrebbe questo a livello sociale?
Le questioni rappresentano il punto di partenza del testo ‘Immateriale|Ultramateriale’ curato da Toshiko Mori.
Il parallelismo tra esperimenti, condotti in collaborazione tra industrie private e l’Università di Architettura di Harvard, e tavole rotonde con professionisti coinvolti attivamente in questo tipo di ricerche, porta ad un duplice linguaggio. Da un lato, infatti, si affrontano tecnologie al limite tra esperimenti NASA e chimica dei materiali, con il linguaggio scientifico che ne consegue, dall’altro, si cerca di comprendere quale impatto possano provocare queste nuove tecnologie nel ruolo dell’architetto e nei gusti della società, senza tralasciare problemi di carattere socio-politico-economico legati sia alla ricerca (nel reperire i fondi) sia all’utilizzo di questi materiali (responsabilità dei progettisti e brevetti).
I temi attorno a cui ruota la trattazione sono Limite, Superficie e Sostanza.
Gli studenti si sono dedicati a ricercare modi innovativi per un uso di materiali diverso da quello per cui vengono prodotti. Nei primi due casi (Limite e Superficie) i materiali utilizzati sono stati rispettivamente: fogli di compensato di mogano sapele per la realizzazione del rivestimento di una colonna e di un arco, gomma per indagare sulla relazione simbiotica tra elementi compressivi e tensili nel processo di fusione; cartongesso, pannelli in fibre di carta riciclata e pannelli MDF- fibra di legno a media densità – per sviluppare una prassi di ricerca nell’intersezione tra progetto, materiali e produzione.
Per quanto riguarda il capitolo "Sostanza", il materiale oggetto di studio è stato l’aerogel. E ciò risulta particolarmente interessante essendo questo materiale costituito per il 98% da aria. L’immaterialità diventa, quindi, tangibile, e non solo. Infatti, “l’architettura di oggi presenta una sottigliezza che, però, ha uno strano spessore” (Ron Witte) e l’aerogel riassume una serie di qualità tali da renderlo virtuoso: può passare dalla trasparenza all’opacità, da una maggiore rigidezza ad una maggiore fragilità, mantenendo qualità termiche di isolazione. Si possono così ottenere superfici variant sameness che ridefiniscono il binomio parete-finestra. Grazie a stampi plasmati a seconda di una certa topografia, i pannelli (le dimensioni possono variare) di aerogel vengono plasmati secondo la geografia dello stampo: a zone più alte corrisponde un minor spessore di aerogel, quindi una maggiore trasparenza, a zone più basse, corrisponde un maggior spessore di aerogel, quindi una maggiore opacità e rigidità.
Nella tavola rotonda seguente Michael Cima, illustra i potenziali della stampa tridimensionale, e di come la "forma" possa racchiudere un grande valore. La "metodologia additiva" consentirà la produzione di pannelli multifunzionali, all’interno dei quali potranno essere istallati impianti (elettrici e idraulici) e strumenti di controllo, proponendo una struttura ad elevate prestazioni tecnologiche. In questa modalità di esecuzione, oltretutto, il prezzo del pannello non è proporzionale alla sua complessità. L’unica difficoltà è nella fase di progetto di questi moduli. Questa metodologia suscita delle perplessità tra i conferenzieri, in quanto sconvolge la normale prassi di esecuzione di un edificio (maniera sequenziale) in favore di uno sviluppo in parallelo del cantiere, ed elimina dalla scena alcune figure tecniche come gli elettricisti, ad esempio, investendo il progettista di una serie di cognizioni tecniche e di pratiche esecutive.
Nel capitolo dedicato ai "Fenomeni" ci vengono infine proposte quattro chiavi di lettura per un approccio fisico con i materiali e l’architettura. Il primo approfondisce ‘L’odore dell’architettura’ che può identificare uno spazio, e diventarne limite; il secondo analizza il rapporto tra "Corpo, Performance, Confine" per cui lo spazio è “formato e coreografato dalla reazione cinestetica del corpo umano”; il terzo propone, attraverso l’uso della conduzione ossea, una nuova "Interferenza di confine"; il quarto riguarda il legame tra la "Luce effimera" e la spiritualità nel progetto di architettura.
fg172
L’intervista conclusiva a Jacques Herzog ci da la possibilità di entrare nel suo studio di progettazione, di scoprire il lavoro che lui e Pierre De Meuron sviluppano sui materiali, e di come si confrontano con il cantiere. Ma ci permette anche di tentare una risposta alle domande iniziali: ” (…)ciò che perseguiamo è il momento in cui la materialità trascende nell’immaterialità. Per realizzare questa trascendenza (…)usiamo spesso una strategia di ipermaterialità, una strategia dove condizioni materiali della struttura in via di costruzione sono chiamate in causa fin dall’inizio.”

Veronica Cupioli

Vai a Postmedia

commenti ( 0 )

La pietra armata
Nuove frontiere per l’architettura contemporanea

LA PIETRA ARMATA
Nuove frontiere per l’architettura contemporanea

Seminario tecnico-scientifico a conclusione della mostra

venerdì 03, marzo ore 16.00
“Sala del Tribunale” di Palazzo Dogana,
Piazza XX Settembre, Foggia

sotto l’alto patrocinio del
Ministero Attività Produttive
Consiglio Nazionale degli Architetti

organizzato e promosso da:
PROVINCIA DI FOGGIA

con
REGIONE PUGLIA
VERONA FIERE
COMUNE DI APRICENA
COMUNE DI SAN GIOVANNI ROTONDO

in collaborazione con
ORDINE DEGLI ARCHITETTI DELLA PROVINCIA DI FOGGIA
ORDINE DEGLI INGEGNERI DELLA PROVINCIA DI FOGGIA
PROVINCIA DEI FRATI MINORI CAPPUCCINI DI FOGGIA
CCIAA DELLA PROVINCIA DI FOGGIA
CONFINDUSTRIA PUGLIA
ASSOCIAZIONE INDUSTRIALI DI CAPITANATA

con il contributo di
CAMPOLONGHI srl pietra, alta tecnologia & servizi per l’architettura, Montignoso
CIUFFREDA impresa di costruzioni Foggia
FRANCO DELL’ERBA industria marmi Apricena
MARMOTEK srl lavorazione marmi Foggia

organizzazione generale a cura di
LABORATORIO PROGETTO CULTURA

Sintesi dei contenuti
Quello della architettura in pietra strutturale, a partire dalla realizzazione della nuova Aula Liturgica di Padre Pio, progettata da Renzo Piano Building Workshop, è un tema di straordinario interesse ed occasione continua di dibattito per architetti, ingegneri, costruttori, ricercatori, università ed operatori del settore più in generale.
L’assenza quasi totale di un’architettura contemporanea a carattere murario, che faccia uso esteso, secondo tecniche aggiornate, di una forma architettonica continua e portante (o almeno collaborante) non può che apparire prevalentemente dettata dall’egemonia di modelli culturali generati nelle aree a maggiore concentrazione di ricerca tecnologica.
La permanenza di una sapienza tecnica legata alla soluzione di complessi problemi costruttivi con materiali lapidei, praticata nei livelli più alti della cultura artigiana e ancora viva nell’opera di alcune grandi Scuole di tradizione. può trovare nella ricerca tecnologica lo strumento per recuperare l’unità sia teorica che pratica del processo ideativo-esecutivo dell’opera architettonica.
È a questa ricerca che si accompagnano le grandi esperienze innovative, come quella della chiesa di Padre Pio, nelle quali la costruzione strutturale in pietra si avvale della collaborazione tra acciaio e materiale lapideo in-forma di struttura unitaria precompressa per dar vita a nuove audaci soluzioni costruttive ed architettoniche.
Tradizione ed innovazione, dunque, sono questi i temi del dibattito per proporre una possibile continuità con la storia, come le strutture in pietra di San Giovanni Rotondo, nelle quali la geniale soluzione tecnica si presenta in tutta la sua forza, dal progetto alla realizzazione.
Un’opera complessa, realizzata interamente in pietra di Apricena che ha sfidato la forza di gravità nella estensione dei suoi archi tra i più grandi del mondo.
Partecipano al seminario conclusivo della mostra, esperti internazionali, in un tavolo di confronto sul passato e sul futuro della pietra strutturale, tornata in questi anni ad una nuova creativa ascesa.

PROGRAMMA

ore 16.00 registrazione

ore 16.30 saluti
Carmine Stallone

Presidente della Provincia di Foggia
Sandro Frisullo
Vicepresidente della Giunta Regionale Pugliese
Antonio Muscio
Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Foggia
Padre Aldo Broccato
Ministro dei frati minori cappuccini della provincia di Sant’Angelo e Padre Pio-Foggia
Vito Zuccarino
Sindaco di Apricena
Salvatore Mangiacotti
Sindaco di San Giovanni Rotondo

ore 17.00 apertura dei lavori
presenta
Domenico Potenza

Facoltà di Architettura di Pescara

Introduzione
Luigi Mirizzi

Segretario del Consiglio Nazionale degli Architetti
Augusto Marasco
Presidente dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Foggia
Federico Giuliani
Presidente dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Foggia

ore 17.30 intervengono
Giorgio Grandi

senior associato Renzo Piano Building Workshop
La complessità del progetto e la continua re-invenzione dei sistemi tecnologici
Maurizio Milan
Favero&Milan Ingegneria
Il sistema strutturale e l’equilibrio delle forme
Giuseppe Muciaccia
Direttore dei lavori per la costruzione della Nuova Aula Liturgica di Padre Pio
Il cantiere come laboratorio privilegiato della sperimentazione costruttiva
Michele Dassisti – Domenico De Tommasi
Docenti del Politecnico di Bari
Progetti innovativi per la valorizzazione della risorsa lapidea pugliese
Alfonso Acocella
Docente della Facoltà di Architettura di Ferrara
Tradizione e innovazione, antichi e nuovi magisteri nell’architettura di pietra

ore 19.00 conclusioni
coordina

Franco Parisi
Vicepresidente della Provincia di Foggia
Vando D’Angiolo
Presidente della Campolonghi Italia spa e del distretto lapideo di Carrara
Alessandro Onorato
Responsabile studi e staff della Camera di Commercio della Provincia di Foggia
Nicola Biscotti
Presidente Associazione Industriali di Capitanata

Il seminario è gratuito
Per avere diritto alla documentazione tecnica è necessario confermare la propria presenza entro giovedì 02.03.2006 alla segreteria organizzativa
Segreteria organizzativa
Vicepresidenza della Provincia di Foggia – Palazzo Dogana, Piazza XX settembre FOGGIA
Tel. 0881.791228 – fax. 0881.791216 – vicepresidenza@provincia.foggia.it

commenti ( 28 )

stampa

torna su