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18 Settembre 2006

Interviste Pietre dell'identità

Luigi Prestinenza Puglisi intervista Alfonso Acocella


Alfonso Acocella

Luigi Prestinenza Puglisi: Una auto-presentazione in quattro righe…
Alfonso Acocella: Ostinato, empatico, curioso, creativo, esecutivo, perfezionista, “indipendente”. Amante sin dalla formazione universitaria della tradizione dell’architettura d’Italia e – conseguentemente – delle sue Pietre dell’Identità.
Attento, da sempre, all’innovazione architettonica – ma rifiutando il postulato dell’innovazione per l’innovazione – ed interessato ai risultati della sperimentazione quando capace di evolvere in qualità lo spazio di vita e di formalizzazione dell’ambiente.
Interessato, oggi, all’innovazione comunicativa per ambire a creare uno spazio pubblico di elaborazione intellettuale indipendente, libero, aperto rispetto al blocco accademico-critico-editoriale italiano.
Le righe sono più di quattro, ma lo spazio di internet è generoso e poco costoso. Confido nella tolleranza dell’intervistatore e, soprattutto, nella pazienza dei lettori.

L.P.P. Cosa ne pensi dell’ architettura in Italia oggi …
A.A. Nel Paese siamo alla “sopravvivenza” della disciplina progettuale e costruttiva. Quando giriamo, fruiamo, riflettiamo sul paesaggio artificiale costruito negli ultimi sessant’anni le attese sopravanzano rispetto ai risultati conseguiti. Aspettiamo, senza più molta fiducia, i Nuovi Rinascimenti che in molti ci annunciano. Continuiamo ad impegnarci – comunque – per la cultura e la qualità dell’architettura italiana con i nostri piccoli mezzi e le scarse possibilità di influire sul corso di una trasformazione epocale che appare sempre più quantitativa più che qualitativa, anche nei programmi che dovrebbero ambire a risultati di eccezionalità, di rappresentatività per il Paese.

L.P.P. Il nome di un architetto italiano vivente al quale faresti costruire casa tua…
A.A. La affiderei a me stesso. Come ho fatto dieci anni fa nel 1996. Casa per me, parafrasando – poi mica tanto – Curzio Malaparte.

L.P.P. Il nome di una star internazionale alla quale faresti costruire casa tua…
A.A. Vale quanto sopra. Mi confronterei, però, volentieri con John Pawson e – se fossimo in apertura del XX secolo, piuttosto che del XXI secolo – con Adolf Loos. Qualora, però, fossero entrambi viventi oggi penso che sceglierei il secondo.

L.P.P. Il nome di un edificio famoso che non ti piace affatto.
A.A. Villa Dall’Ava, anche se ritengo – caro Luigi – che non concorderai nel giudizio. Si potrebbe discutere sull’argomento – anche a più voci – sul blog_architetturadipietra.it.
Portiamo, se vuoi, i temi dell’architettura attuale e dibattiamoli sulla piattaforma partecipata e relazionale del dispositivo comunicativo.
Il silenzio al dibattito è sceso all’interno dei critici, dei teorici, dei cultori dell’architettura italiani.
Tutti i protagonisti “ufficiali” e “non ufficiali” della critica contemporanea invitati – qualche mese fa – alla discussione senza filtri e censure – sul ruolo, carattere e senso della critica d’architettura a partire dal pretesto di Casa Malaparte (presentata dal “bel” saggio di Vittorio Savi) hanno declinato nella totalità l’invito. Questa è la critica del nostro Paese. Ripartiamo da un polo opposto; riprendiamo allora da Villa Dall’Ava e sollecitiamo un confronto di idee.


Casa Malaparte. Salone.

Vai a Orfica, surrealistica. Casa Malaparte a Capri e Adalberto Libera

L.P.P. Quale è il tuo punto di vista sullo stato dell’Università oggi in Italia?
A.A. Un paesaggio intellettuale prevalentemente “addomesticato”, “liceizzato”, privo di vitalità oltre che di risorse economiche (indispensabili) per sviluppare ricerca, cultura, didattica e – soprattutto – incidenza nel mondo esterno.

L.P.P. L’università italiana…la consiglieresti? E se si in quale città? E a Ferrara?
A.A. Consiglierei per chi deve restare in Italia – per scelta o per condizionamento sociale – di guardare dentro la Cultura italiana (quella vera e profonda, del passato come pure moderna e contemporanea dovunque ravvisabile) e, soprattutto, dentro se stessi sviluppando con tenacia, ostinazione e lavoro le proprie capacità, se non il proprio talento. Ferrara, comunque, forse meglio che altrove. Ma senza trionfalismi da classifiche statistico-crono-quantitative e senza ipotesi di automatismi di qualità di apprendimento o di insegnamento.

L.P.P. Tre cose che faresti per l’Università se avessi la bacchetta magica…
A.A. 1. Istituirei Commissioni di selezione del corpo dei ricercatori e dei docenti unicamente formate da membri stranieri.
2. Aumenterei le retribuzioni di chi lavora nella ricerca e nell’attività didattica.
3. Aumenterei i fondi destinati ai programmi di ricerca e ai progetti culturali innovativi – nell’accezione che sembra richiedere oggigiorno l’economia globalizzata – valorizzativi delle risorse del Paese; quelle risorse paesaggistiche, d’arte, d’ambiente, dei prodotti locali del Paese non “copiabili” o delocalizzabili in altre parti del mondo.

L.P.P. La tua visione dell’architettura; autodefinisciti: reazionario, tradizionalista, moderato, organico, progressista, sperimentalista, avanguardista (o altro purchè la definizione sia al massimo di un paio di parole e non cercare di scappare alla domanda dicendo che sei oltre le sigle…)
A.A. Moderatamente innovativo.

L.P.P. Mettimi in ordine di preferenza i seguenti architetti: Eisenman, Koolhaas, Moss, Hadid, Herzog e de Meuron, Gehry, Coop Himmelb(l)au, Fuksas, Piano, Anselmi, Purini, Cellini, Portoghesi, Gregotti. (per cortesia non mettere pari merito). Se non vuoi rispondere a questa domanda puoi scegliere quest’altra: devi organizzare un importante concorso a inviti di architettura e ti danno l’incarico di invitare cinque architetti. Chi scegli?
A.A. Mi muovo a partire dalla seconda opzione contenuta nella domanda, anche se evidenzio che dovendo scegliere per un Concorso ad inviti avrei forse indicato cinque nomi diversi fra quelli che mi consegna l’elenco. Stando alla lista a disposizione: Piano, Herzog e de Meuron, Hadid, Anselmi, Cellini. Chiaramente i nomi scelti, di per sè, non assicurano automaticamente le attese di qualità riposte nella scelta dei nomi. È solo la concreta realtà dell’opera d’ architettura, alla fine, a poter esprimere valori. Gli stessi architetti esclusi – al di là della mia personale scelta che li mette provvisoriamente “fuori campo” – potrebbero produrre Progetto e, alla fine, esprimere Architettura più dei selezionati. L’architettura non è mai data, in partenza ma solo in arrivo.

L.P.P. Che ne pensi della Darc ? E che faresti se fossi al posto di Pio Baldi?
A.A. Con occhi che guardano a distanza noto un gran movimento di eventi ed iniziative promosse dalla DARC. Ma – senza volermi sottrarre alla domanda – mi mancano conoscenze dirette e/o ravvicinate per esprimermi sulla attività della DARC. Durante qualche incipit culturale di presentazione di eventi d’architettura ho avuto, comunque, qualche perplessità di approccio (di familiarità, di profondità, di empatia) al tema. Ma spero di essere stato presente nell’occasione sbagliata.
Per quanto riguarda, invece, un piano strategico per la DARC svolgerei un progetto culturale continuativo di alto profilo a favore delle nuove generazioni di architetti promuovendo presso le istituzioni nazionali ed internazionali una formazione professionale permanente, occasioni di concorsi d’architettura, seminari e laboratori di progetto a contatto con i talenti creativi europei ed italiani.

L.P.P. Ci parli brevemente delle iniziative connesse al tuo libro L’architettura di pietra?
A.A. Il “brevemente” mi frena e mi limita un poco rispetto a quanto in essere (o in avvio di svolgimento) a seguito di un anno intero di prefigurazioni e di impegno dedicato all’evoluzione del progetto cartaceo (ovvero il libro “L’architettura di pietra” che citi, a breve editato in lingua inglese per i tipi di Skira) verso l’innovazione comunicativa di internet (e al futuro, mi auguro, verso la “comunicazione mobile” legata alla informazione trasportabile su iPOD, GPS, smartphone); ma poi anche verso l’integrazione dei medium comunicativi di narrazione con la realtà umana e quella fisica del Paese attraverso il progetto che evolve territorialmente verso le “Pietre d’Italia” portandosi presso le diverse comunità istituzionali delle Regioni di pietra.
Il progetto “Pietre d’Italia”, che parte dalle “Pietre di Toscana” quale incipit programmatico di fondazione e di azione approvato recentemente dalla Regione Toscana-Assessorato alla Cultura, mi vede impegnato nel comunicare all’interno della geografia del Paese il progetto stesso nel tentativo di creare una rete relazionale di coinvolgimento sul tema delle Pietre dell’Identità, sfondo di riabilitazione del disciplinare storico dell’architettura di pietra unitamente alle sue latenti possibilità di aggiornamento e di attualizzazione (sia linguistica che di costruzione) per l’architettura dell’oggi.
Lo stato di avanzamento del progetto Pietre d’Italia, unitamente alla possibilità di partecipare attivamente alla sua costruzione ed evoluzione, è progressivamente documentato e discusso all’interno della piattaforma partecipata e relazionale del website architetturapietra2.sviluppo.lunet.it la cui fruizione è aperta a chiunque fosse interessato al tema e tesa alla costruzione di una Comunità di confronto, di discussione, di progetto culturale collettivo in progress.

L.P.P. Zevi o Tafuri?
A.A. Sia Zevi che Tafuri non rappresentano per me modelli riconosciuti di interpreti dell’architettura. Se vuoi miei modelli bisogna rivolgere lo sguardo all’architettura antica: Roland Martin, ma soprattutto Hans Lauter e Paul Zanker.

L.P.P. La critica oggi non è un po’ senza denti?
A.A. Relativamente alla critica di architettura – avendo già esplicitato il mio punto di vista abbastanza negativo sul suo stato di salute – vorrei evidenziare, innanzitutto, cosa mi aspetterei personalmente dal suo esercizio.
Organizzando e strutturando idee, parole, immagini verso la costruzione di un dispositivo comunicativo (sotto forma di narrazione, di racconto) la critica dovrebbe offrire un’interpretazione non banale e stereotipata dell’architettura; una rappresentazione soggettiva, indubbiamente, voce fra le tante voci, nè la più importante nella discesa verso le “viscere” dell’architettura che solo la fruizione diretta può consentire. La critica è per noi “avvicinamento” all’opera, grazie all’aiuto delle conoscenze e l’intelligenza di altri, e non sostituzione della sua fruizione, del suo godimento.
Oggi, comunque, riteniamo siano pochi i critici di talento capaci di guardare “dal di dentro” – come ci insegna Rafael Moneo – l’architettura stessa che si intende indagare, interpretare.
Frequentemente la critica contemporanea – come tutti possiamo leggerla sulle riviste d’architettura – appare esornativa, consensuale, superficiale, marginale, spesso pleonastica.
Il testo scritto – campo applicativo peculiare della critica – è (non infrequentemente) nel nostro mondo contemporaneo dell’architettura “cipria” di cosmesi e strumento “addomesticato” (dagli architetti, dagli editori, dai direttori di riviste, dai fotografi professionisti, dalle forze economiche in gioco) di costruzione di consenso. In molti casi il testo scritto appare come spazio residuale, campo tipografico “bianco-nero” col ruolo di sfondo grafico rispetto alle immagini fotografiche spettacolarizzate ed intese oramai quali figure protagoniste di una comunicazione prevalentemente iconica, priva di pensiero.
L’industria editoriale attuale tratta i lettori come passivi e distratti consumatori, come fruitori privi tempo per accorgersi e giudicare “criticamente” della “assenza della critica” a cui di associano spesso scrittura e trame narrative di bassa qualità.

L.P.P. Un libro che consiglieresti a uno studente, uno a un architetto, uno a un critico.
A.A. Sergio Bettini, Lo spazio architettonico da Roma a Bisanzio; Peter Zumthor, Pensare architettura; Jean Starobinski, Le ragioni del testo.

L.P.P. Saranno famosi: fammi tre nomi di architetti al di fuori dell’area ferrarese.
A.A. Ritengo che oggi non ci sia più spazio per la fama ma solo per la notorietà. In questa particolare condizione di accesso alla visibilità costrutita prevalentemente attraverso i vari media c’è spazio per tanti. La società dello spettacolo – come è diventata la nostra, anche nel piccolo mondo dell’architettura – ha bisogno di figure note, di piccole stelle per riempire i diversi palinsenti comunicativi.
Aires Mateus, Matteo Thun, Italo Rota (?).

L.P.P. Saranno famosi: fammi tre nomi di architetti dell’area ferrarese.
A.A. Non intravedo, nell’ambito ferrarese, personalità di architetti che, al momento, testimonino una statura adeguata all’impresa, nè tanto meno un’opera avviata che lasci intravedere in filigrana il raggiungimento al futuro della fama. Spero però di sbagliare nella previsione e di essere contraddetto dai fatti. Ne sarei contento.

L.P.P. Il tuo artista favorito (non architetto) e il tuo critico d’arte favorito.
A.A. Giuliano Vangi, Germano Celant.

L.P.P. Mettimi in ordine di preferenza le seguenti riviste: Abitare, L’industria delle costruzioni, The Plan, Domus, Casabella, Area, d’A.
A.A. Casabella, d’A, Area, Domus, The Plan, L’industria delle costruzioni, Abitare

L.P.P. Tre parole oggi importanti.
A.A. Cultura, Creatività, Innovazione.

Luigi Prestinenza Puglisi

L’ intervista e tutte le numerose altre realizzate da Luigi Prestinenza Puglisi sono raccolte all’interno della sezione Interviews di Channelbeta e nel sito dell’Ordine di Roma

PresS/Tletter n. 24- 2006
http://www.prestinenza.it/
http://presstletter.com

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Villaggio turistico Magna Grecia a Metaponto Lido, Matera.
Spazi ricreativi di Massimo Acito


Un accesso all’area degli spazi ricreativi (foto: Alberto Muciaccia)

Massimo Acito si cala nel progetto per spazi ricreativi presso il villaggio turistico Magna Grecia con una forte idea di paesaggio. Gli spazi ricreativi sono il pretesto architettonico per una composizione solare, mediterranea, connettiva nei confronti delle numerose funzionalità e delle corrispondenti necessità volumetriche. Quello di progettare un paesaggio è atto volontario, poichè in quest’occasione reca in sè i segni della capacità di lettura della personalità dei luoghi, figlia del clima e della luminosità del metapontino, e di ricomporla nelle forme dell’architettura secondo regole chiare.
In modo ordinato ai volumi è impartito il ritmo di base, fusto e coronamento con segni netti e proporzionati, ad inquadrare lo spazio secondo piani ortogonali. Il primo, solido e parallelo all’orizzonte, eleva l’area d’intervento quanto basta per segnare una gerarchia tra sè e l’intorno, anche imponendo la sensazione ascensionale a chi accede. Le gradazioni del grigio virano nella direzione delle tonalità dorate caratterizzanti i setti verticali, sostenenti il coronamento. Bianco, quest’ultimo completa la perdita di peso della materia, tracciando con una bordura piana in sommità il confine fra volumi e cielo. Seconda linea guida, assonante con la chiarezza d’intenti della prima, è la preferenza accordata alla pietra locale. La pietra di Soleto è essenza litica calcarea dura, al contrario di quella tenera ampiamente in opera a Lecce. Si presta pertanto alla lavorazione meccanica, aprendo a nuove tradizionalità tecniche in aggiunta ai rivestimenti murari irregolari ed ai muri a secco. Qui è protagonista di un’applicazione estesa e regolarizzata, capace d’abbinamenti morbidi sia con legni venati sia con lastre litiche ai vari toni di grigio, in virtù della pelle morbida al tatto e dell’indoratura di superficie.


Architettura e natura in equilibrio nel paesaggio (foto: Alberto Muciaccia)

I prestigiosi risultati recentemente conseguiti alla Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana assegnata nelle occasioni della Triennale di Milano ed al Premio Europeo di Architettura Luigi Cosenza – il progetto è rispettivamente finalista al Premio Speciale Opera Prima e progetto selezionato alla fase finale – riconoscono la ricchezza e l’equilibrio dei contenuti. Vengono, questi, impreziositi da ricercate assonanze con precedenti alti: salgono ad esempio alla mente gli scorci del Padiglione di Barcellona di Mies per la vasca d’acqua bassa con fondale in ciottoli, alcune suggestioni di Luis Barragan per i contenuti salti di quota tra bacini attigui, Koolhaas per l’ibridazione delle proposte strutturali mediante inserimenti di profili tubolari metallici entro la regola segnata dalla funzione portante dei setti, il Siza del rettorato dell’Università di Alicante per il respiro generale dell’intervento e per la sensazione cromatica definita. Di grande eleganza, gli esiti di tali richiami non si riconoscono mai come emulativi, ma reinterpretativi e condotti a nuovo equilibrio anche grazie alle ricuciture ed agli allineamenti osservati dagli elementi verdi. Questi, principalmente in alto fusto, oltre a slanciare verticalmente i segni costruiti e ad ingaggiare con l’architettura una sorta di piacevole confronto fuori scala, costituiscono in alcuni tratti in prospettiva futura interessanti presenze di chiome verdi appena al di sopra delle coperture piane dei corpi di fabbrica. Infine alla relazione di progetto rimandiamo per la migliore descrizione dei luoghi e per i principali dati quantitativi.


Una veduta dei percorsi interni (foto: Massimo Acito)
fg243
“L’intervento si inserisce in un più vasto programma di ampliamento e trasformazione di un campeggio esistente in un villaggio turistico per circa trecentocinquanta posti letto.
Il progetto riguarda l’allestimento dei soli spazi destinati alle attività ricreative e alla caffetteria. L’area interessata, di forma triangolare, si estende per circa 4.800 mq e contiene la piscina all’aperto, la discoteca/teatro, le aree di sosta e di verde.
Tutte queste nuove strutture sono allocate su un grande basamento rialzato di 60 cm rispetto al piano di campagna.
L’intero sistema compositivo ruota attorno ad un elemento verticale: la torre, realizzata in profili di acciaio e rivestita in pannelli di corten, alta 12 metri, che ospita la postazione per il deejay e l’impianto di illuminazione per gli spettacoli notturni.
I servizi della discoteca e della piscina sono posti sotto due lunghe coperture che fungono da ombrello e da elementi unificanti. La prima, lunga 54 metri, poggia su setti rivestiti in lastre di pietra arenaria e copre gli spazi per i giochi e il bar, terminando in aggetto su di una vasca d’acqua, sorretta da tre pilastri in acciaio. La seconda ospita i locali tecnici della piscina, il magazzino, le docce ed i servizi igienici.
Gli spogliatoi del teatro all’aperto sono stati ricavati sotto il solarium della piscina e la superficie esterna del muro di contenimento fa da quinta alla discoteca/teatro.
Per la pavimentazione ed il rivestimento delle superfici verticali è stata utilizzata la pietra di Soleto (Le).
La monocromaticità della pietra viene interrotta dall’inserimento di altri materiali quali cemento, cotto e legno con cui sono rivestiti il palco, le sedute dei gradoni ed il solarium della piscina.
Lungo il bordo gradinato del basamento, delimitato dal viale di accesso al villaggio, lecci e pini, piantati in un sistema di aiuole dalla geometria regolare, svolgono una funzione di filtro tra detti spazi e la strada.”

di Alberto Ferraresi

Visita il sito di Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana
Visita il sito del Premio Cosenza

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Stone & Marble Hospitality


Rivestimento in Quarzite Luise Blue realizzato da GREIN ITALIA, Affi, Verona, Italia
fg241
Mostra
Veronafiere, Padiglione 1
21° Abitare il Tempo, 21-25 settembre
41° Marmomacc, 5-8 ottobre 2006

STONE & MARBLE HOSPITALITY
Il design degli spazi collettivi dell’hotel

Come luogo di transito e riposo, l’hotel ha sviluppato ormai una offerta di standard così fortemente codificata a livello internazionale da portare rapidamente ad una omologazione dei suoi spazi base, le camere da letto, e renderli quasi identici per dimensione, dotazione, comfort, e spesso anche arredo, in qualsiasi latitudine del pianeta. Se questa condizione sembra ridurre agli architetti le possibilità di dispiegare nuove invenzioni nel progetto degli hotel, assistiamo invece oggi all’aprirsi in questa tipologia architettonica di un sempre più forte potenziale di creatività. Un nuovo concetto di accoglienza, maturato negli ultimi lustri, ha portato ad una continua espansione degli spazi collettivi degli alberghi. Oltre a quelli tradizionali quali reception, attesa, bar e ristorante, se ne aggiungono molti altri legati all’intrattenimento, al benessere e alla cura del corpo, allo shopping, alla ginnastica e allo sport, ecc.
Molti hotel sono divenuti centri di accoglienza e benessere globali dotati di una vasta gamma di comfort quasi si trattasse di piccole città autonome: si offrono al loro interno servizi altamente pregiati che necessitano di una immagine di qualità, personalizzata ed esclusiva. Ciò spiega l’attitudine sempre più frequente da parte della committenza alberghiera di richiedere ad architetti e designer affermati, alle grandi star internazionali, la ideazione dei nuovi hotel.
Oltre ad idee architettoniche geniali e memorabili entrano in gioco nell’architettura degli alberghi i materiali. La tendenza contemporanea a fare oggetto di ricerca ogni materiale costruttivo e ornamentale, sia della tradizione sia della modernità, trova nei nuovi hotel un campo ideale di sperimentazione e di invenzione di nuovi linguaggi e contenuti estetici. In particolare i materiali lapidei, che attingono ad una straordinaria tradizione e cultura costruttiva in Italia, sono tra i privilegiati in un settore orientato alla qualità e al lusso come quello della architettura alberghiera.
Su questi temi si sviluppa la collaborazione tra Abitare il Tempo e Marmomacc nelle due edizioni di Veronafiere 2006.
Un allestimento unitario articola i temi dell’accoglienza, del benessere, del relax e del riposo in diverse aree nelle quali viene sperimentata la coesistenza virtuosa di materiali antichi come le pietre e marmi, trasformati da recenti ricerche, con legno, vetro, metalli e tessuti per formare ambienti in grado di comunicare nuove qualità percettive ed estetiche dello spazio architettonico e degli oggetti di design. Il percorso della mostra si sviluppa nei luoghi dell’accoglienza, dell’attesa e del relax, per proseguire con l’intrattenimento nella lounge-bar, fino agli spazi per il wellness dove la percezione di benessere si realizza attraverso differenti stimoli sensoriali. Nuove applicazioni della pietra riguardano aspetti sperimentali sulla modellazione tridimensionale e lavorazione delle superfici, traslucidità e retroilluminazione, modellazione plastica di grande dimensione.
Impostata su un concetto di comunicazione sensoriale la mostra è destinata non solo ad architetti, tecnici e aziende ma anche alla committenza alberghiera e al consumatore finale che, facendosi guidare attraverso il percorso, può realizzare una esperienza estetica e conoscitiva diretta e ricca di suggestioni e proposte.


Coordinamento generale: Acropoli
A cura di: Vincenzo Pavan, Pongratz Perbellini Architects, Luca Scacchetti
Con la collaborazione di: Barbara Pineda, Sofia Rollo
Sculture: Pino Castagna
Grafica: Fabrizio Mirandola
Allestimento generale: Barberini Allestimenti
Aziende del settore marmo:
GREIN ITALIA, Affi, Verona, Italia
LABORATORIO MORSELETTO, Vicenza, Italia
LA QUADRIFOGLIO MARMI E GRANITI, Volargne di Dolcè, Verona, Italia
PIBA MARMI, Chiampo, Vicenza, Italia
PI.MAR, Cursi, Lecce, Italia
PIETRA DELLA LESSINIA, Sant’Anna d’Alfaedo, Verona, Italia
SANTA MARGHERITA, Volargne di Dolcè, Verona, Italia
TESTI FRATELLI, Sant’Ambrogio di Valpolicella, Verona, Italia
Aziende:
BONACINA PIERANTONIO, Lurago d’Erba, Como, Italia
BOTTEGA GADDA, Milano, Italia
CHELINI, Scandicci, Firenze, Italia
COREN, Cabiate, Como, Italia
ERGON, Valduggia, Vercelli, Italia
HAUSBRANDT TRIESTE 1892, Nervesa della Battaglia, Treviso, Italia
MINOTTI CUCINE, Ponton di Sant’Ambrogio di Valpolicella, Verona, Italia
P.L. GRUPPO ABET, Vertemate con Minoprio, Como, Italia
POLTRONA FRAU, Tolentino, Macerata, Italia
RAPSEL, Settimo Milanese, Milano, Italia
TECHNOGYM, Gambettola, Forlì, Italia
TESSITURA TELE METALLICHE ROSSI, Villa Guardia, Como, Italia
TEUCO, Montelupone, Macerata, Italia
UNIFLAIR, Conselve, Padova, Italia
Organizzato da:
Veronafiere
Marmomacc
Abitare il Tempo
Con la collaborazione di:
Ministero Sviluppo Economico
Consiglio Nazionale Architetti
Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona
Camera di Commercio Verona
Banca Popolare di Verona
Pietra Naturale
Pietra Autentica

Didascalie Photogallery
1 – Assonometria dell’allestimento del Padiglione 1, disegno di Vincenzo Pavan
2 – Atrio di ingresso, acquarello di Luca Scacchetti
3 – Atrio di ingresso: parete “a persiana” rivestita in Marmo Orosei Daino realizzata da LA QUADRIFOGLIO MARMI E GRANITI, Volargne di Dolcè, Verona, Italia, design Luca Scacchetti
4, 5 – Spazio attesa: panca “Hi-Lo” in Pietra di Vicenza e pavimentazione in polvere di cava realizzate da LABORATORIO MORSELETTO, Vicenza, Italia, design Pongratz Perbellini Architects
6, 7, 8 – Spazio reception: pareti in agglomerato di quarzo resina traslucido realizzata da SANTA MARGHERITA, Volargne di Dolcè, Verona, Italia, design Fabrizio Mirandola, Vincenzo Pavan, Pongratz Perbellini Architects
9, 10 – Spazio bar: banco bar e armadio, design e realizzazione MINOTTI CUCINE, Ponton di Sant’Ambrogio di Valpolicella, Verona, Italia; rivestimento in Quarzite Luise Blue realizzato da GREIN ITALIA, Affi, Verona, Italia
11 – Spazio ristoro: pavimentazione, parete e tavoli in Pietra Leccese realizzati da PI.MAR, Cursi, Lecce, Italia, design Luca Scacchetti
12, 13 – Spazio Wellness: “Breeze”, parete modellata in Azul Acquamarina realizzata da TESTI FRATELLI, Sant’Ambrogio di Valpolicella, Verona, Italia, design Pongratz Perbellini Architects
14, 15 – Spazio Wellness, disegni di Vincenzo Pavan; “Terre che si muovono”, ceramiche, acqua, terra e erba, di Pino Castagna

Visita il sito Marmomacc

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11 Settembre 2006

English Eventi

Stone & Marble Hospitality


Luise Blue Quartzite covering made by GREIN ITALIA, Affi, Verona, Italy
fg242
Exhibition
Veronafiere, Pavilion 1
21° Abitare il Tempo, September 21st-25th 2006
41° Marmomacc, October 5th-8th 2006

STONE & MARBLE HOSPITALITY
Design of public areas in hotels


General coordination: Acropoli
By: Vincenzo Pavan, Pongratz Perbellini Architects, Luca Scacchetti
With the cooperation of: Barbara Pineda, Sofia Rollo
Sculptures: Pino Castagna
Graphics design: Fabrizio Mirandola
General set-up: Barberini Allestimenti
Marble firms:
GREIN ITALIA, Affi, Verona, Italy
LABORATORIO MORSELETTO, Vicenza, Italy
LA QUADRIFOGLIO MARMI E GRANITI, Volargne di Dolcè, Verona, Italy
PIBA MARMI, Chiampo, Vicenza, Italy
PI.MAR, Cursi, Lecce, Italy
PIETRA DELLA LESSINIA, Sant’Anna d’Alfaedo, Verona, Italy
SANTA MARGHERITA, Volargne di Dolcè, Verona, Italy
TESTI FRATELLI, Sant’Ambrogio di Valpolicella, Verona, Italy
Firms:
BONACINA PIERANTONIO, Lurago d’Erba, Como, Italy
BOTTEGA GADDA, Milano, Italy
CHELINI, Scandicci, Firenze, Italy
COREN, Cabiate, Como, Italy
ERGON, Valduggia, Vercelli, Italy
HAUSBRANDT TRIESTE 1892, Nervesa della Battaglia, Treviso, Italy
MINOTTI CUCINE, Ponton di Sant’Ambrogio di Valpolicella, Verona, Italy
P.L. GRUPPO ABET, Vertemate con Minoprio, Como, Italy
POLTRONA FRAU, Tolentino, Macerata, Italy
RAPSEL, Settimo Milanese, Milano, Italy
TECHNOGYM, Gambettola, Forlì, Italy
TESSITURA TELE METALLICHE ROSSI, Villa Guardia, Como, Italy
TEUCO, Montelupone, Macerata, Italy
UNIFLAIR, Conselve, Padova, Italy
Organized by:
Veronafiere
Marmomacc
Abitare il Tempo
With the cooperation of:
Ministero Sviluppo Economico
Consiglio Nazionale Architetti
Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona
Camera di Commercio Verona
Banca Popolare di Verona
Pietra Naturale
Pietra Autentica

As a place of transit and rest, the hotel has now developed such a strong, internationally recognised standard of comfort, as to rapidly create uniformity of its key spaces, the bedrooms, and make them almost identical in size, facilities, comfort and often also dècor, all over the globe. If this seems to limit the possibilities for architects to develop new ideas in hotel design, today we help to open up this architectural genre to ever stronger creative potential. This is for two main reasons. The first is that a new concept of welcome, developed in the last five years, has led to a continual expansion in the public spaces in hotels. Apart from the traditional ones such as the reception, lobby, bar and restaurant, there are now many others intended for entertainment, well-being and beauty treatments, shopping, exercise, sport etc.
Many hotels have become centres of welcome and general well-being, offering such a vast range of facilities that they almost become small autonomous cities: inside, they offer highly valued services needing a personalised, exclusive and quality image. A second and equally important reason is, in a manner of speaking, “the search for a lost identity”. After years of indifferent standardisation, today it has become fundamental to strongly re-connect the building to the place, the region and location which gives rise to it. Each hotel tends to become, in contemporary terms, a re-interpretation of its surroundings, be they urban, historic or natural.
These two reasons explain the increasingly frequent desire by the hotel trade to invite architects and acclaimed designers, as well as international stars, to design new hotels particularly with a new emphasis on stone, especially of a local or traditional type. In addition, stone is in a privileged position in a market geared towards quality and luxury such as in hotel architecture, to define and represent the local territory.
It is along these lines that the collaboration between Abitare il Tempo and Marmomacc has developed, with the two editions of Veronafiere 2006.
A single set up examines themes of hospitality, well-being, relaxation and rest in various areas in which the happy coexistence of ancient materials such as stone and marble, transformed by recent research, and experimentally combined with wood, glass, metal and textiles to create settings able to communicate new qualities of perception and aesthetics in architectural space and design objects. The exhibition ranges over areas of welcome, waiting and relaxation, continuing with entertainment in the lounge-bar, and finally the areas dedicated to fitness where the perception of well-being is achieved through different sensory stimuli. New uses of stone feature in experiments in three dimensional modelling and the crafting of surfaces, translucency and back-lighting, and large scale plastic modelling.
Based on the concept of sensory communication, the exhibition is not only intended for architects, specialists and companies, but also for the hotel trade and the end user who, allowing themselves to be guided through the exhibition, will have an aesthetic and cognitive experience rich with suggestions and proposals.

Captions of photogallery images
1 – Pavilion 1 axonometric, drawing by Vincenzo Pavan
2 – Entrance hall, water-colour by Luca Scacchetti
3 – Entrance hall: “Shutter” wall covered by Orosei Daino Marble made by LA QUADRIFOGLIO MARMI E GRANITI, Volargne di Dolcè, Verona, Italy, design by Luca Scacchetti
4, 5 – Waiting room: “Hi_Lo” bench by Vicenza Stone and quarry-dust paving made by LABORATORIO MORSELETTO, Vicenza, Italy, design by Pongratz Perbellini Architects
6, 7, 8 – Reception: walls by agglomerates made of translucent quartz resin made by SANTA MARGHERITA, Volargne di Dolcè, Verona, Italy, design by Fabrizio Mirandola, Vincenzo Pavan, Pongratz Perbellini Architects
9, 10 – Lounge bar: couter and siteboard, design and realization by MINOTTI CUCINE, Ponton di Sant’Ambrogio di Valpolicella, Verona, Italy; Luise Blue Quartzite covering made by GREIN ITALIA, Affi, Verona, Italy
11 – Refreshment: paving, wall and tables by Lecce Stone made by PI.MAR, Cursi, Lecce, Italy, design by Luca Scacchetti
12, 13 – Wellness: “Breeze”, modelled wall covering by Azul Acquamarina made by TESTI FRATELLI, Sant’Ambrogio di Valpolicella, Verona, Italy, design by Pongratz Perbellini Architects
14, 15 – Wellness, drawings by Vincenzo Pavan.
“Terre che si muovono”, ceramics, water, earth and grass by Pino Castagna

Marmomacc Web Site

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Album italiano: Carrara


Cave di marmo di Carrara (foto: Alfonso Acocella)

Montagne vedove dello scultore,
spiriti prigionieri, carni che palpitano,
sprigionandosi con lentezza
sotto gli scalpelli che martellano;

blocchi che un tempo l’unico Autore
abbozzò per i Prassiteli,
sonno delle forme immortali
che aspettano chi dà vita.

Montagne bianche di Carrara,
neve rigida, compatta e rara,
si incideranno, marmo oltraggiato,

per i Camposanti osceni,
le sembianze dei borghesi di Genova
nella tua bella grana d’eternità.

Marguerite Yourcenar 1924 (1958)
(Album italiano: Carrara)

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4 Settembre 2006

English Opere di Architettura

The Mountain Guides’ Lodge in the Valmasino
Gianmatteo and Roberto Romegialli (1997-1999)*

The valley of the Masino torrent, with its enormous granite plates protruding from the mountainside, is acknowledged throughout Europe as being one of the best areas for “extreme” mountaineering.
The idea of building a multifunctional mountain centre and climbers’ refuge represented the perfect occasion for a project focused on a close relationship with the surrounding natural environment. In a landscape composed of alpine meadows, gigantic boulders and abandoned quarries, dominated by the crags of Sasso Remenno and bathed by the waters of the torrent, the Mountain Guides’ Lodge constitutes “a precise symbol, extraneous to any historical-vernacular imitation, capable of delineating (..) two ambits of origin, one “before” and the other “after”, an ideal demarcation line between different natural and Man-made conditions”.1
The two perpendicular wings of the building give it a squared layout aligned with a Romanesque stone bridge over the Masino. There is a semi-covered grassed courtyard between the Lodge and the slopes of the mountain behind, and this courtyard can be seen as symbolising a “distance of respect” between the manmade construct and its natural surroundings.
The enormous volume of this architectural work is delineated by solid walls of granite remnants from the local quarries; the split stone, laid on generous mortar beds, has been pointed in the traditional, “flush” fashion, with the irregular edges of the stones around the joints partially covered by mortar so as to give a more coplanar finish. This method protects the exterior surfaces of walls from the infiltration of water, and lends a reticular design to the joints, which are of a lighter grey than the rather leaden colour of the stone itself.
The choice of a rustic type of masonry thus expresses a strong material and cultural attachment to the place which, nevertheless, does not prevent the architects from searching for an unusual compositional design in response to modern-day constructive and functional requirements.
The masonry walls are cavity walls (that is, with two facings separated by a layer of insulation): the interior load-bearing wall is in reinforced concrete, 20 cm. thick, while the exterior wall is in stone and is 30 cm. thick. Monolithic blocks of granite, that have had their surfaces sawn to a smooth finish, constitute the traditional architraves of the building’s openings; bare concrete, on the other hand, has been used where the employment of stone would have been considered “forced”, that is, in the construction of the floor slabs situated over large openings and the cylindrical stairwell featured on the façade.
With the solidity of a bulwark between the discontinuous extension of the village of Filorera and the fragmented contours of the abandoned quarry, the Romegialli brothers’ construction is an essential work composed of massive, homogeneous walls with just the occasional “buttress” and the enormous, protruding chimneystack.
In the part that houses the gym, the thickness of the walls decreases as they rise upwards; the continuity of the stone is “graphically” emphasised by a minute dotted pattern of square perforations which in a way evoke the scarped facing and putlog holes of ancient defensive walls.
The introverted character of the façades, marked by small holes or the occasional, elegant window opening, is countered by the perspectives offered by the openings onto the inner courtyard, with its wooden loggias and large glass windows forming an interesting combination with the green of the lawn and the natural stratigraphy of the rough stone of the quarry situated in the background.

Davide Turrini

*The re-edited essay has been taken out from the volume by Alfonso Acocella, Stone architecture. Ancient and modern constructive skills, Milano, Skira-Lucense, 2006
1Gianmatteo and Roberto Romegialli, Relazione di progetto (unpublished manuscript), p.2.

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Casa delle Guide Alpine in Valmasino (1997-1999)
di Gianmatteo e Roberto Romegialli*


Scorcio della facciata principale verso il torrente
(foto Alfonso Acocella)

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La valle del torrente Masino, con le sue imponenti placche granitiche affioranti dai rilievi alpini, è riconosciuta a livello europeo come una delle “palestre” più idonee alla pratica dell’alpinismo estremo.
La realizzazione di un centro polifunzionale della montagna con annesso un rifugio per gli escursionisti costituisce l’occasione di un’esperienza progettuale tesa a riproporre un rapporto stringente con il contesto. In un paesaggio fatto di prati e di massi affioranti, di cave dismesse, dominato dalle balze del Sasso Remenno e lambito dal torrente, la Casa delle Guide si pone come “un segno preciso, estraneo a mimesi storicistico-vernacolari, capace di dichiararsi e delineare (…) due ambiti di appartenenza, un “prima” e un “dopo”, vallo ideale di demarcazione tra diverse condizioni naturali e insediative”.1
I due bracci perpendicolari in cui si organizza l’edificio generano un impianto a squadra allineato con un ponte romanico in pietra che attraversa il Masino. Tra la Casa e le pendici dei monti retrostanti una corte semiaperta trattata a manto erboso assume il significato di “vuoto di rispetto” che separa il manufatto dall’identità naturalistica del luogo.
Il perentorio volume dell’opera architettonica è definito da solidi muri realizzati con scampoli di granito ghiandone delle cave locali; la pietra a spacco, posta in opera su abbondanti letti di malta, è rifinita a “rasapietra”, secondo una tecnica della valle che prevede la rasatura dei giunti, “tirati”, con gli utensili del muratore, a ricoprire parzialmente le irregolarità e le asperità perimetrali dei massi litici impiegati. Si tratta di un procedimento che protegge la superficie esterna della compagine muraria dall’infiltrazione dell’acqua conferendole una intonazione materica particolare da cui emerge, quasi in filigrana, il reticolo dei giunti di un grigio più chiaro rispetto al plumbeo colore del ghiandone.
L’adozione dell’opera muraria rustica esprime, così, un forte radicamento materiale e culturale al luogo che, tuttavia, non impedisce ai progettisti di ricercare una inedita scrittura compositiva per rispondere alle esigenze costruttive e funzionali dell’oggi.


Veduta del Valmasino e tradizionali case del luogo (foto Alfonso Acocella)

Le murature sono a doppio paramento con coibentazione interposta; un setto interno portante di calcestruzzo armato, dello spessore di 20 centimetri, si accosta allo strato litico esterno spesso circa 30 centimetri. Blocchi monolitici di granito, estremamente regolarizzati con trattamento di superficie a “pianosega” costituiscono, secondo tradizione, gli architravi delle aperture; il calcestruzzo armato a vista interviene, invece, a risolvere, laddove l’uso dei materiali litici sarebbe forzato, le solette su grandi luci e il vano scala cilindrico esibito in facciata.
Con la saldezza di un baluardo costruito tra l’estendersi discontinuo del paese di Filorera e la topografia frammentata del sito estrattivo abbandonato, l’edificio dei Romegialli parla un linguaggio essenziale fatto di murature massicce ed omogenee, appena articolate da poche “speronatore” e dal volume aggettante di una grande canna fumaria. Nel corpo che racchiude la palestra lo spessore dell’alzato murario si rastrema verso la sommità; la continuità della materia litica è qui disegnata “graficamente” da un minuto punteggiato regolare di trafori quadrati quasi ad evocare i paramenti a scarpa e le buche pontaie di antiche cortine difensive.
Al carattere introverso dei fronti, incisi da piccoli fori o scavati in profondità da rare ed eleganti finestre, si contrappone l’apertura dei prospetti sulla corte interna, risolti con un impaginato di logge in legno e di ampie vetrate che dialogano con il verde del prato e con la stratigrafia naturale della roccia grezza della cava sullo sfondo.

Davide Turrini

Note
(*) Il saggio rieditato è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624
1 Gianmatteo e Roberto Romegialli, Relazione di progetto (dattiloscritto inedito), s.d., p.2.

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31 Agosto 2006

Eventi

Città della Pietra

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30 Agosto 2006

Eventi Toscana

sedicimani

CANTIERE D’ARTE
CENTRO CIVICO PER L’ARTE CONTEMPORANEA
SERRE DI RAPOLANO

La caratteristica originale di sedicimani è il ruolo fondamentale che riveste il lavorare insieme nel segno della cooperazione. La manualità riprende il suo ruolo creativo come linguaggio di forte impatto espressivo e ricongiunge arte-artigianato, restituendo a quest’ultimo un valore di qualità insito nel pezzo unico o a produzione limitata.
Il Centro Civico per l’Arte Contemporanea di Serre di Rapolano con questa iniziativa si pone come un luogo flessibile interdisciplinare educativo, in grado di rispondere all’urgenza di produrre cultura secondo principi di relazione ed interazione. In questo senso, attraverso politiche pubbliche di sostegno, formazione e valorizzazione del preesistente e nuovo patrimonio artistico, il fare arte contemporanea costituisce una sorta di diritto di cittadinanza che scavalchi i confini nazionali e si muove indipendentemente dal mercato. Ed è la cultura del fare, inserita nelle reti internazionali di relazione tra artisti di diverse generazioni, che consente la libera comunicazione di creatività. Quindi non più lo spazio statico, ma dinamico come luogo del concretarsi di idee & incontro.

sedicimani è un contributo per la convivenza multirazziale e il dialogo. Intende dare voce a chi desidera comunicare in forma artistica le proprie visioni e riflessioni sulle difficoltà o possibilità di rispetto delle culture altre attraverso un processo di esperienza e condivisione che salvaguarda, nello spirito dell’accoglienza, la diversità come elemento di unicità.
sedicimani è un cantiere d’arte incentrato sulla mostra della pittrice marocchina Benhila Regraguia e dello scultore pisano Renzo Lulli (che dagli anni novanta vive e lavora ad Essaouira sulla costa atlantica del Marocco).
sedicimani è un’azione laboratoriale che Regraguia e Lulli svolgono in collaborazione con tre giovani artisti provenienti dall’Accademia di Belle Arti di Carrara, Giorgio Guidi Jessica Macucci Serena Vernazza, basata sulla realizzazione di un’istallazione ambientale che coinvolga un’intera stanza dello spazio espositivo. Il laboratorio sollecita lo scambio di competenze tra i partecipanti di varia formazione. Gli artisti, nell’ottica di un recupero del rapporto arte-artigianato e attraverso un processo elaborativo collettivo, producono idee-oggetto derivanti dalla conoscenza delle varie tecniche artistiche e dall’utilizzo di diversi materiali. Due laureandi in Storia dell’Arte Contemporanea dell’Università degli Studi di Siena, Esther Biancotti Davide Falletti, affiancano gli artisti in qualità di “voce critica narrante” per testimoniare le varie fasi di lavoro attraverso scritti video e fotografie che utilizzano la tecnologia come strumento dei procedimenti formali documentari-creativi.

Il laboratorio si conclude con l’inaugurazione dell’esposizione, seguita da una festa con piatti tipici nord-africani e il concerto del gruppo “Gnaoua Njoum” (dove njoum significa “stelle”), composto dal Maâlem Saddik Laarch, che suona il ghimbri (strumento a tre corde), e da quattro ballerini con le nacchere, accompagnati da Zaida Gania, che canta e danza in trance secondo i riti cerimoniali della lila con profumi e colori tradizionali. Saddik Laarch ha partecipato a tre Festival Gnaoua di Essaouira e attraversato l’Europa in tournèes (Francia, Spagna, Germania). Ha inoltre lavorato con i Nomadi incidendo Les etoiles d’Essaouira per la collana di musica etnica “A world of nomads”. Esperienza raccontata nel libro di Fausto Pirito intitolato In viaggio con i Nomadi, pubblicato da Giunti Editore nel 2000.

Il Centro Civico diviene un movimentato cantiere delle arti, un luogo di sperimentazione che offre un concreto contributo di sviluppo e riqualificazione delle attività produttive del territorio e guarda alla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale avviando un processo di confronto e scambio di saperi con le comunità extracomunitarie residenti nella provincia senese in modo da sollecitare una larga partecipazione a garanzia del diritto alla cultura per chiunque vive ed opera in zona.

Cristina Piersimoni

L’Esposizione rimarrà aperta fino al 10 settembre


Un progetto di Cristina Piersimoni
Promosso da Comune di Rapolano Terme, Circondario Crete Senesi Val d’Arbia, Provincia di Siena, Regione Toscana
In collaborazione con la Cattedra di Storia dell’Arte Contemporanea dell’Università degli Studi di Siena e la Scuola di scultura l’Accademia di Belle Arti di Carrara
Si ringraziano i Professori Massimo Bignardi e Piergiorgio Balocchi
Lo staff del cantiere
Benhila Regraguia, Renzo Lulli e Cristina Piersimoni con: Giorgio Guidi, Jessica Macucci, Serena Vernazza, Esther Biancotti, Davide Falletti

Centro Civico per l’Arte Contemporanea
Via dell’Orlo, 10
Serre di Rapolano (SI)
Tel. 0577/705027
e-mail: sedicimani@gmail.com

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A margine del Convegno "Pietre & Creatività" di Rapolano


Disegno di Richard Borge (da Sole 24 ore 9.2.2006)

Creativi | Organizzazioni di produzione
Sappiamo che la creatività – fatta di intuizioni ed idee, di associazioni e prefigurazioni inedite – da sola non basta per sviluppare economia e ricchezza.
Per dar vita al mercato e alle sue transazioni di scambio si rende necessaria una processualità più complessa ed articolata che interseca e coinvolge le organizzazioni del lavoro, il fare tecnico della produzione. Si tratta di unire la scintilla iniziale (l’idea) con l’azione e la concretezza della realtà; processo che può essere schematizzato attraverso il “teorema” delle quattro “p”: prefigurazione, progetto, produzione, promozione.
Nel rapporto sinergico fra atto creativo e fase di produzione si giocano, oggi, molte carte della competizione globale; la ricerca di innovazione continua all’interno delle organizzazioni di produzione è diventata sempre più un fattore strategico determinante; gli imput qualitativi di creatività e di progetto assumono il ruolo fondamentale di forte valore aggiunto.
All’interno di questo quadro generale il nodo da affrontare ed evolvere positivamente è quello del rapporto fra creativi (figure, per storicamente, individualistiche in termini di esperienze di vita, di pensiero, di ritmi e modalità di lavoro) e le organizzazioni di produzione, spesso rigide e chiuse in se stesse.
Si rende sempre più evidente oggi come al pari dei creativi – che non possono più vivere solitari tra le mura dei loro atelier a creare, aspettando o demandando ad altri la ricerca delle occasioni e delle risorse necessarie ai loro progetti – gli stessi responsabili delle organizzazioni di produzione devono impegnarsi a comprendere la realtà in forte cambiamento che li circonda.
Per gli imprenditori si rende necessario ampliare il tradizionale orizzonte della specializzazione e dell’efficienza aziendale; non basta più oggi il solo controllo del fare tecnico alimentato da competenze interne. Sono necessarie visioni più ampie in cui inscrivere strategie, dinamiche produttive, sviluppo di beni e servizi.
Ai modelli organizzativi dell’era industriale di stampo tayloristico – in cui si imponevano, come valori dell’ordine di fabbrica, disciplina, suddivisione del lavoro, standardizzazione – oggigiorno succedono gli assetti gestionali d’azienda caratterizzati da una più ricercata integrazione con l’esterno sia a monte del processo (le aree del marketing, del progetto, degli stili di vita della società) sia a valle nella definizione di prodotti, siano essi beni e servizi, o esperienze di vita dove i consumatori orami rappresentano massa critica orientante le stesse strategie di produzione.
La “struttura di fabbrica” da isola autosufficiente, gestita in forma piramidale e gerarchica, si modifica in organizzazione con relazioni di lavoro – sia interni che esterni – meno rigidi e formalizzati. La stessa attività manageriale, al pari di quella dei quadri intermedi, si evolve in forma dinamica e relazionale rispetto alle persone che, a vario titolo, partecipano al processo produttivo ed, inoltre, rispetto alla società esterna che orami modifica velocemente abitudini di consumo, stili di vita, gerarchie di valori.
In tale mutato quadro è sempre più evidente la necessità (che poi è un’opportunità) di mettere in connessione diretta i creativi con il mondo della produzione organizzata rompendo le sopravvivenze di rigidi e chiusi organigrammi di competenze ed operatività.
Non a caso le aziende al passo con i competitor dell’economia globalizzata si sono poste già da tempo il problema dell’attrattività e formazione dei talenti del domani istituendo factory creative (aperte agli interscambi transdisciplinari e multietnici) nella ricerca di quell’humus fertile espresso da individui selezionati in base a manifestate passioni, aspirazioni, curricula, capacità inventive.
Un esempio italiano, diventato già caso di studio, è Fabrica legata alla realtà aziendale Benetton fondata nel lontano 1994 da Oliviero Toscani, attualmente impegnato a reinventare in Toscana – attraverso il progetto Sterpaia – un inedito spazio di aggregazione di intelligenze quale luogo di formazione di giovani talenti.
La necessità del collegare – in rapporto strategico, flessibile e non vincolato nel tempo – creativi ed organizzazioni di produzione è all’ordine del giorno del dibattito internazionale. L’Italia risulta essere in ritardo rispetto a tale processo sia pur, riteniamo, possieda potenzialità notevoli di attrattività.
Il nostro Paese da sempre è stato meta di viaggio delle èlite intellettuali che dal Settecento, attraverso l’esperienza del Gran Tour, sono venuti a visitare e assimilare i caratteri dei tanti luoghi dell’eccellenza creativa. Oggi godiamo ancora del primato legato alla capitalizzazione del retaggio storico monumentale, della qualità ambientale diffusa entro un vasto entroterra, di uno stile di vita (l’Italian Style) che il mondo intero di invidia; condizioni ancora propizie per l’Italia che può proporsi come territorio attrattore per le intelligenze (i creativi internazionali) alla ricerca di quel magico mix di storia, valori artistici, bellezza e piacevolezza del vivere.
È necessario, però, al fine di invertire il trend negativo degli ultimi anni, che gli imprenditori – essi stessi rappresentanti di quel “pensiero laterale” che dovrebbe rifuggire dallo stato inerziale delle cose a favore di azioni e progetti da intraprendere – sappiano intessere relazioni e investino risorse adeguate per ripristinare le condizioni utile alla valorizzazione della creatività.
Ci preme sottolineare, a questo punto, un altro aspetto peculiare della società complessa in cui viviamo nella quale il contributo creativo individuale viene, sempre più, inscritto in un processo di intelligenza collettiva. Oggi all’atto della creatività – attitudine, come sappiamo, eminentemente individuale – bisogna sommare competenze e professionalità altre (spesso “altrettanto creative”) affinchè le idee nuove possano trasformarsi in “cose” spendibili sul mercato. L’iter che porta dall’idea al prodotto richiede necessariamente un approccio multidisciplinare frutto dell’apporto di molte persone disponibili a dialogare e a collaborare allo stesso progetto, e questo insieme alle organizzazioni di produzione.
I diversi saperi hanno necessità di incontrarsi e di integrarsi in quanto è dalla fusione di più competenze che, in una società complessa qual è quella attuale, nasce la vera innovazione in un mondo dove orami tutto evolve sinergicamente e velocemente (dalle idee verso processi, prodotti, comunicazione, promozione).
La proiezione della dimensione creativa individuale in una dimensione corale, di gruppo è diventata oggigiorno irrinunciabile. Vince sempre il team ben inserito nel fare tecnico di una dinamica ed efficiente organizzazione di produzione.
Di questa mutazione epocale le aziende tradizionali, lente nei loro cambiamenti interni, devono rendersene definitivamente conto.
Il mondo della trasformazione delle pietre arriva forse con molto ritardo nel cogliere i profondi cambiamenti in atto. È l’ora di iniziare a recuperare le distanze accumulate. Il senso del Convegno di Rapolano sul tema “Pietre e Creatività” vuole essere il primo degli appuntamenti e delle occasione per iniziare a prendere coscienza del contesto e delle dinamiche interne che la new economy pone a noi tutti.

Alfonso Acocella

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