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Marchio Pietra Naturale e rappresentanza dell’Industria marmifera italiana

Logo Pietra NaturaleA seguito di un articolo apparso su Il Sole 24 Ore del 5 ottobre 2005, nel quale veniva messa in luce una situazione di confusione nel settore del marmo, il presidente dell’Assomarmi, Cesare Bellamoli, ha fatto esplicita richiesta di chiarimenti in merito alla rappresentanza dell’industria marmifera italiana.
La risposta di Confindustria non si è fatta attendere attribuendo all’Assomarmi la titolarità di rappresentanza tecnico-economica, promozionale e sindacale dell’industria dei materiali lapidei.
A questo proposito l’associazione, a nome delle 350 aziende associate, si augura che tale pronunciamento contribuisca a fare chiarezza, a beneficio di un settore che ha la necessità di essere compatto ed unito.
Per questo motivo nel 2000 è stato ideato il Marchio Pietra Naturale, iniziativa promozionale e di comunicazione verso la quale convergono non solo le aziende facenti parte di Assomarmi, ma anche importanti consorzi di promozione che sono al di fuori dell’ambito confindustriale, in uno sforzo di unitarietà che non ha precedenti nel mondo del marmo.
Pietra Naturale è un simbolo distintivo che identifica la natura autentica delle pietre e delle sue lavorazioni. E’ un marchio di qualità pensato e realizzato per garantire e difendere esclusivamente la tradizione del un prodotto italiano, unico al mondo.
E’ quindi necessario – spiega Francesco Accardi, direttore Assomarmi – ottimizzare le risorse e creare sinergie per promuovere nel mondo il prestigio del Made in Italy dei prodotti lapidei. Per questo motivo è importante che anche le Istituzioni preposte continuino il sostegno al settore, attraverso il potenziamento del Marchio Pietra Naturale, un’iniziativa a favore di tutto il comparto lapideo italiano“.
Vai al sito Pietra Naturale

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11 Dicembre 2006

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Casa Santilli in Blera (1992 – 1995)*
Elio Di Franco

“The summoning up of architecture in just a few details, so that they become the regulative features of the landscape without interfering with it. Two parallel, tufa walls contain the house (…).The rooting of the structure in the ground by opting for horizontality, digging out a subterranean courtyard bordered by a curved wall and an underground entrance ramp. A partially “submerged” construction is further camouflaged by the radical nature of the simple geometrical design. The use of traditional local materials.
The tufa from Civita Castellana left bare: porous, irregular, rough stone chosen for its expressive qualities, for its clear material appearance, and in order to attenuate the rigour of the rectilinear walls with the calculated imprecision of the details”.1
Elio Di Franco own, simple words describe the project for the construction of Casa Santilli, a villa situated in the countryside outside of the central Italian town of Viterbo. The architecture is substantial, sober, highly communicative and perfectly intelligible: the distribution of its functions and its residential spaces, arranged in a sequence between the two parallel walls, is clear. The structure is composed of the walls and the wooden roof-frame; the materials, used in a genuine manner, include the pozzolan tufa of the walls, chestnut wood beams and rafters, terracotta roof tiles and travertine flooring.
As well as encompassing the domestic interiors, the walls extend out to create an outdoor eating area and a private garden backing onto the bedrooms; this pergola-style area is characterised by an “aerial arrangement ” of wooden truss beams and roof rafters (uncovered) that project their changing shadow onto the end of the building. The appearance of the building is delineated by these few salient features: the only additions to the rural landscape and the rolling hills and warm colours of the soil, are the isodomic walls covered by a long, pitched roof. It is the presence of the terracotta roof tiles and, even more so, of the reddish local tufa, that help the building blend in so well with the natural colours of this corner of Etruscan Tuscany.
The tufa ashlars forming the regular wall are all of the same format – that of traditional full bricks, only of a larger size – and they create a pattern of courses that emphasise the horizontal development of the load-bearing walls that are clearly the most important feature of the design. The ashlars are solidly bonded together with the help of a grey cement mortar.
The stratified character of the walls is further emphasised by the deep, inset pointing of the parallel horizontal joints which creates a pattern of shadowy lines, interrupted every four courses of ashlars, by thin listels of plaster (containing terracotta dust).
These delicate walled surfaces also feature an elegant composition of small loop-holes and large windows by means of which the house opens out to the world outside.

Davide Turrini

Note
* The re-edited essay has been taken out from the volume by Alfonso Acocella, Stone architecture. Ancient and modern constructive skills, Milano, Skira-Lucense, 2006, pp. 624.
http://architetturapietra2.sviluppo.lunet.it/libroeng
1 Elio Di Franco, Project Details (unpublished manuscript), n.d., p.1.

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Casa Santilli a Blera (1992-1995)* di Elio Di Franco

English version

Casa Santilli
Casa Santilli a Blera

album_santilli

“Sintetizzare in pochi segni l’architettura, affinchè diventino elementi ordinatori nel paesaggio, senza interferire con esso. Due muri paralleli in tufo contengono l’abitazione (…). Radicarsi alla terra optando per l’orizzontalità, scavando una corte ipogea delimitata da un muro curvilineo e da una rampa d’accesso al livello interrato. Un’architettura parzialmente “sommersa”.Un mimetismo che si concreta nella radicalità della geometria elementare. Utilizzare i materiali della tradizione locale.
Il tufo di Civita Castellana lasciato a vista: poroso, irregolare, scabro. Scelto per la sua espressività, per l’evidenza materica, per stemperare il rigore dei muri rettilinei con calcolata imprecisione di dettaglio”1.
Così, semplicemente, lo stesso Elio Di Franco descrive il progetto di casa Santilli, residenza unifamiliare immersa nella campagna viterbese. L’architettura è sostanziale, sobria, fortemente comunicativa e perfettamente intelligibile: chiara è la distribuzione delle funzioni e degli spazi residenziali posti in sequenza tra i due setti murari paralleli; evidente è la macchina strutturale composta dalle murature e dall’orditura lignea del tetto; sincero è l’uso dei materiali, il tufo pozzolanico, il legno di castagno, il laterizio dei coppi, il travertino delle pavimentazioni.
Oltre ad avvolgere gli interni domestici, i muri si prolungano per delimitare una zona pranzo all’aperto e un giardino privato quale prolungamento delle camere da letto; a delineare una “trama aerea” è posta, su tali spazi interesterni, la scansione delle capriate e dei travicelli del tetto, qui privati del manto di copertura, che prosegue ritmando una sorta di pergolato, una gabbia lignea che proietta la sua ombra mutevole sulle testate dell’edificio.
L’immagine della casa si delinea con questi pochi tratti salienti: al paesaggio rurale, alla sinuosità della sua orografia e alla calda amalgama di colori delle sue terre, si aggiungono solo i muri isodomi coperti da un unico lungo tetto a due falde. Ed è la presenza del cotto in copertura e ancor più quella del tufo locale, con il suo colore bruno rossiccio, a compartecipare dei caratteri cromatici più propri di questo angolo della Tuscia etrusca.
I blocchi tufacei che formano un dispositivo murario regolare sono tutti di uno stesso formato, delle stesse proporzioni del mattone pieno tradizionale ma di dimensioni ingrandite, e danno vita ad una tessitura di ricorsi che enfatizza lo sviluppo orizzontale delle pareti portanti protagoniste indiscusse dell’idea progettuale. I conci lapidei sono resi solidali da abbondanti letti di grigia malta cementizia. A marcare ulteriormente la struttura di una compagine muraria stratificata per fasce orizzontali è una profonda stilatura arretrata dei giunti paralleli al terreno che crea una teoria di linee d’ombra intercalate, ogni quattro filari di blocchi, da sottili liste di intonaco a coccio pesto.
Su questi piani murari, così delicatamente definiti nelle loro qualità di superficie, nelle loro valenze materiche e luministiche, Di Franco impagina un’elegante composizione di piccole feritoie e di ampi tagli finestrati con cui la casa si apre all’esterno.

Davide Turrini

Note
*Il saggio è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624. http://architetturapietra2.sviluppo.lunet.it/libro/
1 Elio Di Franco, Scheda di progetto (dattiloscritto inedito), s.d., p.1.

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11 Dicembre 2006

Eventi Toscana

GeneraComunicAzioni.tv

Generacomunicazioni.tv

GeneraComunicAzioni.tv
Casa Masaccio
9 dicembre 2006 – 14 gennaio 2007
inaugurazione sabato 9 dicembre ore 18.00

GeneraComunicAzioni.tv
extended versionFahrenheit 451/caffè letterario
Sabato 9 dicembre dalle ore 22
Live set Dj_Pizzo + Visual_Blanche

Sabato 9 dicembre 2006, con apertura alle ore 18.00, Casa Masaccio – Centro d’Arte Contemporanea inaugura la Mostra “GeneraComunicAzioni.tv” dedicata ad opere di videoarte ed alla presentazione della webtv/canale podcast realizzati dall’omonimo Cantiere d’Arte che ha avuto luogo in Casa Masaccio negli ultimi mesi.
Il progetto GeneraComunicAzioni si produce dal bisogno di partecipare attivamente al processo di costruzione del futuro. Il web si presenta quale nuova frontiera di ricerca creativa, permette una comunicazione libera e a basso costo, garantisce la possibilità di condividere esperienze e connettere realtà diverse, offre inesplorati spazi di frequentazione artistica, la possibilità di partecipare e confrontarsi su identità in trasformazione, per rafforzare le reti di scambi, offrire al sommerso della comunicazione visibilità, spazio e memoria.
Attraverso la realizzazione di una web tv / podcast, GeneraComunicAzioni.tv si offre quale possibile strumento al servizio della rete sulla cultura contemporanea in Toscana e oltre, per avviare un processo che non vuole ridursi al solo supporto comunicativo e scambio di informazioni ma che ha l’ambizione di poter favorire e provocare nuove occasioni di ricerca, sollecitare processi creativi e nuovi linguaggi di relazione.
Il cantiere, ideato e prodotto da Casa Masaccio, struttura espositiva che da anni è tesa ad esplorare criticamente le emergenze dell’arte contemporanea italiana ed europea, è curato da Michele Loffredo e Fausto Forte, con i docenti Simone Cipolli e Piero Grazzi (podcast producers) e Francesco Tanzi (regista).
L’accesso alla partecipazione è stato effettuato tramite bando di concorso indirizzato principalmente a giovani artisti, mentre il cantiere si è articolato attraverso un percorso di sperimentazione e ricerca, con incontri, laboratori e tutoraggio, dove è stato garantito specifico rilievo ai workshop tenuti dagli artisti Massimo Bartolini e Rä Di Martino
Si è avvalso inoltre delle competenze e della partecipazione di esperti dei linguaggi della contemporaneità e della comunicazione: Marco Pierini Direttore delle Papesse/Centro per l’Arte Contemporanea, Stefano Jacoviello semiologo dell’ Università di Siena, Mario Gorni Careof/Centro di documentazione arti visive, Paola Capata Galleria Monitor Roma, Giuseppe Ferito regista, Alberto Grifi regista, Enrico Ghezzi esperto di cinema e di televisione.

In mostra, saranno presentati il lavori dei partecipanti al cantiere incentrati sulle tematiche delle relazioni tra generi, generazioni e genti: Patricia Garcia Velez, Demostenes Uscamaya Ayvar, Francesca Scarselli, Chiara Renzi, Roberto Donati, Nicola Secciani, Leonardo Cigolini, Federico Bartoli, Elisa Brilli, Marco Strappato, Massimo Tommaso,Tommaso Orbi, Pierfrancesco Bigazzi, Manuela Mancioppi, Lucia Baldini, Ilaria Margutti, Giacobbe Giusti ed i video backstage di documentazione dell’intero cantiere.
In mostra, tre corti di Alberto Grifi, padre del cinema sperimentale italiano, con Transfert per camera verso verso Virulentia 1966/67, 15′; Il grando freddo ( ovvero riuscirà Giordano Falzoni e risvegliare la Bella Addormentata) 1971, 38′, Il festival del proletariato giovanile al Parco Lambro 1976, 58′.
Tra i lavori più significativi presentati per l’occasione, opere audio e video di artisti come Massimo Bartolini, Marcello Maloberti, Vedova Mazzei, Dimitris Kozaris, Gianni Pettena, Mario Airò, Enrico Serotti, Janet Mullarney, Valentina Besegher e Alessandro Massobrio, Blanche, Fariba Ferdosi, Robert Pettana, Lara Favaretto, Antonio Rovaldi, Diego Perrone, Robert Pettena, oltre ai lavori dei giovani artisti Yuri Ancarani, Alessandra Cassinelli e Gabriele Pesci, selezionati da Careof & via Farini, Centro di Documentazione Arti Visive di Milano.
Saranno presenti inoltre altri lavori video prestati da collezioni pubbliche e private tra i quali un’installazione realizzata da Bill Viola sul Pontormo nel 2001, proveniente dal Centro per l’Arte Contemporanea L. Pecci di Prato e opere prestate da Gallerie private: Massimo De Carlo di Milano, Monitor di Roma e Franco Noero di Torino.
Visibili anche materiali video di documentazione relativi alle azioni, previste dai cantieri per la cultura contemporanea e dai campus territoriali realizzati dai nodi delle reti regionali TRA ART e Porto Franco nell’ambito del progetto ” Le età del presente”, tra i quali: il Cantiere di videoarte di S.Quirico d’Orcia , il Cantiere di fotografia digitale di Seggiano (Parco Spoerri), Spread in Prato 2001/2006 , il campus territoriale “Le Isole del Tesoro” ed il laboratorio Poetarcantando. A seguire video di documentazione sulle iniziative promosse dal Cantiere provinciale di Arezzo per la Cultura Contemporanea, Incroci: Stato nascente, Orintoccidente/musiche&incroci, L’uovo e il cubo, E voglio vedere…
Radio Papesse interverrà con una postazione che trasmetterà online interviste e play list dai suoi archivi.
Infine la mostra si estenderà lungo corso Italia, con un live set di sens_o_matic e performances, proseguendo poi dalle ore 22 presso Fahrenheit 451[caffè letterario] di Piazza della Libertà, 12/c a San Giovanni Valdarno, dove sarà presentata una extended versions di GeneraComunicAzioni.tv con live set di DJ_Pizzo+Visual_ Blanche, e saranno proiettate una selezione delle opere video inedite.

GeneraComunicAzioni è un progetto avviato all’interno di Incroci, Cantiere provinciale di Arezzo per la Cultura Contemporanea 2006 (Assessorato alla Cultura della Provincia di Arezzo), ed è promosso e coordinato da TRA ART/Porto Franco nell’ambito del progetto regionale toscano Le Età del Presente (Assessorato alla Cultura Regione Toscana), ed è finalizzato alla conoscenza dei nuovi linguaggi della produzione artistica e alla valorizzazione di esperienze artistiche, attraverso la sperimentazione di nuovi “media”, promuovendo la divulgazione delle arti e della cultura contemporanea, sviluppando pratiche interculturali di incontro e confronto tra generi, generazioni e genti.
La web tv / podcast è visibile/scaricabile all’URL: http://www.generacomunicazioni.tv/

Visita Casamasaccio

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A Milano la riunione del comitato

AIMM Si è svolta recentemente a Milano un incontro del Comitato “Promotion Materiali” di ASSOMARMOMACCHINE, il gruppo di lavoro interno all’Associazione che si occupa di temi specificamente attinenti al comparto materiali lapidei. Gli argomenti all’ordine del giorno hanno riguardato da vicino problematiche di stretta attualità, dall’iniziativa “Pietra Autentica” alla promozione sugli architetti, dall’attività normativa in ambito CEN TC 246 al Contratto Tipo per le forniture lapidee.

L’incontro è stato l’occasione per fare il punto sulla promozione e lo sviluppo dell’iniziativa “Pietra Autentica”, la versione italiana del logo collettivo europeo per i prodotti lapidei autenticamente naturali, che ha già raggiunto una notevole diffusione tra le aziende italiane del settore. Sono infatti già oltre 500 in tutta Europa – delle quali 120 solo in Italia – le aziende che hanno creduto nel progetto legato al marchio collettivo EUROROC. Il Comitato ha espresso soddisfazione per il lavoro di promozione sin qui svolto dall’Associazione, ed è stata pertanto valutata l’opportunità di sviluppare ulteriormente le azioni e i progetti da intraprendere per una diffusione ancor più capillare del logo.Nel corso della riunione si è ribadita inoltre l’importanza per il settore lapideo italiano di un’attiva promozione presso gli architetti. L’attenzione che l’Associazione tecno-lapidea italiana riserva al mondo della progettazione – si pensi alla pluriennale collaborazione con ALA-ASSOARCHITETTI – deriva dalla convinzione che solo la diffusione presso architetti e committenti delle peculiarità e delle potenzialità espressive delle pietre ornamentali possa consentire una sempre maggiore diffusione del suo impiego nel mondo dell’architettura e dell’edilizia di qualità. È emersa perciò la volontà di proseguire in questa politica promozionale, con progetti e iniziative funzionali allo sviluppo di nuovi e proficui rapporti tra aziende e progettisti sul tema del “costruire in pietra”.Durante il recente comitato si è fatto anche il punto in merito all’attività normativa in ambito UNI – l’Ente Nazionale Italiano di Unificazione – in particolare per quanto riguarda la revisione della norma EN 12440 “Pietre Naturali – Criteri per la denominazione” che si sta avviando in ambito CEN TC 246. Tra gli altri argomenti affrontati: l’albo dei consulenti di terza parte; il Contratto Tipo per le forniture lapidee; le strategie di promozione dell’immediato futuro.Il Comitato Promotion è attualmente composto oltre che dal Presidente dell’Associazione, Flavio Marabelli, da nove rappresentanti delle aziende associate: Fabio Bonardi, Maurizio Casappa, Mauro Sergio Di Pierro, Stefano Ghirardi, Alessandro Nigrisoli, Marco Patelli, Ettore Pedretti, Gabriella Schmidt e Valentina Trois.

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Antichi saperi, 1791-1879: la lavorazione dell’alabastro

Antichi Saperi
Arnioni di alabastro in una cava del volterrano (foto: Sara Benzi)

L’artigianato alabastrino, elemento primario dell’identità culturale della zona del volterrano, pare avere da sempre alternato momenti di splendore a periodi di stasi. Molti sono stati i dibattiti sulle cause di questa dinamica, e pare che le responsabilità delle strategie imprenditoriali siano destinate a convivere con quelle delle vicende economiche contingenti. Ma se, come ha scritto Enrico Fiumi, autorevole studioso di questa preziosa pietra, “fattori politici ed economici distraggono delle generazioni dall’arte congenita, questa non muore: la cenere della materia nasconde la scintilla della tradizione ed in forme nuove, in nuove applicazioni, l’industria trova la ragione della sua rinascita”1. Sembra che questa dinamica, questa sorta di periodicità insita nella storia dell’alabastro sia tutt’oggi attuale, e questa perenne scintilla continua a farne vivere la tradizione, a farne parlare e scrivere le generazioni che si susseguono. L’energia grazie alla quale la città di Volterra riesce sempre e comunque a far rinascere questo misterioso materiale, probabilmente dovuta alla necessità innata di sfruttare le risorse naturali del territorio e trasformatasi nel tempo in vero e proprio sistema culturale e tecnico, contribuisce anche oggi, pur vivendo un momento di crisi produttiva, a far interessare alla sua natura ed alla sua storia ed a cercare una volta di più di raccontarla e farla conoscere, quanto meno in minima parte.

Il materiale
La narrazione necessita di una breve premessa, una piccola presentazione di ciò di cui stiamo parlando: il nome alabastro2 indica generalmente due classi mineralogiche distinte, il solfato di calcio idrato (CaSO42H2O) e il carbonato di calcio (CaCO3). La prima classe costituisce l’alabastro gessoso o del volterrano, la seconda l’alabastro calcareo od orientale. Il materiale del quale ci occupiamo appartiene alla prima classe, maggiormente tenera e lavorabile; all’interno di questa può essere distinto l’alabastro di Volterra, che va dal “cenerino” al “gabbro”, dall'”agata bionda” al “bardiglio”, e quello di Castellina Marittima, superiore in purezza e trasparenza, tra i cui blocchi alcuni, traslucidi, privi di impurezze, ossidazioni e scorie argillose, vengono denominati “scaglione”.

Campioni di alabastro
Campioni di alabastro: scaglione bianco, agata stilano, cipollone agata biondo

L’alabastro si presenta in blocchi, spesso ovoidali, denominati “arnioni”, incassati in una robusta veste di argilla dalla quale vengono estratti grazie all’abilità ed all’esperienza degli escavatori. Una volta estratto e ripulito il blocco, questo viene inizialmente lavorato dal tornitore o dallo squadratore, passando successivamente nelle mani dell’ornatista, dell’animalista o dello scultore che grazie alla loro maestria, riescono a fare emergere la magia di questa materia che, attraverso la sua mutevolezza e fragilità appare insieme vetro e pietra, nelle trasparenze fredde dello scaglione o nella luminosità dorata dell’agata.

Arte o produzione di massa? Un quesito attraverso i secoli
Simile al marmo ma di più facile lavorabilità e di minore resistenza agli agenti atmosferici, l’alabastro è stato da sempre escluso dai materiali architettonici principali, e relagato in posizione secondaria per interni ed oggettistica, dove, grazie anche alla sua particolare morbidezza, ha comunque avuto occasione di trasformarsi in oggetti di altissima qualità artistica. Ampiamente conosciuto, come già accennato, fin dall’epoca egizia, questo materiale, abbondantemente presente nella provincia di Pisa3, fu ampiamente utilizzato dalla civiltà etrusca fin dal IV sec. a.C., in una delimitata zona coincidente con il territorio di Volterra, principalmente per la produzione di urne cinerarie (oltre 600 conservate al Museo Guarnacci).
Urna cineraria
Urna cineraria etrusca conservata presso il Museo Guarnacci di Volterra (foto: Sara Benzi)

Successivamente, in epoca romana, all’alabastro venne preferito il marmo delle Apuane, provocando il declino del suo utilizzo, che venne ripreso solo nella seconda metà del 1500 principalmente per la creazione di oggetti d’arte sacra. Da allora l’alabastro cominciò ad essere protagonista di un duplice utilizzo, dettato da due distinte esigenze e tendenze che spesse volte hanno tentato di sovrapporsi per venire in aiuto l’una dell’altra. Riscoperto per la realizzazione di oggetti artistici, consoni alla natura della materia, e quindi riservato ad un pubblico ristretto, l’alabastro si avviò verso un nuovo successo soltanto nel secolo successivo, quando cominciò ad essere utilizzato anche per la produzione di oggetti artigianali seriali finalizzati ad un commercio popolare. Questo costrinse il mondo artigiano a metodi di produzione che diminuirono la qualità dei manufatti, contribuendo ad un generale declino del prestigio di questo materiale litico.

Una nuova rinascita: l’Officina Inghirami
Se dalla seconda metà del Seicento agli ultimi decenni del Settecento l’industria alabastrina proseguì senza particolari orientamenti o cambi di rotta, l’ultimo decennio del XVIII secolo accolse quello che diverrà uno dei protagonisti della storia di questa affascinante materia. Dalla produzione dei cosiddetti “marmai” che producevano perlopiù lampade, scatole per il tabacco ed “anime”4 di alabastro, la lavorazione di questa pietra trasse nuovo slancio dall’opera di Marcello Inghirami Fei. Questo giovane ed illuminato volterrano, allora solo venticinquenne, nel 1791 organizzò a proprie spese una Officina per l’alabastro, quasi in risposta a quella relazione granducale sullo stato di Volterra, scritta da Antonino di Niccolò Viviani nel 1766 dove si legge: “se vi fosse maniera di perfezionare o aumentare le manifatture mediante l’introduzione di nuovi edifici, macchine e istrumenti o mediante l’aiuto di qualche lume che potesse darsi agli artefici sopra la loro lavorazione”, alla quale venne risposto con la proposta di istituire nel territorio volterrano una pubblica scuola di disegno. L’Officina Inghirami, che si stabilì nei locali dell’ex Monastero di S. Dalmazio, nata come vero e proprio laboratorio e trasformatasi nel tempo in un ibrido fra scuola e fabbrica, accolse al suo interno più di 100 lavoranti e svariati maestri provenienti anche dall’estero. Interessatosi alla lavorazione della pietra volterrana fin dalla sua prima gioventù, Inghirami, alla ricerca di una soluzione alla crisi imminente, focalizzò la sua attenzione sul fatto che la realtà locale non sarebbe stata in grado di fare rinascere la manifattura alabastrina senza ricorrere ad aiuti e stimoli esterni alle proprie mura e senza una nuova attenzione nei confronti della formazione. Venne dato quindi avvio ad un’impresa di ampio respiro, basata su un progetto commerciale di carattere internazionale. Inghirami basò la produzione della sua officina sul ritorno alle fonti della tradizione classica, uniformandola nello stesso tempo alle possibilità ed ai gusti dei suoi tempi. Arrivò quindi a creare un vero e proprio catalogo di oggetti legati al gusto di fine secolo, tutti rigorosamente riportanti il marchio di fabbrica, raccolti e presentati in un esemplare manifeste scritto in lingua francese che pubblicizzava la vendita di vasi, casse per orologi, riproduzioni di elementi architettonici e copie di numerose opere e sculture del repertorio classico, prodotti tutti rigorosamente con la pietra locale5. Una collezione di copie artistiche, che per la prima volta nella storia dell’alabastro, esplicitarono la possibilità di una produzione seriale di una oggettistica di qualità, commerciabile a prezzi ragionevoli.
A distanza di soli otto anni però, nel 1799, l’impresa, già in crisi nell’ultimo periodo, fallì; oltre ad aver formato artigiani di indubbio valore artistico, rimase tuttavia il segno di un seme gettato, il quale contribuì all’immediata rinascita dell’industria alabastrina e del benessere di Volterra.

Orologio alabastro

Orologio con Arianna, Teseo e il Minotauro – Fabbrica Inghirami, alabastro di Castellina (foto tratta da: M. Cozzi, Alabastro – Volterra dal Settecento all’Art Deco, Cantini ed., Firenze, 1986)

La fortuna dell’industria alabastrina nel corso del XIX secolo
Pur se sfociata in un fallimento, l’esperienza di Marcello Inghirami offrì un nuovo impulso grazie al quale la sorte dell’industria alabastrina riuscì a risollevarsi in tempi brevi. In lenta ascesa fino al 1850, la produzione in alabastro subì una crescita vertiginosa fino al 1870 circa.
La produzione ebbe un continuo incremento durante il XIX secolo grazie soprattutto al rapporto che riuscì ad instaurare con i mercati esteri, dato che sempre più palese risultava il fatto che l’alabastro era maggiormente apprezzato all’estero che nel Granducato. Occasione di conoscenza furono le Esposizioni internazionali alle quali le manifatture volterrane parteciparono attivamente: oltre a Firenze, infatti, le Esposizioni di Londra e Parigi fornirono l’occasione di far conoscere ad un vasto pubblico di commercianti e consumatori questa manifattura artistica.
Altro fenomeno di fondamentale importanza fu quello dei cosiddetti “viaggiatori”: tradizione nata nel 1804 grazie a Francesco Cari, proveniente dalla Fabbrica Inghirami, questa si moltiplicò a partire dal 18206, quando sempre più artigiani intrapresero viaggi verso i porti di tutto il mondo per accompagnare i manufatti venduti e cercare di incrementarne il mercato, attraverso una sperimentazione assolutamente vincente che donò nuovi spunti culturali alla produzione.Così, insieme al predominante stile neoclassico, si affacciarono nuove tendenze stilistiche che spaziavano dal neo-manierismo ad elementi orientali sfocianti in un gusto eclettico catterizzante parte della produzione ottocentesca.
I decenni centrali del secolo furono caratterizzati dalla presenza di importanti nomi per la storia di questa affascinante pietra; degni di nota risultano in particolare due personaggi che, in maniera diversa, offrirono a questo artigianato artistico nuovi spunti ed occasioni di fortuna. Per primo Amerigo Viti, fratello di quel Giuseppe “viaggiatore”, oltre ad aprire scuole ed avviare un importante laboratorio, indisse concorsi artistici per il miglioramento della produzione, fondò una fabbrica di mosaici e sperimentò, grazie alla collaborazione con i maestri dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, il commesso in alabastro attraverso una nuova tecnica da lui stesso ideata.
Altro artista di estimabile maestria fu Luigi Albino Funaioli, già premiato all’Esposizione fiornetina del 1861, e ricco di un’esperienza londinese pluriennale, arrivò a creare un proprio linguaggio, non esente da influenze “ingresque”, definibile “microscultura” o “glittica”. Attraverso la tecnica del bassorilievo a due o tre piani, Funaioli ritrasse innumerevoli illustri personaggi in splendidi cammei di alabastro, facendosi conoscere nei più celebri salotti dell’epoca; ma il suo rimase un episodio isolato nella storia della lavorazione di questa pietra.

Tavolo ottocentesco
Tavolo ottocentesco in alabastro scaglione. Ecomuseo dell’alabastro di Volterra (foto: Alfonso Acocella)

Dopo la crisi mondiale del 1873 si notò un’appesantimento generale ed una maggior concorrenza tra i produttori. Forse a causa della improduttiva coesistenza di fabbriche e piccole botteghe artigiane, sicuramente sintomo di una generale recessione economica, la crisi cominciò lentamente a maturare. La qualità della produzione iniziò a diminuire ed il fenomeno dei viaggiatori a scemare, fin quando si arrivò al vero e proprio crollo del 1879 per la cui soluzione tante furono le proposte: dall’istituzione di un deposito unico al blocco dell’esportazione del materiale greggio, che, pur contribuendo al risollevamento della sorte di questa pietra, aprirono un nuovo ciclo di alterne fortune che si sono susseguite lungo tutto il corso del XX secolo.

Sara Benzi

Note
1 Fiumi E., La manifarrura degli alabastri, Nistri-Lischi ed., Pisa, 1980, p.9.
2 La parola “alabastro” compare come indicazione di “vaso” sia nella lingua greca che in quella latina, anche se non è chiaro se il termine indicava l’oggetto o il materiale con cui questo era prodotto. Origini antiche del suo utilizzo si trovano in Egitto: sembra che in questo Paese fosse esistita una città denominata “Alabastron” la cui principale attività manifatturiera era appunto la produzione di vasi ed anfore in alabastro destinate alla conservazione dei profumi.
3 Cave di alabastro gessoso si trovano anche nella zona del senese, in Romania, Francia, Spagna, Inghilterra e Brasile.
4 Le “anime” o “Ave Marie” erano chicchi di alabastro prodotti in 12 misure diverse che, spediti in gran quantità a Roma, venivano qui rivestiti in maniera tale da sembrare false perle impiegate per confezionare rosari o per decorare abiti. Questo commercio fu attivo fino almeno alla fine del XIX secolo.
5 Enrico Fiumi afferma che Inghirami fu il primo a dare avvio all’estrazione dell’alabastro delle cave di Castellina Marittima.
6 Il più avventuroso fu Giuseppe Viti, fece conoscere l’alabastro a New York, Boston, Baltimora, nelle Indie Occidentali ed in America latina.

Bibliografia
– C. Bruni, “Luigi Albino Funaioli scultore volterrano dell’800”, in Rassegna Volterrana – Rivista d’arte e di cultura, Anni LIV-LV, Accademia dei Sepolti ed., Volterra, 1979
– M. Cozzi, Alabastro – Volterra dal Settecento all’Art Deco, Cantini ed., Firenze, 1986
E. Fiumi, La manifattura degli alabastri, Nistri-Lischi ed., Pisa, 1980
B. Hartmann, L’alabastro tra arte e produzione di massa –Storia di un artigianato artistico a Volterra, Cassa di Risparmio di Volterra S.p.A., Pisa, 1993
M. Pieri, L’Alabastro di Volterra, Quaderni sulla produzione pisana della Camera di Commercio, Industria e Agricoltura di Pisa, Pisa, 1951

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2 Dicembre 2006

Eventi Toscana

Il suono della crosta dura
Percorso di musica e pensiero generati dalla materia

Suono della crosta dura
Associazione Culturale Semi Cattivi Venerdi 8 dicembre ore 21:15, Filanda di Forno, Massa

Nell’ambito del progetto di promozione della cultura contemporanea denominato “Tra Art” della Regione Toscana, l’associazione culturale Semi Cattivi presenta l’evento artistico “Il suono della crosta dura”, a conclusione del programma del cantiere provinciale per l’arte contemporanea “Corpi abitanti”.
Questo progetto nasce da un percorso creativo condotto dall’autore Franco Rossi su scritti di cavatori delle Alpi Apuane, carteggi di Michelangelo e suoni generati dalle macchine di lavorazione del marmo insieme a musicisti locali (lo stesso Franco Rossi, Giulio Rossi e Fabrizio Bertone) ed internazionali (Zam Johnson); ne è poi scaturito un prodotto del tutto originale e personalizzato: un racconto musicato narrato dal cantante Andrea Chimenti con in scena, come altro interprete, il musicista chitarrista Massimo Fantoni (entrambi protagonisti della scena musicale italiana per le distribuzione discografiche Mescal, C.P.I., Audioglobe, Santeria). Il luogo di rappresentazione è la ex Filanda di Forno (sede del Parco Alpi Apuane), all’interno della sala macchine dove vecchi macchinari in disuso verranno rianimanti con un video di Roberta Busato (collaboratrice Societas Raffaello Sanzio).
Il progetto è stato ideato per avere una sua continuità coinvolgendo via via diversi artisti che si sono identificati nel protagonista del racconto: un uomo che riflette sul senso della propria vita e del proprio lavoro, della fedeltà e del legame verso i compagni perduti, della solitudine, delle proprie paure. Tra i cantanti e musicisti
che hanno aderito (oltre agli attuali protagonisti): Giovanni Lindo Ferretti, Monica De Muro, Alessandro Benvegnù.

8 dicembre Massa (MS), ex Filanda del paese di Forno ore 21:15
ingresso limitato, si consiglia la prenotazione al 339 6981617 Andrea Chimenti

Per ulteriori informazioni:
Associazione Culturale Semicattivi
Federica Rabaglietti
Responsabile Ufficio Stampa
e-mail: federica.rabaglietti@setuponline.it

Stefania Gatti
Responsabile organizzazione
e-mail: semi.cattivi@libero.it

Provincia di Massa Carrara
Mario Celi
Referente ufficio Cultura
e-mail: m.celi@provincia.ms.it
0585 816639

Si ringraziano per la collaborazione:
Baracca&Burattini Edel
Provincia di Massa Carrara – Ufficio alla Cultura
Comune di Massa – Assessorato all’edilizia ed Assessorato al patrimonio – Parco Alpi Apuane

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2 Dicembre 2006

Eventi Toscana

Arte, territorio e ambienti virtuali: cantiere tecnologico tra realtà e virtualità


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2 Dicembre 2006

Eventi

Le periferie romane: marginalità storiche e nuove centralità

Periferie Romane

Museo di Roma in Trastevere
1 – 2 dicembre 2006
Piazza Sant’Egidio, 1/b (Roma)

a cura di Andrea Bruschi

La Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico presenta un seminario/rassegna sul tema delle periferie. Proiezioni antologiche di documentari, dagli anni Sessanta agli Ottanta, che toccheranno temi e questioni delle periferie nelle principali città italiane. Nella giornata di sabato si svolgerà un seminario di studi che tenterà un’analisi dei cambiamenti e delle trasformazioni delle periferie cittadine attraverso un confronto fra Roma e le altre città.

Interverranno:
Lucio Valerio Barbera (architetto, preside della facoltà di Architettura Ludovico Quaroni),
Federico Bilò (architetto),
Mirella Di Giovine (direttrice del Dipartimento XIX del Comune di Roma),
Giuseppe Ferrara (regista),
Ugo Gregoretti (regista),
Italo Insolera (storico),
Cecilia Mangini (regista),
Claudio Minelli (Assessore al Patrimonio del Comune di Roma),
Diego Novelli (ex sindaco di Torino),
Dante Pomponi (Assessore alle Periferie del Comune di Roma),
Sandro Portelli (storico, consigliere del Comune di Roma),
Ermanno Taviani (storico),
Vittorio Vidotto (storico).

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29 Novembre 2006

Eventi

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