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16 Gennaio 2007

Appunti di viaggio

Più di Apuleio potè il Canova

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Louvre. Amore e Psiche di Antonio Canova

Nell’epoca in cui i musei devono essere interattivi, pluridisciplinari, multifunzionali, bookshoppizzati io, devo ammetterlo, amo il museo ottocentesco.
Amo il museo che fa parlare silenziosamente l’opera, che lascia alla luce il compito di commentarla; amo i morbidi toni ècru delle pietre del Louvre, la tolleranza garbata del personale di turno.
E mentre mi commuovevo di fronte alla passione di Amore e Psiche, mentre venivo sedotto dalla traslucenza dello Statuario, così, senza bisogno di audioguida all’orecchio e nell’assoluto isolamento dalla folla, sentivo crescere una sensazione di imbarazzo, di intrusione tra l’intimità degli amanti.

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Louvre. Corte dell’ala Richelieu

La forza dell’opera che pulsava nel candido cristallino Apuano produceva allo stesso tempo ammirazione e timore.
La giornata era già ben spesa, anche se solo da poche ore a Parigi, ero già sazio.
Volendomi fare del male il giorno seguente sono andato al nuovo Musèe Quai Branly, scritto e interpretato da Jean Nouvel.
Mirabolanti soluzioni tecnologiche, pareti vegetali da foresta pluviale, rivestimenti di cuoio, muri di vetro spiaccica-passeri.
All’interno, in una penombra da lounge bar, tutti i manufatti del mondo tribale riaccreditato ad autentica espressione artistica: praticamente quello che una volta si vedeva nei musei missionari.
In questo caso, l’unico modo per ridare senso alla giornata poteva essere assolto in un bistrôt.
Un caro saluto.

Damiano Steccanella

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Musèe Quai Branly
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11 Gennaio 2007

Pietre d`Italia

PIETRE D’ITALIA
Un progetto transdisciplinare di Cultura & Economia

Home page pietre di Toscana
Homepage Toscana del new website architetturadipietra.it

Valori d’Italia
Nella società dell’economia postindustriale è sempre più necessario creare intorno alla “realtà fisica” – sia essa materia, materiale, prodotto, opera – un contesto valorizzativo “virtuale” (leggasi culturale) capace di renderla unica, appetibile, desiderabile in funzione di qualità aggiuntive estrinseche, poste in sommatoria di quelle intrinseche; qualità esterne, ma correlate in qualche modo alla “realtà trasformata” e al contesto che l’accoglie, che inscriviamo nel concetto di valore della conoscenza e delle esperienze di vita memorabili legate ai luoghi, ai linguaggi, alle narrazioni, agli stili di vita.
Il territorio d’Italia, da questa particolare prospettiva, non è secondo a nessuno quanto ad imponenza di memoria sedimentata, a qualità, a suggestioni e a considerazione che ancora riceve nel mondo intero. È questo il capitale (materiale ed immateriale ad un tempo) del Paese che bisogna in qualche modo valorizzare come unicità all’interno della nuova economia globale.
Per noi il territorio d’Italia è da valutarsi attraverso due dimensioni (affatto alternative, l’una rispetto all’altra) fatte di realtà e di virtualità: territorio reale, come “stato di cose” che si pone di fronte all’agire umano, mirabile palcoscenico di vita, di accoglienza e di visita, di interazione umana e potenziale sfondo empatico per esperienze di vita e di transazioni economiche; territorio virtuale, come realtà rappresentata, narrata, comunicata, per una sua fruizione ravvicinata o a distanza.

L’Italia di pietra
Come sappiamo l’Italia è una nazione eccezionale. La sua peculiarità geologica fornisce al territorio una diversificazione litologica davvero speciale con caratteri salienti mai scontati o ripetitivi.
Un Paese – il nostro – che si mostra e si qualifica, per larghi tratti, attraverso le corrugazioni litologiche alla grande scala naturalistica o mediante le infinite testimonianze architettoniche disseminate nelle campagne, o densificate nei borghi e nelle città storiche prodotte da un’attività antropica secolare che ha ridistribuito le pietre con logiche non sempre meccaniche e scontate, così come precisa Francesco Rodolico nel suo volume, oramai introvabile, Le pietre delle città d’Italia:
“Le pietre adoperate nei centri urbani – piccola parte, dunque, delle nostre rocce – riecheggiano tuttavia nelle città il frazionamento geologico delle masse e la variabilità litologia dei tipi, due motivi natali che caratterizzano gran parte d’Italia, dalle Alpi agli Appennini alle Isole. Anche tra le pietre che le sole improntano l’aspetto edilizio ed architettonico d’una qualche città, le differenze sono tali da colpire il viaggiatore più distratto: i calcari compatti di Trento o di Brescia, d’Assisi o di Sulmona, quelli teneri di Lecce o di Noto; il travertino di Ascoli Piceno, l’arenaria grigia di Cortona o quella rossastra di Bolzano o quella Giallastra di Volterra; gli gneiss di Bellinzona; il tufo vulcanico di Viterbo; la lava etnea di Randazzo. Nè differenze di tanto rilievo si notano solo tra città lontane; l’accennato frazionamento geologico agisce anche su breve spazio, differenziando città vicine, almeno sotto questo particolare aspetto. Lungo la costa ligure, a parte la varietà che si nota nelle stesse rocce sedimentarie di tipo schiettamente appenninico, per cui San Remo è costruita d’arenaria macigno e Genova di calcare marnoso, la notevole formazione metamorfica di tipo alpino, che spezza la continuità delle rocce precedenti, si fa sentire, tra l’altro, nell’edilizia di Savona. Ancora sulla costa ionica della Sicilia, dove s’affacciano al mare, l’uno do po l’altro, il complesso sedimentario dei calcari miocenici degli Iblei, la formidabile massa vulcanica dell’Etna, i Monti Peloritani costituiti da rocce metamorfiche, le città di Siracusa e Catania e di Messina hanno chiaramente risentito di tanto peculiari condizioni.
Non mancano d’altronde territori d’omogeneità geologica e litologia tale da imprimere notevoli somiglianze a gruppi magari cospicui di città. Viene subito in mente la Puglia, dove l’uso contemporaneo dei calcari compatti cretacei e dei teneri tufi terziari e quaternari, raccorda l’aspetto di tanti centri urbani maggiori e minori. Interessanti pure talune città, dove s’accompagnano pietra e mattone. Quelle subalpine, numerose dal Piemonte alla Lombardia al Veneto, specie allo sbocco delle valli nella pianura, costituiscono due gruppi nettamente distinti l’uno dall’altro. Ad oriente del Lago Maggiore, fronteggiano la pianura le potenti masse di calcari secondari e terziari delle Prealpi, e l’uso di queste rocce appare abbondante e caratteristico nelle città subalpine lombarde (Como, Bergamo, Brescia) e venete (Verona, Vicenza), pur non mancando i laterizi. Scomparsa la fascia prealpina calcarea, ad occidente dell’anzidetto lago, i potenti massicci metamorfici delle Alpi Occidentali precipitano direttamente e bruscamente sulla pianura; di conseguenza le città subalpine piemontesi (Torino, Pinerolo, Cuneo) sono improntate dall’impiego dei laterizi, nonchè da quello, subordinato ma caratteristico, delle rocce gneissiche.”1

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Pietre d’Italia

Ci siamo chiesti – nel momento in cui delineavamo in abbozzo il progetto transdisiciplinare di Pietre d’Italia – come comunicare, anche a distanza, un’Italia così particolare ed unica, rappresentarne la ricchezza e la varietà delle risorse geologiche (non necessariamente alternative o competitive le une rispetto alle altre), spiegarne e documentarne le specifiche caratteristiche mineralogiche, le potenzialità d’impiego; ma anche come valorizzare le “pietre della cultura” trasmutate in mirabili artefatti dal genio italiano lungo una storia plurimillenaria. All’interno di questa attesa è nata l’idea di esplorare la fattibilità di un progetto sulle Pietre d’Italia da inscrivere nel processo evolutivo del blog_architetturadipietra.it, a due anni dalla sua nascita, al fine di avvicinare, indagare, documentare i caratteri salienti dell’Italia di pietra, storica e contemporanea, iscrivendoli in un format comunicativo innovativo, funzionale ad una fruibilità e condivisione dialogica a distanza fuori dalle limitazioni spaziali o temporali che contraddistinguono i dispositivi di trasmissione del sapere tradizionale.
Il progetto Pietre d’Italia intende perseguire la realizzazione di un aggiornato ed innovativo spazio di informazione e di comunicazione, di archivio dinamico multimediale ancora del tutto inesistente nel Paese. Un luogo onnivoro capace di registrare, editare, capitalizzare nel tempo in forma digitalizzata le varie articolazioni dei saperi e delle conoscenze del mondo produttivo, tecnologico, architettonico, artistico, connessi alla materia litica.
Una sorta di monitoraggio territoriale dei luoghi di pietra più significativi – siti naturali, vestigia antiche, manufatti, opere architettoniche moderne e contemporanee – e insieme a questi i distretti di produzione e di trasformazione delle “nuove pietre” detentori di conoscenze e di cultura tecnica.
L’azione di ricerca e di studio – da compiersi attraverso la raccolta di documentazione e messa a sistema di dati, informazioni, indagini sul campo – ha come finalità la proiezione della geografia storica legata all’Italia di pietra in quella contemporanea attraverso un progetto narrativo: continuo nel tempo, avvolgente e coinvolgente, partecipato, cooperativo, transdisciplinare e di intelligenza collettiva.

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Pietre d’Italia

Il mosaico delle Regioni di pietra
Il territorio e i suoi paesaggi – quale eredità irrinunciabile del Paese – rappresenta nella nostra visione il palinsesto di riferimento da cui partire per delineare l’orizzonte del progetto culturale e la trama del racconto stesso. La raccolta delle informazioni per ambiti territoriali vasti ed inclusivi (le Regioni) ci è sembrata la più logica e coerente ai fini di pervenire ad una definizione dell’architettura della piattaforma digitale; conseguentemente, la strutturazione del cyberspazio culturale del nuovo e slargato website architetturadipietra.it adotta il protagonismo del livello geo-politico delle Regioni (le stesse realtà istituzionali che indirizzano e coordinano le azioni di tutela, valorizzazione e trasformazione del territorio e le politiche estrattive legate al mondo delle nuove pietre).
Attraverso le realtà regionali si intende mettere a sistema conoscenze, testimonianze, saperi e competenze operative disponibili su territori di orizzonte vasto.
Ogni Regione avrà a disposizione un’area tematica e una mappatura territoriale con contenuti registrati in specifiche sezioni, correlate – queste ultime – attraverso link interni e motore di ricerca relazionale, capaci di assicurare raccordi ipertestuali fra le sezioni di una stessa Regione o anche fra sezioni di Regioni diverse. Ogni sezione documenta un argomento specifico (paesaggi culturali, materiali litici regionali, aziende e laboratori, cave, vestigia e siti archeologici architetture, itinerari, eventi, competenze, artisti ecc. ecc).
L’obiettivo di fondo è un’organizzazione logica dei diversi ambiti di conoscenza capaci, nel loro insieme, di restituire la vita della materia litica e del lavoro che gli uomini hanno trasfuso – e continuano a trasfondere – su di essa per scavarla, trasformarla, plasmarla, interpretarla, valorizzarla.
Il progetto culturale intende ricercare e radunare gli elementi fondativi della cultura litica per “fissarli” e “radicarli” ai territori specifici e – contestualmente – per ridistribuirli attraverso il canale di internet in modalità innovativa a distanza, orientando chiunque senta la necessità di una struttura cognitiva di riferimento utile al proprio aggiornamento, alla crescita culturale o all’operare concreto fatto di conoscenze, di scelte e di decisioni.

Alfonso Acocella

Note
1 Francesco Rodolico, Le pietre delle città d’Italia, Firenze, Le Monnier, 1664, p. 20

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9 Gennaio 2007

English

Pietre dell’Identità (Stones of Identity). Convention in Lucca

Monumental Complex of S. Micheletto
15 January 2007

Pietre dell'Identità
______________________________________________________________

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How the Convention originated
The “Pietre dell’identità” Convention proposes itself as a “conclusive” (and, at the same time, publicly accessible) moment of the interprovincial territorial project “Pietre di Toscana”, promoted by the Tuscan Region (council department of culture, L.R. 33/2005, “Le età del presente”) in 2006.
“Pietre di Toscana” falls within the broader cultural scenario of “Stone Architecture”, sustained by the Foundation of the Cassa di Risparmio of Lucca and by Lucense Scpa ever since 1999.
Among the numerous territorial partners who have adhered to the “Pietre di Toscana” project, the Foundation Licia e Carlo Ludovico Ragghianti di Lucca is, in this specific initiative, an institution of scientific reference (the convention will take place in the San Micheletto congress centre, premises of the Foundation itself), with the cultural contribution of its director Professor Vittorio Fagone, who, together with the Convention’s curator, partook in project decisions.
Lucense, on the other hand, is responsible for organising the event. The title of the Convention “Pietre dell’identità” contains the incipit of an essay by Salvatore Settis, which effectively expresses and sums up the conceptual and problematic barycentre around which the entire regional, national and international project of “Stone Architecture” revolves.

Proposed themes
The object of the Convention is to express and highlight the value of identity – individual and collective – placed in relation to the “erosive” processes of a multicultural society and to the “dematerialising” ones of an increasingly globalised economy, evident in our country.
That being said, the official speakers invited to the Convention will address and analyse Italy’s vast and varied cultural heritage, made up of landscapes, cities, architecture, monuments, artistic wealth, but also of artefacts and typical products of quality and of lifestyles “whose uniqueness, for Italians, is grounds for identification and pride” (Salvatore Settis, “Le pietre dell’identità”, Il Sole 24 ore/Domenica 13.11.2005).
Through specific focal points – regarding the strategies of cultural policy and the diverse role expressible through a variety of disciplines such as archaeology, architecture, art, new technology – the Convention aims to stress the need for their strategic re-composition within the complex and globalised scene.
The main theme of the “Pietre dell’Identità” Convention is the affirmation of the need for transdisciplinarity within the conception of complex cultural projects for Italy’s cultural policy and own economy.

Aims
The aim of “Pietre dell’identità” is to analyse and discuss the theme of cultural identity, at the same time, clarifying the social and economic role of artefacts lying at its origins and which have indelibly shaped the country’s anthropised landscape through “naked stone”.
The aim of the Convention is to steer the “stone landscape” back to a horizon of intelligibility, of recognition and of “updated” appreciation.
The new competitive terrain of advanced modern societies is linked to the bursting forth of intellectual energy drawing on the ancient, modern and contemporary heritage – material and at the same time immaterial heritage – which plays on the creativity and on the communicative and technological cultural innovation of use.
Many of the innovative features which characterise products and services offered within the globalised economy – increasingly linked to experiential transactions with direct or deferred use in cultural virtuality – have to do with the context, with the physical and symbolic traits expressed by places through the languages of cities, of architecture, of art, of the literature of lifestyles.
And from this perspective, Italy is second to none in terms of impressiveness and the diffusion of sedimented testimonies, quality, suggestions and consideration received from all over the world.
This is the material and immaterial idea of which – through the Convention – we would like to underline the importance, above all because we culturally act within a Region like Tuscany, which for decades has played a major role in representing Italy throughout the world.

The users (and potential co-protagonists) of the Convention
We like to think of a very diverse audience of participators made up of:
representatives of public bodies linked to the safeguard and promotion of cultural landscapes
representatives of institutions and entrepreneurial forces, which act inside the territory as catalysts or distributors of financial resources, promoting innovative technology, projects and programmes of environmental modification
figures who actively operate in projects involving conservation, restoration and territorial upgrading, together with the creation of new artefacts (archaeologists, art historians, architects, engineers, landscapists…)
figures involved in the institutional media (communicators, journalists, essayists) or the emerging world of the “network culture”, with the production of content from the lower ranks, through the net’s processes
citizens who simply interpret the “Stones of identity” as their own.

Prof. Alfonso Acocella
Scientific director of the “Pietre di Toscana” project and curator of the “Pietre dell’Identità” Convention.

Pietre dell’Identità
15 gennaio 2007
Complesso di S. Micheletto

Via S. Micheletto angolo Via Elisa – Lucca

Informations:
piera.deluca@lucense.it

Lucca
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9 Gennaio 2007

Eventi

Pietre dell’Identità. Convegno a Lucca

Complesso Monumentale di S. Micheletto
15 Gennaio 2007

Invito Pietra della Identità______________________________________________________________

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Come nasce il Convegno
Il Convegno “Pietre dell’identità” si pone come momento “conclusivo” (e, contemporaneamente, di apertura verso l’esterno) del progetto territoriale interprovinciale “Pietre di Toscana” promosso dalla Regione Toscana (Assessorato alla Cultura, L.R. 33/2005, “Le età del presente”) nel 2006.
“Pietre di Toscana” è iscritto nel più ampio progetto e scenario culturale de “L’architettura di pietra” sostenuto dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Lucca e da Lucense Scpa, senza soluzione di continuità a partire dal 1999.
Fra i numerosi partner territoriali che hanno aderito al progetto “Pietre di Toscana”, la Fondazione Licia e Carlo Ludovico Ragghianti di Lucca è, in questa iniziativa specifica, istituzione scientifica di riferimento (il convegno si svolgerà nel centro congressi del San Micheletto, sede della Fondazione stessa) con il contributo culturale del suo direttore, Professor Vittorio Fagone, che ha condiviso le scelte progettuali del curatore del Convegno.
La Lucense è, invece, la struttura responsabile dell’organizzazione operativa dell’evento.
La titolazione del Convegno “Pietre dell’identità” accoglie l’incipit di un saggio di Salvatore Settis che ben esprime e sintetizza il baricentro concettuale e problematico intorno a cui si muove l’intero progetto regionale, nazionale ed internazionale de “L’architettura di pietra”.

Temi proposti
Attraverso il Convegno si intende enunciare e portare in evidenza il valore dell’identità – individuale e collettiva – posta in relazione agli “erosivi” processi di una società multiculturale e a quelli “smaterializzanti” di un economia sempre più globalizzata, evidenti anche all’interno del nostro stesso Paese.
Da tale assunto problematico generale la proposta per i relatori ufficiali invitati a Convegno è di indirizzare ed approfondire il senso e il significato contemporaneo del vasto e variegato patrimonio culturale dell’Italia fatto di paesaggi, città, architetture, monumenti, beni artistici, (ma anche di artefatti e prodotti tipici di qualità) di stili di vita “la cui unicità per gli italiani è motivo di identificazione e di orgoglio” (Salvatore Settis, “Le pietre dell’identità”, Il Sole 24 ore inserto culturale Domenica 13.11.2005).
Attraverso specifici focus – afferenti alle strategie di politica culturale e al diverso ruolo esprimibile attraverso discipline diverse quali archeologia, architettura, arte, new tecnology – si intende sottolineare nel Convegno la necessità, nello scenario complesso e globalizzato della società contemporanea, di una loro ricomposizione problematica e strategica.
Tema di fondo del Convegno “Pietre dell’Identità” è l’affermazione della necessità di transidisciplinarietà e di tensione verso la concezione di progetti culturali complessi per la politica culturale – e la stessa economia – dell’Italia.

Obiettivi
Finalità di “Pietre dell’identità” è di approfondire e dibattere il tema dell’identità culturale esplicitando, al contempo, il ruolo sociale e economico degli artefatti che ne stanno all’origine e che hanno fissato indelebilmente, attraverso la “nuda pietra”, il paesaggio antropizzato del Paese
Obiettivo del Convegno è ricondurre il “paesaggio di pietra” ad un orizzonte di intelligibilità, di riconoscimento e di “aggiornata” visione di messa in valore.
Il nuovo terreno di competizione delle società contemporanee avanzate è legato allo “sprigionarsi” di energie intellettuali abilitanti il patrimonio antico e contemporaneo (patrimonio materiale ed immateriale allo stesso tempo) che fanno leva sulla creatività e sull’innovazione culturale, sulla narrazione e la comunicazione, sulla new tecnology e aggiornate modalità di fruizione.
Molti dei tratti che “vestono culturalmente” prodotti e i servizi offerti all’interno dell’economia globalizzata – sempre più legata a transazioni esperienziali con fruizione diretta o differita – hanno a che fare con il contesto, con le tracce fisiche e simboliche espresse dai luoghi attraverso i linguaggi delle città, dell’architettura, dell’arte, della letteratura degli stili di vita.
E il territorio d’Italia da questa prospettiva non è secondo a nessuno quanto ad imponenza e diffusione di testimonianze sedimentate, quanto a qualità, suggestioni e a considerazione che riceve dal mondo intero.
È questo il capitale materiale ed immateriale di cui vorremmo – attraverso il Convegno – sottolineare l’importanza, soprattutto perchè agiamo culturalmente all’interno di una Regione come la Toscana chiamata, da decenni, a svolgere un ruolo da protagonista nel rappresentare l’Italia nel mondo intero.

Alfonso Acocella
Responsabile scientifico del progetto “Pietre di Toscana” e curatore del Convegno “Pietre dell’identità”


Pietre dell’Identità
15 gennaio 2007
Complesso di S. Micheletto

Via S. Micheletto angolo Via Elisa – Lucca

Per informazioni e iscrizioni al convegno:
Segreteria organizzativa del Convegno
LUCENSE

tel. 0583493616
fax 0583493617

piera.deluca@lucense.it

Mappa Lucca

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4 Gennaio 2007

PostScriptum Principale

Pietre dell’identità. Il Passato che è davanti a noi

Mura di Lucca
Mura di Lucca (foto: Mario Ciampi)

Identità
Siamo oggi ad un difficile ed incerto crocevia in cui l’identità individuale e collettiva – insieme ai valori di Storia e di Nazione – vacilla, o quantomeno si presenta con i caratteri dell’ambivalenza; da molti è messa in discussione (se non addirittura ritenuta in uno stato di crisi, riferendosi ai processi multiculturali e a quelli di globalizzazione pervasivi e destabilizzanti in atto), da altri invece – in forma completamente opposta – è additata come argine di resistenza della civiltà e per alcuni addirittura piattaforma economica abilitante su cui investire, soprattutto per i Paesi – come il nostro – carichi di retaggio storico, di valori ambientali e culturali (appunto “identitari”) unici e non riproducibili.
Il concetto di identità è, indubbiamente, tema complesso e molteplice, articolandosi attraverso variegati livelli di problematicità ed interpretabilità.
Identità è parola che evoca appartenenza a una sfera psicologia individuale e a un contesto culturale più ampio, ma anche a luoghi fisici e topologici, oltre che ad una socialità relazionale condivisa; è ricchezza (in quanto ci consegna ad una totalità che di riflesso viene fatta nostra e sembra appartenerci, arricchendoci) ma è anche vincolo in quanto delinea orizzonti, definisce confini, impone rispetto per convenzioni, restringendo lo spazio delle libertà e condizionando a vivere, in qualche modo, all’interno di valori riconosciuti e condivisi.
Siamo tutti indirizzati a “costruire” una identità personale che si inscrive e si modella inevitabilmente all’interno di una dimensione identitaria più generale legata all’idea di gruppo sociale, di linguaggio, di Nazione, oggi spinta a confrontarsi, a slargarsi nella dimensione europea (sia pur tutta in fieri) e in quella globale di un mondo interconnesso e pervaso dai media.
Nel suo definirsi l’identità – così come evidenzia Umberto Galimberti sulle pagine di Repubblica – può essere valutata come l’affermazione del sè individuale all’interno dei vincoli più generali imposti alla nostra esistenza terrena:
“Abbiamo un vincolo genetico dove il modo ineluttabile è scritta tutta la nostra vicenda biologica. Abbiamo un vincolo morfologico per cui un brutto corpo non ha la stessa sorte di un bel corpo. Abbiamo un vincolo culturale per cui l’essere nati in Occidente non ci consegna allo stesso destino di chi è nato in terre più diseredate. Abbiamo un vincolo familiare da cui dipende la nostra educazione, quando non la nostra cultura che in gran parte decide il nostro futuro. Abbiamo un vincolo psichico per cui traumi ed esperienze della prima infanzia incidono sulla nostra modalità di fare esperienza. Abbiamo infine una nostra visione del mondo che se da un lato ci consente di orientarci, dall’altro ci limita. Io chiamo tutti questi vincoli “nostra identità” che vedo in grande conflitto con la nostra presunzione di “libertà”.” 1

Mura di Lucca
Mura di Lucca (foto: Mario Ciampi)

Identità culturale
I diversi vincoli a cui ci rimanda Umberto Galimberti annunciano come la nostra identità si formi dialetticamente (e mai deterministicamente) risultando condizionata ed arricchita – allo stesso tempo – dalle varie sfere del sociale e dai contesti fisici in cui è immersa l’esperienza di vita. Più che di identità plasmata una volta per tutte è logico parlare di identità in continua “riscrittura” visto che – coscientemente o meno – ognuno di noi assume molteplici sfere identitarie, ambiti di appartenenza e percorsi esperienziali.
Vorremmo soffermarci, nelle note che seguono, sull’identità culturale degli individui (degli italiani in particolare) che comporta l’assunzione di una lingua madre, di una religione, di paesaggi quali orizzonte di riferimento, di una serie identificabile artefatti fisici (città, architetture, monumenti, libri, opere artistiche od oggetti di uso comune), ma anche di stili di vita, di abitudini e gusti alimentari. A questo stato di cose identità corrisponde generalmente l’idea di identità collettiva con la conseguente accettazione di leggi, interdipendenza economica che passa attraverso il budget di Stato e le sue imposte, la solidarietà, l’assistenza sanitaria, la scuola ecc.
Che il concetto di identità nazionale, per quanto riguarda il nostro Paese, non rappresenta un valore completamente superato ed obsoleto “lo mostra – come afferma Salvatore Settis, a cui siamo debitori del titolo del Convegno in prossimo svolgimento a Lucca – il rapporto con il nostro patrimonio culturale la cui unicità è per gli italiani motivo di identificazione e di orgoglio. L’Italia emerge per la speciale intensità e capillarità della diffusione del patrimonio culturale e paesaggistico sul territorio, per un modello senza pari di conservazione contestuale. Nelle nostre città, una chiesa, un palazzo, è degno di essere conservato in sè, ma soprattutto in quanto appartiene, con cento altre chiese e palazzi, a un’unica, fittissima trama. In questo insieme, prodotto di un accumulo secolare di ricchezza è civiltà, il totale è maggiore della somma delle sue parti.” 2

Mura di Lucca
Mura di Lucca (foto: Mario Ciampi)

Patrimonio culturale come valore economico
Spostandosi in una sfera più generale e riguardando il problema dell’identità del Paese dall’orizzonte del dibattito economico degli ultimissimi anni rileviamo l’affermarsi di nuove visioni e politiche locali indirizzate a promuovere ricchezza – nell’epoca dei mercati globali sempre più omologati quanto a prodotti e servizi disponibili partendo dalle peculiarità paesaggistiche e ambientali, dalle produzioni tipiche espresse dal territorio.
Tutelare e valorizzare il patrimonio territoriale in senso lato (paesaggi culturali, città, architetture, opere d’arte) insieme ai manufatti artigianali di qualità e alla filiera eno-gastronomica dei prodotti certificati e protetti, è oramai parte integrante di una visione e di politiche economiche in atto.
Molti voci autorevoli affermano, concordemente, che il nostro Paese potrà avere ancora un ruolo autorevole nello scenario competitivo dell’economia europea e globale solo capitalizzando coscientemente e valorizzando strategicamente – in una prospettiva qualitativa – il patrimonio materiale ed immateriale di cui disponiamo. Un patrimonio che ci è consegnato dal passato ma che spetta a noi saperlo proiettare verso il futuro.
Si discute con una certa ricorrenza di soft economy, ovvero di un’economia che trae alimento dal territorio e dalle comunità in esso insediate, dalle produzioni tipiche dei luoghi dove la messa in valore (più che la distruzione o il “congelamento”) dell’eredità consegnata dal passato è contrassegnata dagli apporti di conoscenza e innovazione compatibile.
Il nuovo terreno della valorizzazione è quello in cui il patrimonio storico e il sapere tradizionale (ma lo stesso vale per le “produzioni del nuovo”) intercettano e accolgono il binomio cultura-creatività come piattaforma abilitante.
È sempre più evidente come oggi sia necessario creare intorno al bene economico (sia esso prodotto, servizio o esperienza di vita) un contesto culturale e comunicativo ampio capace di renderlo unico, appetibile, desiderabile in funzione di qualità aggiuntive estrinseche (poste in sommatoria di quelle intrinseche): qualità esterne, ma correlate in qualche modo al bene da valorizzare inscritte nella visione di un economia del desiderio e dell’attesa di esperienze memorabili (sensoriali ed intellettuali ad un tempo) che slarga la concezione più tradizionale di consumo tutta incentrata sul prodotto tangibile, solido e seriale, così come ci aveva abituato l’economia industriale e manifatturiera.
Molte di queste qualità che “vestono” i beni, i prodotti e i servizi offerti sul mercato hanno a che fare con il contesto, con le tracce fisiche e simboliche espresse dai luoghi attraverso i linguaggi delle città, dell’architettura, del design, dell’arte, della letteratura, degli stili di vita.
E il territorio d’Italia da questa prospettiva non è secondo a nessuno quanto ad imponenza e diffusione di testimonianze sedimentate, quanto a qualità, a suggestioni e a considerazione che riceve dal mondo intero.
È questo il capitale materiale ed immateriale di cui vorremmo – attraverso il Convegno di Lucca – sottolineare l’importanza, soprattutto perchè agiamo all’interno di una Regione come la Toscana chiamata da decenni a svolgere il ruolo fondamentale nel rappresentare l’Italia nel mondo intero.

Mura di Lucca
Mura di Lucca (foto: Mario Ciampi)

I beni culturali. Conservazione (fisica) e Innovazione (comunicativa)
Alla base della nuova visione che intende rinnovare la vocazione italiana alla qualità vi è l’attesa – nei confronti di quanti coordinano la tutela e la valorizzazione dell’immenso patrimonio culturale e delle stesse forze imprenditoriali che operano sul territorio – di introdurre processi creativi ed innovativi di natura culturale, tecnica, amministrativa indispensabili oggi per riaffermare le espressioni uniche del Paese nello scenario europeo e globale.
Una discussione rivolta a questi temi propone il Convegno “Pietre dell’Identità”, promosso dalla Fondazione Licia e Carlo Ludovico Ragghianti insieme a Lucense di Lucca ed interessato a mettere a fuoco il valore identitario del Paese che attinge prevalentemente all’eredità del passato (fatta di paesaggi unici, di un patrimonio artistico eccezionale, di prodotti regionali e locali variegati, di saperi e magisteri artigianali) per proiettarlo al futuro sottolineando la necessità di progetti transdisciplinari incentrati su conoscenza, ricerca ed utilizzo creativo delle nuove tecnologie comunicative.
La direzione del percorso da intraprendere è solo apparentemente scontata ed univocamente orientata. I beni paesaggistici, ambientali, artistici sono nel nostro Paese prevalentemente di natura storica; poche, rarissime, le aggiunte o le trasformazioni contemporanee di segno positivo (la storia recente è andata così e bisogna prenderne atto, sperando in un diverso futuro); il lavoro che ci aspetta, per necessità, conseguentemente potrebbe apparire rivolto alla sola conservazione della tradizione, alla tutela delle tracce del passato concentrandosi sullo sforzo di conoscenza e di trasmissione rivolto alla ristretta cerchia degli specialisti.
In realtà, benchè il nostro patrimonio nazionale è rappresentato da una eredità che prevalentemente sta alle nostre spalle, il compito del presente deve spingersi oltre l’azione, pur ineludibile, della conservazione e di un sapere tradizionale per intercettare e sollecitare nuove visioni, conoscenze e soprattutto produrre fruizione estesa ad una utenza vasta.
Oggi la valorizzazione dei patrimoni storici si gioca nella ricerca del difficile equilibrio tra le codificazioni dello statuto disciplinare della tutela (rivolta alla difesa dei valori del passato) e la dinamicità della conoscenza e della fruizione in termini di consumo culturale (diventate sempre più di “esperienze di vita”) sospinte dall’energia e dalla connettività della società dell’oggi.
Si deve registrare la mutazione del profilo dell’utenza che da ristretta ed elitaria è diventata oramai ampia se non addirittura di massa e, spesso, de-localizzata topologicamente rispetto ai beni culturali di riferimento (il cui primo avvicinamento – e conoscenza – si effettua da lontano nello spazio immateriale delle reti grazie alle nuove potenzialità dei canali comunicativi).
Gli apporti del presente, se non partecipi attraverso aggiunte o trasformazioni fisiche del paesaggio contemporaneo ereditato, possono essere recuperati attraverso inedite ed innovative modalità di offerte culturali e di fruizione.
Come sappiamo, oggigiorno, all’interno di processi economici di valorizzazione del patrimonio e delle risorse territoriali fortemente correlati a fattori di creatività, chi non aggiorna ed evolve il proprio strumentario tradizionale di conoscenze e di operatività è destinato a non intercettare le mutazioni sociali in atto ed essere proiettato ai margine della produzione del valore e della ricchezza (necessaria, quest’ultima, alla stessa onerosa azione di tutela).
Inscritte in questo nuovo orizzonte problematico si spiegano alcune politiche culturali recenti che iniziano a sperimentare percorsi non consueti per comunicare ai cittadini il significato e il valore del patrimonio storico del Paese.
Il nodo problematico principale da sciogliere è come rendere partecipi le testimonianze e i valori identitari del passato soprattutto alle giovani generazioni non più formate ad una visione tradizionale e stabile del sapere; quelle generazioni tanto veloci e “voraci” nell’apprendimento, quanto abituate a processi ed orizzonti culturali fluidi; le generazioni, per intendersi, figlie della cultura network e dei dispositivi mobili di comunicazione, sottoposte ad un continuo rimodellamento delle identità personali.
La decisione di fondo è se cercare di andare, in qualche modo, incontro alla nuova società che si alimenta ad un “sapere sintetico” fatto di immagini, di narrazioni trasmesse elettronicamente, provando presentare, a raccontare le tracce della nostra civiltà in modo chiaro (e accattivante) rinunciando semmai a quelle “cripticità” tipiche degli specialismi disciplinari esasperati di tipo accademico.
È questo, forse, l’unico modo per far emergere all’evidenza di una cittadinanza vasta, le “pietre dell’identità”, per rinsaldare i caratteri identitari dell’Italia.
D’altronde un già evidente processo di innovazione ha iniziato a ri-presentificare in forma inedita i beni culturali del Paese, portando anche un certo scompiglio entro la staticità dei canoni e dei modi convenzionali di pensarli e di comunicarli.
Così vediamo le stanze fisse e immote, da tempo, dei musei – figlie della tradizione ottocentesca – che si avviano, sia pur lentamente, ad essere trasformate in contenitori di esperienze culturali attive e coinvolgenti grazie all’apporto delle nuove tecnologie e servizi dedicati; inoltre, ai musei fisici si affiancano musei virtuali (“specchianti” quelli reali) o inediti spazi con mostre ed istallazioni digitali che riunificato nel cyberspazio le opere di artisti dislocate e disperse in collezioni lontanissime fra di loro ridistribuendone i contenuti fuori dai vincoli di spazio e di tempo connessi alla fruizione tradizionale.
Altre volte – e sempre più ricorrentemente – ci si indirizza verso una diversa restituzione della cultura con la ricerca, la valorizzazione dei caratteri più affabulativi e scenografici (coinvolgenti la stessa sfera emozionale) riversandoli in nuovi format comunicativi esperienziali di sequenza “passante” quali quelli dei grandi eventi o – seconda la moda degli ultimi anni – del festival (ne esistono oramai di archeologia, di architettura, di letteratura, di cinema ecc) che investono intensamente per giorni, se non per settimane, intere città.
La messa in scena dei contenuti in una cornice spaziale di spettacolarità emozionale si associa in questi casi (attingendone linfa vitale) alla produzione di movimento e di incontro delle moltitudini – protagoniste come sappiamo di quella condizione contemporanea fluida e nomadica di massa – che si spostano per convergere verso il luogo dell’evento e per “consumarlo”, spesso voracemente, producendo – a loro volta, esse stesse – narrazioni sintetiche grazie ai nuovi dispositivi di registrazione e di trasmissione elettronica di immagini, di parole, di testi diffusi nell’etere in quella inedita atmosfera di cultura network e di consumo tecnologico di informazioni che contrasssegna in modo del tutto rivoluzionario l’avvio del nostro terzo millennio dove il concetto di autorialità si è sostanzialmente modificato.
In questo nuovo scenario si spiega quanto è accaduto a Roma, molto recentemente, dove una “folla da rock”, composta da più di 5000 persone, rimane lungamente in fila all’Auditorium per assistere al primo appuntamento delle Lezioni di storia. “I giorni di Roma”, dove l’archeologo Andrea Carandini da conto delle sue ricerche, o meglio, “racconta” la nascita della città eterna a partire dai ritrovamenti degli ultimi scavi condotti presso le pendici del Colle Palatino condensandoli nella lectio magistralis: “21 Aprile 753 a. C. La fondazione della città”.
Carandini, intervistato da Repubblica, riporta – insieme all’evidenza del grande successo di pubblico – il senso di maggiore soddisfazione dell’iniziativa consegnato da due ragazzi che, pur non essendo riusciti ad assistere alla lezione (la capienza della struttura ha limitato a 1400 i fruitori dell’evento), hanno voluto testimoniare il motivo della loro partecipazione, del “volerci essere a tutti i costi”, in quanto – queste le loro parole – “Roma è la nostra città”.
È forse questa una testimonianza singolare, fra le tante che si potrebbero citare, di come da parte dei giovani c’è una domanda di partecipazione, di identificazione con la cultura dei luoghi e delle città. La vera innovazione oggi è quella che attui, parallelamente al “disseppellimento” e alla tutela delle “nude pietre”, una serie di progetti culturali transdisciplinari ed intriganti percorsi comunicativi, capaci di “raccontarle” affinchè il cittadino possa appropriarsene coscientemente come un bene comune, come parte integrante della propria identità.
In questa direzione le pietre antiche, insieme a quelle moderne e contemporanee, si presentano non come proprietà degli archeologi, dei restauratori, degli storici, degli architetti o dello Stato che le tutela investendo immense quantità di risorse in ossequio ad un principio passivo, ma come dote viva della collettività che le conserva e allo stesso tempo le “virtualizza” attraverso processi di conoscenza, di narrazioni e di partecipazione-fruizione per tramandare civiltà ed identità, ma anche per sviluppare economia.
È necessario esplorare strade nuove ed efficaci per consegnare alla contemporaneità l’empatia verso il paesaggio, i monumenti e tutto ciò che ancora ci fa avvertire e sentire di “essere italiani”.
Ricreare una sensibilità estetico-contemplativa, che fu tipica e condivisa dalle èlites ristrette e cosmopolite nella stagione del Gran Tour, su una diversa e ben più estesa cittadinanza non è cosa facile ma è la direzione di marcia che dovrebbe darsi ogni vero progetto di Stato o delle Regioni a tutela e valorizzazione del proprio patrimonio identitario.
Non basta più riportare alla luce corrose pietre, puntellare e risarcire spezzoni di muro, fare largo intorno alle rovine avendo in mente unicamente l’interesse e la preparazione dello specialista.
La società intellettuale deve attrezzarsi a raccontare la storia e saper coinvolgere, attraverso i resti del passato (le nostre “pietre dell’identità”), le giovani generazioni.

Alfonso Acocella

Note
(1) Umberto Galimberti, “Come si costruisce l’identità di un individuo, Noi, condannati alla solitudine”, La Repubblica 13.2.2006, p. 37.
(2) Salvatore Settis, “Pietre dell’identità. Noi e le città: perchè gli italiani sono così legati al proprio patrimonio storico-culturale”, Il Sole 24 ore. Domenica 13.11.2005, p.1.

ARTecontemporaneaPorto Franco Regione Toscana

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25 Dicembre 2006

Citazioni Pietre dell'identità

Pietre dell’identità. Incipit

Foro di Augusto
Roma. Foro di Augusto. (foto: Alfonso Acocella)

“Nella globalizzante realtà contemporanea – a scala ben più ampia dunque di quella urbana – si disegnano oggi prospettive nuove nel rapporto centro-periferia, che incoraggiano a “decentrare” o a “provincializzare” in un rapporto che non ha nulla a che fare con una “sostituzione vendicativa” dei luoghi più “periferici” (che, per altro, hanno già acquistato un’importanza e un ruolo “centrali”), nè col “ripudio” di una storia oramai sedimentata. Quella che si va prospettando è piuttosto una sfida, lanciata per scoprire come una eredità culturale che appartiene a tutti e interessa tutti, possa essere sostanzialmente, magari proprio dai margini, rinnovata.
Nell’Alessandrite di Leskov il narratore riflette sulla misteriosa figura del vecchio Vercel, conoscitore ed esperto tagliatore di pietre preziose, che gli sembra provenire da un tempo lontano in cui “le pietre, nelle viscere della terra […] avevano a cuore la sorte degli uomini; non come oggi, che tutto si è raffreddato ed esse non hanno più nè voce nè ascolto. Ci sono oramai molte nuove pietre tutte misurate, pesate, confrontate per densità e compattezza, ma che non ci dicono più nulla e non servono più a nulla: il loro tempo di parlare con gli uomini è finito, sono ‘maestri di eloquenza’ trasformatisi in ‘pesci muti’ “.
È un po’ così. Ma come l’alessandrite, quella singolare pietra che cambia colore in relazione alla luce che riceve (verde di giorno e rossa di notte), anche le nostre nude pietre possono cambiare colore e, sotto una nuova luce, ricominciare a parlare”. ” 1

Andreina Ricci

1 Andreina Ricci, “Progetto archeologico e racconto” p.158, in Attorno alla nuda pietra (Archeologia e città tra identità e progetto), Roma, Donzelli, 2006, pp. 159.
La citazione di N.S. Leskov – tratta da “Aleksandrit”, in Nov’ n.6, 1884 – è stata tradotta da Nicoletta Marcialis.

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Rete e virtualità: nuovi strumenti di conoscenza per le realtà litiche del territorio toscano

Pietrasanta
Museo immersivo di Pietrasanta. Preview.

Cultura e innovazione
Ormai da qualche anno un nuovo settore sta subendo un consistente sviluppo; stiamo parlando dell’ambito delle “tecnologie virtuali”, all’interno del quale la collaborazione tra il laboratorio Percro di Pisa ed il centro servizi Lucense di Lucca, grazie ai finanziamenti di Regione Toscana, Camera di Commercio, Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca ed al supporto della Associazione degli Industriali e della Fondazione Ragghianti, ha portato alla realizzazione di un meeting informativo e di confronto transdisciplinare, “Arte, Territorio e Ambienti Virtuali: cantiere tecnologico tra realtà e virtualità”, tenutosi a Pietrasanta il 6 dicembre 2006 presso il complesso Ex Luisi.
Arte e new technology al centro di un interessante dialogo che ha visto protagonisti i nuovi panorami informatici al servizio dello sviluppo economico e culturale del ventunesimo secolo. Nuovi strumenti a disposizione di contesti industriali e beni culturali che, in costante evoluzione, stanno aprendo nuovi orizzonti di studio e di conoscenza: musei virtuali, nuove tecniche di analisi, studio e sperimentazione, questi gli obiettivi della collaborazione fra Lucense e Percro, che da tre anni cooperano in questo nuovo campo di ricerca.
L’incontro di Pietrasanta, coordinanto dall’Ingegner Mauro Fenili, responsabile tecnico di Lucense, ha visto protagonisti la Dottoressa Cristina Martelli, dirigente della Camera di Commercio di Lucca, Alfonso Acocella, Professore e Architetto dell’Università di Ferrara e l’Ingegnere Marcello Carrozzino del laboratorio Percro di Pisa.
All’interno dell’ampio progetto di rinnovamento e sviluppo del settore lapideo della Provincia di Lucca, il tema della realtà virtuale assume un importante ruolo di innovazione. Nella varietà di progetti che stanno per essere avviati o che sono già in fase di studio, l’idea di utilizzare la virtualità nel settore culturale e della promozione economica delle risorse del territorio va a rispondere a difficoltà spesso insormontabili. Percorsi propedeutici, ricostruzioni virtuali di realtà scomparse o restituzione di opere giacenti in luoghi non accessibili possono essere contributi intelligenti ad un settore oggi in crisi. L’idea di un museo virtuale, primo prototipo di un vero e proprio museo per la città di Pietrasanta, tende a coinvolgere il territorio attraverso la sensibilizzzione dei potenziali fruitori. È così che scuole, aziende e studi professionali sono coinvolti in iniziative atte alla creazione ed allo sviluppo di nuove idee e contributi. Fra queste l’Ing. Carrozzino presenta l’iniziativa svolta dal laboratorio Percro durante il mese di maggio 2006, stage giornalieri rivolti alle scuole dove l’utilizzo delle nuove tecnologie diviene spunto per il coinvolgimento degli studenti in un concorso di idee, per il quale la giornata di Pietrasanta diventa momento di premiazione.
Oltre a questo, i rappresentanti di Percro presentano la prima realizzazione del Museo Virtuale di Pietrasanta: una proiezione in stereoscopia viene visualizzata su uno schermo cilindrico che offre al visitatore la possibilità di navigare nell’ambiente e modificare in tempo reale il punto di vista. La ricostruzione della piazza di Pietrasanta, diviene palcoscenico virtuale all’interno del quale ricostruzioni tridimensionali di sculture appartenenti al Museo dei bozzetti, possono essere visualizzate secondo infinite angolazioni.

Ma cos’è Percro?
Acronimo di Percectual Robotic, “Percro” è il nome di uno dei laboratori di ricerca della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Nato all’inizio degli anni Novanta in risposta ad un input proveniente dalla californiana Standford University, l’attività di ricerca di Percro parte dalla robotica percettiva per svilupparsi attraverso molteplici campi riassumibili nei tre concetti base di: Simultaneous Presence, Telepresence and Virtual Presence.
“The first floor of the Standford University bookstoore is where I first encountered the term Perceptual Robotics”, scrive il Professore Massimo Bergamasco, fondatore ed attuale Direttore del laboratorio. “It was March 1990, I had a glance through the pages of the book “Vision and Action: The control of Grasping”, edited by Melvyn A. Goodale, the word “perceptual robotics” were written at the end of the Chapter on “Haptic Exploration and Object Representation” by Susan J. Lederman and Roberta Klatzky. The term perceptual robotics was gently stored in my mind since that day”.
Massimo Bergamasco ha appassionatamente custodito nella propria mente questo concetto, arrivando alla creazione di un innovativo centro di studi che riunisce oggi 40 persone con competenze che vanno dall’ingegneria meccanica ed elettronica, all’information technology, alla grafica ed all’economia. Risorse umane e tecnologie informatiche collaborano nello sviluppo di tecnologie robotiche, ambienti virtuali e teleoperazione. Haptic interfaces, esplorazione e manipolazione di oggetti virtuali, telemanipolazione, visualizzazione di ambienti virtuali ad elevato grado di complessità e human interaction nei sistemi robotici, sono le tematiche principali con cui le ricerche di Percro si confrontano ed attraverso le quali Percro sta cercando di esplorare nuovi percorsi al servizio del mondo della produzione, dei settori culturali e dell’ambito medico.

Virtualità e territorio litico: il museo virtuale del marmo delle Alpi Apuane

All’interno di questi nuovi orizzonti culturali il mondo della liticità tenta di aprirsi un varco. Alfonso Acocella, promotore di un ampio progetto sull’architettura di pietra, ne racconta la storia che, partendo da parole fissate sulla carta, si è spostata lungo percorsi e flussi di pensiero che viaggiano nel web spingendosi fino ai nuovi campi della virtualità immersiva.
Il primo passo di questa feconda avventura è stato quello di un periodo quinquennale (1999-2004) di ricerca, studio e scrittura, che ha portato alla realizzazione di un libro: “L’Architettura di Pietra”. Importante esperienza culturale, il libro stampato si diffonde a livello nazionale e, tradotto in inglese da Skira che ne acquista i diritti, si apre all’orizzonte internazionale. Il prodotto cartaceo, affascinante luogo dove le idee si “solidificano” per trasformarsi in testimonianza, esprime la propria natura, oltre che autoriale ed unidirezionale, definitiva.
È attraverso questa consapevolezza che il progetto si rinnova e muove alla ricerca di nuovi sviluppi e realtà comunicative. Nella virtualità “l’architettura di pietra” trova le nuove dinamiche cercate, un mondo aperto dove lo scambio culturale si moltiplica, dove la rete dà la possibilità di creare un blog multimediale editato nel gennaio del 2005. Un progetto di network globale, uno spazio ambivalente aperto all’architettura di pietra e calato sul territorio; luogo di condivisione e conoscenza, il libro cartaceo si è trasformato in libro virtuale.
Le crescenti possibilità offerte dalla tecnologia digitale, inducono però a non fermarsi, a cercare di esplorare ancora nuovi orizzonti. Le potenzialità offerte da Percro aprono nuovi scenari culturali e contribuiscono a sviluppare nuove idee. La possibilità di creare musei in virtualità immersiva può contribuire in maniera sostanziale anche alla conoscenza degli universi litici mondi inesplorati o difficilmente accessibili alla fruizione possono diventare oggetto di narrazioni e di paesaggi virtuali dove il visitatore entra, esplora, interagisce, impara. Nasce da queste nuove potenzialità comunicative l’idea di un Museo immersivo delle Alpi Apuane, la possibilità di avvicinare il pubblico ai marmi apuani ed alle loro diverse caratteristiche litologiche attraverso visioni tridimensionali del paesaggio e della materia stessa.
Le sonorità delle cave possono accompagnare il pubblico nella visita di un vero e proprio museo a padiglioni; singoli spazi formati da schermi retroilluminati all’interno dei quali il visitatore può – sia pur virtualmente – muoversi ed osservare la materia, i suoi colori, disegni, epidermidi, la sua consistenza mineralogica e le sue trasparenze, grazie ad immagini al microscopio che portano l’osservatore ad entrare virtualmente all’interno del materiale litico.
In questo modo si verrebbero a creare nuovi ambienti narrativi capaci di stimolare il pubblico ad un nuovo avvicinamento al mondo della pietra sconosciuto ai più, attraverso un’esperienza tangibile, didattica ed emozionale al tempo stesso.

Sara Benzi

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Villa dell’Aia Nuova a Scansano *

Aia Nuova Battuto cementizio del triclinio con reticolato a losanghe
Battuto cementizio del triclinio con reticolato a losanghe.

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La villa rustica di Aia Nuova è stata individuata lungo la riva destra del fiume Albegna, nell’omonima valle nella Maremma toscana, territorio vulcente conquistato da Roma fin dal III secolo a.C. e successivamente, in parte, assegnato alla colonia romana di Saturnia1. Il complesso – parzialmente scavato negli anni Ottanta da Mario Del Chiaro dell’Università di Santa Barbara (California) e restaurato dalla Soprintendenza per i Beni Culturali della Toscana2 – rappresenta un’emblematica testimonianza di una particolare tipologia edilizia, in cui gli apprestamenti residenziali (sale di rappresentanza, impianto termale) affiancavano quelli legati alle attività produttive, per la trasformazione dei prodotti agricoli coltivati. Nel corso del I secolo a.C., dopo le drammatiche lotte civili tra Mario e Silla, ville rustiche di questo tipo, espressione di una committenza di proprietari di livello medio-alto, sorsero in quest’area e rappresentano il segno tangibile di una profonda ristrutturazione del territorio.
Nella villa l’associazione di una diversificata tipologia pavimentale è adottata in base alla funzione dei singoli ambienti:
– nei vani di rappresentanza o destinati alla vita privata compare il battuto cementizio a fondo rosso con decorazioni lineari di tessere calcaree bianche con tappeto centrale in cementizio arricchito di scaglie in pietre di vari colori (in pianta n. 1, triclinium) o una campitura di cementizio con scaglie in pietre di vari colori a tutto campo (in pianta n. 4, oecus o sala di rappresentanza)3;
– nell’impianto termale, che occupa il settore sud-occidentale (in pianta nn. 8-15), è usato il commesso laterizio con elementi di varie forme, talora associati a tesserine di calcare4;
infine l’opus spicatum ricorre nell’area produttiva (in pianta n. 3), in parte nel vestibolo (in pianta n. 16) e, nel complesso termale, nella latrina (in pianta n. 8 ) e nei vani interpretati come apodyterium e frigidarium (in pianta nn. 9-10).
Aia Nuova pavimento a rombi
Pavimento a rombi dell’ambiente termale.
In un settore del vestibolo e nell’ambiente interpretato come tepidarium delle terme (in pianta n. 12) l’ordito delle tessere laterizie romboidali, in diverse tonalità, scandito dall’inserzione sistematica di tessere regolari di calcare, restituisce l’illusionistica rappresentazione dei cubi prospettici, con l’evidente intento di imitare l’analogo motivo, attestato nei più antichi pavimenti in opus sectile ed in mosaico.
La pavimentazione del calidarium delle terme (in pianta n. 15) è stata ricostruita – ed è attualmente visibile nel Museo Archeologico di Scansano5 – con gli elementi fusiformi e quadrati a lati concavi, recuperati durante lo scavo, che ripropongono uno schema di cerchi allacciati, con piccola tessera di calcare al centro. Tale espediente è documentato tra la fine del II e la prima metà del I secolo a.C. nell’area cisalpina ed adriatica, ma è significativamente attestato, a conferma della notevole diffusione e circolazione degli schemi iconografici e dei procedimenti tecnici propri delle pavimentazioni in laterizio, anche nelle più vicine città di Sovana e Bolsena.Aia Nuova pavimento calidarium
Dettaglio del pavimento del calidarium.Il sistema decorativo dei pavimenti in laterizio e battuti cementizi decorati della villa di Aia Nuova documenta infatti anche per quest’area di confine dell’Etruria Settentrionale, l’adeguamento ai criteri decorativi diffusi a Roma e in ambito romano negli anni della tarda repubblica e l’adozione di espedienti tecnici mutuati dalle aree di tradizione più colta, tra quelle collegate con Roma, come quella campana e soprattutto, per la contiguità geografica, il distretto che unisce la Valle Tiberina con le valli più interne fino a Bolsena e Sovana. L’impiego massiccio del laterizio nella villa di Aia Nuova, come in altri complessi analoghi della Valle dell’Albegna documenta al tempo stesso anche una fiorente manifattura locale di prodotti fittili di età repubblicana, in analogia con quanto finora conosciuto per la Cisalpina ed il Piceno6.Paola Rendini

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Note
* Il saggio è tratto dal volume (a cura di) Alfonso Acocella e Davide Turrini, Rosso italiano, Firenze. Alinea, 2006, pp.240.
1 Giulio Ciampoltrini – Paola Rendini, “Pavimenti in signinum e scutulatum dall’Etruria centro-settentrionale. Recenti acquisizioni”, in Atti del III Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico, Bordighera 1995, a c. di Federico Guidobaldi e Alessandra Guiglia Guidobaldi, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera 1996, pp. 247-260.
2 Mario A. Del Chiaro, “The Villa of Publius Anilius. A Roman Villa in the Maremma, Tuscany”, in “Le ville romane dell’Italia e del Mediterraneo antico”, Academic Meeting at the University of Tokyo, 1996, a c. di Masanori Aoyagi e Stephan Steingräber, The Institute for the Study of Cultural Exchange Faculty of Letters the University of Tokyo, Tokyo 1999, pp. 96-107; Paola Rendini, “I pavimenti a commesso laterizio della Regio VII: un aggiornamento”, in Atti dell’VIII Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico, Firenze 2001, a c. di Federico Guidobaldi e Andrea Paribeni, Edizioni del Girasole, Tivoli 2001, pp. 227-242.
3 Sulla recente puntualizzazione per le diverse tipologie di cementizi: Monica Grandi – Federico Guidobaldi, “Proposta di classificazione dei cementizi e mosaici omogenei ed eterogenei”, in Atti dell’XI Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico, Ancona 2005, a c. di Claudia Angelelli, Scripta Manent Edizioni, Tivoli 2006, pp. 31-38.
4 Per l’inquadramento, la classificazione e la definizione terminologica relativa ai pavimenti realizzati con elementi laterizi: Federico Guidobaldi – Lucia Gregori, “Pavimenti a commesso di mattonelle in laterizio di età romana. Indagine preliminare”, in Atti del III Colloquio cit. a nota 1, pp. 247-260.
5 “Museo Archeologico di Scansano”, a c. di Marco Firmati e Paola Rendini, Nuova Immagine, Siena, Siena 2002, p. 157.
6 Cfr. Rendini, art. cit. a nota 2, pp. 232-233.

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La manifattura degli alabastri di Volterra attraverso il XX secolo

Mascherone in Alabastro
Mario Urbani, mascherone in alabastro con finiture in metallo dorato, 1936

La grande crisi del XIX secolo
La fortuna che, dal 1850 al 1870, aveva accompagnato l’industria alabastrina cominciò a mostrare cenni di stanchezza a partire dal 1873, fino a sfociare nella generale crisi del settore che dal 1879 accompagnò l’alabastro fino all’inizio del nuovo secolo. Artigiani, commercianti e studiosi hanno espresso il loro giudizio in merito: fattori di crisi economici esterni alla particolare realtà litica del volterrano o deficienze nella qualità produttiva ed organizzativa, tendono a confondere le reciproche responsabilità.
Nel Maggio del 1879 venne istituita una commissione, con a capo il cav. Ricciarelli, avente il compito di giudicare alcune proposte sorte al fine di riordinare e migliorare la lavorazione della pietra di Volterra. I progetti presentati furono cinque: proibizione dell’esportazione della materia greggia, formazione di un unico grande deposito, di una fabbrica unica o comunque di una sorta di “lega” che riunisse fabbricanti, lavoranti e viaggiatori furono i temi principali, presentati nell’ottica di una nuova generale regolamentazione che riportasse l’equilibrio perduto nella produzione e nei commerci dell’industria volterrana1.
Queste proposte, spesso lontane dalle vere esigenze della classe artigiana, nel 1881, grazie all’opera dell’allora Sindaco di Volterra Maffei, portarono alla formazione di un primo Magazzino di Deposito2 che per i successivi quindici anni3 sviluppò una politica di sovvenzionamento della produzione più scadente, e dell’assorbimento di eccedenza di mano d’opera. L’operazione non ebbe molto successo, soprattutto per il fatto che non vennero dati limiti alla produzione e non venne creato un vero e proprio monopolio di acquisto, cosa che portò gli artigiani ad una sovrapproduzione di oggetti di basso costo e qualità, da poter vendere sia al “magazzino” che direttamente ai commercianti.
Ad eccezione di alcune botteghe come quelle di Giuseppe Bessi, Giovanni Topi e le fabbriche Mancini e Bolognesi, l’attività di questi anni si spostò verso una produzione di oggettistica scadente di gusto popolare, che pur non riducendo la quantità di merce prodotta e venduta, andò ad intaccarne il valore e la qualità.

La nascita della Società Cooperativa Artieri dell’Alabastro
Nel 1890, la crisi iniziò gradualmente a scemare. Negli ultimi anni il panorama dell’artigianato alabastrino si era gradualmente trasformato: la produzione stava ritornando alla tradizione delle botteghe artigiane ed il sistema commerciale dei “viaggiatori” stava perdendo la sua importanza.
Lo scenario produttivo rimaneva comunque debole, il pericolo di un imminente crollo portò presto i lavoranti ad esternare una seconda volta la necessità di riunirsi in un unico ente che ne salvaguardasse gli interessi e che contribuisse alla fortuna dei manufatti. Fu quindi nuovamente costituita una commissione atta allo studio di nuove dinamiche commerciali per il risollevamento dell’industria: questa, denominata “pro-alabastro”, grazie in particolare alla partecipazione di Onorato della Maggiore, un tempo intraprendente viaggiatore, portò alla formazione di una nuova società avente lo scopo di creare un monopolio della produzione: “Un magazzino unico al quale soltanto gli operai dovrebbero vendere i loro prodotti e dal quale soltanto i commercianti dovrebbero comprare la merce”4. Nacque così la Società Cooperativa Industriale degli alabastri, che si formò il 25 febbraio 18955 attraverso la disponibilità di un ingente capitale costituito dalla collaborazione degli stessi soci con il Comune di Volterra.
Solo dieci mesi più tardi la Cooperativa sembrava però già avviarsi al termine a causa della irrisorietà del capitale disponibile, della mancanza di una buona organizzazione di vendita e del controllo della materia prima. Fu Enrico Barbafiera che riuscì in extremis a salvare questa importante risorsa per l’industria volterrana: nel maggio 1899 questa si potè dire “fuori pericolo” grazie ad un ritorno ad un regime misto, alla diminuzione del numero dei soci, ad un considerevole ampliamento dei mercati esteri ed al rinnovo della produzione. Oltre ad un incremento delle opere scultoree, vennero introdotti nuovi modelli; in particolare la riproduzione di elementi architettonici come balaustri e colonne suscitò nuovo interesse da parte del pubblico.

Lampada in alabastro
Ruggero Merlini, lampada in alabastro. 1925 c.
(foto tratta da: M. Cozzi, Alabastro – Volterra dal Settecento all’Art Deco, Cantini ed., Firenze, 1986)

1900-1929: un trentennio di prosperità
L’inizio del nuovo secolo riportò vigore alla manifattura alabastrina; grazie in gran parte al contributo della Società cooperativa, nel 1904 circa, la crisi potè dirsi superata. La città di Volterra tornò a vivere del proprio artigianato, scaduto però in una produzione dozzinale di qualità mediocre che un articolo della rivista volterrana Emporium6 bene descrive: una cittadina dedita alla lavorazione del principale materiale donatole dalla propria terra, che ha pressochè abbandonato la produzione degli importanti oggetti artistici del diciannovesimo secolo, dando quasi esclusivo spazio ad una oggettistica da scrivania, a grossolane riproduzioni di personaggi storici ed elementi architettonici decorativi.
È sulla qualità dei manufatti che si comprese dover lavorare e progredire, per potersi assicurare una continuità nel ritrovato benessere; in primis, quindi, si doveva puntare alla “formazione”. Dal 1885 circa era maturata l’idea di una vera e propria scuola d’arte applicata all’industria, solo nel 1891 però questa assunse forma concreta con la nomina di tre principali insegnanti7. Fu in particolar modo Giuseppe Bessi che, direttore della scuola fino al 1910, ed insegnante fino al 1922, venne denominato “il Maestro”, divenendo una delle figure centrali della realtà volterrana di questi anni che, incentrando la propria attenzione sulla scultura a discapito dell’oggettistica, riuscì ad orientare il gusto della manifattura alabastrina per circa vent’anni. “Un percorso il suo, che, attraverso la particolare rapidità del modellato in gesso, il gusto nel fermare l’espressione all’istante, lo conduce ad un manierato impressionismo, ai primi del Novecento, tangente all'”arte nova”, ad un Liberty baroccheggiante8.
Nuovo interesse ed impegno che, con nuova intraprendenza portò ad impreviste fortune commerciali ed al riavvicinarsi alle principali Esposizioni Nazionali ed Internazionali9. Nonostante ciò si decise, nel 1906, di organizzare un’esposizione volterrana, che ebbe grande successo per l’indirizzo artistico che si andava affermando. La qualità dei prodotti subì un notevole progresso, informata spesso da stilemi provenienti dai nuovi movimenti culturali ed artistici che si svilupparono a livello nazionale durante i primi due decenni del secolo. Questi furono quindi caratterizzati dal continuo incremento delle vendite e dal generale miglioramento della produzione, che raggiunse tutto il mondo.

Vaso in alabastro
Angelo Mangiarotti, vaso in alabastro

Alabastro e design
Sul fronte dell’oggetto e del disegno industriale sembrava però mancare una guida; la produzione rimaneva legata all’ampio campionario esistente senza nuovi impulsi sperimentali. Ne è dimostrazione la difficile storia di Luigi Mengoli, abile ornatista, che nel 1910 subentrò con non poche difficoltà, alla direzione della Regia Scuola d’Arte applicata all’Industria. Ostilità nei confronti del Mengoli in realtà non troppo fondata, visto alcuni pregevoli lavori realizzati da lui e dai suoi pochi allievi che, seguendo una ormai inusitata linea ornatista, oltre a sperimentare nuove forme, testavano l’abbinamento dell’alabastro con altri materiali quali il ferro battuto, il bronzo ed il legno.
Gli anni ’20 riportarono comunque un certo interesse anche nei confronti dell’oggettistica. Importante fu un nuovo utilizzo dell’alabastro per l’illuminazione: plafoniere e diffusori per lampade elettriche realizzate con la pietra della castellina, che grazie alla sua trasparenza, si adattava egregiamente al nuovo impiego, contribuirono all’ampliamento degli orizzonti dell’industria alabastrina.
La manifattura volterrana continuava comunque a faticare nella ricerca di un vero e proprio rinnovamento linguistico. Colta dalla grande crisi del 192910 e dalla successiva inerzia del periodo bellico, la lavorazione stentò a risollevarsi negli anni a seguire.
Per quanto riguardava la ricerca di nuovi linguaggi, sporadici tentativi di risollevamento vennero fatti nei successivi decenni: dalla Triennale delle Arti Decorative di Monza del 1930, all’importante contributo dato da Umberto Borgna che, primo “designer” dell’alabastro, divenuto direttore tecnico-artistico della Cooperativa, dal’33 al 1940 partecipò in maniera determinante all’innovazione del linguaggio, recuperando l’uso delle pietre locali ritenute meno pregiate e studiandone nuovi abbinamenti e tecniche di lavorazione, per la creazione di manufatti di qualificata fattura ma di facile commercializzazione.
Una nuova fortuna degli anni Cinquanta sfociò nel boom produttivo degli anni Settanta, che presto riportò alla ricerca di nuove tipologie al servizio della qualità. Nel 1974 venne fondato il Consorzio Produttori dell’Alabastro con lo scopo di promuovere lo studio di nuove collezioni, venne creato un marchio di garanzia e, grazie al contributo della Cooperativa Artieri dell’Alabastro, ancora alla base di questa realtà produttiva, si cercò una nuova volta di sperimentare lessici innovativi per questo materia litica, attraverso la partecipazione di importanti designers.
La Società Cooperativa trovò nell’architetto milanese Angelo Mangiarotti la disponibilità alla ricerca di nuovi linguaggi11, il quale progettò e realizzò, insieme alla collaborazione degli artigiani volterrani, le interessanti collezioni “Élia” ed “Axia” che, pur portando nuovo gusto e raffinatezza all’oggetto in alabastro, non riscossero adeguato successo da parte del pubblico, che necessitava di prodotti maggiormente commercializzabili. Pur nell’aggravarsi della crisi, nuove collezioni di design vennero create negli anni successivi, importanti artisti come Ugo La Pietra, Carla Venosta, Elio di Franco e Prospero Rasulo, ispirati dal fascino della pietra volterrana, crearono interessanti oggetti che contribuirono quanto meno allo sviluppo culturale della realtà litica del territorio.

Sara Benzi

Vasi in alabastro
Angelo Mangiarotti, vasi in alabastro


Note
1 E. Fiumi, a p. 76 di La manifattura degli alabastri, (Nistri-Lischi ed., Pisa,1980) scrive: “le condizioni dell’industria andavano continuamente peggiorando. Quasi tutte le fabbriche furono costrette a chudere, determinando un numero impressionante di disoccupati, che provocarono seri tumulti”.
2 Questa società, organizzata in forma di cooperativa, era nata come tramite fra artigiani e commercianti, in maniera tale che le botteghe potessero sottrarsi dalla necessità di sottostare alle dinamiche di acquisto di commercianti privi di scrupolo.
3 La Società si sciolse il 26 aprile 1896.
4 M. Cozzi, Alabastro – Volterra dal Settecento all’Art Deco, Cantini ed., Firenze, 1986, p.128.
5 La Cooperativa venne avviata sotto la presidenza di Giulio Bianchi, accogliendo 472 operai e 35 apprendisti.
6 Aracne, “Gli alabastri di Volterra”, in Emporium, XXI,1905, pp. 460-471.
7 Giuseppe Bessi per disegno, figura e plastica; Amaddio Vignali per disegno architettonico e pittura decorativa; Antonio Pellicci per ornato.
8 M. Cozzi, op.cit., 1986, p.142.
9 Nel 1925, all’Esposizione Internazionale di Arti Decorative Moderne di Parigi, oltre alla partecipazione di alcune industrie volterrane, vengono presentate pregevoli opere di design che denotano un possibile salto qualitativo dell’utilizzo del materiale. Architetti e designers quali Louis Süe, Andrè Mare, Jaques- Emile Ruhlmann, Paul Follot e Pierre Chareau, presentano una ricca collezione di apparecchi d’illuminazione dove l’alabastro dialoga in maniera magistrale con argento, bronzo e ferro battuto.
10 Svariati articoli della rivista volterrana Il Corazziere, testimoniano la grande crisi che l’industria alabastrina attraversò nel corso degli anni Trenta.
11 A proposito delle collezioni di Mangiarotti, nella rivista “Casa” (n.3/1983), Carlo Santini scrisse l’articolo: Un Nuovo Destino per l’Alabastro.

Biobliografia:
– M. Cozzi, Alabastro – Volterra dal Settecento all’Art Deco, Cantini ed., Firenze, 1986
– Enrico Fiumi, “Il cinquantenario della Società cooperativa degli alabastri di Volterra (1895-1945”), in Rassegna Volterrana, XVII, 1946, pp.41-54.
– E. Fiumi, La manifattura degli alabastri, Nistri-Lischi ed., Pisa, 1980
– B. Hartmann, L’alabastro tra arte e produzione di massa –Storia di un artigianato artistico a Volterra, Cassa di Risparmio di Volterra S.p.A., Pisa, 1993
– Articoli vari di Il Corazziere, anni 1932-1933.

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Intervista a Luigi Maccari

Luigi Maccari
Luigi Maccari

Davide Turrini: Luigi Maccari da molti anni è impegnato nel proseguire la tradizione di escavazione del Giallo di Siena, uno dei marmi storici della Toscana; si tratta di un materiale prezioso e ancora largamente ricercato e apprezzato per le particolari caratteristiche estetiche che lo rendono protagonista nella realizzazioni di rivestimenti pavimentali e parietali e di raffinati partiti decorativi.
Luigi Maccari: Il bacino estrattivo del Giallo di Siena è abbastanza circoscritto all’interno del Comune di Sovicille nel comprensorio della Montagnola Senese. La tradizione di estrazione ed applicazione architettonica dei marmi gialli della Montagnola è antichissima, e si è sviluppata per molti secoli passando attraverso realizzazioni monumentali di grande valore, come il Duomo di Siena o la Cappella dei Principi in San Lorenzo a Firenze. Ancora oggi, per le peculiari doti di saturazione unite ad una grana materica particolarmente fine, il cromatismo giallo-dorato del nostro materiale è ineguagliabile.
Negli ultimi anni il mercato ha premiato il Giallo senese che ha potuto continuare ad affermarsi a livello mondiale anche grazie a due sostanziali innovazioni tecnologiche del settore produttivo dei lapidei. Da un lato l’aggiornamento dei processi di resinatura epossidica dei blocchi, attraverso sistemi industriali sottovuoto di particolare efficacia, ha consentito di operare un ottimo risanamento e consolidamento del materiale, risolvendo problematiche di fragilità e difficile lavorabilità da sempre connaturate alla struttura stessa del marmo; inoltre, sul versante più specifico della realizzazione del prodotto finito, l’applicazione della tecnologia water jet alla trasformazione dei lapidei, con le lavorazioni a traforo e ad intarsio ad essa connesse, ha esaltato le qualità decorative intrinseche del materiale, riportando il Giallo di Siena al centro di un certo mercato di target medio-alto.
Si può dire che i blocchi cavati nelle nostre cave vengono perlopiù commercializzati in ambito nazionale e sono indirizzati ai distretti di trasformazione di Carrara e di Verona, tuttavia, negli ultimi anni, si è registrato un crescente interesse nei confronti del materiale da parte di clienti del sud-est asiatico e dell’estremo oriente. I semilavorati e i lavorati in Giallo di Siena hanno poi un mercato finale d’elezione negli Stati Uniti d’America.

Marmo Giallo Siena
Dettaglio di un blocco di marmo Giallo di Siena (foto Davide Turrini)

D.T.: soffermiamoci sull’attività estrattiva e le caratteristiche del marmo.
L.M.: fino agli anni ’60 del secolo scorso le cave aperte nella Montagnola erano numerose e occupavano oltre 500 addetti, alcune aziende operavano anche la trasformazione del marmo fino alla realizzazione del prodotto finito; oggi, a fronte di una potenza dei giacimenti ancora consistente, le realtà estrattive in attività sono molto ridotte, con poche decine di operatori impiegati nella produzione di blocchi o di inerti. Anche se il mercato del nostro marmo non ha subìto grosse contrazioni, l’attività di escavazione si è sensibilmente ridimensionata, indubbiamente anche grazie ad un processo di ottimizzazione del lavoro di cava. In questo senso l’avvento del filo diamantato, che ha completamente soppiantato i vecchi metodi estrattivi con cunei e cariche esplosive, ha consentito di limitare molto lo stress sul materiale, abbattendo la quantità di pezzi lesionati da scartare.
Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un confronto diretto e franco con le amministrazioni locali, che ha avviato un percorso di collaborazione nell’affrontare la questione ambientale delle cave; in questo contesto, per individuare strategie concertate che possano risolvere tale problematica di stringente attualità, abbiamo fatto conoscere il nostro lavoro, le nostre esigenze produttive, e abbiamo cercato di soddisfarle contemperandole con il dovere di salvaguardare l’integrità dell’ambiente.
Guardando più da vicino il materiale, e paragonandolo ad esempio ad alcuni suoi “concorrenti esotici”, è possibile affermare che i caratteri peculiari per cui il nostro marmo è praticamente unico sono: la grana cristallina estremamente fine e omogenea, una profondità cromatica intensa e densissima, un’ottima lucidabilità. Su questi parametri il Giallo di Siena è imbattibile rispetto ai materiali simili ma non uguali provenienti dall’Africa, dalla Cina o dalla Turchia.

Cava Marronetone
Vista del fronte di estrazione del Giallo di Siena a 580 metri sul livello del mare nella cava Marronetone (foto Davide Turrini)

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D.T.: l’occasione per nostra conoscenza si è presentata durante le giornate dell’ultima fiera internazionale Carrara Marmotec? Qual è il suo giudizio su questo genere di eventi commerciali, promozionali e culturali, che pur continuando a ricoprire un ruolo centrale nel settore dei lapidei, per molti aspetti si inscrivono in modo problematico nel quadro della globalizzazione?
L.M.: negli ultimi anni il numero delle fiere di settore si è accresciuto in modo esponenziale in tutto il mondo creando un fenomeno di dannosa moltiplicazione e “polverizzazione” dell’offerta che tende ad abbassare il valore medio dei singoli eventi. Le due fiere italiane, quella di Carrara e quella di Verona, hanno in parte risentito di tale aspetto ma direi che, con un grande sforzo organizzativo, sono riuscite a mantenere un carattere di primo piano a livello mondiale. Credo che si debba continuare ad investire molto nella “progettazione” di tali eventi, cercando di arricchirli di contenuti innovativi e dinamici, per far sì che essi non diventino contenitori progressivamente svuotati del loro significato, messi in scacco da una informazione tecnica e commerciale che viaggia sempre più rapida e ubiquitaria sui percorsi del trasferimento elettronico virtuale.

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