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Notizie

Ristrutturazione della chiesa del Sacro Cuore di Gesù a Cuneo
Flavio Bruna e Paolo Mellano, Roberto Gabetti e Aimaro Isola

Cuneo
2000/2004
collaboratori: E. Nardin, D. Odello

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Il nuovo presbiterio

Il lavoro di Flavio Bruna e Paolo Mellano spazia negli ambiti vasti dell’architettura e dell’urbanistica cimentandosi frequentemente con la grande scala della città e del paesaggio. L’occasione offerta dagli interventi alla Chiesa del Sacro Cuore di Gesù nell’anno 2000 li riconduce apparentemente all’opposto, ad intervento di ingressi progettuali numericamente e fisicamente delineati entro manufatto esistente. La valenza urbana ricadente sul progetto è al contrario di proporzione estesa poichè la chiesa, santuario nell’anno d’origine 1898, poi chiesa parrocchiale sette anni dopo, allora soprannominata chiesa nuova per via del limitare il centro cittadino, risulta ora inglobata nell’espansione novecentesca della città di Cuneo a Sud.
La chiesa conserva i segni dei suoi anni e tempi caratteristici, anche quelli rapidi della ristrutturazione recente, avviata come iter sette anni fa ma entrata operativamente in essere nel giugno 2003 e conclusa in poco più di un anno. Il luogo sacro integra l’impianto tradizionale a navata centrale e due laterali con stazioni marmoree candide, scultoree, preziose nella lucentezza e nella vena, da un lato occhieggianti ai marmi rossi dei colonnati, dall’altro spiccando entro margini sottili dal biancore di fondo dei paramenti murari.
L’interpretazione antica del luogo sacro non solo quale luogo di culto ma anche quale opportunità di comunicazione dei contenuti religiosi alla comunità, trova qui nuovo respiro: agli architetti, oltre la valutazione più tecnica dei rifacimenti edili, spetta la consacrazione degli ambiti del nuovo percorso artistico interno all’esistente; agli artisti appunto è consegnato lo spazio per esprimere liturgicamente il proprio talento. L’architettura si fa silenziosa in presenza di spiritualità e collegialità artistica.
Alle parole di relazione progettuale di Bruna e Mellano – essi hanno accompagnato dall’incipit e diretto fino a compimento il lavoro, intrecciando i propri segni con quelli di Gabetti e Isola – affidiamo le descrizioni delle scelte progettuali primarie.

Navata Centrale
Il fonte battesimale

“La ristrutturazione della Chiesa del Sacro Cuore nasce dalla necessità di ridiscutere, totalmente, l’aspetto liturgico: il luogo di un nuovo presbiterio pare definito dallo schema tipologico dell’antico edificio, e dalla disposizione dei fedeli nella navata centrale. La forma semplice del nuovo presbiterio consente di mantenere gli elementi architettonici principali che attualmente lo caratterizzano.
In buona sostanza: si è ridisegnato l’intero presbiterio, per poi sovrapporvi una “pedana” di forma quadrata, pavimentata in marmo bianco di Carrara; su questa sono state poste la mensa e la sede del celebrante; al fondo della chiesa, in asse con la navata centrale, è stato spostato l’altare monumentale esistente, destinandolo alla custodia del Santissimo; sono state rimosse le transenne a colonnette policrome poste ai lati del nuovo presbiterio; sono stati aperti, sopra queste, due archi simmetrici che riprendono la cadenza degli archi della navata principale; infine sono state eliminate le balaustre che separavano lo spazio del presbiterio dall’assemblea e dall’ambulacro absidale.
Si è mantenuta la continuità della circolazione anulare, fra navata e abside, e sull’asse trasverso all’asse principale della navata, contenendo l’area presbiteriale entro il filo della navata principale, dal quale risulta anzi arretrata.
Per la realizzazione del nuovo presbiterio, si è pensato di definire un insieme di segni e di materiali, di grande semplicità e coerenza, così da dare risalto soprattutto alle azioni liturgiche: le nuove sculture in marmo bianco di Carrara, appoggiate su di un basamento leggermente sopraelevato rispetto alla navata, sono contenute in un polo centrale, che deve avere forti significati evocativi.
Una particolare attenzione è stata riservata al battistero, ricollocato nella prima cappella della navata sinistra, sul lato sinistro dell’ingresso laterale da via Mons. Bologna: sostituendo il vecchio fonte battesimale con una nuova scultura, sempre in marmo bianco di Carrara, questa si viene a trovare tra gli ingressi e vicino alle Penitenzierie, in accordo a quanto suggerito nelle ultime direttive pastorali della CEI.”

Navata Centrale
Una veduta della navata centrale

Il rinnovato candore interno è esaltato e vicendevolmente esalta gli innesti cromatici delle vetrate laterali realizzate dal Progetto Arte Poli di Verona. Supportato da nuovi innesti d’illuminazione artificiale il messaggio liturgico è proiettato all’esterno, cercando e trovando il dialogo con la città oltre la comunità in preghiera. L’imponente crocifisso alto circa tre metri dipinto su legno dall’Atelier iconografico del Monastero di Bose è caricato di più forte responsabilità direzionale verso l’altare dopo le opere volte alla maggiore fluidità distributiva e visiva fra navate e transetto, e ci riporta alla scultura.
La chiesa non era già priva d’apparati scultorei di rilievo. Quanto esistente è mantenuto ed arricchito dal nuovo come segno di continuità temporale. Invece altare, ambone, fonte battesimale e sede presidenziale portano la firma del torinese Paul – Alexandre Bourieau. L’uniformità materica bianca del marmo di Carrara conferisce alle nuove opere e di riflesso al luogo sacro una riconosciuta metafisicità. Le sculture recenti emergono sia per la fattura pregevole sia per la dimensione significativa dei blocchi di cava: sette tonnellate per l’altare, 2 metri d’altezza per l’ambone. (Rimandiamo, per aspetti tecnici sul marmo carrarese e le caratteristiche litiche, a quanto già editato ed al Disciplinare del marmo di Carrara).
L’evocata continuità temporale, il senso dell’azione infinita e del tempo eterno sono temi fissati dall’autore stabilmente sul marmo. In via più diretta è scelta la rappresentazione dei poli liturgici apprestati al rito, per sempre ricoperti delle suppellettili religiose ora in marmo e non più in stoffe. Più sottilmente è proposta l’opera contemporaneamente finita in superficie e non finita alla base, quasi a ripercorrere il processo a togliere ed affinare la materia – dunque bloccando nel marmo anche il tempo dell’artista – e forse cercando la citazione nell’univoco intervento alla Chiesa del Sacro Cuore di Gesù della ricerca intera michelangiolesca, eccellenza della scultura sacra fissata su pietra toscana.
Completa ora i talenti artistici coinvolti il racconto fotografico di Vaclav Sedy, la cui esperienza italiana trova specialmente in Piemonte negli anni ’90 una fase particolarmente significativa del proprio lavoro nel nostro Paese, dove giunge nel 1983 dalla Cecoslovacchia.

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di Alberto Ferraresi

(Visita il sito di Bruna e Mellano)
(Visita il sito del Vaclav Sedy)

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31 Marzo 2007

Principale

Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino 2007

locandina

La Fondazione Benetton Studi e Ricerche dal 1987 impegnata nella promozione di indagini per la salvaguardia e valorizzazione del patrimonio culturale e in particolare del paesaggio, dal 1990 promuove il Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino, una campagna di attenzioni verso un luogo denso di valori di natura e di memoria.

Mercoledì 11 aprile alle ore 12.00, presso la Triennale di Milano, si terrà la conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2007 del Premio.

Interverranno

Domenico Luciani
Direttore della Fondazione Benetton Studi Ricerche

Nataša Jovišic
Direttrice del Complesso Memoriale di Jasenovac

Ulteriori informazioni:
fbrs@fbsr.it www.fbsr.it tel: 0422-5121

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Videointerviste Convegno “Pietre dell’Identità”

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Le videointerviste qui pubblicate sono state registrate lo scorso 15 gennaio, presso la Fondazione Licia e Carlo Ludovico Ragghianti di Lucca, in occasione del Convegno “Pietre dell’Identità” che ha rappresentato il momento conclusivo del progetto territoriale interprovinciale “Pietre di Toscana”, promosso e coordinato da Lucense Scpa di Lucca e sostenuto nel 2006 dalla Regione Toscana (Assessorato alla Cultura, L.R. 33/2005, “Le età del presente”) con la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca. Al progetto hanno inoltre partecipato i Comuni di Pietrasanta (LU), Seravezza (LU), Stazzema (LU), Minucciano (LU), Vagli di Sotto (LU), Capannori (LU), Borgo a Mozzano (LU), Villa Basilica (LU), Rapolano Terme (SI), Firenzuola (FI); la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa; la Fondazione Licia e Carlo Ludovico Ragghianti di Lucca; le associazioni Asart, Arkad ed Evocava di Lucca; il Museo dei Bozzetti di Pietrasanta; il Palazzo Mediceo di Seravezza; il Palazzo delle Papesse e i Magazzini del Sale di Siena; il Museo delle Pure Forme di Pisa; l’associazione Arte all’Arte di San Gimignano; l’associazione Opera Bianca di Carrara.
I protagonisti delle interviste sono: Alfonso Acocella, professore ordinario dell’Università di Ferrara e responsabile scientifico del progetto Pietre di Toscana; Lanfranco Binni, dirigente responsabile del settore Progetti Speciali per la Cultura della Regione Toscana; Alberto Campo Baeza, architetto e professore ordinario dell’Università di Madrid; Marco Carminati, giornalista de Il Sole 24 Ore, inserto culturale Domenica; Salvatore Settis, direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa. Nei mesi passati il blog ha rappresentato il luogo privilegiato di sviluppo, rappresentazione ed accumulo dei contenuti del progetto “Pietre di Toscana” e oggi, grazie a quest’ultima editazione on line, prolunga ancora una volta nella dimensione virtuale la vita degli eventi reali, aprendo un ulteriore spazio di approfondimento dei contenuti affrontati durante il convegno ma, soprattutto, potendo dar vita ad un auspicabile tavolo di confronto con i lettori grazie ai commenti che si possono stratificare al suo interno.

di Davide Turrini

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Conservazione ed innovazione.
Il convegno di Lucca, portavoce di un’identità da difendere

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Atmosfere di altri tempi, palazzi di pietra che si stringono a formare stretti vicoli irregolari, torri e chiese che si affacciano in piazze di ogni sorta, cancellate che racchiudono giardini ottocenteschi, bastioni e mura senza soluzione di continuità. Lucca, una città unica e rossa, come i mattoni che formano i suoi palazzi, bianca, come il marmo delle sue Chiese, grigia, come la pietra dei suoi lastricati, verde, come i giardini che racchiude al suo interno.
Una città rimasta quasi incontaminata da secoli, ma dove al contempo i segni del passato, diventano strumento di conoscenza di un presente pronto ai richiami delle nuove generazioni.
Al suo interno, angoli di rara bellezza, custodiscono un luogo di studio di saperi passati e futuri. Il complesso di San Micheletto, un tempo Convento delle monache clarisse, oggi di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, e sede della Fondazione Licia e Carlo Ludovico Ragghianti, rinomato centro di studi sull’arte.
L’ingresso introduce all’interno di un chiostro, contornato su due lati da un portico che ne perimetra lo spazio; il vuoto centrale, di forma irregolare, è ritmato da piani orizzontali di diversa altezza, che al laterizio affiancano rettangoli di verde e percorsi in acciottolato. Il piano di calpestìo rivestito in cotto, segue lo spazio coperto del porticato, fuoriuscendo dal limite stabilito in corrispondenza dei tre archi aperti nella cortina piena del fabbricato costruito verso via Elisa. Creando una sorta di piazza rialzata, suddivisa dal diaframma delle colonne, il ripiano diviene piedistallo di silenziose e discrete sculture, immobili, quasi a rispettare l’atmosfera del luogo. Verso l’edificio, questa piazza diviene invece ingresso di alcuni degli spazi interni del complesso, oggi adibiti a sale congressuali, confinanti, sul lato verso via San Micheletto, con la ex-Chiesa di San Michele in Cipriano.
Frutto di un completo restauro attuato nel 1997, l’ex-Convento è oggi, in un certo senso, luogo di convergenza, dove atmosfere passate si mescolano ad una contemporaneità tangibile e teorica al tempo stesso. Un ambiente ideale per ospitare un incontro che ben rappresenta il momento conclusivo del progetto “Pietre di Toscana”, promosso dalla Regione Toscana nel 2006, e che potenzialmente può trasformarsi in occasione di apertura verso nuovi interlocutori.

tavolo
I saluti istituzionali di Marcello Pardini, Presidente della Lucense

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La responsabilità del titolo
Promosso dalla Fondazione Licia e Carlo Ludovico Ragghianti insieme a Lucense di Lucca, il convegno, dal titolo “Pietre dell’identità. Il passato che è davanti a noi”, si è tenuto il quindici gennaio scorso.
Un titolo che prende spunto da un articolo di Salvatore Settis, uscito nel novembre del 2005 sull’inserto domenicale di Il Sole 24 ore, che sottolinea la responsabilità dell’essere italiani nell’epoca contemporanea. Obiettivo principale dell’incontro è infatti la messa a fuoco del valore identitario del nostro Paese, basato essenzialmente sul suo amplissimo patrimonio storico e culturale; all’interno di questo, le caratteristiche litologiche del territorio e le permanenze storiche scritte con la pietra, diventano plusvalore da riportare in primo piano.
La ricchezza identitaria, attraverso nuove strategie, deve divenire strumento di valorizzazione e punto di partenza per la creazione di nuove forme di fruizione, progetti e strategie di conoscenza aperti alla realtà contemporanea ed alle nuove generazioni. Un patrimonio materiale ed immateriale, quello italiano, che, proiettato verso il futuro, può divenire mezzo, anzichè vincolo, per un arricchimento sia culturale che economico del nostro Paese.
Ad introdurre e coordinare il convegno è Marco Carminati, giornalista e responsabile di “Arte e Architettura” del “Sole 24 ore Domenica” che, con intelligente e sintetica dialettica, riesce a ritmare la giornata legando fra loro gli interventi dei diversi relatori, che offrono una lettura della molteplicità e della varietas litica del Paese Italia secondo punti di vista e tematiche personali ed orientate.
Due fasi essenziali scandiscono il meeting, un primo blocco di interventi dedicato ai saluti e ringraziamenti istituzionali, ed una seconda trance, che ha come obiettivo quello di entrare nel focus del tema in approfondimento con precise argomentazioni. Interventi che diventano corollario del progetto “Pietre di Toscana”, facente parte del più ampio programma della Regione, “Le età del presente”, il quale racchiude al suo interno diciassette differenti studi territoriali incentrati sull’intera area regionale, a dimostrazione dell’importanza di una metologia di studio pluridisciplinare.
Come protagonisti, troviamo importanti nomi degli enti istituzionali, del campo dell’architettura contemporanea e della ricerca. Dal presidente della Provincia di Lucca, Stefano Baccelli, a Marcello Pardini, presidente della Lucense, ente promotore del progetto, che parla anche a nome di Giancarlo Giurlani, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca. Da Giovanni Cattani, presidente della Fondazione ospitante, a Lanfranco Binni, dirigente responsabile del Settore Progetti Speciali per la Cultura Regione Toscana.
Fra i relatori, mancanti troviamo Andreina Ricci e Vittorio Fagone; presenti, invece, Salvatore Settis, direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa e presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, Alberto Campo Baeza, architetto e professore ordinario presso la Facoltà di Architettura di Madrid e Alfonso Acocella, responsabile scientifico del progetto “Pietre di Toscana” e professore ordinario presso la Facoltà di Architettura di Ferrara. A concludere l’incontro Andrea Marcucci, sottosegretario al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.
Nomi illustri, riuniti a dibattere, e in difesa e promozione di un’identità forte e sentita come la nostra, per la quale la Regione Toscana, grazie anche agli importanti contributi della Cassa di Risparmio di Lucca, ha promosso numerosi interventi di conservazione, tutela e valorizzazione. Una regione che sta volgendo sempre di più il proprio interesse alla promozione del settore “Cultura”, e che sta focalizzando la propria attenzione sulla salvaguardia di un radicamento territoriale, che passa attraverso la difesa di un’identità formatasi grazie alle stratificazioni di lunga durata della storia.
Punto di partenza dell’incontro è il concetto che un ipertesto storico, importante come quello toscano, deve essere riletto ed attualizzato attraverso il punto di vista della contemporaneità.

Salvatore Settis
Salvatore Settis

Salvatore Settis e l’identità culturale italiana
Un intellettuale che ha fatto della pietra una materia di studio e di difesa del patrimonio nazionale come Salvatore Settis, personaggio chiave del panorama culturale italiano di questi ultimi anni, diviene, in questo contesto, ospite d’onore e portavoce di una tensione appassionata per la salvaguardia del nostro patrimonio storico-artistico a rischio di “svendita” e di devastazione.
Professore di storia dell’arte e archeologia classica alla Scuola Normale Superiore di Pisa, Settis interviene riportando l’attenzione sulla decodificazione del titolo del convegno, che lega ad un libro di Luciano Berio, “Remembering the future”, incentrato sul concetto di continuità tra passato e futuro. Un concetto attuale ed alla base della conservazione e diffusione di un’identità culturale che per l’Italia, più che per ogni altro Paese, si identifica con il proprio patrimonio storico.
Settis tenta di porre alcune domande ed indicare obiettivi, mantenendo la questione dell’identità nazionale al centro della sua riflessione. In un momento epocale molto particolare, qual è quello contrassegnato dai fenomeni della globalizzazione, durante il quale è naturale chiedersi se possa avere ancora un senso parlare di “identità” di un Paese, ci si rende conto di quanto una nazione come la nostra continui ad identificarsi con la propria eredità storica. “Il patrimonio culturale ha un’altissima funzione identitaria, è una sorta di lingua della memoria, il cui potere coesivo è pari a quello dell’italiano, unica lingua usata in tutta la Penisola anche quando essa era divisa in tanti piccoli Stati”1.
In uno Stato dove i poteri e le competenze si stanno allontanando dalla sfera centralizzata nazionale per cedere il passo alle Regioni, da una parte, ed alla Comunità Europea, dall’altra, il patrimonio storico deve ritrovare un’evidenza e una unitarietà di lettura che ne garantisca la tutela in maniera coerente su tutto il territorio. In un ambito che appartiene alla collettività, la gestione di conoscenza, tutela e valorizzazione dei beni culturali deve ritrovare un punto di coesione; all’interno di questa, l’interscambio con i Paesi stranieri, insieme ai quali le rispettive identità si sono formate nel corso della storia, deve assumere primaria importanza.
Non per questo, ribadisce Settis, l’identità italiana sta perdendo i sui connotati tradizionali. Le radici storiche del nostro Paese sono talmente radicate nella cultura italiana, da rendere la loro conservazione una delle sue priorità. In questo campo l’Italia è stato uno dei primi Paesi a promulgare precise leggi, che fin dal XVI secolo hanno dato il via ad un lungo processo evolutivo della normativa in materia. L’aspetto giuridico ed amministrativo della gestione dei beni culturali deve però riuscire a rinnovarsi, dando significato concreto al concetto di patrimonio culturale, in maniera tale da evitare il rischio di generalizzazione che porterebbe ad una perdita del suo valore intrinseco.
In ultima istanza, Settis sottolinea l’importanza qualitativa e la declinazione variegata della dimensione paesaggistica del nostro territorio, nei confronti della quale gli italiani non pongono ancora la giusta attenzione, ma che potrebbe essere ulteriore ricchezza da valorizzare ed orizzonte di esperienze memorabili, attrattivo nei confronti dei Paesi stranieri.

Conferenza Baeza
La conferenza di Alberto Campo Baeza

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Alberto Campo Baeza. L’architettura, idea costruita da luce e materia
Il carattere internazionale del convegno apre le porte anche ad uno dei protagonisti della scena architettonica mondiale.
Importante architetto spagnolo del panorama contemporaneo, Alberto Campo Baeza svolge la professione di progettista e quella di professore presso la Facoltà di Architettura di Madrid. L’esperienza d’insegnamento, compiuta fin dagli anni Ottanta in università come l’E.T.H. di Zurigo, l’EPFL di Losanna, la University of Pennsylvania e l’IIT di Chicago, coniugata alla realizzazione di importanti opere che hanno arricchito alcune delle più belle città della Spagna, ha portato Campo Baeza ad una maturità e sensibilità intellettuale che potrebbero definirsi ormai rare.
Al convegno di Lucca il progettista spagnolo diviene testimone della propria esperienza. Una vita dedita allo studio teorico dell’architettura ed alla sua costruzione; un’architettura “pensata” e “costruita”, secondo la sua natura di idea e realtà fisica fuse indissolubilmente nello spazio atmosferico, come lui stesso afferma. Opere formate sostanzialmente da luce e gravità, che costituiscono rispettivamente il tempo e lo spazio. Uno spazio fatto di materia, resa visibile e valorizzata da giochi sapienti di luce.
“Quando nelle mie opere riesco a far sì che gli uomini sentano il ritmo del tempo che regola la natura, armonizzando gli spazi con la luce, temperandoli con il cammino del sole, aIlora credo valga la pena fare architettura”2. Questo è ciò in cui crede Campo Baeza, che apre la sua relazione con il concetto di “circolarità” tra passato, presente e futuro. Una visione del tempo senza soluzione di continuità, per la quale l’architetto spagnolo cerca forme e materiali idonei, rappresentativi di una architettura eterna e contemporanea al tempo stesso. Nella sperimentazione delle diverse risorse utili alla costruzione dell’architettura, la pietra diviene spesso protagonista di affascinanti opere, caratterizzate da una semplicità volumetrica che ne valorizza l’identità. Secoli di storia hanno dimostrato la longevità e la preziosa naturalità di questa materia che, in un’epoca dominata dai materiali leggeri, trasparenti e artificiali, riesce ancora a dimostrare di essere l’essenza materiale, immortale per eccellenza, dell’architettura, insieme antica, attuale e pronta a rinnovarsi per il futuro.
Campo Baeza si addentra nel suo racconto accompagnandoci in un viaggio che ci avvicina alle immagini dei suoi ultimi progetti, per i quali la solidità stereotomica della pietra, diviene caratteristica preponderante ed informante l’opera.
I progetti presentati, ciascuno avente sue specifiche caratteristiche, parlano allo stesso tempo un linguaggio comune fatto di luce e materia, che in questo caso si identifica principalmente con le pietre locali dei rispettivi siti. Semplici geometrie volumetriche che danno vita a spazi intrisi di atmosfere quasi magiche. Richiami alle grandi architetture del XX secolo, ma nello stesso tempo alla antica Roma, alla Grecia, al Rinascimento.
Le immagini iniziano a scorrere. Prima tappa del cammino: Maiorca, dove nel 1998 Campo Baeza ha costruito il “Centro B.I.T.” (Balear de Innovaciòn Tecnològica). L’edificio, adibito alla ricerca nel campo delle tecnologie avanzate, sorge ai confini della città, su un’area di forma triangolare che ne informa il progetto. Una scatola aperta che si erge verso il cielo; un alto muro perimetrale in pietra di Marès, tradizionale dell’isola, crea una sorta di “hortus conclusus”, all’interno del quale si sviluppano superfici trasparenti costruita attorno ad un’orditura di colonne metalliche che sorreggono un tetto piano a forte aggetto. La parete interna dei muri perimetrali è rivestita in travertino, materiale che forma anche il piano pavimentale e l’anfiteatro scavato nel basamento.
Da Maiorca, proseguiamo verso Città di Castilla, Zamora. Un progetto ancora in costruzione per la sede del “Consejo Consultivo de Castilla y Leon” dove un perimetro formato da un muro di pietra, la stessa della vicina Cattedrale, racchiude al suo interno un giardino ed un edificio completamente trasparente.
Ad Almerìa, invece, l’ampliamento della “Sede provinciale del Servizio sanitario nazionale”, terminato nel 20033, ha dato vita ad un parallelepipedo di pietra, collegato all’edificio preesistente tramite un atrio comune. La fabbrica, sviluppata su sette livelli sovrapposti, si configura come un elemento compatto dove la pietra selezionata diviene simbolo della tradizione locale riqualificante l’intorno urbano. La pietra lumachella, materiale sedimentario ricco di fossili, è utilizzata in forma “pellicolare” anche per le parti mobili corrispondenti alle aperture. Delle imposte semovibili realizzate in materiale litico che, complanari con il piano di facciata, se chiuse, contribuiscono a rendere il volume un tetragono compatto. Una semplicità volumetrica all’insegna di un “less is more” miesiano dove, a contrastare la solidità della fabbrica, un elemento trasparente, vetrato, domina dall’alto il panorama cittadino.
Da Almerìa, Campo Baeza ci porta a Granada. Uno degli edifici più maestosi del suo repertorio ci immerge in atmosfere che rievocano – soprattutto nei tratti spaziali – architetture di Louis Kahn. La “Sede centrale della Caja General de Ahorros”, risalente al 2001, diviene edificio di riferimento per una nuova parte di città la cui identità si sta ancora formando. Luce zenitale ed orizzontale contribuiscono alla materializzazione della pietra che ne filtra i flussi di ingresso. Due facciate, rivolte a sud, si aprono in brisesoleil illuminanti le zone collettive; i due fronti rivolti a nord, perimetrano invece le zone adibite ad uffici con bande orizzontali di pietra e vetro. Travertino romano e alabastro spagnolo, modulano con sapiente maestrìa l’ingresso di una luce che, divenendo quasi materia solida, si rende protagonista nella esaltazione degli spazi interni, maestosi come quelli di un Pantheon contemporaneo della finanza.
A fianco dell’imponente edificio, un secondo progetto, con il primo idealmente collegato, prevede la costruzione della sede per l'”MA – Museo de la Memoria de Andalucia”. Una costruzione interrata, formata da tre livelli sovrapposti, uniti da una rampa circolare che si sviluppa all’interno di un vuoto centrale ellittico. Da questo basamento, una maestosa facciata, avente le stesse dimensioni dei fronti dell’edificio prospiciente, emerge dal terreno divenendo una sorta di porta di ingresso alla città.
In chiusura del suo intervento, l’architetto ci mostra due progetti che escono dai confini del suo Paese natale.
Campo Baeza, interessato all’architettura domestica, esplora, attraverso la propria visione dell’architettura, il territorio statunitense. La “Olnick Spanu House”, a Garrison, nello stato di New York, attualmente in corso di costruzione, propone atmosfere fatte di silenzio e luce riflessa dalle acque del fiume Hudson. Un volume artificiale sopraelevato si erge su di un massiccio podio formato da muri in cemento, che diviene basamento di una scatola trasparente chiusa da un ripiano sorretto da una struttura metallica tamponata da cemento e travertino.
Infine, l’Italia. Un asilo nido per Ponzano, in provincia di Treviso, è l’intervento in corso d’opera dell’architetto spagnolo, che il nostro Paese accoglie con benevolenza. Uno scambio culturale, quello dell’Italia con Alberto Campo Baeza che sta sviluppando interessanti confronti.
Nel contesto del convegno lucchese, il coinvolgimento di Campo Baeza nel progetto “Pietre di Toscana”, ha fatto nascere una arricchente empatia, che apre i panorami internazionali a potenziali collaborazioni in progetti di ricerca e sviluppo nel campo dell’architettura e dei materiali litici dei rispettivi Paesi.

Progetto Pietre Italia
Il progetto comunicativo presentato da Alfonso Acocella in conferenza

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Alfonso Acocella e il progetto “Pietre di Toscana”
Dall’immersione nel mondo delle architetture di Campo Baeza, l’attenzione passa al punto centrale dell’incontro lucchese.
L’architetto Alfonso Acocella, professore ordinario presso la Facoltà di Architettura di Ferrara, è la persona senza la quale il progetto “Pietre di Toscana”, facente parte del più ampio programma de “L’architettura di pietra”, non avrebbe avuto luogo; e senza la quale le intrinseche potenzialità caratterizzanti la sua messa in opera non avrebbero avuto lo sviluppo raggiunto.
Alfonso Acocella, con impegno, fatica ed entusiasmo, ha concepito, portato avanti e coordinato il progetto, del quale in questa sede illustra il percorso di sviluppo.
“Pietre d’Italia nel mondo globalizzato”, questo il titolo del suo intervento, che ripercorre le tappe del cammino per il quale il convegno è nel contempo punto finale del progetto “Pietre di Toscana” (svolto lungo il 2006 per conto della Regione Toscana – settore Cultura e della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, in collaborazione con un vasto panel di partners territoriali) e tappa intermedia di un percorso in evoluzione.
La trama del racconto è l’insieme dei paesaggi di pietra italiani, un insieme formato da tante realtà territoriali particolari ed uniche; la metodologia di narrazione si basa sul connubio fra realtà fisica e contesto virtuale che la circonda e l’avvolge, promuovendo un’inedita modalità valorizzativa in termini culturali all’interno della nuova economia globale. Realtà, quindi, affiancata a virtualità, un metodo che Acocella ha fatto proprio evolvendo la sua ricerca disciplinare, e tipicamente di carattere manualistico, sull’architettura di pietra. Una visione della pietra che fuoriesce dalla sua consolidata immagine massiva, per divenire oggetto immateriale di un percorso che va ad identificare le specificità regionali italiane, rendendole protagoniste di una rete di saperi in continua evoluzione, basata sui concetti di tempo e spazio, già messi in luce da Alberto Campo Baeza.
La prima tappa del progetto risale al 1999, quando Alfonso Acocella, studioso e “riabilitatore” di culture costruttive tradizionali, incontra Lucense, il cui principale obiettivo istituzionale è quello della valorizzazione delle risorse del territorio. La decisione di collaborare ad un progetto comune, apre la strada ad un lavoro quinquennale di studio, ricerca e scrittura, che porta alla creazione di un libro, “L’architettura di pietra”. Importante opera di di interpretazione critica ed analisi del rapporto fra architettura e materia litica, creata dall’intento iniziale dell’autore di riuscire a riabilitare il tema dello stile litologico … il volume conserva al suo interno la natura di avvicinamento autoriale al tema; una tappa e non un punto di arrivo, in quanto esige – secondo quanto afferma Alfonso Acocella – nuovi sviluppi e nuove metologie di ricerca verso il fascino di una materia tanto interessante e ricca.
Il progetto, che in un rapporto biunivoco fra autore e lettori si è fermato sulla carta, quella carta dell’opera a stampa tanto cara alla cultura moderna, che la fa propria, la colleziona, la conserva, vuole però aprirsi a nuove metologie comunicative, rese possibili dalle moderne tecnologie e dinamiche culturali. Da una autorialità chiusa all’interno di un sapere unidirezionale, si tenta quindi di slargare ad una comunità ampia, e di ricercare una intelligenza collettiva che possa arricchire di contributi transidisciplinari un ambito di studio che ne contiene tutte le potenzialità.
Il campo della New Technology offre gli strumenti per raggiungere questo obiettivo. Dal medium cartaceo I’orizzonte si sposta verso la rete del web, terreno fertile ed aperto a nuove sperimentazione nei confronti di tematiche già conosciute o ancora da esplorare. Dal 2005, quindi, internet ospita il primo blog italiano incentrato sullo stile litico …. Un progetto che parte dalla capitalizzazione delle tematiche del volume “L’architettura di pietra” e, attraverso il contributo di una comunità culturale in continua crescita, diviene campo di indagine e di documentazione condivisa, istantanea, dei caratteri geo-litologici e paesaggistici italiani, aperto a nuove tematiche alimentate da una condivisione ed uno scambio culturale immuni dai limiti dei dispositivi di comunicazione tradizionali.
Una piattaforma relazionale e partecipata, che porta al ribaltamento del rapporto fra autore e lettore, trasformandolo in una lettura ed un arricchimento reciproco, per il quale il cyberspazio è il tramite.
Sottosuolo, sovrasuolo, industrie, musei, beni culturali e paesaggi, sono solo alcuni dei molteplici aspetti che contribuiscono a formare l’orizzonte fisico su cui agisce la cultura attraverso i suoi molteplici “racconti”; questi, attraverso la rete, la telefonia, i nuovi mezzi di mobilità, possono contribuire a far emergere identità, peculiarità ed aspetti del sapere fino ad oggi rimasti in ombra, o conosciuti solo attraverso i tradizionali canali di scambio culturale. È in questa nuova realtà dinamica che il blog si sviluppa ed evolve oggi, verso l’idea di un “Vortal” (sito di informazione specializzato e partecipato, il cui termine deriva dalla fusione di “vertical” e “portal”), divenendo fertile campo di studio per uno dei progetti promossi dall’Assessorato alla Cultura della Regione Toscana che, nell’ambito della legge n.33, ha avviato diciassette interessanti programmi di ricerca legati alla realtà regionale, dei quali “Pietre di Toscana” fa parte. Grazie, quindi, alla collaborazione di Lucense, Regione Toscana, Camera di Commercio e Cassa di Risparmio di Lucca, Associazione degli Industriali e Fondazione Ragghianti, Architetturadipietra.it ha la possibilità di crescere ed arricchirsi di contenuti, affinando con intelligenza il suo contributo alla conoscenza del Paese Italia, per il quale prevede anche la creazione di una banca dati di immagini, denominata Lithospedia – relative alle realtà litologiche del nostro Paese: pietre d’Italia, opere di architettura storiche e contemporanee, marmi antichi ec.
Durante lo sviluppo di questo progetto digitale di intelligenza collettiva, non si è però mai dimenticata l’importanza della tradizione dell’opera a stampa, la cui azione di valorizzazione e diffusione ha affiancato costantemente …. Questo processo valorizzativo è avvenuto in prima istanza con l’editazione della versione inglese del libro di Alfonso Acocella. Lodevole risultato dal titolo “Stone Architecture” che, con una grafica minimale e preziosa al tempo stesso, è stato pubblicato dalla casa editrice Skira.
La nuova edizione del volume apre il progetto ad un panorama culturale internazionale, nella speranza che possa rappresentare l’inizio di una nuova fase… legata a dinamiche di intelligenza collettiva e partecipata slargate sul quadro internazionale.
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Conclusioni
A chiudere l’interessante incontro, Andrea Marcucci, sottosegretario al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Marcucci ringrazia tutti i partecipanti al convegno e si fa portavoce del Governo di un Paese che ha la fortuna di possedere un patrimonio tanto prezioso ed importante come quello italiano. Un Governo che ha fra i suoi principali obiettivi quello di rendere prioritario il settore culturale, cercando risorse finanziarie per sostenerlo e nuove stategie organizzative e progettuali per incrementarne lo sviluppo e la valorizzazione.
In una realtà dalle interconnessioni planetarie, dove tutto sta diventando “mercato globale”, l’Italia deve riuscire ad usufruire del proprio valore aggiunto. Un legame del territorio con la propria storia e la propria cultura che, messa in relazione con le nuove dinamiche economiche e di sviluppo, può divenire strumento per rilanciare il sistema Paese.
Un tesoro da valorizzare, quello dell’identità italiana, che dobbiamo trasformare in oggetto per una nuova sfida – sia culturale che economica – nei confronti del futuro.

Sara Benzi

Note
1 Salvatore Settis, Pietre dell’identità. Noi e le città: perchè gli italiani sono così legati al proprio patrimonio storico-culturale, in “Il Sole 24 ore – Domenica”, 13 novembre 2005.
2 Dalle parole dello stesso architetto, edite in italiano su Domus, n.760, 1994.
3 Per questo progetto, Alberto Campo Baeza ha collaborato con: Modesto Sànchez Morales, Francisco Salvador, Josè Marìa Garcìa.

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20 Marzo 2007

Principale

Marmo e Artigianato prospettive di rilancio?

Locandina

Il 23 Marzo 2007 alle ore 18.00, presso la Sala S. Agostino del Comune di Pietrasanta, si terrà l’incontro-dibattito intitolato

Marmo e Artigianato prospettive di rilancio?

Organizzato dalla CNA è aperto a tutti gli operatori del settore e prevede gli interventi di Francesco Bambini (Ass. Sviluppo economico e Innovazione della Prov di Lucca), Massimo Mallegni (Sindaco di pietrasanta), Massimo Neri (Sindaco di Seravezza) e Michele Silicani (Sindaco di Stazzema).

Modera Ugo Da Prato (Vicepresidente CNA Toscana)

Infoline
Lucca 0583-4301100
Viareggio 0584-43901 fax 0584-439040

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Rifugio-centro servizi in località Faggio dei Tre Comuni a Bedonia di Parma*
Lucio Serpagli

Rifugio
L’arrivo al rifugio

Fra i giovani studi di progettazione italiani, quello di Lucio Serpagli a Parma si distingue nelle opere recenti per alcuni tratti sottesi, presenti in filigrana nelle realizzazioni e nei disegni: la naturalità materiale, la componente paesaggistica, l’attenzione compositiva ai primi segni d’acquisizione del suolo.
In questo caso pure le circostanze vanno nella direzione dell’accostamento equilibrato alla preesistenza naturale: la Comunità Montana delle Valli del Taro e del Ceno sull’Appennino Parmense commissiona sui propri terreni un edificio polifunzionale a servizio anche degli escursionisti attirati dal Monte Penna e dalle sue opportunità floro-faunistiche.
Ne scaturisce un progetto recuperante, specialmente nel suo basamento, parte della memoria sociale e civile dell’area. Infatti, come si tramanda, l’Appennino Parmense e Bedonia in particolare si segnalano da secoli per l’impiego di pietre locali adoperate in campo edilizio. Tre sono le riconosciute principali caratteristiche litologiche presenti: le rocce vulcaniche – si parla pure di un marmo Penna dal colore nero intenso – affioranti in tutto il territorio ed in particolar modo nella zona per l’appunto del Monte Penna (raggiunge un’altezza di circa 1735 m), le rocce arenarie in Val di Taro ed in particolare tra Carniglia e Trasogno (è nota la pietra arenaria di Carniglia) in cui s’è dunque sviluppata l’applicazione litica in copertura oltre ai setti murari, infine le rocce calcaree, utilizzate però esclusivamente per la produzione di calce, la cui lavorazione risulta oggi pressochè abbandonata.
La costruzione del Seminario di Bedonia ha fornito intorno al 1840 l’occasione per l’organizzazione delle lavorazioni dell’arenaria a livello pressochè industriale. I primi scalpellini giungono da Pontremoli, ma già nel 1852 Carniglia e i propri manovali hanno raggiunto un grado di specializzazione capace di garantire loro notorietà ben oltre la dimensione locale. Oggi ancora Bedonia ospita una mostra-simposio sulla pietra arenaria cui prendono parte artisti internazionali.
Alle rocce arenarie e vulcaniche locali ha fatto ricorso Lucio Serpagli per i setti caratteristici del nuovo rifugio, in cui la superficie scabra e naturale convive con le geometrie limpide e rigorose di progetto. Specialmente si sono utilizzati i trovanti ed i ciottoli di fiume rimanenti dalle lavorazioni di frantoio. Alle parole di relazione tecnica lasciamo la descrizione più ampia dei luoghi.

Scorcio
Uno scorcio del basamento

Se come ha evidenziato Adolf Loos, “la pianura richiede elementi architettonici verticali, la montagna orizzontali”, uno dei caratteri del costruire in montagna, in un ambiente che per la sua conformazione morfologica presenta molte difficoltà all’insediamento, è la definizione di un piano orizzontale o la conquista di un suolo piano, quale elemento connotativo di radicamento al luogo. L’edificio si costruisce attorno a un sistema geometrico che vuole, non solo tradurre le esigenze ambientali in una architettura rigorosa in grado di ottenere, con pochi segni, il massimo della performance energetica e di compatibilità con l’ambiente circostante, ma anche definire un nuovo rapporto con il luogo che non sia di semplice appartenenza linguistica. L’orientamento dell’edificio è caratterizzato da un allineamento con l’asse Nord/ovest Sud/Est sul quale si vanno ad impostare due muri (Nord Ovest) che, non solo servono come segni generativi di questo rifugio, ma vanno anche a costituire un basamento “forte” in grado di proteggere l’edificio dalle intemperie del clima severo della montagna. Dal lato opposto è stata realizzata una intercapedine che protegge la parte dell’edificio ipogea e dà luce ed aria a quelle parti che si troverebbero completamente interrate. Su queste riflessioni sono impostate le intenzioni progettuali di questa costruzione, localizzata a quota 1400 m. slm, in un complesso montuoso caratterizzato dalla presenza del Monte Penna. Sul serrato confronto tra strutture architettoniche ed ambiente si dà vita ad una riduzione linguistica e ad un’essenzialità formale, finalizzata a uno stretto dialogo tra la sagoma del costruito ed il crinale appenninico; l’intenzione progettuale è stata pertanto quella di delimitazione e definizione di un recinto, di un suolo piano ritagliato all’interno di un bosco di faggeti dove “posare” una sorta di capanna la cui forma semplice riprende l’archetipo della casa a due falde.
L’elemento generatore, che stabilisce l’ordine della composizione e che permette il passaggio dalla scala territoriale a quella dell’edificio, è il grande muro, perpendicolare ai percorsi pedonali, incastrato nella base. Esso diviene una quinta artificiale che dialoga con le quinte naturali costituite dalle alberature esistenti. Il rifugio – centro servizi si basa su pochi elementi semplici e simbolici: due volumi disposti su due livelli diversi, collegati tra di loro da una scala interna; al piano terra parzialmente interrato, è collocato il volume della cinta muraria, realizzato in pietra locale ed articolato in due ambiti funzionali: quello servizio-informativo e quello ristoro mentre al piano primo, sempre realizzato con il legno locale, è collocata la “capanna” destinata ad ospitare uno spazio collettivo. Il settore servizio-informativo, è articolato in un ufficio turistico di mq 16, una sala audiovisiva di mq 20, dove i turisti possono visionare filmati sulla flora e la fauna del Monte Penna prima di affrontare una escursione ed infine un piccolo deposito di mq 10 per le mountain bike. A fianco di questo settore è collocata la zona ristoro. Al piano primo è posizionato un volume a forma di “capanna”, un elemento collettivo, a servizio del rifugio e delle attività ad esso correlate. Vi si accede dall’interno del complesso attraverso una scala, posizionata nella zona ristoro, mentre dall’esterno tramite un sentiero in pioli di legno.

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di Alberto Ferraresi

(Visita il sito della Comunità Montana Valli del Taro e del Ceno)
(Visita il sito del Comune di Bedonia – escursioni)
(Visita il sito del Simposio Internazionale di Scultura)

* Committente
Comunità Montana Valli del Taro e del Ceno, Parma
Faggio dei Tre Comuni, Bedonia
270 mq superficie complessiva
700 mc volume complessivo
2002-2003 progetto
2003-2006 esecuzione
Impresa Molinari Aldo s.a.s., Parma

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15 Marzo 2007

Interviste

Memorie di un architetto col mal d’Africa.
Fabrizio Caròla a colloquio con Luigi Alini

Fabrizio Carola

‘Volevo una vita vera
e l’ho avuta.
Ho avuto molto e ora
sento il bisogno di restituire’

Fabrizio Caròla, da circa trent’anni col suo ostinato lavoro di architetto-costruttore è impegnato a sostenere l’efficacia di un modello costruttivo fondato sul recupero di elementi della tradizione mediterranea: archi, volte, cupole; lo fa a partire dalle origini, dando corpo e significato ad un’idea di architettura come spazio primario, un’ostinazione che lo ha portato a trascorrere gran parte della sua vita in Africa.
Architetto napoletano formatosi alla Scuola Nazionale Superiore d’Architettura di Bruxelles, quella fondata da Van de Velde. “A 18 anni sono andato via da casa, sono andato in Belgio dove, nel 1956, ho preso la laurea alla Scuola superiore di Architettura “La Cambre”. Nel 1972 sono andato in Africa, (…) ho trovato un architetto che mi ha offerto di lavorare con lui ad Agadir, in Marocco, per la costruzione dell’ospedale”.
Il percorso formativo all’interno di una scuola che aveva un’impostazione analoga a quella della Bauhaus, Van de Velde era stato membro della Bauhaus, lo porta a prediligere un approccio ‘concreto’ all’architettura. Materia, struttura e forma sono i presupposti del suo agire, che e sempre ancorato al ‘fare’, alla ‘concretezza del costruire’.
La sua ‘natura nomadica’ e la vocazione alla ricerca sperimentale lo spingono verso nuovi ‘orizzonti’, nuovi scenari: inizia un ‘percorso’ di ricerca che dall’Italia, a partire dal 1972, si sviluppa prevalentemente in Africa, in particolare nel Malì, dove ancora oggi, a distanza di 35 anni, è impegnato professionalmente. In Africa avviene l’incontro con le tecniche ed i materiali della tradizione, in particolare con le cupole di derivazione nubiana realizzate con l’ausilio del ‘compasso ligneo’. In Africa, per conto di organizzazioni non governative, Caròla conduce una serie di ricerche sull’abitare, sull’edilizia scolastica, sulle tecniche costruttive tradizionali. La sua attenzione è rivolta prevalentemente alle relazioni tra materia e luogo. Indaga il ‘luogo’ nella sua ‘fisicità materica’. L’architettura spontanea, l’architettura senza architetti costituisce uno dei suoi riferimenti privilegiati: agendo sui significati che entrano nella ‘costruzione delle forme’ Caròla mette a fuoco un repertorio di soluzioni, di segni, che ricorrono all’interno del continuo divenire della tradizione.
Con l’ADAUA, agenzia di cooperazione internazionale svizzera, nell’81, in Mauritania, impara ad utilizzare il compasso ligneo, di cui intravede l’efficacia e le possibilità. La terra, sia cruda sia sotto forma di mattone cotto, è il materiale privilegiato. Un materiale che lavora bene a compressione, facilmente reperibile e producibile in sito. Volte, archi e cupole rispondono efficacemente ai criteri di economicità e rapidità di esecuzione.
Tra le sue opere, il Kaedi Regionale Hospital, in Mauritania, rappresenta sicuramente l’espressione più alta di un pensiero e di un agire ‘sostenibile’. L’ospedale, una struttura in bilico tra ‘zoomorfismo’ e ‘fitomorfismo’, nella sua articolazione planimetrica propone un’organizzazione degli spazi aderente alle necessità e ai costumi delle popolazioni locali.
Data l’abbondanza in sito di argilla di ottima qualità, Caròla opta una struttura monomaterica. I mattoni utilizzati sono stati prodotti in sito: due forni alimentati con pula di riso, abbondante in loco, hanno reso possibile la produzione di decine di migliaia di mattoni. Quest’intuizione gli consente di realizzare una struttura molto complessa con un sistema a bassissimo impatto, con una positiva ricaduta anche sulla economia locale: il 75% delle risorse utilizzate sono state investite in sito.

Kaedi Regionale Hospital
Kaedi Regionale Hospital

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Le cupole dell’ospedale sono a doppia calotta: l’intercapedine tra i gusci garantisce un’efficace isolamento termico. Alla base delle cupole, bocchette di ventilazione, realizzate anch’esse in terracotta, consentono il passaggio dell’aria nell’intercapedine. Le cupole, ottenute come solidi di rotazione, sono realizzate con l’ausilio del tradizionale ‘compasso ligneo’, che indica al muratore la posizione nello spazio e l’inclinazione esatta di ciascun concio: un meccanismo costruttivo che le rende autoportanti durante le fasi di costruzione.
La straordinaria esperienza sostenuta da Carola, oltre che nella messa a sistema, nella sistematizzazione e divulgazione di un sapere tecnico che si era perduto, sta nell’aver rivolto lo sguardo verso un orizzonte apparentemente ‘marginale’. Negli anni in cui la cultura architettonica ‘ufficiale’, sostenenva l’idea di uno stile internazionale, FABRIZIO CAROLA compiva un’operazione apparentemente di retroguardia. Rivolgendo il suo sguardo acuto verso quella ‘periferia’ del mondo che è l’Africa, Caròla mette a fuoco una diversa interpretazione delle relazioni tra architettura e luogo: il luogo si manifesta attraverso la materia, che è intimamente connessa alla forma: Caròla ha “guardato attentamente il luogo e osservato meticolosamente la cultura dell’abitare prima di costruire. Si badi: il luogo nella sua fisica evidenza, e non il suo ‘geniusì ineffabile”1
Nell’opera di Caròla, la terra è la materia prima attraverso cui ‘mani pensanti’ plasmano architetture. Materia, luogo, ambiente, forma, sono espressione di una realtà e di un principio che governa il suo agire. La materia si fa elemento strategico del comporre: il processo che regola l’uso del materiale determina necessità e specificità, anche figurative. Il ‘compasso ligneo’ nelle sapienti mani di Fabrizio Carola si fa generatore di possibilità. Negli anni Caròla ne ha modificato le caratteristiche, ne ha variato l’assetto e la geometria con piccole innovazioni, che gli hanno consentito di ottenere una più ampia gamma di geometrie. Variando la geometria e l’asse di rotazione dello strumento, le cupole sferiche divengono a sesto acuto, una soluzione che rende possibile una maggiore efficacia nell’uso dello spazio interno, unitamente ad una migliore ventilazione.

Central  Market Rehabilitation
Central Market Rehabilitation, Mopti, Mali

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Volevo una vita vera e l’ ho avuta. Ho avuto molto e ora sento il bisogno di restituire'”. E’ questa, a mio giudizio, la frase rivelatrice della natura di Fabrizio Caròla, una natura che lo ha portato a scegliere un percorso di vita e professionale meno agevole di quello che avrebbe potuto avere con poca fatica restando in Italia. Invece, ha scelto una strada più faticosa. La stessa che con ostinata convinzione lo ha condotto a fondare l’Associazione N:EA (Napoli, Europa Africa) nella convinzione che solo attraverso il dialogo e il confronto si possa immaginare e realizzare ‘un futuro possibile’. Quel futuro che sta cercando di ‘costruire’ a San Potito Sannita, un piccolo paese in provincia di Benevento. “Il vescovo di Alife, Pietro Farina ci ha fatto avere un comodato d’ uso per 30 anni di un ettaro e mezzo di proprietà della parrocchia e lì con gli studenti di architettura stiamo costruendo un villaggio. L’ obiettivo è la formazione. Si chiamerà “Sette piazze”. I ragazzi imparano a costruire con un grande compasso in legno, archi, volte e cupole. Sono strutture completamente diverse e molto più facili da vivere”.
San Potito Sannita è un piccolo paese, anch’esso apparentemente fuori dal ‘centro’, dove architetti, studenti di architettura ed insegnanti si ritrovano ogni anno per dar vita ad un ‘laboratorio’, dove l’architettura viene praticata come ‘mestiere’. Fare è imparare a fare. Questa regola governa la comunità che si raccoglie intorno a Fabrizio Caròla, un ‘antico’ maestro che insegna ai giovani architetti del futuro a costruire cupole, metafora di un agire più vasto. Antiche e alchemiche formule rivivono nel lavoro di nuove generazioni di architetti. La sua sapienza, la sua approfondita conoscenza di tecniche costruttive, che si sono ‘affinate e precisate nel corso di tren’tanni di sperimentazioni sul campo, la sua esperienza Caròla la trasmette alle nuove generazioni. Ci consegna un bagaglio di conoscenze tecniche, di sapienza che tocca a noi rinvigorire, approfondite trasmettere.
Ho incontrato Fabrizio Carola a San Potito. Durante la visita al cantiere. Durante la lunga chiacchierata che n’è seguita mi ha colpito la sua posizione, il suo modo di relazionarsi con l’architettura, con il mondo: “molte cose me le porto dentro come ragionamenti non esplicitati in parole ma in sostanza costruita (…) sono più il frutto di una intuizione, di una conoscenza istintiva che di un ragionamento scientifico”.
Una traccia che forse stavo cercando anch’io. Un agire, un modo di ‘fare’ in cui l’azione sembra essere governata più dalle ‘mani’ che da astrusi ‘ragionamenti’.
Anche per questo motivo penso che il lavoro di Caròla costituisca un esempio di ricerca condotta ‘fuori’ dagli schemi.
Per approfondire questo ragionamento ho posto a Fabrizio Carola alcune domande.

Luigi Alini: Quando hai deciso che saresti diventato un architetto?
Fabrizio Caròla: A tredici anni, non so perchè ma non ho mai cambiato idea.

LA: L’architettura era qualcosa che avvertivi esser parte della tua vita sin da ragazzo, è stato un lento avvicinamento o una rivelazione improvvisa?
FC: Ho alle mie spalle tre generazioni di ingegneri-imprenditori da parte di mio padre e tre generazioni di architetti da parte di mia madre. Può essere una spiegazione?

LA: Hai studiato alla Scuola Nazionale Superiore di Architettura di Bruxelles fondata da Van de Velde, uno dei fondatori della Bauhaus. In che modo l’impronta e il modello didattico che caratterizzava quella scuola ha inciso sui tuoi percorsi, sul tuo modo di ‘fare’ architettura, di praticarla come ‘arte-fatto’.
FC: A Bruxelles ho avuto degli ottimi professori: De Konink per i primi due anni e Victor Bourgeois per i tre anni seguenti: mi hanno messo sulla buona strada. Ma non è solo merito loro: tutto il sistema, impostato da Van de Velde, era estremamente efficace.
Prima di Bruxelles avevo frequentato per un anno e mezzo la Facoltà di Napoli; lì ci facevano copiare dei progetti di architetti famosi; a Bruxelles invece fin dal primo anno eravamo messi di fronte alla progettazione e producevamo un progetto per ogni trimestre. Il professore criticava e correggeva il mio progetto rispettando però la mia idea e l’ impostazione che io avevo scelto. Eravamo liberi di esprimerci e di avere delle idee a condizione che le idee nascessero dalla logica della funzionalità.

Costruction Technology Training Center
Costruction Technology Training Center, Mopti, Mali

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LA: Durante gli anni trascorsi a Bruxelles, quando eri un giovane studente, quali sono stati gli architetti ai quali guardavi con più interesse e quali le discipline che più ti affascinavano.
FC: Wright, perchè mi sembrava il più umano e Gaudì, di cui mi affascinava la straordinaria capacità di costruire messa al servizio di libertà e fantasia.

LA: Come è avvenuto il tuo incontro con l’architettura della tradizione africana ed in particolare con l’uso del ‘compasso ligneo’ e delle tecniche costruttive di derivazione nubiana.
FC: Le cose sono accadute in momenti diversi:
1) tra il ’61 e il ’63 sono stato impegnato in Marocco con un incarico di urbanista: sistemare le agglomerazioni rurali.
2) L’incontro con l’Africa nera, sub-sahariana, è avvenuto in Mali, nel 1971: vi ero andato non con un incarico di architetto ma di direttore dei lavori per la costruzione del nuovo molo e di alcuni edifici del porto fluviale di Mopti. Lì ho scoperto e studiato l’architettura sub-sahariana, frutto di un adattamento millenario alle condizioni locali, e ho cercato di oppormi al disastro culturale provocato dall’immissione cieca di modelli di architettura nord-occidentale.
3) Nell’81, in Mauritania, lavorando per l’ADAUA , sono venuto a conoscenza del sistema “compasso” per la realizzazione delle cupole. L’ho subito adottato, modificandolo e adattandolo alle esigenze del mio progetto.

LA: Hassan Fathy è stato un precursore, ha reso fruibile e sistematizzato tutta una conoscenza ed un sapere su queste tecniche che era prevalentemente fondato sulla trasmissione orale. Tra il tuo lavoro e quello di Fathy esistono delle evidenti assonanze. In che misura il suo lavoro ha rappresentato per te un riferimento.
FC: Non è l’architettura di Hassan Fathy (che apprezzo molto) che mi ha influenzato ma l’uso del suo compasso. Fin dall’università ero attirato dalle coperture a cupola, ma non sapevo realizzarle se non con strutture metalliche. Il compasso mi ha aperto la strada, che però era limitata a cupole sferiche. Modificandolo, ottenendo cupole ogive, ho ampliato le possibilità di forme e di spazi fondendo in una sola curva muro e tetto (con evidente risparmio di costi).

LA: In Africa hai costruito molto anche in terra cruda. Una materiale ‘vivo’. Qual’è stato il tuo approccio nell’uso di questo materiale ‘speciale’
FC: Mi piace costruire in terra cruda, è un materiale molto duttile perchè il mattone e la malta sono fatti della stessa terra, per cui si saldano e si fondono generando un monolite che può essere anche scolpito. Non sono però un fanatico della terra cruda: la uso quando giudico utile usarla. La terra cruda richiede manutenzione o protezione, perchè esposta alla pioggia fonde come neve al sole. Nelle regioni aride dell’Africa questo difetto ha minore importanza.

LA: Come è nato il progetto del Kaèdi Regional Hospital in Mauritania.
FC: E’ una lunga storia: nel ’78 fui incaricato dal FED (Fondo Europeo di Sviluppo) come consulente presso uno studio tecnico di Parigi per la progettazione dell’ospedale di Kaèdi.
Producemmo un progetto che fu accettato dal FED (finanziatore). Passò un po’ di tempo e seppi che l’incarico era stato trasferito all’ADAUA, associazione svizzera.
L’ADAUA, che avevo conosciuto in occasione di una visita a Kaèdi, mi propose di dirigere la costruzione dell’ospedale. Alla fine del 1980 mi trasferisco in Mauritania. Visito Kaèdi e il piccolo ospedale che bisognava ampliare e mi rendo conto che il progetto elaborato a Parigi era inadeguato. Lo rielaboro completamente e lo presento all’ amministrazione mauritana e al FED di Nouakchot. Il nuovo progetto viene approvato ed inizio i lavori.
Kaèdi è una piccola città della Mauritania. L’Ospedale è stato progettato come estensione del piccolo ospedale esistente realizzato dai francesi ancora ai tempi coloniali. Durante la mia indagine preliminare, visitando le vecchia struttura, fui colpito dalla confusione creata dalla presenza permanente delle famiglie dei pazienti che intralciavano i movimenti dei medici e degli infermieri. Interrogati, i medici mi risposero che l’assistenza dei familiari era indispensabile, avendo constatato che questa presenza continua dei parenti contribuiva alla loro guarigione. Fui molto toccato da questa informazione e posi questo dato, che ho chiamato famiglio-terapia, alla base del nuovo progetto. Dopo molte riflessioni e tentativi pensai di fare “esplodere la pianta” e, invece di un ospedale compatto, realizzare un edificio aperto che permettesse alle famiglie di accamparsi in prossimità delle camere di degenza.
Relativamente alla scelta del materiale e della tecnica costruttiva adottata, fui condizionato dal fatto che a Kaèdi come in tutto il Sahel il materiale più abbondante e più economico è la terra. Il legno è raro e usarlo significava contribuire alla desertificazione in corso. Il cemento armato è costoso, perchè viene importato, e poi non ha prestazioni adeguate a quelle condizioni climatiche. Scelsi dunque come materiale di base la terra, confezionata in mattoni alla maniera tradizionale. Nella tradizione però il mattone viene utilizzato semplicemente essiccato al sole perciò è molto vulnerabile alla pioggia e richiede una manutenzione costante. Ridurre il più possibile le manutenzione garantendo nel contempo prestazioni efficienti nel lungo tempo mi indussero alla decisione di utilizzare mattoni cotti, al fine di renderli resistenti all’acqua. Restava però il problema della produzione in sito dei mattoni e della loro cottura. Una risaia di 600 ettari, più uno stabilimento cinese per la pulitura del riso, producevano a Kaèdi, in grande quantità, riso, crusca e pula. Quest’ultima, non commestibile, si ammucchiava inutilizzata a disposizione del vento. Dopo un certo numero di tentativi, riuscii a creare un forno semplice ed economico in terra cruda, realizzabile con la mano d’opera locale, che permetteva di bruciare efficacemente la pula di riso ottenendo una temperatura fino a 1200 gradi. Per la tecnica costruttiva, avendo scartato legno e cemento a vantaggio del mattone non restava che l’utilizzo delle strutture curve: archi e volte.

Hamadallaye Market
Hamadallaye Market, Bamako, Mali

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LA: Il metodo, come una impalcature, sostiene il nostro agire. Giulio Carlo Argan ha proposto questa definizione di progetto. “Progettare è come attraversare un bosco per uscire dal quale quel che conta è dare coerenza ai movimenti”. Il bosco e la coerenza dei movimenti. Una metafora molto interessante: esplorare mondi sconosciuti e contemporaneamente ancorare il nostro agire ad un metodo.
Quando cominci a lavorare ad un progetto, quali sono i dati su cui ‘costruisci’ la proposta.
FC: Tutti i dati del luogo: il clima, le condizioni sociali dei futuri utenti, i materiali e mezzi disponibili, la qualità della mano d’opera, il budget disponibile, il tempo di consegna.

LA: Le tue architettura sono intimamente connesse al luogo. Sembrano essere una emanazione, una estensione di quel luogo. La ri-velazione del luogo sembra essere lo scopo del progetto.
FC: Questo deriva dal rispetto o meno dei dati enunciati nella risposta precedente al quale si aggiunge la sensibilità che è propria di ciascun architetto e che deriva dal suo curriculum umano e culturale.

LA: Il tuo interesse per l’Africa, per un’architettura che vive in sintonia con la natura credo abbia delle motivazioni che vanno al di là del contesto con cui ti sei confrontato. Penso si tratti di una motivazione più ‘profonda’. Un ‘sentire’ che ha una connessione più ‘intima’ con l’ambiente, non solo con l’ambiente naturale.
Mi ha molto colpito in questo senso l’associazione che hai fatto tra architettura e uomo, tra spazio e qualità dello spazio in relazione ad una distinzione tra strutture in-tensione e strutture ‘a riposo’ come le cupole.
FC: L’Africa mi ha sempre attirato e non so perchè ma nello specifico mi ha dato l’opportunità di esprimermi liberamente: nel bene e nel male, ma libero.
L’Africa non è ancora oberata da norme, articoli, commi, divieti, che opprimono la nostra vita e la nostra naturale creatività. Sappiamo benissimo che tutte queste normative servono a proteggere la collettività dagli abusi sul territorio, ma chi giudica?

LA: Luce e materia sono gli elementi di un sistema di relazioni molteplice, fatto di mille sfumature, che spinge la nostra ‘immaginazione’ ad andare ‘oltre’.
Nelle tue architettura sovente ad una componente massiva, fa da contrappunto, una progressiva ‘smaterializzazione’ della massa muraria in elevazione, come accade nell’ Herb Market di Medina, dove la luce e le sue relazioni con la materia, la sua porosità, manifestano una sorprendete leggerezza.
FC: Sento l’obbligo di precisare che io non ho un pensiero dell’architettura ma un procedimento logico nel progettare. Ogni elemento del progetto ha per me una sua precisa funzione. Non vi è nulla di inutile o di preconcetto. Se il risultato ha in più un valore estetico vuol dire forse che le scelte sono giuste e forse che non sono tutte dettate dal freddo raziocinio ma anche da una partecipazione del sub-cosciente, che è più o meno carico di valori umani e culturali e che subdolamente influenza il progetto.

LA: Le connessioni tra materiali, tecnologia e progetto sono molto evidenti nella tua ricerca progettuale, che sembra svilupparsi tutta all’interno della ‘dimensione costruttiva dell’architettura’.
FC: Sono sempre stato rispettoso del rapporto fra materiale, tecnologia, funzione e forma perchè dal corretto rapporto di questi quattro elementi dipende l’economia del progetto ed anche la sua riuscita.
Nella maggior parte dei casi, nel nostro mondo occidentale questo rapporto conduce a una soluzione a superfici piane a ‘reprimere’ il desiderio di superfici curve, giudicate troppo complesse e onerose da realizzare.
In Africa, invece, ho trovato condizioni del tutto diverse che ribaltavano la situazione, per cui l’uso delle forme curve, si rivelava una soluzione logica.
Nei paesi del Sahel (la zona dell’africa compresa fra il deserto e la foresta) la mano d’opera è abbondante, sotto-occupata e a basso costo; per contro i materiali moderni, come il cemento e il ferro, sono importati e perciò costano molto e implicano la fuoriuscita di moneta pregiata, mentre l’uso del legno contribuisce alla desertificazione. La terra, materiale abbondante e a costo quasi nullo, sotto forma di mattoni cotti o crudi, è il materiale più economico e diffuso.
Per utilizzare il mattone o la pietra anche in copertura, in sostituzione del legno, ferro o cemento, bisogna ricorrere necessariamente alle strutture compresse e cioè: volte, archi e cupole.
Applicando e sperimentando l’uso di queste strutture ho potuto rilevarne vari vantaggi: sono economiche, di facile e rapida esecuzione anche per una manodopera non qualificata e si comportano meglio del cemento armato in difficili condizioni climatiche.

LA: L’architettura, almeno in certe condizioni sembra essere governata dall’economia, a volte n’è la diretta emanazione. In che misura ti sei dovuto confrontare con questo dato del progetto e come ha inciso sulle tue scelte.
FC: L’economicità deriva soprattutto dal poter risolvere con un materiale economico il problema. Nel caso delle strutture a cupola, l’operaio in una sola operazione realizza l’intera costruzione dalle fondazioni alla chiusura.
E’ un’operazione semplice, più di quanto lasci supporre la forma ardita di una cupola. Con l’aiuto del ‘compasso’ il muratore procede sicuro, senza rischio alcuno di poter sbagliare. Questa operazione non richiede nessuna particolare competenza: non bisogna fare altro che posizionare il mattone secondo l’inclinazione indicata dal compasso. Questo sistema è talmente semplice che ho potuto realizzare decine di cupole, di varie forme e dimensioni, con operai non qualificati, improvvisati muratori dopo poche ore di apprendimento.
Come vedi la mia scelta risponde a criteri di efficienza e di economicità.

LA: L’articolazione planimetrica delle tue architetture sovente sembra privilegiare una struttura ‘a grappolo’.
FC: Quando utilizzi un principio costruttivo fondato sull’uso della cupola, il sistema di pianta può essere sia ortogonale (quadrati e rettangoli) sia polare (una combinazione di cerchi). La pianta polare si è rivelata, prima in teoria e poi nella pratica, più economica, per tempo e quantità di materiale, e più adeguata alle caratteristiche della manodopera disponibile in Africa

LA: Un’ultima curiosità. In più di trent’anni di attività le superfici curve non ti hanno mai ‘abbandonato’, non lo hai mai avvertito come un limite.
FC: La cupola è una forma di copertura che mi ha sempre attratto ed affascinato fin da quando, ancora ragazzo, ho pensato di diventare architetto.
Quando mi chiedo il perchè di questa attrazione, trovo più risposte, nessuna sufficiente ma forse tutte valide, perchè tutte insieme danno una risposta, se non completa almeno sufficiente.
Prima di tutto la cupola appartiene al mondo delle curve: pur senza disdegnarle, non ho amore per le superfici piane, squadrate, piegate ad angolo retto con spigoli vivi. Trovo che le superfici curve e raccordate siano più vicine alla forma della natura e perciò più adatte a racchiudere o accompagnare la vita dell’Uomo.
In secondo luogo posso supporre che la mia appartenenza alla civiltà mediterranea, che di archi, cupole e volte ha fatto grande uso, abbia la sua parte nella predilezione che ho per queste forme.
Infine, ti confesso, che le curve soddisfano maggiormente il mio tipo di sensibilità perchè sono morbide e sensuali, ma questa è un’altra storia!

Medine Herb Market
Medine Herb Market, Bamako, Mali

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Per maggiori infomazioni: Rivoluzionesostenibile.org

Note
1Benedetto Gravagnuolo, p. 32, in Villaggio per sperimentare una ipotesi di futuro, a cura di F. Verderosa, Intra Moenia, Napoli, 2003

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12 Marzo 2007

Elementi di Pietra

Traslucenze per interni

Bagno
Stanza da bagno in una casa privata a Madrid di Teresa Sapey.

La disponibilità di tecnologie contemporanee in grado di ridurre i blocchi di pietra in spessori ultrasottili ibridandoli poi con pellicole rinforzanti e supporti di varia natura – tra cui il vetro che in questo particolare campo applicativo ha assunto un ovvio imprescindibile valore – ha inaugurato, in apertura del nuovo millennio, nuove vie di sviluppo ad un’estetica della traslucenza sempre più basata su pelli litiche libere, superfici grafiche e coloriche cangianti elette a luoghi di espressione di una crescente e fervida creatività.
Così alabastri, onici e marmi cristallini sempre più sottili – con spessori minimi che possono spingersi fino ai 2-4 mm – possono essere oggi massimamente valorizzati nelle loro qualità di lasciarsi attraversare parzialmente dalla luce, trovando nel connubio con la materia vitrea e con strati di incollaggio in genere epossidici, una valida integrazione e complementarietà per ciò che attiene le loro prestazioni strutturali e di coibenza termica e acustica. Inoltre, poichè il marmo-vetro si configura come un materiale laminare bifronte, ulteriori possibilità di espressività formale si aprono a seconda che la pietra si porga alla vista direttamente, come strato più vicino agli occhi di chi la osserva, o venga invece percepita attraverso la lastra di vetro. Nel primo caso l’effetto di traslucenza sarà più definito, con un maggior contrasto e una maggiore incisione delle trame coloriche e cristallografiche della materia litica; nel secondo caso il filtro vitreo darà maggiore “morbidezza” a colori e tessiture che risulteranno più omogenei, con un effetto finale meno calligrafico e di maggiore densità.
La traslucenza dei materiali laminati costituiti da pietra e vetro deve moltissimo, come in passato, alla luce naturale posta ad attraversarli dall’esterno verso l’interno, ma in forma inedita può attingere sempre più anche alle accresciute potenzialità del progetto contemporaneo della luce artificiale, capace quest’ultima – dall’interno – di proiettare la materia, e gli involucri da essa formati, verso insondabili leggerezze nella oscura “pesantezza” dei cieli notturni e, soprattutto di accendere presenze coloriche e materiche del tutto inaspettate nell’allestimento degli spazi interni e nella realizzazione di arredi fissi o mobili.

Caffè
Caffè a Vienna di Larch & Koenig Architects.

Progetti recenti come quello del Centro culturale a Vienna di Larch & Konig Architects, in cui una parete di marmo calacatta retroilluminata artificialmente scherma spazi distributivi e vani tecnici creando una scenografica soluzione di sfondo per il bar, o come quello di Teresa Sapey in cui la stanza da bagno di una casa privata madrilena è caratterizzata dalla presenza di lavabi e pannelli litici accesi e mo’ di lanterne, sono emblematici di una nuova frontiera applicativa della pietra traslucida che si esplica sul confine tra l’architettura tout-court e il design allestitivo d’interni; in tale nuovo territorio di sperimentazione la materia litica supportata dalla presenza del vetro e retroilluminata può dispiegare peculiari qualità formali e strutturali per dar vita a pavimenti galleggianti, controsoffitti sospesi, rivestimenti parietali, arredi fissi integrandosi con strutture metalliche o lignee e risultando ottimale – rivolgendo lo strato vitreo all’esterno per garantire miglior resistenza all’usura e tenuta ai liquidi – anche per la realizzazione di piani di appoggio e di lavoro.
In questi casi, in base al litotipo impiegato, allo spessore del marmo-vetro applicato dipendente da eventuali esigenze strutturali o eminentemente decorative, e soprattutto in relazione alle geometrie delle superfici da realizzare, una grande attenzione deve essere rivolta alla scelta della tipologia di luce artificiale e della forma dei corpi illuminanti nonchè alla progettazione della loro distribuzione alle spalle delle lastre. Se, in termini generali, è possibile affermare che la fonte luminosa non dovrebbe mai essere collocata a più di 15 cm dalla lastra traslucida e che i corpi illuminanti a luce fredda garantiscono un più efficace ed omogeneo effetto di retroilluminazione, tuttavia il campo applicativo della traslucenza attivata da luce artificiale è ancora caratterizzato da un processo più che mai dinamico di sperimentazione, foriero di inedite e variegate soluzioni tecniche possibili: alcune pionieristiche linee produzione di mobili e complementi d’arredo sono in proposito emblematiche.

Lampade
Lampade Cubix Soft in pietre traslucide della linea Francioni Living.

[photogallery]traslucenze_interni_album[/photogallery]

di Davide Turrini

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Teresa Sapey
Larch & Koenig
Francioni Marble & Stone

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11 Marzo 2007

News

International Award Architecture in Stone 2007– 10ª edizione

In occasione della 10a edizione dell’International Award Architecture in Stone, la Giuria, riunitasi il 3 marzo, composta da:

Arch. Marco Casamonti, Firenze; Prof. Facoltà Architettura Genova, Direttore rivista AREA
Arch. Luis Fernandez Galiano, Madrid; Direttore rivista AV Arquitectura Viva
Arch. Werner Oechslin, Zurigo; Prof. Università ETH di Zurigo
Arch. Vincenzo Pavan, Verona; Prof. USA Institute Italia
Arch. Francesco Venezia, Napoli; Prof. Facoltà Architettura Venezia

ha giudicato quaranta opere architettoniche, realizzate negli ultimi due-tre anni in quindici diversi Paesi, precedentemente selezionate dal coordinatore Vincenzo Pavan. Dopo approfondita analisi e ampia discussione, la Giuria ha scelto le seguenti opere che, per qualità architettonica, uso espressivo dei materiali lapidei e disegno tipologico, sono state ritenute rappresentative di un panorama chiaro e significativo delle migliori realizzazioni a livello internazionale.

Piscinas do Atlantico

Paulo David
Piscinas do Atlantico
, Madeira, Portogallo, 2005

Monastero Cistercense

Jan Olav Jensen & Børre Skodvin
Mariakloster, Monastero Cistercense, Isola di Tautra, Trondheimsfjord, Norvegia, 2003-2006

Banco de Espana

Rafael Moneo
Ampliación del Banco de España, Madrid, Spagna, 2006

Muralla Naziri

Antonio Jimènez Torrecillas
Completamento della Muralla Nazarí Granada, Spagna, 2003-2006

Casa bifamiliare

Beniamino Servino
Rimodellamento di casa bifamiliare, Pozzovetere, Caserta, Italia, 2001-2006

Il premio “ad memoriam”, dedicato ad architetti scomparsi il cui contributo all’architettura di pietra sia stato particolarmente rilevante, è stato assegnato a:

Monumento ai caduti

M. Fiorentino (1918-1982), G. Perugini, N. Aprile, C. Calcaprina, A.Cardelli
per l’opera:
Monumento ai caduti delle Fosse Ardeatine, Roma, Italia, 1944-1951

La Giuria ha inoltre deciso di riconoscere con il “Premio Architettura Vernacolare“, adottato per la prima volta nell’International Award Architecture in Stone, un esempio originale e unico di architettura popolare contadina costruita in pietra:

Lessinia

Architettura e paesaggio della Lessinia
Zona montuosa settentrionale della Provincia di Verona

Un particolare riconoscimento è stato assegnato ad una singolare costruzione vernacolare:

Stalla e ghiacciaia del Modesto

Stalla e ghiacciaia del Modesto
Roverè Veronese, Verona, Italia
Opera di Modesto Paggi (1843-1928) contadino e costruttore

La Giuria elaborerà, per il volume illustrativo previsto, un saggio di presentazione delle opere prescelte, che renda esplicite le ragioni dell’assegnazione del premio. Il saggio di presentazione generale sarà scritto da Francesco Venezia.

Vai al sito Marmomacc

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7 Marzo 2007

Principale

Edimburgo AND Modernità

Northern City

Tre appuntamenti a Firenze per l’architettura e l’arte contemporanee scozzesi.
La capitale della Scozia arriva a Firenze. La rivista di architettura AND invita Edimburgo a raccontare l’architettura e l’arte scozzese contemporanee in tre momenti diversi: un convegno, una mostra e un numero monografico della rivista.
Edimburgo è una città complessa. Sotto un’apparenza stabile e posata, risultato di uno sviluppo
fisico legato in modo stretto e coerente ai movimenti filosofici e letterari di cui è stata protagonista
e testimone, nasconde in realtà uno spirito molto vivace, un carattere schizofrenico, una tensione sospesa tra dualismi: luce e ombra, razionale e irrazionale, centro urbano e margine naturale. Tra questi “dialoghi di opposti” rientra a pieno titolo il rapporto tra la tradizione e la modernità, che si esprime esplicitamente nel contrasto tra la Old Town – il cui masterplan è stato disegnato da John Hope – e la New Town, ma va a permeare anche molti altri aspetti della città. Il passato di Edimburgo, prezioso e celebrato dalla tradizione, si affianca a una vivace attenzione verso il presente, con una serie di appuntamenti che rendono la capitale una delle località che organizza il maggior numero di festival. Rassegne di cinema, blues, jazz, libri e spettacoli rappresentano quindi lo slancio della città verso il presente e il futuro, uno sguardo attento a captare le evoluzioni del gusto e ad esserne testimone.
Lo stesso accade per l’architettura. Accanto alle testimonianze storiche, il Castello, che è uno tra i più celebri al mondo, la Cattedrale di St Giles, gli edifici di Calton Hill, la Galleria Nazionale di William Playfair, Edimburgo ha fatto spazio a una serie di edifici firmati da importanti rappresentanti dell’architettura contemporanea: tra gli altri, l’ampliamento del Museo della Scozia di Benson + Forsyth, il Nuovo Parlamento Scozzese di EMBT/ Miralles-Tagliabue, la Dance Base e la Biblioteca della Poesia di Malcolm Fraser Architects, 1999. È questa realtà sfaccettata, che si presta ad ancora più numerose interpretazioni, che intendono presentare, con modalità diverse e tra loro complementari, le tre iniziative che AND ha organizzato per accogliere la città di Edimburgo, con cui Firenze è gemellata, e, in particolare, la scena architettonica contemporanea.

Gli appuntamenti sono:
La mostra “The Northern City – Between light and dark”
Palagio di Parte Guelfa, Firenze, 12-25 marzo 2007
Il convegno “L’architettura scozzese contemporanea”
Palagio di Parte Guelfa, Firenze, 12 marzo 2007 ore 16.00

Il numero monografico di AND “Edimburgo AND Modernità”
n. 08, gennaio/aprile 2007

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