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31 Maggio 2007

Principale

A novembre la “prima” di Expoedilizia

La filiera delle costruzioni sul palcoscenico romano
Il percorso “ERRE” scopre le Energie Rinnovabili e il Rendimento Energetico nell’edilizia
Dal 28 novembre all’1 dicembre 2007 presso la nuova Fiera di Romafiera_di_roma.jpg

Dal 28 novembre all’1 dicembre 2007 presso il nuovo polo fieristico romano si terrà la prima edizione di Expoedilizia – Fiera professionale per l’edilizia e l’architettura –, l’appuntamento organizzato da Senaf – società specializzata in fiere di settore – e da Fiera di Roma. Quattro saloni tematici (Elementi Strutturali, Macchine e Attrezzature, Serramenti e Finiture, Colore) per rispondere alle richieste di un mercato, quello delle costruzioni, che rappresenta uno degli assi portanti dell’economia nazionale e che continua la sua corsa con il segno positivo, in particolare nelle aree del Centro e del Sud Italia.
Il 2006 rappresenta infatti per la filiera l’ottavo anno di crescita consecutiva, chiuso con una produzione di circa 144 miliardi di euro (+1,1%). Per il 2007 le previsioni indicano una ulteriore crescita dello 0,9%. I dati, elaborati dall’associazione Ance, mettono in luce la maggiore dinamicità dei mercati del Sud e del Centro Italia, con un incremento, nel 2006, rispettivamente dell’1,8% e dell’1,2%.
La rassegna, nata per rispondere alle crescenti esigenze della costruzione di nuovi edifici e dell’ammodernamento di quelli esistenti, si presenta quindi come punto di riferimento professionale per il Centro-Sud Italia, favorita anche dalla strategica collocazione della nuova fiera di Roma, accanto all’aeroporto di Fiumicino e dal completamento dei collegamenti con una fermata ferroviaria dedicata. Un’opportunità sia per le aziende espositrici che potranno entrare in contatto con un pubblico altamente qualificato (progettisti, studi di architettura, imprese di costruzione, distributori e grossisti di macchinari, componenti, strutture e sistemi per l’edilizia), sia per i visitatori che disporranno di un’ampia rassegna dei prodotti/servizi più innovativi.
ERRE – Percorso delle Energie Rinnovabili e del Rendimento Energetico nell’edilizia
Con la prima edizione di Expoedilizia Senaf ha voluto assecondare le nuove e crescenti richieste che provengono dal mercato delle costruzioni e dell’impiantistica tecnica, ossia l’adozione di soluzioni che tengano conto dell’impatto ambientale e del risparmio energetico. E così i temi della sostenibilità ambientale delle costruzioni, i certificati energetici, il rendimento energetico e le energie alternative verranno approfonditi durante l’appuntamento fieristico attraverso l’iniziativa ERRE, organizzata in collaborazione con l’associazione CNA Consulta Nazionale sul Rendimento Energetico in Edilizia.
Il progetto ERRE abbraccerà, oltre il settore delle costruzioni, anche quello impiantistico, poichè in contemporanea a Expoedilizia si terrà la seconda edizione di SITE – Salone dell’Impiantistica Termoidraulica ed Elettrica e dell’Arredobagno –. Un’iniziativa trasversale tra due fiere che darà alta visibilità alle aziende espositrici che propongono soluzioni che puntano alla sostenibilità ambientale o che utilizzano le energie alternative.
Il percorso è suddiviso in due specifici gruppi:
– Edilsostenibile (nell’ambito di Expoedilizia): per le aziende che si occupano di prodotti e servizi inerenti alla bio-edilizia, all’isolamento acustico, alle barriere termiche, alle coibentazioni, alle vetrate a basse emissioni, ai materiali coibentanti e all’involucro edile.
– Ecoenergie (nell’ambito di SITE): per le aziende che si occupano di solare termico, solare fotovoltaico, co-generazione, geotermia, prodotti che utilizzano biomasse, pellets e legna, led e lampadine fluorescenti elettroniche, sistemi domotici.

Durante i quattro giorni di fiera Senaf darà particolare spazio all’aspetto formativo e didattico, considerato un elemento fondamentale per la crescita professionale. In questo senso, con il contributo di Federcomated che patrocina l’evento, sono previsti momenti congressuali sulle principali tematiche attuali del settore edile, tra le quali le normative sul rendimento energetico e la sicurezza sul cantiere.
Oltre alle numerose attività formative si stanno inoltre definendo iniziative nate in collaborazione con importanti associazioni che hanno aderito al progetto. Tra queste si segnalano:
– Piazza della Sicurezza, un’area dimostrativa dinamica che si svolgerà all’interno del salone “Macchine e Attrezzature”, organizzata in collaborazione con IPAF (International Powered Access Federation).
– Piazza Noleggio, uno spazio a cura di Assodimi/Assonolo, per presentare esclusivamente servizi di noleggio che sono fortemente utilizzati nel settore edile.

“Il mercato del Centro-Sud sta rispondendo bene alla nascita del nuovo appuntamento fieristico –, afferma Emilio Bianchi – Project Manager di Expoedilizia –. Le aziende hanno infatti recepito l’importanza di un evento “cucito su misura” per promuovere i propri servizi o prodotti in un’area geografica connotata da notevoli potenzialità di crescita.
“Expoedilizia sta riscuotendo il parere favorevole di molte associazioni del settore con cui stiamo definendo una serie di iniziative importanti. Siamo convinti che la manifestazione diverrà in breve tempo, insieme a SITE, il punto d’incontro per l’intera filiera delle costruzioni e dell’impiantistica tecnica”.

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Tutte le informazioni sulla fiera su www.senaf.it , tel. 02 3320391

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29 Maggio 2007

Opere di Architettura

Anton Garcia Abril
SGAE Central Office, Santiago de Compostela

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SGAE Central Office a Santiago de Compostela di Anton Garcia Abril. Vista del modello in scala 1:1 della facciata realizzata con massi granitici (foto Roland Halbe).

L’arcano delle pietre informi
Il tema della rustica, della trasformazione delle forme naturali del mondo geologico in figure costruttive, ha goduto per lungo tempo di una grande fortuna e ha rappresentato uno dei capitoli fondamentali della storia dell’architettura litica. Sin dall’antichità romana, con un processo di massima rivalutazione durante il Rinascimento e il Barocco, pietre informi, ruvide e scabre sono state chiamate a dar vita a dispositivi costruttivi, trasfigurando l’asprezza degli ammassi rocciosi e dei fenomeni erosivi naturali, e sprigionando una forza figurale e concettuale capace di travalicare i modi e i limiti del linguaggio architettonico.
Come elemento funzionale ed espressivo diacronico, il vitale e inesauribile repertorio della rustica gioca da sempre sul sottile e labile confine tra natura e artificio, regola ed eccezione, ordine e bizzarria, armonia e contrasto formale e materico, finito e non finito, in una complicità dialettica tra gli opposti capace di dar vita a immagini, e a misteriose metafore illusorie, al contempo attraenti e inquietanti. Con la sua riproduzione di luoghi, spazi e forme naturali in composizioni artificiali l’opera rustica ha portato alla luce le viscere della terra con i loro mondi segreti sotterranei fatti di grotte e caverne; ha poi incastonato nella costruzione architettonica squarci di paesaggio roccioso affascinanti e al tempo stesso terribili, caratterizzati da motivi naturalistici di grande plasticità, prodotti da suggestioni di scorci pittoreschi, affioramenti rocciosi, rupi spaccate, orridi, scogliere, siti impervi e selvaggi; infine, ha dato nuova vita a rovine riconquistate dalla natura, dirute, terremotate o erose dagli agenti atmosferici e metabolizzate da ricoprimenti di terra e vegetazione.
In tutti questi temi espressivi la rustica ha rivalutato i caratteri della materia litica che sono oggetto di apprezzamento sensoriale prima ancora che di lettura intellettuale: la fisicità della pietra, la sua consistenza e il suo spessore, il suo modo di presentarsi al tatto e alla vista, di reagire alla luce e all’ombra, all’umidità dell’ambiente, alle concreazioni minerali e alle forme vegetali che la possono ricoprire e popolare. Accanto a tale portato fisico-materico di maggiore immediatezza, tale architettura travestita da natura che al rigore della geometria contrappone la schiettezza brutale delle pietre amorfe e la potenza formidabile della roccia, ha veicolato poi una serie di valori intangibili, intellettuali e speculativi, legati innanzitutto al concetto di imitazione del mondo naturale, di eterno conflitto tra verità e finzione, e in secondo luogo, in modo più mediato e indiretto, ad un insieme complesso di visioni cosmogoniche. In ultima analisi la rustica ha da sempre portato con sè una serie di richiami al mistero dell’origine della terra e dell’umanità, alle entità progenitrici, ai miti del demiurgo e dell’homo faber, ai topoi primigeni e primitivi, nonchè ai simbolismi religiosi della potenza vitale della pietra, legata all’immagine del Cristo come lapis vivus, o come pietra angolare, e dei fedeli come pietre vive1.

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SGAE Central Office. Dall’alto: rendering tridimensionale di un interno e vista dell’edificio in costruzione (foto Ensamble Studio).

Venendo all’epoca attuale bisogna sottolineare che l’avvio della modernità è stato caratterizzato da un rapporto controverso con i temi espressivi più propri della rusticitas, e con il naturalismo in generale; nel contesto di tale relazione problematica, tra avvento e diffusione del rigido universo formale della prima era industriale, derive organiche, e istanze neo-rusticane ed ecologiste, l’eterno dilemma tra natura e artificio ha continuato ad animare alcuni filoni di dibattito nella cultura architettonica ma è rimasto sostanzialmente sullo sfondo per lungo tempo rispetto ad altri temi di più spiccata visibilità.
Oggi, in una contemporaneità incline ad una sempre più spinta smaterializzazione dei processi e dei prodotti e tuttavia estremamente interessata alla materia e alle sue qualità sensoriali, con crescente frequenza, i valori di naturalità e organicità espressi dai materiali litici informi o appena irreggimentati dal lavoro umano tramite sbozzature e grossolani trattamenti superficiali, vive una stagione di rinnovato successo.
L’esaltazione delle qualità tattili della roccia viva appena manipolata dall’ingegno e dal lavoro dell’uomo e della metafora di forza primordiale ad essa connaturata, continuano ad esercitare un alto potere di fascinazione sul mondo della creatività contemporanea, nel campo dell’architettura come anche nel settore del design. Così se la rustica, con tutta la sua dirompente carica semantica, è uno stereotipo semplicemente frequentato, o più spesso rielaborato dal progetto d’architettura attuale, l’arcano delle pietre informi, il mito del “selvaggio in città”, è oggi al centro di un fertile fenomeno di attualizzazione spesso incline a trasferire i valori espressivi della materia litica informe anche ad altri materiali (calcestruzzo, materie plastiche), in un fervore immaginativo e sperimentale del tutto vitale e originale.
Il ritorno alla natura, alla veracità primigenia, veicolato dall’estetica ella pietra rustica, di quella che secondo la definizione di Anna Barbara può essere identificata come “materia iconica”, è certo in linea con le istanze di una certa contemporaneità, a nostro avviso ancora una volta combattuta nel confronto irrisolto, e forse irrisolvibile, tra naturalità ed artificio, tra realtà e illusione, e in questo caso più che mai tra minimalismo e barocco. “Materia iconica è una sensazione che non passa attraverso le metafore, perchè è scritta con espressioni dirette. Si esprime con un linguaggio trasversale compreso tra l'”estetica ecologica” del native (fusione recente tra l’evergreen ecologismo e il conservatore vernacolarismo) e la “ecologia estetica” del minimal (filiazione tardiva, ma efficace del Moderno)”2.
Al di là delle definizioni e delle istanze classificatorie, le trasfigurazioni contemporanee della rustica dimostrano che il fascino per l’ambigua presenza della pietra nuda è fondamentale per una consistente tendenza di sviluppo dell’architettura litica contemporanea. Realizzazioni come la Sede per la società degli autori ed editori di Santiago de Compostela (2004-2007) di Anton Garcia Abril, in cui spezzoni granitici ciclopici danno vita ad una titanica composizione megalitica, fanno rivivere in chiave attuale la matericità assoluta dei dolmen e dei menhir, la sensazione che la forma della costruzione scaturisca dalla materia che la compone impiegata nella trasformazione più prossima al suo stato nascente, riportano insomma al nostro ascolto il suono delle prime sillabe con cui l’uomo ha iniziato a parlare il linguaggio dell’architettura.

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SGAE Central Office. Dall’alto: fasi di taglio dei massi granitici sul piazzale di cava e prove di montaggio della facciata ciclopica (foto Ensamble Studio).

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L’opera di Anton Garcia Abril
La nuova sede per la Società degli Autori ed Editori di Santiago de Compostela, progettata dall’architetto madrileno Anton Garcia Abril3, sorge in un comparto cittadino delineato nel suo assetto urbanistico da Arata Isozaki e destinato ad accogliere principalmente edifici universitari di nuova costruzione. L’edificio, di recente completamento, ospita su oltre 3.000 metri quadrati di superficie gli uffici della Società con numerosi spazi per attività culturali e formative aperte al pubblico ed è costituito da un unico volume lineare dal notevole sviluppo longitudinale, attestato sul bordo stradale di un’area verde da cui è possibile intravedere lo skyline storico del capoluogo galiziano. L’architettura, collocata come un filtro tra la città e il giardino, si configura così come una grande quinta continua, dall’andamento leggermente incurvato a seguire il tracciato viario.
Retto da una maglia strutturale metallica il corpo di fabbrica risulta caratterizzato da tre diversi diaframmi parietali che, correndo perlopiù paralleli per tutta la lunghezza della costruzione, definiscono strisce funzionali e condizioni ambientali diversificate.
Un primo setto lineare è rappresentato dall’involucro di facciata sulla strada realizzato in grandi elementi di vetro trasparente o traslucido che garantiscono agli ambienti interni un calibrato dosaggio dell’illuminazione naturale; un secondo schermo intermedio, anch’esso leggero e trasparente, definisce in senso longitudinale un portico chiuso verso il giardino dal terzo diaframma, costituito invece da una colossale catasta di massi appoggiati e incastrati gli uni sugli altri a reggersi reciprocamente grazie alle forze di attrito e di gravità.
I pesanti spezzoni litici sono stati tagliati e sommariamente sbozzati nelle cave del granito grigio di Mondariz, un materiale lapideo galiziano già impiegato da Abril in forma di grandi blocchi per dar vita al rivestimento a spessore della Scuola di Alti Studi Musicali realizzata a Santiago tra il 1999 e il 2004. Successivamente la disposizione dei massi granitici irregolari è stata oggetto di un attento studio che ha portato dapprima alla realizzazione di un modello della facciata in scala 1:1, poi alla riproduzione in opera dell’apparecchiatura ciclopica4.
Caratterizzata allo stesso tempo da una immota monumentalità e da un inedito dinamismo tessiturale la muraglia rocciosa di Abril rivolge verso l’interno del lotto un volto ambiguo e stimolante, naturale e artificiale, riguardabile al contempo come una gigantesca scultura architettonica fatta per catalizzare l’attenzione dell’osservatore e come uno sfondo ipernaturalistico fatto per perdersi nel verde del giardino. La luce gioca tra i massi, li avvolge, si sposa con la materia granitica, oltrepassa la catasta di pietra per raggiungere l’interno dell’edificio attraverso gli ampi vuoti lasciati tra un monolite e l’altro; tutto l’equilibrio figurale e ambientale dell’ architettura è sospeso tra gravità e leggerezza, opacità e trasparenza, brutalità materica e delicata immaterialità; tutta la forza dell’opera sta nell’aver evocato ancora una volta l’arcano delle pietre informi.

di Davide Turrini

Vai a: Ensamble Studio

Note
1Per un approfondimento sulle origini e lo sviluppo storico del rapporto dialettico tra architettura e natura si veda Marcello Fagiolo, Natura e artificio, Roma, Officina, 1979, pp. 271 e in particolare, al suo interno, sugli aspetti sacrali, mitologici e archetipici dell’homo faber e della natura artificialis il saggio dello stesso Fagiolo intitolato Strutture antropologiche dell’artificio: il mito del Demiurgo e la sfida di Caino e Prometeo (pp. 7-13); mentre sugli aspetti teorici e costruttivi dell’opera rustica il saggio di Gabriele Morolli, “A quegli idei selvestri”: interpretazione naturalistica, primato e dissoluzione dell’ordine architettonico nella teoria cinquecentesca sull’Opera Rustica (pp. 55-97). Si vedano inoltre: Maria Adriana Giusti, Alessandro Tagliolini (a cura di), Il giardino delle muse. Arti e artifici nel barocco europeo, Firenze, Edifir, 1995, pp. 277; Alessandro Rinaldi, “Saxum Vivum e non-finito nelle grotte fiorentine del Cinquecento” pp. 299-307, in Isabella Lapi Ballerini, Litta Maria Medri (a cura di), Artifici d’acque e giardini. La cultura delle grotte e dei ninfei in Italia e in Europa, Firenze, Centro Di, 1999, pp. 421.
2Anna Barbara, Storie di architettura attraverso i sensi, Milano, Bruno Mondadori, 2000, p. 113.
3Antón García-Abril Ruiz nasce nel 1969 a Madrid dove, nel 1995, si laurea presso la Escuela Tècnica Superior de Arquitectura. Dopo aver lavorato negli studi di Santiago Calatrava (1992) e Alberto Campo Baeza (1990-1994), nel 2000, a Madrid, consegue il titolo di dottore di ricerca in progettazione e nello stesso anno, sempre nella capitale spagnola, fonda l’Ensamble Studio. Tra i suoi lavori si ricordano, la Sala per concerti e la Scuola di Musica a Medina del Campo (2003), la Scuola di Alti Studi Musicali di Santiago de Compostela (2004) e la Casa Martemar a Malaga (2005).
4In proposito di veda anche Kaye Geipel, “1:1 Modell im Steinbruch”, Bauwelt nn. 40-41, 2006, pp. 54-57.

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28 Maggio 2007

Principale

Atlante dell’architettura Ferrarese

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Carla Di Francesco, Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia
Sergio Lenzi, Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara
hanno il piacere di invitarLa alla presentazione del volume

ATLANTE DELL’ARCHITETTURAFERRARESE
elementi costruttivi tradizionali

edito da Motta Architettura
Mercoledì 6 giugno 2007, alle ore 17.00
Palazzo Litta, Salone degli Specchi
corso Magenta, 24 – Milano

Interverranno
Alberto Artioli Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Milano
Amedeo Bellini Ordinario di Restauro e Direttore della Scuola di Specializzazione in Restauro dei Monumenti del Politecnico di Milano
Riccardo Dalla Negra Ordinario di Restauro alla Facoltà di Architettura di Ferrara
Saranno presenti gli autori
Carla Di Francesco, Rita Fabbri, Fabio Bevilacqua

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25 Maggio 2007

Pietre d`Italia

Lo studio delle rocce. Le sezioni sottili

English Version

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Sezione sottile di una roccia magmatica intrusiva

To see a world in a grain of sand
And a heaven in a wild flower
Hold infinity in the palm of your hand
And eternity in an hour

Wiliam Blake

Per arrivare a dare il nome scientifico ad una roccia, è fondamentale definirne con precisione i componenti. È solo in questo modo, infatti, che grazie all’aiuto di diagrammi compositivi, si arriva a stabilirne la corretta denominazione petrografica.
Tale tipo di indagine, effettuata da un geologo che abbia una specializzazione in petrografia, viene effettuata usando il microscopio da petrografia che consente di lavorare in luce trasmessa e polarizzata, e considerando quindi le varie caratteristiche dei singoli costituenti la roccia (colore, forma, rilievo, pleocroismo, sfaldature, propagazione della luce nel suo interno…) egli potrà arrivare a riconoscerne la genesi, i costituenti, e quindi a darle il nome petrografico.
In questa fase di lavoro, quindi, è necessario utilizzare apparecchiature molto particolari che prevedono una preparazione adeguata del campione roccioso che non può essere studiato tal quale se non in una indagine macroscopica, mentre per la nostra analisi microscopica esso dovrà essere in sezione sottile.
Ma che cosa è in realtà una sezione sottile e come la si ottiene? È una “porzione” di roccia tagliata allo spessore di 0,03 mm: molto sottile, quindi! tanto da consentire che la maggior parte dei minerali costituenti diventino trasparenti alla luce e quindi, proprio grazie all’uso del microscopio polarizzatore vi si possono effettuare tutta una serie di indagini che ne permettono il riconoscimento.

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Sezione sottile di una roccia sedimentaria e di una roccia magmatica effusiva

Per la realizzazione di una sezione sottile si parte da un frammento di pietra che sia rappresentativo delle caratteristiche petrografiche della roccia da esaminare e se ciò non fosse possibile, occorrerà effettuare più sezioni sottili per lo studio del materiale.
La sezione sottile, ha uno spessore di 0,030 ±0,005 mm e dimensioni standard pari a 33 mm x 20 mm, che potranno essere eventualmente aumentate qualora si abbia da analizzare litotipi con granuli di dimensioni pluricentimetriche. Qualora la roccia risultasse non particolarmente coerente, è necessario iniziare tutta la nostra procedura di preparazione con un suo consolidamento.
Che venga realizzata per mezzo di macchinari particolari o a mano, in sintesi l’iter seguito per ottenere una sezione sottile è la seguente:
a) si parte con la preparazione della “caramella”, cioè del pezzo di roccia con un lato rettificato di dimensioni pari a 33×20 mm e spessore di pochi mm;
b) si fissa la caramella su un vetrino per mezzo di un collante ad indice noto;
c) nel momento in cui il sistema roccia e vetrino sono ben fissati, si procede con una mola diamantata o a mano fino a ridurre il suo spessore a 1 mm;
d) da questo punto in poi sarebbe preferibile concludere il lavoro a mano, ed utilizzando del Carborundum da 100 ?m si riduce lo spessore della sezione a circa 200 ?m (con questi spessori si inizia ad apprezzare la trasparenza dei minerali non opachi);
e) si passa all’uso del Carborundum con grana 60 ?m e si porta lo spessore del campione in preparazione a 100 ?m (quarzo e feldspati mostrano colori di interferenza chiari di secondo ordine);
f) con il Carborundum a grana di 12 ?m si giunge allo spessore finale di 30 ?m. Per essere sicuri di questo si controlla la sezione con il microscopio: il quarzo ed i feldspati dovranno presentare il loro tipico colore di interferenza di colore grigio, i cristalli di calcite, invece, rosa.

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Sezione sottile di una roccia metamorfica

Ottenuto lo spessore voluto (solitamente con fatica e con il costante rischio di “perdere” la sezione), si passa al suo ricoprimento con un secondo vetrino, oppure con una lacca trasparente.
Si può quindi procedere nello studio del materiale per mezzo del microscopio, grazie al quale si analizzerà (come da normativa europea EN 12407) la sua tessitura, i suoi costituenti, le sue discontinuità….. Grazie a tali dati, dopo aver effettuato anche l’indagine macroscopica del campione, e per mezzo di diagrammi petrografici, il petrografo potrà dare la definizione petrografica della roccia che ci permetterà di collocarla in maniera inequivocabile all’interno di una delle varie famiglie che costituiscono il mondo delle rocce.

di Anna Maria Ferrari
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23 Maggio 2007

Principale

Architettura di Pietra – Materialità_Immaterialità

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Politecnico di Milano Polo Regionale di Mantova
Mercoledì 30 Maggio 2007
Ore 14.30 aula Magna

Si terrà mercoledì 30 Maggio 2007, presso la Facoltà di Architettura di Mantova – Politecnico di Milano – Polo Regionale di Mantova, la conferenza dal titolo :

Architettura di Pietra, Materialità_Immaterialità.
Relatore: prof. Alfonso Acocella. Università di Ferrara

L’ evento si svolgerà come contributo al Corso di Alta Specializzazione dal titolo “Progettazione Contemporanea con la Pietra 2007” del Politecnico di Milano.

Interverranno:
Prorettore prof. Cesare Stevan, direttore del corso
arch. Massimiliano Caviasca, docente e coordinatore
arch. Vittorio Longheu, docente
arch. Vincenzo Pavan, consulente scientifico Marmomacc – Ente Fiera di Verona

Per info
http://www.polo-mantova.polimi.it
UFF. RELAZIONI ESTERNE
e-mail: relazioniesterne.mantova@polimi.it
tel. :0376317009

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22 Maggio 2007

Paesaggi di Pietra

L’acqua e la pietra.

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Valle di Osogna (fotografia: Stefano Zerbi)

Cascate e gole.
Descrivere le regioni del Sud delle Alpi senza trattare il capitolo legato all’acqua e alla pietra è impossibile. La Valle del Ticino è stata originariamente modellata dall’erosione glaciale (le glaciazioni interessarono questo territorio per tutto il periodo del Pleistocene, da 1,8 milioni a 10’000 anni fa). Il ghiacciaio del Ticino impresse all’omonima valle la tipica forma a “U”, ma la contemporanea e successiva azione erosiva dei corsi d’acqua, unita ai franamenti dei versanti, ne hanno compromesso la lettura. Le valli laterali sono anch’esse di origine glaciale, spesso con un profilo a “U” meno compromesso, e sono dette valli sospese. Questa denominazione deriva dal fatto che l’innesto tra queste valli e quella principale avviene ad un livello più elevato del fondovalle in corrispondenza dello scalino glaciale. Caratteristico è dunque il modo in cui il torrente affluisce nel fiume principale, generalmente secondo due modalità: la prima è quella classica della cascata, la seconda, laddove la roccia era più tenera o ricca di fessure, quella delle gole. Lungo i versanti della valle Riviera incontriamo, alternativamente, entrambe le situazioni: le cascate a Malvaglia, Biasca, Osogna, Cresciano, Claro e le gole a Personico, Iragna, Lodrino, Moleno, Preonzo e Gnosca.
In corrispondenza di questi luoghi privilegiati si possono osservare le infinite sfumature che il gneiss assume quando è modellato dall’acqua e alcuni tratti geologici, come le linee di stratificazione, ne sono esaltati. L’acqua, simbolo di vita per eccellenza, sembra essere l’elemento che riesce attraverso la sua lenta, ma tenace azione a trasformare la fredda pietra in elemento vivente, organico, facendogli assumere forme che ben si distanziano dal rigore geometrico dell’opera dell’uomo.

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La cascata delle gole di Lodrino (fotografia: Stefano Zerbi)

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L’acquedotto.
Non si può dimenticare che l’acqua è essenziale alla vita dell’uomo: ci si accorgerà dunque che le principali stazioni montane sorgono nelle vicinanze di ruscelli o fonti e che il trasporto dell’acqua ha prodotto soluzioni originali. Il vecchio acquedotto di Biasca è un bell’esempio di integrazione tra necessità e forma del territorio e un particolare esempio del rapporto tra acqua e pietra: in effetti, l’uomo ha scavato quest’acquedotto lungo le pareti rocciose che collegano la cascata del riale Froda alla chiesa plebana dei Santi Pietro e Paolo, che sovrasta il centro del paese. I tratti scavati nella roccia viva si alternano a quelli realizzati in canali di gneiss; molto intelligente il sistema di captazione in corrispondenza della cascata. La lunghezza totale dell’opera era di 987m, la larghezza media dei canali di 18cm per una profondità di 9cm. La portata di circa 10 litri al secondo permetteva di raggiungere un totale di 864’000 litri al giorno che alimentavano le fontane del paese. L’ultimo tratto di distribuzione, dalla chiesa alle fontane, era assicurato da tubature in larice1.
L’acquedotto comunale di Bodio fu invece realizzato nel 1850 con tubature in gneiss per una lunghezza totale di 800m.

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L’antico acquedotto di Biasca inizia presso la cascata di Santa Petronilla (fotografia: Stefano Zerbi)

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Alcuni tubi in gneiss dell’acquedotto di Bodio (fotografia: Stefano Zerbi).

Note sull’architettura in pietra nelle Tre Valli

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La casa si riidentifica con il sasso, Paglio di Lodrino (fotografia: Stefano Zerbi).

La costruzione del territorio e la coltura vegetale.
La trattazione dell’architettura tradizionale delle Tre Valli non può essere fatta senza mettere la stessa in relazione con l’attività agro-pastorale. Per fare ciò si è deciso di presentare qui di seguito tre sistemi di costruzione del territorio che legano indissolubilmente l’attività umana del costruire a quella dello sfruttamento della natura. Essi sono: la castanicoltura; la viticoltura che portò alla costruzione dei grotti e l’attività agro-pastorale con il suo sistema di stazioni montane.

La castanicoltura.
La castanicoltura fu nelle zone pedemontane della Bassa Valle del Ticino una delle principali espressioni dell’agricoltura di sussistenza. La presenza del castagno da frutto (Castanea sativa) nel Canton Ticino è da imputare alla diffusione dello stesso ad opera dei Romani, ma la coltura del castagno nelle vallate superiori, Riviera compresa, divenne tale solo a partire dall’anno Mille2. Per tutto il Medioevo e fino al XVIII secolo, il castagno fornì alle popolazioni locali una delle principali fonti di sostentamento alimentare ed inoltre un ottimo legname d’opera. L’importanza di quest’albero per la vita di queste popolazioni si rispecchia nella lingua: il sostantivo “arbor” o “arbur” designa infatti il castagno innestato, in altre zone troviamo la denominazione “pianta”. La centralità nella dieta alimentare della castagna ha determinato la denominazione “albero del pane”. Le varietà di castagno coltivate (cultivar) erano numerosissime, 120 nella sola Svizzera Italiana.
Come legname d’opera il legno di castagno era preferito a quello di quercia visto il maggiore contenuto in tannino e la più grande proporzione di cuore (durame), caratteristiche che lo rendevano più resistente agli agenti atmosferici.
Il castagno è diffuso nell’orizzonte collinare-submontano e montano (tra i 200 e i 1’000m s/m), ma nelle zone della Bassa Valle del Ticino lo si trova soprattutto a partire dai primi gradini glaciali. Le selve castanili, o le tracce di esse, si distribuiscono generalmente in prossimità dei nuclei abitati. Ciò è significativo del rapporto particolare che l’uomo aveva instaurato nei confronti di questa pianta: il castagno, così come gli insedianti, occupava dei terreni difficilmente utilizzabili per la coltivazione cerealicola o foraggiera.
Legati alla coltura del castagno si trovano anche alcuni edifici specifici: il più importante, per diffusione sul territorio cantonale, è la “grà” o “metato”. La “grà” era un essiccatoio che in alcuni casi si trovava nel solaio delle abitazioni, ma soprattutto nel Sopraceneri prendeva la forma di una costruzione indipendente. Realizzata in modo semplice, spesso con muri a secco di pietra e tetto a due spioventi, la “grà” conteneva un graticcio sopraelevato (da 1,5 a 3m da suolo) sul quale era posto uno strato di castagne di spessore variabile tra i 15 e i 60cm. Al centro del pavimento veniva acceso un fuoco, il quale doveva produrre poca fiamma e molta brace e fumo, che fuoriusciva dagli interstizi del tetto. La castagna essiccata si conservava a lungo e permetteva la sopravvivenza fino alla raccolta dell’anno successivo. Le “grà” si trovavano, generalmente, all’esterno dei nuclei abitati: al fine di diminuire il pericolo di incendi e per la prossimità delle selve castanili.

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I castagni erano presenti fin nel cuore degli insediamenti (fotografia: Stefano Zerbi).

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La vite ed i grotti
I grotti sono delle costruzioni utilitarie strettamente legate alla coltura della vite nelle regioni ticinesi. Questo tipo di coltura è diffuso su tutto il territorio cantonale fino all’orizzonte collinare. Nel passato l’estensione delle vigne era più importante dell’attuale: veniva coltivata a filari o su pergolati, lungo la Valle del Ticino sostenuti da lame in gneiss, dette in dialetto “carasc”. Presente sin dall’Alto Medioevo, la vite raggiunse la sua massima estensione culturale verso la fine del XIX secolo. Le qualità coltivate erano le più diverse ed i vini erano prodotti per un utilizzo famigliare. Ciò spiega il numero elevato e le dimensioni ridotte dei “grotti” disseminati sul territorio della Valle del Ticino. La funzione del “grotto” (spesso chiamato anche cantina) era quella di garantire le condizioni ottimali di temperatura e umidità per la conservazione del vino. Inizialmente si occuparono le grotte e le cavità naturali, spesso in corrispondenza delle numerose frane lungo le pendici della Valle del Ticino. Da ciò deriva il sostantivo “grotto” o “crotto”, diffuso soprattutto nell’area settentrionale dell’Italia e nella Svizzera italiana; l’etimologia è dal latino parlato “crupta” da “cripta”, che significava “grotta, sotterraneo, cripta”, ma anche “cella a volta, cantina per conservarvi provviste”3. Si scoprì, inoltre, che in corrispondenza delle rocce franate si formavano delle correnti naturali d’aria fresca, queste erano provocate dalla “variazione della temperatura esterna, che costringeva l’aria a penetrare nei profondi canaletti e a fuoriuscire dalle fessure, fresca d’estate e tiepida d’inverno”4.
I tratti essenziali dell’architettura del grotto sono sicuramente la sua forma compatta, i muri in pietra di forte spessore, l’imponente porta sulla facciata principale e le poche aperture che garantiscono una buona ventilazione. Laddove le correnti naturali non erano presenti si realizzava sul fondo del vano una cappa con camino e si praticavano sulla facciata, a lato della porta, due aperture munite di ante per regolare il deflusso dell’aria. I grotti più semplici si limitano ad un solo vano adibito a deposito, spesso completato da un spazio aperto con tavolo e panche, quelli più complessi contano diversi vani, con temperature diverse, e un locale con camino, al piano superiore, per godere dei frutti del lavoro. Nella Riviera troviamo entrambi i tipi di grotto: a Prosito, Lodrino, Iragna, Osogna e Biasca, si distribuiscono contro le pendici della valle, a Preonzo si organizzano su di un tratto di terreno pianeggiante. Queste architetture utilitarie si caratterizzano per mezzo di pochi dettagli, anch’essi dettati da esigenze pratiche: gli stipiti delle porte e le porte stesse. I primi sono sempre realizzati con pietre ben squadrate al fine di resistere agli urti e le seconde sono in legno robusto, spesso di castagno, posate su grossi cardini e chiuse tramite pesanti catenacci per impedire sottrazioni del prezioso contenuto.
L’organizzazione dei nuclei dei grotti e il loro inserimento nel contesto naturale sono due punti altresì importanti. In effetti, anche laddove il terreno era particolarmente accidentato, come per il caso di Lodrino, l’intervento umano ha saputo produrre degli insiemi coerenti e organici, dove è difficile distinguere l’edificazione dall’opera della natura. Dei percorsi articolati, fatti di vicoli e scalinate, permettono l’accesso alle singole costruzioni e l’attraversamento dell’insieme. Non mancano mai dei terrazzi pianeggianti dove puntualmente trovano posto i tavoli, le panche e il viale per le bocce. La casa ritorna in un certo senso alla sua dimensione primitiva: la grotta, l’anfratto, e così si instaura un dialogo tra paesaggio naturale ed edificio che si riscontra spesso nelle costruzioni tradizionali. Non bisogna dimenticare inoltre il rapporto tra i grotti e la vegetazione: in effetti, quest’ultima fu spesso appositamente piantata per proteggere gli edifici dalla radiazione solare.

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La coltivazione della vite sfrutta la pendenza naturale dei versanti, un esempio a Claro. Accanto il nucleo dei grotti di Lodrino (fotografia: Stefano Zerbi).

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L’agricoltura di sussistenza ed i “monti”
I gruppi di edifici rurali, nel Cantone Ticino detti “monti”, che si collocano lungo i pendii e sui terrazzi glaciali della Valle del Ticino e delle valli trasversali, sono da mettere in relazione all’allevamento e all’agricoltura di sussistenza, attività praticate in queste vallate fino alla metà del XX secolo. Risalendo i versanti si incontravano delle zone coltivate con campi, pascoli, vigne e castagni, soprattutto in corrispondenza dei terrazzi glaciali, laddove le pendenze non erano troppo elevate. I pascoli si trovavano a tutte le altitudini e le mandrie di bovini da macello e vacche si spostavano secondo un lento movimento ascensionale che le portava in estate agli alpeggi più elevati. I segni di questi movimenti sono disposti sul territorio in modo sapiente e le loro dimensioni, che spesso sembrano il frutto del caso, dipendono direttamente dalla superficie dell’alpeggio, che permetteva di dedurre il numero di capi di bestiame e di famiglie che potevano trarre sostentamento da quel luogo preciso.
I “monti” erano dei complessi sistemi di insediamento nei quali uomini e bestiame vivevano in stretto contatto. Inoltre, la scarsità del terreno pianeggiante, il più adatto per la coltivazione, fece sì che in molti casi le dimore dell’uomo andarono ad occupare i declivi meno praticabili e la densità di costruzioni fu elevata. Da ciò deriva l’immagine di questi insediamenti che sembrano una sola grande dimora arroccata sulla montagna. L’altitudine, e di conseguenza il tipo di attività praticata, influenzarono l’architettura, soprattutto per quel che concerne il tipo degli edifici. Nelle stazioni più basse, situate sui terrazzi del sistema detto “Sobrio”, tra i 300 e i 900m s/m, come per esempio Paglio di Lodrino o Cresciano Sul Sasso, troviamo dei veri e propri villaggi: gli edifici sono divisi in abitazioni e stalle. Qui l’agricoltura era ben presente ed oltre ai campi si trovano ancora le vigne. Salendo di quota e allontanandosi vieppiù dai villaggi del piano, si incontrano gli alpeggi dove l’attività principale era quella legata all’allevamento: la promiscuità tra uomo e animale si traduce in questi luoghi in edifici di dimensioni ridotte, dove spesso la funzione di stalla e quella di abitazione sono accoppiate. Gli alpeggi di queste regioni della Valle del Ticino sono completamente realizzati in pietra e da ciò deriva, in gran parte, il loro fascino. In effetti, la Riviera si trova a Sud della linea virtuale che passando attraverso la Vallemaggia e la Bassa Leventina, marca il passaggio da un’architettura per la maggior parte in muratura, di influenza lombarda, a un’architettura di stampo germanico in legno, sovente con basamento in pietra. La pietra fu utilizzata per la costruzione dei muri degli edifici, pietre trovate sul posto e sommariamente squadrate, e le lastre, qui chiamate “piode”, furono utilizzate per la copertura dei tetti. Le strutture orizzontali e le carpenterie erano costituite da robuste travi, generalmente in legno di castagno. Le forme sono semplici, elementari, e la costruzione non si permette lussi decorativi, ogni particolare è studiato per rispondere ad una specifica funzione. Gli edifici emanano un forte senso di solidità, sia a causa del materiale sia per le proporzioni utilizzate, ad accentuare ancor più questo sentimento di “pesantezza” gli elementi in legno, di grandi dimensioni statiche, a causa del peso della pietra. Queste “sentinelle di pietra” sono anch’esse una testimonianza del nostro passato e costituiscono un lento condensato delle esperienze compiute da secoli dai costruttori in queste impervie regioni.

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Gli edifici delle stazioni montane si presentano come volumi compatti in pietra naturale.
La cascina grazie alla sua elementarità esprime solidità e appartenenza al luogo che l’accoglie
(fotografia: Stefano Zerbi)

di Stefano Zerbi

Note
1Valsecchi Angelo, Egger Brigitte, Vetterli Luca, Viaggiare alla scoperta dell’acqua, Locarno, Armando Dadò Editore-Pro Natura Ticino, 2003, pp.86-87.
2Conedera Marco, Krebs Patrik, “Alberi monumentali come bioindicatori storici. L’esempio dei castagni secolari del Cantone Ticino e della Mesolcina”, in Crivelli Paolo, a cura di, L’albero monumentale, (“Quaderno n5”), Museo etnografico della Valle di Muggio, p.32.
3Vedi definizione del sostantivo “crypta” in: Calonghi Ferruccio, a cura di, Dizionario della Lingua Latina. Volume Primo. Latino-Italiano. 4a tiratura, Torino, Rosemberg&Sellier, 1957, p.707.
4Bisagni Gianluigi, Brocchi Bruno, Grotti, Lugano, Edizioni San Giorgio, 1983, p.27.

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21 Maggio 2007

Principale

Private Flat #3

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Augusto Rappuoli / Federica Di Giovanni s.t. 2007

Venerdì 25 maggio 2007 si inaugura a Firenze la terza edizione di Private Flat, progetto del gruppo Meridiano 12. Meridiano 12 è un gruppo di giovani artisti e curatori attivi a Firenze, che si occupa di arte e architettura, ed è composto da: Mario Cenci, Matteo Ernandes, Beniamino Foschini, Corrado Furiozzi, Roberto Guidi, Lorenzo Mattioli e Filippo Narduzzi. Lo scopo è quello di creare una rete di giovani creativi per attivare confronti, scambi d’idee e opportunità espressive. L’espediente attraverso cui attuare questi obiettivi è il progetto Private Flat: evento o serie di eventi artistici curati in spazi privati, rifunzionalizzati sulle esigenze dei giovani artisti contemporanei. Nel breve periodo di apertura dell’evento, lo spazio privato assume significati nuovi rispetto a quelli tradizionali, poichè attiva cortocircuitazioni percettive imprevedibili e restituisce nuovi significati spaziali. I giovani artisti invitati si pongono in atteggiamento dialettico coi curatori, per un evento che non risponde alle normali tipologie espositive, ma si fa ibrido attraverso interventi site-specific. Da una parte si offre al pubblico un’esperienza diversa di approccio al mondo dell’arte contemporanea, dall’altra si offre a chi abita lo spazio privato, la possibilità di vivere intensamente le opere d’arte, nel breve periodo di metamorfosi della propria casa in Private Flat.
L’edizione #3 si apre dunque alla città e coinvolge più spazi privati, come piccoli scrigni all’interno del tessuto urbano. Sulla vertebra ideale dei viali di circonvallazione, ai margini del centro storico di Firenze, sono distribuite le quattro diverse cellule – rispettivamente Private Flat #3.0 / #3.1 / #3.2 / #3.3 – ognuna delle quali, in aderenza alla filosofia del progetto, sviluppa le proprie scelte artistiche e curatoriali. Per le tre giornate di apertura, il pubblico è dunque invitato a percorrere una sequenza ricca di episodi: diverse opere selezionate, diversi percorsi artistici si incontrano in una spontanea ed informale rete di relazioni, di collaborazioni tra artisti, curatori, spazi e pubblico.
L’inaugurazione di Private Flat #3 sarà anticipata da un incontro pubblico, curato da Giovanni Bartolozzi, che si terrà presso la Facoltà di Architettura di Firenze, alle ore 15.00 di venerdì 25 maggio 2007. Intervengono Pietro Gaglianò e Beniamino Foschini (Meridiano 12). La conferenza, dal titolo Private Flat: nuove forme dell’arte contemporanea, non sarà solo occasione per presentare il progetto, giunto a un significativo punto di espansione, ma anche momento di riflessione tra artisti e critici sulle forme alternative dell’arte contemporanea.

Private Flat #3.0 Via Faenza, 73
a cura di Meridiano 12
Già sede delle prime due edizioni, l’appartamento abitato dal gruppo Meridiano 12 apre nuovamente le sue porte al pubblico con una collettiva di giovani artisti attraverso lavori video, pittura, scultura, fotografia, installazione. Oltre all’inusuale white cube ricavato dalla sala centrale, gli artisti occuperanno gli spazi interstiziali e ibridi della casa, creando cortocircuiti funzionali attraverso l’installazione di opere site-specific nei diversi ambienti abitativi. Alla mostra sono presenti: Andia Afsar Keshmiri, Luigi Balleri, Mario Cenci, Giuseppe De Grazia, Dirty Works, Matteo Ernandes, Opiemme, Matteo Peducci, Augusto Rappuoli, Giuseppe Restano.

Private Flat #3.1 Via del Pellegrino, 17R
a cura di Alessio Bertini e Martino Margheri
Sede della cellula #3.1 è uno spazio privato lavorativo, Extraneo Design Studio, nel quale i curatori hanno organizzato una collettiva di giovani artisti. Le sale adibite alla mostra vengono ripensate appositamente per l’evento, mantenendo evidenti le destinazioni originarie dei locali: l’ambiente di un lavoro creativo. Oltre a fotografia, pittura, scultura, video e installazioni, sarà presente una sezione interamente dedicata al linguaggio grafico. Alla mostra sono presenti: Enrico Abrate, Francesca Banchelli, Filippo Basetti, Clio, Francesco D’Isa, Giovanni de Gara, Alex Di Gangi, Andrea Ornani, Giacomo Salizzoni, Giovanni Serafini, Seo, Guido Speier. Collabora alla curatela Extraneo Design Studio.

Private Flat #3.2 Via Orcagna, 61
a cura di LAb.eilles
Gli ambienti privati della casa, anche i più intimi e insoliti, si trasformano in sede espositiva dove trovano spazio: pittura, fotografia, musica e scultura. Un “percorso” che attraversa i vari ambienti domestici per scoprire anche ciò che è nascosto dietro la serratura. Alla mostra sono presenti: Sevil Amini, Sara Bachmann, Colectivo Mate con Cafè, Osvaldo C., Jacklord, Talia Rangil, Sanaz Sedighy, Priscila Villafane.

Private Flat #3.3 Piazzale Donatello, 33
a cura di Consuelo de Gara e Ignoti Onlus
Una casa-galleria pensata in tutto e per tutto in collaborazione con giovani artisti emergenti e sempre animata da contributi creativi multi-disciplinari diventa, in occasione della nuova edizione di Private Flat, lo spazio espositivo di una mostra collettiva. Accanto ai mobili, agli oggetti e alle installazioni esposte in permanenza, il living, la cucina e la camera da letto accoglieranno le opere di dodici artisti e designer emergenti: Francesco Alessandra, Valentina Bardazzi, Alessio Bernacchi, Noumeda Carbone, Giovanni de Gara, Francesca Fedemonte, Elena Fei, Francesco Giannetti, Franco Ionda, Niccolo’ Poggi, Giacomo Salizzoni, Chris Scott, Studio ++.

Programma 25 maggio 2007

Ore 15.00 Conferenza:
Private Flat: nuove forme dell’arte contemporanea
Facoltà di Architettura di Firenze, Plesso didattico di S. Verdiana, Piazza Ghiberti, 19, Aula 11
A cura di Giovanni Bartolozzi
Con Pietro Gaglianò, Beniamino Foschini
Ore 16.00 Inaugurazione di Private Flat #3 in tutti le cellule partecipanti
Ore 21.00 Chiusura spazi

Programma 26-27 maggio 2007

Ore 16.00-20.00 Apertura di tutte le cellule partecipanti

Private Flat #3
Firenze
Progetto Meridiano 12
25 – 27 maggio 2007
Conferenza 25 maggio 2007, ore 15.00
Inaugurazione 25 maggio 2007, ore 16.00-21.00
Apertura 26-27 maggio 2007, ore 16.00-20.00

Private Flat #3.0
Via Faenza, 73
a cura di Meridiano 12

Private Flat #3.1
Via del Pellegrino, 17R
a cura di Alessio Bertini e Martino Margheri

Private Flat #3.2
Via Orcagna, 61
a cura di LAb.eilles

Private Flat #3.3
Piazzale Donatello, 33
a cura di Consuelo de Gara e Ignoti onlus

Info
mail@privateflat.it
www.privateflat.it
+39 3492300315

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20 Maggio 2007

Principale

42° Marmomacc

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Clikka sull’immagine per scaricare l’invito

La Triennale di Milano ospiterà Martedì 29 maggio 2007 alle ore 18.30 la

Conferenza Stampa di presentazione della 42° Edizione di Marmomacc

Interverranno:
Luigi Castelletti, Presidente di Veronafiere
Carlo Forcolini, Designer, Presidente ADI
Fulvio Irace, Storico e Critico dell’Architettura, Direttore Sezione Architettura della Triennale di Milano
Vincenzo Pavan, Curatore mostre ed eventi Marmomacc Architettura e Design

La Triennale di Milano
Viale Alemagna, 6
Milano

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Incontro con ESPO

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Piano di cava

E.S.PO, ente sviluppo porfido, promuove il convegno “I progetti nelle città della costa, dal waterfront al piano spiaggia” all’interno di Euro P.A. Salone delle Autonomie Locali. Questo consorzio si pone in un’ottica propositiva di supporto all’uso di questo materiale talvolta considerato “fuori moda” o “monotono”, ma forse solamente non compreso fino in fondo, e non utilizzato sempre nella maniera più corretta.
Architettura di pietra ha incontrato il suo staff per espandere il mondo delle Pietre d’Italia anche al Trentino.

Veronica Cupioli: Da quali esigenze è nato il consorzio E.S.PO?
Stefano Tomasi (direttore): E.S.PO è nato negli anni ’70 come Ufficio del Porfido, un luogo di ritrovo di coloro che lavoravano nel settore dell’estrazione e della lavorazione di questo materiale, in cui cercavano di discutere e di trovare soluzioni a problemi pratici e di qualsiasi natura.
Da semplice luogo d’incontro si è trasformato, nel corso degli anni, in un vero e proprio ente, fornendo un numero maggiore di servizi ai propri consorziati.
Nel 1995 nasce il marchio Porfido Trentino Controllato, che viene dato dall’ente alle aziende che seguono un certo percorso produttivo e sulle quali vengono fatti determinati controlli qualitativi. Le norme comunitarie, approvate nel 2003, indicano un controllo qualitativo con standards inferiori rispetto a quelli richiesti dal nostro marchio.
Per ottenere la certificazione vengono effettuati 5 controlli all’anno, durante i quali vengono controllati tutti i prodotti, su questa base vengono redatti dei report di conformità o non conformità dei vari prodotti. Questo serve anche, e soprattutto, a tutelare l’acquirente, che sa di acquistare un prodotto controllato e garantito. Il marchio è una carta d’identità del prodotto, della sua localizzazione geografica e della sua qualità.

V.C.: Cosa garantite con il vostro marchio?
S.T.: Il nostro è un marchio di qualità sul prodotto, e a partire da questo, siamo arrivati piano piano ad un regolamento disciplinare per quel che riguarda la posa che rappresenta un elemento determinante. Non a caso organizziamo dei corsi di formazione e in seguito di affiancamento nella posa, in modo da controllare anche questa fase.
Ora stiamo provvedendo alla firma di un disciplinare, che abbiamo già sperimentato in quattro circostanze; la firma avviene con le amministrazioni comunali, per seguire tutte le fasi di lavorazione: dalla fase progettuale, al capitolato dettagliato e alla direzione lavori, grazie alla redazione di relazioni tecniche di controllo dei lavori, utili poi in fase di collaudo.

V.C.: Oggi siamo all’Euro P.A. Salone delle Autonomie Locali, e la vostra è una presenza importante, vista anche la promozione di questo convegno. In quali altri modi promuovete il vostro prodotto?
Patrizia Sandri (ufficio stampa e comunicazione): Ogni anno vengono organizzati 8-10 convegni come questo, con tematiche particolari per far conoscere il materiale e l’uso che se ne può fare: oggi la riqualificazione della costa, in altre occasioni la chiesa e il sagrato, ecc…soprattutto nell’ambito della riqualificazione e dell’arredo urbano. Organizziamo anche visite di tecnici e professionisti che ospitiamo in Trentino per far conoscere il porfido e i metodi di posa. Dal 96 ad oggi abbiamo avuto 14.000 iscritti.
Siamo su riviste di Architettura, sia con pagine pubblicitarie che con realizzazioni, siamo presenti in molte fiere del settore, su internet, e con pubblicazioni e materiale informativo divulgato attraverso mailing mirata ai progettisti.
Promuoviamo poi l’uso del materiale con Concorsi di Architettura: oggi, infatti, abbiamo ufficialmente promosso il concorso di quest’anno: Architettura orizzontale. Per la prima volta il concorso è aperto anche alle tesi di laurea. Questo è per noi il quarto concorso, e il secondo in collaborazione con la Facoltà di Architettura di Ferrara. L’idea di Architettura orizzontale è nata in collaborazione con l’Arch. Marcello Balzani, con lo scopo di riportare l’attenzione sulla superficie di finitura orizzontale che talvolta viene lasciata come momento conclusivo del processo progettuale, sottomessa a limitazioni economiche e di tempo. Promuovere iniziative come questa, spinge i progettisti a riflettere sull’uso consapevole di un materiale nel modo più corretto.

V.C.: Grazie a questi concorsi riuscite quindi a promuovere anche la ricerca sul materiale?
P.S.: La promozione della ricerca di un uso alternativo avviene, ad esempio, grazie a campagne di ricerca in collaborazione con la Facoltà di Ingegneria di Trento: dalla lavorazione, alla movimentazione dei carichi, alle innovazioni strutturali o dei materiali, alla salvaguardia delle risorse energetiche e delle cave stesse, fino allo studio di nuovi macchinari per migliorare le condizioni di lavoro in cava.
Una grande attenzione è rivolta anche all’impatto ambientale. La legge provinciale che di fatto permette lo sfruttamento delle cave, vincola l’estrattore già dalla presentazione dell’autorizzazione all’estrazione a presentare un progetto di ripristino dell’area all’esaurimento della cava e una fideiussione bancaria al comune affinchè questo venga attuato; la proprietà è del comune, e viene quindi pagato un affitto, che consente un benessere maggiormente distribuito sul territorio.
Gli interessi economici dei singoli sono comunque subordinati alla tutela dell’ambiente, sul nostro esempio si sono mossi altri comuni in Italia e in Europa.

V.C.: Come vi occupate della formazione?
Andrea Angheben (ufficio tecnico): La formazione inizia con corsi per posatori, della durata 5 settimane, dove vengono approfondite sia conoscenze teoriche che pratiche sul materiale. Ma contemporaneamente viene dato anche un sostegno nella gestione del lavoro, nella conoscenza e nell’organizzazione del cantiere.
Organizziamo poi corsi di aggiornamento sulle nuove tecnologie di posa, o su particolari tipi di pose, di specializzazione, per grandi ditte di posa, corsi di manutenzione e ripristino per operai pubblici che necessitano di conoscere le tecniche di ripresa di eventuali cubetti saltati, e per essere pronti ad intervenire tempestivamente.
Per i progettisti, invece, organizziamo una immersione nel mondo del porfido della durata di 2 giorni che comprende la visita alle cave e un approfondimento teorico durante la prima giornata, un approfondimento tecnico e pratico il secondo giorno. Ai nostri associati poi, offriamo corsi di interessi interni come, ad esempio, sul mantenimento della qualità e sul piano commerciale.

V.C.: Quali sono le caratteristiche che distinguono il vostro materiale dalle altre pietre?
A.A.: La principale caratteristica tecnica del materiale è la stratificazione naturale: il piano di cava si presenta con queste particolari stratificazioni con spessore variabile da 1 a 30 cm. La prima fase di lavorazione è quella di aprire questi strati con una vera e propria sfaldatura per ottenere il piano di naturale di cava, che diventa piano di calpestio e che rimane inalterato nel tempo. Rimane scabroso, naturalmente antiscivolo, anche secondo la normativa europea; il coefficiente di usura rimane il più alto rispetto ai parametri utilizzati.
Il porfido grazie alla sua durezza non teme l’usura, non è gelivo e si presta a qualsiasi destinazione d’uso. E’ durevole perchè resiste molto bene all’inquinamento, agli sbalzi di temperatura e all’irraggiamento mantenendo la stessa colorazione dalla cava alla posatura. Come è in natura, così si presenta nel tempo. Bisogna saperlo posare, per mettere in risalto le sue qualità, ed inoltre la variabilità cromatica può essere sfruttata per diverse composizioni. Ci sono 4-5 tonalità che vanno dal rosso ruggine al violaceo al grigio, adattabili alle diverse situazioni. La superficie può essere trattata in diversi modi, dalla levigatura alla fiammatura; se, ad esempio si vuole realizzare un pavimento per interni, il porfido mantiene comunque le sue caratteristiche prestazionali di durezza e durabilità.

V.C.: Il vostro approccio alla formazione coinvolge anche la rete, internet?
S. T.: Si, offriamo un servizio on-line molto comodo. Inserendo un disegno realizzato con qualsiasi programma cad, e salvato in formato .dxf. I poligoni chiusi vengono riconosciuti da porficad e vengono restituiti con il disegno della pavimentazione selezionata. L’evoluzione che studiando metterà in relazione il disegno con il capitolato, che comunque è già disponibile on-line.

V.C.: Quali sono i vostri programmi per il futuro?
S.T.: Dal 2002, abbiamo creato il Distretto del Porfido, per arrivare a qualcosa di più coordinato. La localizzazione geografica che pone tutti i produttori, posatori e lavoratori del settore, in una zona molto ristretta, implica che le diverse aziende si conoscano e crescano insieme. Il distretto si pone come obiettivo la fornitura di un prodotto finito di pavimentazione. La novità è puntare sulla qualità del prodotto e tentare di fare filiera con un prodotto naturale.

Intervista a cura di Veronica Cupioli

Visita il sito E.S.P.O.

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16 Maggio 2007

Principale

Dieter Mertens, Andreina Ricci, Fani Mallouchou Tufano – Stefano Gizzi

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