Foto dell’area dell’Iseion nella Valle dei Templi
Il 13 ed il 18 luglio 2015 si è tenuto ad Agrigento lo stage “Coperture lignee per siti archeologici”, curato dal prof. Giuseppe Fallacara, che si è svolto affiancando la missione di scavo e di studio delle strutture e dei frammenti dell’area del cosiddetto Iseion, nell’ambito della convenzione stipulata tra il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi e il Politecnico di Bari.
La riflessione sul delicato tema delle coperture dei siti archeologici ha avuto come esito la sperimentazione di un sistema costruttivo agile, economico e semplice da montare. E’ noto che il tema della copertura dei resti archeologici rientra in una vasta gamma d’interventi di restauro volti a preservare i beni, in cui l’obiettivo di conservazione coinvolge anche la sfera della musealizzazione e della presentazione del manufatto stesso; a tal proposito Minissi afferma che “l’esigenza di proteggere perché si conservi più a lungo possibile tutto ciò che fa parte del patrimonio dei beni culturali rientra indiscutibilmente nel campo del restauro. Si può anzi affermare che la protezione del bene culturale costituisce la fase conclusiva irrinunciabile di ogni intervento di restauro”1.
In questi casi, l’intervento architettonico non può risolversi alla mera protezione attiva del bene, ma deve tendere anche alla perfetta integrazione con l’istanza estetica e quella storica. L’intervento progettuale relativo ad una copertura, dunque, “dovrebbe avere come obiettivo quello di dare valore aggiunto al sito e puntare a riconfigurare l’area d’inquadramento dal punto di vista turistico/culturale avere come obiettivo quello di dare valore aggiunto al sito e puntare a riconfigurare l’area d’inquadramento dal punto di vista turistico/culturale”2.
Le principali problematiche progettuali riferibili alle coperture di resti archeologici riguardano l’esigenza di coprire grandi luci, ricorrendo a strutture reversibili che garantiscano sia la conservazione dell’area dello scavo nel rispetto delle sue peculiarità geomorfologiche, sia la ricerca di un linguaggio architettonico ben integrato con il territorio.
In particolar modo, questo è vero nei parchi archeologici3, dove gli aspetti storico-culturali si fondono con le specificità paesaggistiche del sito.
Nella progettazione di una copertura a protezione di frammenti antichi in tali contesti è necessario garantire alcuni requisiti fondamentali: tra questi, i limiti maggiori derivano dalla necessità di evitare il ricorso a fondazioni profonde e di far sì che tutte le fasi di cantierizzazione avvengano senza l’ausilio di mezzi meccanici e gru, impiegando esclusivamente la movimentazione ed il montaggio manuali.
Il prototipo realizzato durante lo stage ad Agrigento, e ideato dal prof. Giuseppe Fallacara, intende rispondere alle suddette esigenze e perseguire, tra l’altro, un ideale connubio tra il ricorso ai materiali naturali e la compatibilità con la materia antica, unitamente alla ricerca su sistemi costruttivi tecnologicamente efficienti.
La copertura si compone di due parti: una portante, rappresentata da una volta ottenuta dalla successione di archi lignei, ed una portata, data da una membrana trasparente che sfrutta la tecnologia EFTE (EtileneTetraFluoroEtilene).
Philibert de l’Orme e il suo scritto Le Nouvelles Inventions pour Bien Bastir et a Petits Fraiz
La struttura portante lignea trae ispirazione dal sistema costruttivo rinascimentale di Philibert de l’Orme, padre della stereotomia francese, pubblicato per la prima volta nel 1561 in Le Nouvelles Inventions pour Bien Bastir et a Petits Fraiz. Esso è costituito da una volta in legno, generata a seguito dell’assemblaggio di archi in sequenza paratattica: questi ultimi sono ottenuti a loro volta attraverso il montaggio di piccoli elementi modulari, adattabili a diverse forme e dimensioni. Questo sistema costruttivo ligneo, il cui montaggio viene illustrato da de l’Orme all’inizio del quarto capitolo del primo libro, è caratterizzato da ottime perfomance in termini di resistenza e da un’evidente semplicità di montaggio: ogni piccolo elemento sagomato viene assemblato agli altri fino a determinare il profilo di un arco. La predisposizione di fori, a passo prestabilito, consente l’inserimento all’interno degli archi così costituiti di travi di collegamento, bloccate in sede attraverso dei cunei lignei, detti chiavi4.
Il sistema costruttivo delormiano utilizzato per il concept e G. Fallacara prototipo in scala ridotta.
A partire dalla reinterpretazione del brevetto delormiano, il sistema costruttivo sperimentato nell’area del tempio romano ad Agrigento consiste di una serie di elementi modulari realizzati in multistrato di betulla, i quali, una volta assemblati, determinano i profili di tre archi del diametro di 5 metri. Essi vengono connessi tra loro ed equi-distanziati ortogonalmente attraverso travi che passano all’interno degli appositi alloggiamenti. Successivamente, le travi vengono bloccate mediante cunei e l’intera struttura viene collocata su due travi di appoggio, connesse ad essa stessa attraverso fissaggio meccanico.
G. Fallacara proposta progettuale.
Il prototipo è stato costruito per una profondità di 2,5 metri: i tre archi sono stati collegati con travi in legno d’abete bloccate con cunei in legno di pino. Per favorire la riduzione dei tempi e dei costi di lavorazione, l’intera struttura portante in legno è stata ingegnerizzata per il taglio con macchina CNC: il materiale, giunto in cantiere già tagliato e pronto per l’assemblaggio, è stato offerto dalla Xilux s.r.l. di Bari.
La realizzazione per lo stage Coperture lignee per siti archeologici. Fotografia R. Sanseverino
Il sistema costruttivo può essere esteso attraverso la semplice ripetizione seriale degli archi. La dimensione del singolo arco può essere calibrata a seconda dei casi specifici, variando dai 5 ai 15 metri: in funzione dei dati dimensionali si induce la variazione degli elementi di base, determinando contestualmente la modificazione del profilo dell’arco stesso.
Parallelamente alla progettazione del prototipo, è stato sviluppato un software parametrico che, in funzione della luce massima e della freccia dell’arco, consente lo sviluppo della dimensione degli elementi e la loro disposizione all’interno del pannello di multistrato “tipo” disponibile sul mercato, garantendo l’ottimizzazione del processo di taglio con macchine CNC.
Una volta assemblata la struttura lignea, essa si presenta come un’ossatura pronta per essere rivestita dalla membrana trasparente: la parte portata è stata concepita per sfruttare la tecnologia EFTE5, polimero parzialmente florurato che presenta un’alta resistenza alla corrosione in un ampio spettro di temperature. Si presenta sotto forma di un materiale plastico trasparente, più leggero e più resistente del vetro; rispetto ad esso, l’EFTE garantisce prestazioni migliori in termini di isolamento termico, con costi inferiori ed una maggiore semplicità di installazione, dal momento che la membrana viene prefabbricata e poi semplicemente fissata alla struttura di sostegno direttamente in cantiere.
Cuscinetti di EFTE
Il sistema di rivestimento prevede che un certo numero di strati UV, stabile copolimero di Etilene Tetrafluoro Etine (EFTE) prodotto in film molto sottili (da 50 a 150 ?m), venga saldato in cuscini, gonfiati con aria a bassa pressione per fornire isolamento o resistere all’azione del vento; questo garantisce che il materiale di copertura abbia ottime prestazioni in termini di durabilità, non venga intaccato dall’inquinamento atmosferico e dai raggi UV e non subisca alterazioni percepibili.
Dal punto di vista della sostenibilità ambientale, l’analisi LCA (Life-Cycle Assessment) evidenzia che i fogli di EFTE possano essere riciclati e riutilizzati attraverso la semplice fusione del materiale o anche additivato a quello vergine: inoltre, possiede un’elevata resistenza alla lacerazione, la capacità di indurire nel caso di deformazioni strutturali ed è autopulente sotto l’azione delle precipitazioni atmosferiche.
Copertura in EFTE utilizzata per il restauro della chiesa di San Pedro a Corbera D’Ebre (Tarragona). Foto di José Hevia
In occasione dello stage, la copertura altamente tecnologica in EFTE è stata simulata artigianalmente, ricorrendo ad un sistema ottenuto accoppiando due strati di cellophane sigillati con nastro biadesivo a formare delle celle. L’elemento portato è stato così collegato alla struttura lignea attraverso ganci di ferro cromato: tutti gli elementi della struttura prevendono connessioni completamente a secco.
Particolare della struttura montata in prossimità dei ruderi dell’Iseion. Fotografia R. Sanseverino
Le principali fasi di montaggio prevedono:
-connessione degli elementi modulari e degli elementi base per la formazione dell’arco;
– inserimento delle travi di connessione trasversale;
– bloccaggio delle travi di connessione trasversale tramite infissione di cunei;
– posizionamento della struttura sulle travi di appoggio e conseguente fissaggio meccanico;
– connessione tra la struttura portante lignea e la membrana trasparente tramite ancoraggi meccanici;
– picchettamento con l’ausilio di tenditori metallici.
La copertura così sperimentata presenta la prerogativa di rispondere alle peculiari esigenze di protezione attiva nelle aree archeologiche, dal momento che non necessita di fondazioni profonde e configurandosi come un sistema facilmente trasportabile a mano.
Inoltre, garantisce la protezione dei resti antichi offrendo un’efficace ombreggiatura che, tra l’altro, non altera la percezione visiva delle unità stratigrafiche anche in fase di scavo.
Per garantire un miglioramento delle prestazioni del sistema in termini di durabilità, ulteriori applicazioni pratiche di questo sistema costruttivo possono contemplare il ricorso a pannelli di multistrato di compensato marino, opportunamente trattati con vernici all’acqua.
Stage Scuola di Specializzazione Bari. Fotografia G. Fallacara
Guarda la sequenza della costruzione
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di Giuseppe Fallacara, Vincenzo De Muro Fiocco, Alessandra Paresce, Raffaella Sanseverino
Note
1 F. Minissi, Ipotesi di impiego di coperture metalliche a protezione di aree archeologiche, “Restauro”, 1985, pp. 27?31: 27
2 G. Feola “Le coperture di ruderi e siti archeologici tra protezione, fruizione e interpretazione delle preesistenze” in Cultural Heritage. Present Challenges and Future Perspectives ? Roma, Università Roma Tre, 21?22 novembre 2014”
3 Com’è noto, il concetto di parco archeologico ha un’origine relativamente moderna e denota un’area protetta le cui preesistenze monumentali siano tali da connotare il sito e farne assumere la valenza di Museo all’Aperto, in cui bellezze artistiche qualificano in senso lato il paesaggio. Sotto il profilo legislativo, l’art. 101 del comma 2 lett. E del D.Lgs. 42/2004 “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” specifica che per parco archeologico si intende un “ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all’aperto”.
4 Philibert de l’Orme, Le Nouvelles Inventions pour Bien Bastir et a Petits Fraiz, Libro I, p. 8v, 1561
5 Copolimero alterato, formato da etilene e fluoro, utilizzato anche nel campo edilizio a partire dal 1996 con il marchio “Texlon” e successivamente prodotto da altre aziende.
Bibliografia
P. De l’Orme, Nouvelles inventions pour bien bastir et a petits fraiz, Federic Morel, Paris, 1561.
P. De l’Orme, Le premiere tome dell’architecture, Federic Morel, Paris, 1567.
G. Fallacara, Philibert De l’Orme e l’invenzione, in Nouvelles inventions pour bien bastir et à petit fraiz. Edizione critica e traduzione integrale a cura di M.R. Campa, pp. 129-148, Polibapress, Bari 2009, ristampa Aracne edizioni, Roma, 2009
M. Vaudetti, V. Minucciani, S. Canepa (a cura di) Mostrare l’Archeologia. Per un manuale-atlante degli interventi di valorizzazione, Allemandi& C., Torino, 2013
D.L. 18/04/2012 Allegato Linee Giuda
G.Feola Le coperture di ruderi e siti archeologici tra protezione, fruizione e interpretazione delle preesistenze in “Cultural Heritage. Present Challenges and Future Perspectives, Roma, Università Roma Tre, 21?22 novembre 2014”
F. Minissi, Ipotesi di impiego di coperture metalliche a protezione di aree archeologiche, “Restauro”, 1985, pp. 27-31.