novembre 2024
L M M G V S D
« Dic    
 123
45678910
11121314151617
18192021222324
252627282930  

Ultimi articoli

Ultimi commenti

Rubriche

Pubblico dei lettori

 

rss

 

Notizie

5 Ottobre 2015

News

INAUGURAZIONE OPIFICIO GOLINELLI

Immaginare il futuro dei giovani in un nuovo mondo sostenibile.
Marino Golinelli lancia il progetto Opus 2065 con un ulteriore investimento di 30 milioni di euro

Inaugurato lo scorso fine settimana a Bologna Opificio Golinelli, la nuova cittadella per la conoscenza e la cultura della Fondazione Golinelli, orientata all’educazione, alla formazione e alla cultura per fornire strumenti sempre più innovativi ai giovani del futuro, cittadini di un mondo globale. Nata nel 1988 per volontà dell’imprenditore filantropo Marino Golinelli, la Fondazione Golinelli è privata, operativa e filantropica. Ciò la rende unica in Italia per obiettivi, visione e programmi operativi pluriennali.

Progetto Opus 2065
Dopo aver già investito nella Fondazione 51 milioni di euro, Marino Golinelli metterà a disposizione altri 30 milioni di euro per sviluppare e sostenere nei prossimi anni il progetto Opus 2065 col quale intende rafforzare la missione etica della Fondazione. Gli obiettivi principali del progetto ultra decennale Opus 2065 saranno tre: lo sviluppo di nuove forme altamente innovative di formazione dei giovani e degli insegnanti, in quanto la scuola rimane il cuore centrale dell’attività della Fondazione; un centro di ricerca su campi futuribili del sapere; un fondo per il supporto di nuove attività imprenditoriali. Il progetto Opus 2065 si aprirà a collaborazioni con enti pubblici e privati, nazionali e internazionali.

“I 30 milioni di euro – spiega il presidente Marino Golinelli – non saranno messi a disposizione sotto forma di donazione diretta, bensì attraverso il Trust Opus 2065 i cui guardiani avranno il compito di valutare nel tempo la coerenza delle azioni progettate prima, e realizzate poi, dalla Fondazione Golinelli, rispetto a visione, obiettivi e linee guida oggi stabiliti”.

Opificio Golinelli, cittadella per la cultura e la conoscenza
Opificio Golinelli, la cittadella per la conoscenza e per la cultura di 9mila metri quadri, tra i più grandi laboratori sperimentali a fine didattico nel campo delle scienze e della tecnologia in Italia, ospita tutte le principali attività della Fondazione Golinelli. Sorge in via Paolo Nanni Costa, nella prima periferia di Bologna, dopo un intervento durato due anni. L’investimento complessivo è stato di 12 milioni di euro. Il progetto architettonico, curato da diverserighestudio – un gruppo di architetti under 40 – ha recuperato un ex stabilimento industriale abbandonato configurandosi come un intervento di rigenerazione e riqualificazione urbana. Opificio Golinelli ha ottenuto il riconoscimento del Premio Urbanistica 2015 della rivista scientifica dell’Istituto Nazionale di Urbanistica per la categoria “Qualità delle infrastrutture e degli spazi pubblici”.
Se dal 2000 a oggi le attività della Fondazione Golinelli hanno coinvolto un milione di persone, i nuovi spazi saranno in grado di accogliere più di 150mila visite l’anno.

La Fondazione Golinelli e le sue sei aree progettuali
La Fondazione Golinelli realizza sei importanti programmi nazionali pluriennali.
Scuola delle idee: uno spazio ludico per bambini dai 18 mesi ai 13 anni, pensato per stimolare la loro creatività attraverso un approccio multidisciplinare.
Scienze in Pratica: un grande laboratorio per ragazzi delle scuole secondarie dai 14 ai 19 anni volto ad accendere la passione per scienza e tecnologia con l’opportunità di fare concrete sperimentazioni.
Giardino delle imprese: la scuola informale di educazione alla cultura imprenditoriale rivolta ai ragazzi dai 13 ai 25 anni con percorsi concreti negli acceleratori.
Educare a educare: programma pluriennale nazionale di formazione per insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, per una didattica in costante dialogo fra discipline scientifiche e umanistiche.
Scienza in piazza: manifestazione culturale per la diffusione della cultura scientifica nelle strade e in spazi urbani.
Arte, scienza e conoscenza: programma con cui la Fondazione, attraverso mostre, convegni e dibattiti, indaga le connessioni tra le arti e le scienze, stimolando il pensiero e la comprensione del mondo.

Vai a: Fondazionegolinelli.it

commenti ( 0 )

29 Settembre 2015

Opere di Architettura

Sood Concept House

Il prototipo abitativo SOOD nasce dalle idee di un giovane gruppo di ricerca del Politecnico di Bari (*) che da oltre dieci anni sta sperimentando tematiche legate alla costruzione di abitazioni ecosostenibili in materiali naturali. La prima esperienza applicata di questa ricerca si è concretizzata con la realizzazione del prototipo Astonyshine in collaborazione con l’Ecole Nationale Supérieure d’Architecture Paris – Malaquais che ha partecipato al Solar Decathlon Europe 2012, e successivamente con la Solar Natural House realizzata in Puglia nel 2013, uno dei primi prototipi abitativi, energeticamente autosufficiente, in pietra e legno.
La concept house SOOD è la naturale evoluzione di queste esperienze, realizzando l’applicazione commerciale della ricerca applicata sui temi progettuali sperimentati con le aziende Pi.Mar Pietra, Leccese (Le) e Xilux, Infissi in legno (Ba).
La sfida di SOOD è rappresentata dalla volontà di realizzare abitazioni ecosostenibili utilizzando materiali naturali di tipo leggero come il legno, associandoli a materiali pesanti come la pietra, semplificando al massimo le fasi di montaggio in cantiere e quindi riducendo tempi e costi, senza rinunciare ad un design innovativo della casa.

Il prototipo è concepito secondo una progettazione flessibile di tipo modulare, sostanzialmente utilizzando una campata compositiva di larghezza pari a 5,50 metri e lunghezza variabile, assemblabile in parallelo o su più piani secondo molteplici composizioni volumetriche.
Il modulo base è volumetricamente molto semplice ed estremamente compatto, volendo ridurre al massimo la superficie disperdente dell’involucro edilizio, è pensato con una sezione a doppia falda inclinata volendo citare espressamente alcuni archetipi della costruzione (capanna primigenia di Semper).
L’espressione formale della volumetria esterna è fortemente compatta e completamente monomaterica, utilizzando la pietra leccese su tutte le superfici sia verticali che della copertura, il risultato estetico è di tipo plastico scultoreo, quasi fosse un enorme blocco lapideo plasmato da lavorazioni di taglio.
La compattezza della massa lapidea è interrotta dalla presenza delle aperture vetrate e soprattutto della serra solare, pensata come volume in “negativo” che conserva tuttavia la forma compatta della casa.
La presenza della serra solare come sistema solare passivo, diventa necessario per raggiungere livelli di sostenibilità elevati a cui la casa mira, il suo funzionamento secondo fenomeni di effetto serra, e successivo di diffusione del calore è associato alla massa della pietra dell’involucro a contatto con la stessa, migliorando la performance del sistema impiantistico.

Il sistema costruttivo utilizzato da SOOD prevede la realizzazione in sito di una piattaforma orizzontale, che può essere costruita in cemento armato o in acciaio con un sistema di fondazione che meglio si adatti alle caratteristiche del terreno. Successivamente si mette in opera una struttura ad ossatura portante di legno (Holzskelettbauweise), costituita da pilastri, travi, controventi e capriate. Terminata la struttura portante si realizza l’involucro attraverso un blocco prefabbricato brevettato. L’innovazione maggiore risiede nella composizione di quest’ultimo elemento, che è stratificato ed assemblato in fabbrica secondo cicli produttivi che consentono di realizzare la seguente stratigrafia: legno-isolante-legno-isolante-legno-pietra, è chiaro quindi che la messa in opera di questo blocco semplifica e velocizza la fase di cantiere, essendo praticamente già finita tutta la superficie esterna dell’involucro. Il blocco è realizzato per tamponare sia le pareti verticali, con la presenza di pezzi speciali per i nodi costruttivi che le superfici orizzontali.

La successiva finitura interna dell’involucro potrà essere realizzata secondo le necessità del singolo intervento utilizzando ad esempio una boiserie in legno per le pareti ed una volta in legno per il soffitto, permettendo così di incrementare le prestazioni dell’involucro utilizzando un ulteriore strato di materiale isolante o in alternativa di materiale ad elevata inerzia termica. Quest’ultima possibilità permetterebbe alla casa di avere ottime prestazioni termiche sia in ambito freddo-secco, aumentando la capacità isolante dell’involucro, che in ambito caldo-umido, aumentando la capacità di inerzia termica dell’involucro.
Le prestazioni dell’involucro così concepito portano ai seguenti valori di trasmittanza termica e massa superficiale:
U parete verticale: 0,16 W/m2K; MS parete verticale: 330Kg/m2
U copertura: 0,19 W/m2K; MS copertura: 190Kg/m2
U pavimento: 0,22 W/m2K; MS pavimento: 480Kg/m2

Il design interno di SOOD è progettato secondo principi di flessibilità di utilizzo con mobili ed attrezzature a scomparsa realizzati in materiali naturali che riducono l’inquinamento interno e privilegiano la qualità della vita ed il benessere psico-fisico dell’uomo. L’esigenza di benessere dell’individuo rappresenta il primo passo verso una cultura ambientale dove un utilizzo razionale e consapevole delle risorse permette l’integrazione dell’uomo con la natura e il rispetto dell’ambiente che ci circonda. E poi la consapevolezza di far bene all’ambiente ci fa vivere tutti più sereni.
La casa è progettata per avere un equilibrato ricambio d’aria e uno smaltimento dell’umidità efficiente, un utilizzo di materiali naturali non trattati e certificati, in modo da prevedere un’adeguata manutenzione e il possibile riciclaggio di tutti i materiali. La climatizzazione invernale ed estiva è limitata al minimo necessario sfruttando sistemi passivi e ventilazione naturale controllata.
Il progetto del prototipo abitativo SOOD non rappresenta solo una casa ma è sostanzialmente una sfida, un atto di fede verso quel rapporto continuo tra innovazione e tradizione che si instaura nella ricerca architettonica il cui fine è rappresentato dallo sviluppo sociale consapevole di una comunità.

di Giuseppe Fallacara, Marco Stigliano, Ubaldo Occhinegro

Vai al video

Note
(*) New Fundamentals Research Group

commenti ( 0 )

22 Settembre 2015

Design litico

Il design litico protagonista della mostra Creativa Produzione alla Fondazione Ragghianti


Giovanni Tesconi, portacandela in marmo bianco per Officina, 1968

Dal 13 giugno al 1° Novembre 2015, presso la Fondazione Ragghianti di Lucca, è possibile visitare la mostra Creativa Produzione. La Toscana e il design italiano 1950 – 1990.
Curata da Gianni Pettena, Davide Turrini e Mauro Lovi, l’esposizione ripercorre quarant’anni di design in Toscana in maniera innovativa, mediante l’analisi della produzione delle numerose imprese che, sparse per la regione, hanno dato un contributo fondamentale allo sviluppo del design industriale italiano. Vengono analizzate le vicende produttive di diciassette aziende, specializzate nei più svariati campi, dalla ceramica, al cristallo, al vetro, all’arredo in legno e agli imbottiti. Accanto a vicende produttive molto note, come quelle di Poltronova, Martinelli Luce o della storica Manifattura Richard Ginori, oggi rinata a nuova vita grazie all’intervento del gruppo Gucci, vengono indagate anche realtà meno conosciute ma non per questo meno significative. È il caso, per esempio, di Officina, Fucina, Casigliani, Up&Up e Ultima Edizione, tutte aziende specializzate nella produzione di arredi in marmo. Questo materiale che, a una prima e disattenta impressione, può sembrare uno dei meno adatti per l’impiego nel campo dell’arredamento, venne invece utilizzato dalle aziende citate per produrre alcuni oggetti che sono entrati di diritto nella storia del design italiano della seconda metà del Novecento.


Lella e Massimo Vignelli, Metafora #2, gioco componibile in travertino per Casigliani, 1979

L’impiego del marmo per la produzione di elementi d’arredo ebbe in Italia, già a partire dagli anni Trenta del Novecento, uno sviluppo deciso, certamente superiore a quanto avvenne negli altri paesi europei. Ciò accadde fondamentalmente a causa delle politiche autarchiche del Fascismo, tese a valorizzare i materiali di produzione nazionale, sia per l’amplissima disponibilità sul territorio italiano, dove spiccava il bacino di estrazione apuo-versiliese.
Tuttavia, fu con gli anni Sessanta che avvenne il decollo di diverse realtà toscane, tutte localizzate tra le province di Massa-Carrara e di Lucca, che progettavano e producevano arredi e oggetti in marmo.
Se all’inizio si trattava di un fenomeno essenzialmente sperimentale, come testimoniato dall’intensa ma breve vita di Officina, con la fine del decennio iniziarono a nascere aziende più solidamente strutturate anche da un punto di vista economico e finanziario, come Up&Up, nel 1969, e Fucina, nel 1972.


Renato Polidori, ciotola Morgana e vaso Vagli per Fucina, 1975-76

Fondamentale, fin dall’inizio, fu la collaborazione con progettisti di talento. Molte volte erano nomi già affermati nel campo del design, come ad esempio Angelo Mangiarotti, che lavoravano con Officina fin dal 1966, altre volte si trattava di giovani come Pier Alessandro Di Rosa ed Egidio Giusti, attivi nella Up&Up subito dopo la laurea conseguita presso l’Università di Firenze. Nel corso degli anni Settanta, le esperienze di queste aziende erano le più innovative del settore e intessevano fruttuosi rapporti con progettisti del calibro appunto di Mangiarotti, Sergio Asti e Tobia Scarpa. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta iniziarono ad operare ulteriori nuove realtà come Casigliani e Ultima Edizione.


Giulio Lazzotti, tavolo Grata per Up & Up, 1978

Col finire del secolo, si è assistito alla scomparsa di alcune delle aziende che hanno fatto la storia della produzione di arredi in marmo. Tuttavia, altre, come la UpGroup, erede diretta della Up&Up, continuano ancora oggi ad operare con successo nel solco di quanto iniziato nella seconda metà degli anni Sessanta del Novecento.
Nel ricchissimo catalogo della mostra, curato da Davide Turrini con Elisabetta Trincherini, accanto a saggi introduttivi e alle schede delle opere in mostra, sono presenti dettagliate presentazioni sulle varie realità aziendali che permettono di ricostruirne la vita e lo sviluppo del processo produttivo, analizzando storie fino ad oggi pressoché ignote al grande pubblico e alla quasi totalità degli addetti ai lavori. Prima tra tutte, come detto, Officina che nasce intorno alla metà degli anni Sessanta in Versilia per volontà di Erminio Cidonio, già amministratore unico della Henraux, grande azienda marmifera con sede a Pietrasanta. Officina realizzava arredi lapidei connotati da una forte spinta sperimentale, disegnati da alcuni dei maggiori artisti e designer del periodo, come Lorenzo Guerrini, Giò Pomodoro e Angelo Mangiarotti, autore della celeberrima serie Variazioni, del 1966, con la quale realizzò, basandosi sul concetto della sagoma a contorno libero, un copioso gruppo di vasi.


Adolfo Natalini, centrotavola Intreccio per Up & Up, 1987-88

Il testimone di Officina viene raccolto nei primi anni Settanta da Fucina. Quest’ultima nacque presso Seravezza, per volontà dell’imprenditore Nilo Pasini come divisione per la lavorazione del marmo del già affermato marchio Skipper. Rispetto ad Officina, in Fucina era presente anche una forte organizzazione imprenditoriale: in questo modo si passava da una dimensione puramente sperimentale ad una propriamente industriale.
Nel 1969 viene fondata la Up&Up di Massa che, già nel nome, invitante all’ottimismo e in lingua inglese, esplicita la volontà di aprirsi alle novità e alle sperimentazioni. In questa realtà i giovani architetti Pier Alessandro Giusti ed Egidio Di Rosa disegnavano in prima persona e curavano la direzione artistica. Negli anni la Up&Up diventa un vero e proprio epicentro internazionale delle sperimentazioni litiche collaborando con designer e architetti del calibro di Andrea Branzi, Achille Castiglioni, Michele De Lucchi e Adolfo Natalini.


Pier Alessandro Giusti e Egidio Di Rosa, vasi Esagono per Ultima Edizione, 1984

Nel 1984 Giusti e Di Rosa aprono Ultima Edizione, ulteriore realtà massese dedicata al design del marmo che collabora tra gli altri con Ettore Sottsass. Nella produzione aziendale coesistevano tendenze più ancorate alla tradizione con altre più aperte alla sperimentazione. Questa tendenza era testimoniata anche dal disegno avveniristico della sede societaria, localizzata nella zona industriale apuana e pensata come una sorta di manifesto programmatico per l’attività aziendale.


Paolo Tilche, piccoli vasi Omaggio a Morandi per Casigliani, 1978

Ancora all’interno della zona marmifera apuo-versiliese, una delle più estese ed importanti del mondo, precisamente a Pietrasanta, operava Casigliani, nata per iniziativa dell’imprenditore Maurizio Casigliani. Fondamentale fu l’incontro tra quest’ultimo e i designer di origine italiana Lella e Massimo Vignelli avvenuto a New York, città sede dello Studio Vignelli. L’azienda cominciò a svolgere la sua attività produttiva nel 1979 quando vide la nascita il tavolo Metafora #1, disegnato dai Vignelli. Maurizio Casigliani partecipava sempre direttamente al processo creativo, fungendo da prezioso tramite tra i progettisti e gli artigiani. L’attività dell’impresa, della durata di circa venti anni, vide l’apporto, oltre che dei Vignelli, anche di altri designer di fama, come Gianfranco Frattini, Giulio Lazzotti, Richard Meier, Giotto Stoppino e il gruppo Site.

di Costantino Ceccanti

Vai a: Fondazione Licia e Carlo Ludovico Ragghianti

commenti ( 0 )

21 Settembre 2015

News

Marmomac 2015
PROGRAMMA FORUM AREA

Hall 1
Coordinamento generale: Vincenzo Pavan
CONVEGNI – LECTURES – PRESENTAZIONI – PREMIAZIONI

MERCOLEDÌ 30 SETTEMBRE
11.00 – Cerimonia di apertura
50° Marmomacc e Abitare il Tempo
15.00Lectio Magistralis
Vincenzo Latina, Siracusa
16.00Lectio Magistralis
Patricia Urquiola, Milano
18.00 – Cerimonia di premiazione
Best Communicator Award 2015
Mastri della Pietra
_____________________

GIOVEDÌ 1 OTTOBRE
12.00 – Convegno Stone Academy
Coordinamento: Massimiliano Caviasca
15.00Lectio Magistralis
Setsu e Shinobu Ito, Milano – Tokyo
16.00Lectio Magistralis
Cino Zucchi, Milano
17.00 – Cerimonia di premiazione
Premio Le Donne del Marmo 2015
_____________________

VENERDÌ 2 OTTOBRE
10.30 – Cerimonia di premiazione
International Award Architecture in Stone, XIV Edizione
Coordinamento: Vincenzo Pavan
Interventi: Emre Arolat, Max Dudler, Róisín Henegan, Gilles Perraudin, Élisabeth Polzella, Giuseppe Zampieri
15.00 – Convegno
Digital Design – Lithic Experiences
Coordinamento: Raffaello Galiotto
Interventi: Stefano Coiai, Dario Finazzi, Christian Pongratz, Domenico Potenza, Rodolfo Scatigna
_____________________

SABATO 3 OTTOBRE
10.30 – Pietra Naturale: ecosostenibilità e dintorni
Conferenza
Piero Primavori, Pisa
13.30 – Metodi e tecniche per il recupero delle cave di pietra
Corso di aggiornamento di Stone Academy
e Master Pietra Politecnico di Milano
4 CFU riconosciuti dal CNAPP
_____________________

MOSTRE
HALL. 1 – Italian Stone Theatre
LITHIC VERTIGO
CARPETS OF STONE
DIGITAL LITHIC DESIGN

GALLERIA HALL 2/3
INTERNATIONAL AWARD ARCHITECTURE IN STONE
STONE ACADEMY
URBAN DESIGN PARK
…and outside
MARMOMACC & THE CITY

Scarica il Programma IT / EN

commenti ( 0 )

15 Settembre 2015

Opere di Architettura

Complesso residenziale a Puente Sarela
Santiago de Compostela, Spagna, 2005/2009
Victor López Cotelo

L’alveo del fiume Sarela, in fregio al centro antico di Santiago de Compostela, fu in passato un luogo propizio per l’impianto di attività conciarie, che produssero un ricchissimo tessuto insediativo composto da strutture di tipo rurale, urbano e industriale.
All’incrocio del fiume con l’antica strada romana che porta a Finisterre sulla “Riviera di San Lorenzo” di Abaixo si incontrava, nascosta dalla vegetazione, la struttura muraria di un’antica conceria, la cui costruzione nel 1790 fu fattore determinante per una suggestiva configurazione del luogo.
Le costruzioni che la componevano erano raggruppate in due complessi disposti parallelamente in un lotto irregolare risalente l’alveo del fiume. In basso l’edificio principale con il suo reticolo di piloni in pietra, le vasche e gli spazi di lavorazione, mentre un po’ più in alto si trovava l’essiccatoio che ingloba un antico mulino con la casa del mugnaio.


Planimetria generale dell’intervento

In questo contesto da anni abbandonato al degrado, ma di alto valore paesaggistico, architettonico e storico, si è innestato un programma di riabilitazione e di valorizzazione che comprende il recupero e restauro delle preesistenze e la costruzione di nuovi edifici.
L’intervento, finalizzato ad attività residenziali e alberghiere, si snoda sul lotto per corpi paralleli che, a partire dalle vestigia della fabbrica, risalgono fino alla parte più alta del declivio in una sequenza formata da essiccatoio, residenza alberghiera, abitazione unifamiliare e autorimessa.
Per la loro struttura e la posizione ombrosa vicino al fiume, gli edifici della fabbrica ammettevano soltanto un intervento contenuto che si limitasse fondamentalmente a dotarli di copertura e a reintegrare la struttura del livello superiore, ricordando la loro condizione di rovina industriale, per renderne possibile la visitabilità.


Veduta dell’essiccatoio e dei nuovi appartamenti

Per l’essiccatoio, che consta di una semplice sequenza lineare di ampi vani, la cosa fondamentale è stata conservarne la tranquilla presenza e i resti del mulino che si incontrano al suo interno. In questa costruzione sono stati inseriti alcuni appartamenti della residenza alberghiera che sfruttano la semplice linearità della rovina, rendendo possibile la simbiosi della vecchia struttura con la nuova destinazione. La nuova costruzione che integra la struttura ricettiva si compone di un corpo di miniappartamenti in duplex e di una abitazione unifamiliare. Entrambi danno continuità virtuale alle balze e ai muri di contenimento in pietra del lotto contiguo. Il risultato è una architettura in cui convivono in modo armonico murature in pietra di raffinata esecuzione artigianale e materiali leggeri come zinco e vetro.
L’abitazione unifamiliare, oggetto della prima fase di costruzione di questo intervento, si sviluppa su due livelli. Al livello inferiore, vicino alla zona notte si collocano la cucina e sala da pranzo, che continua all’esterno su un terrazzo parzialmente coperto. Al livello superiore si situa il soggiorno e la biblioteca: uno spazio trasparente, con propria terrazza orientata anch’essa a sud. I due livelli si incontrano a mezza altezza, quota dell’ingresso della casa. Un sentiero che parte dall’autorimessa, situata nel punto più alto della recinzione, dà accesso diretto alla terrazza del piano superiore. Se il corpo in pietra inferiore appare come un muro compatto che attraversa il lotto, il volume superiore al contrario si apre al paesaggio con grandi vetrate che compensano la luce solare spesso scarsa di Santiago.


Veduta del complesso di nuova edificazione

Nella facciata nord, data la profondità dell’edificazione al piano inferiore, si aprono per tutta la sua estensione una vetrata e un grande lucernario, che permettono di equilibrare la sensazione luminosa all’interno della casa. All’estremo superiore del lotto si situa l’autorimessa dell’abitazione, che ha risolto in maniera appropriata l’angolo acuto in cui si conclude il terreno.
La sequenza, iniziata con il corpo garage nel vertice superiore del lotto, in una costruzione risolta con copertura piana con manto erboso su struttura in legno, risulta evidente nelle due costruzioni successive di nuovo impianto che si allineano scendendo per il versante (casa unifamiliare e appartamenti), per confluire infine nelle rovine recuperate dell’essiccatoio e della fabbrica conciaria.


Veduta del giardino della residenza unifamiliare L’ingresso e il corridoio di accesso

Scheda tecnica
Titolo dell’opera: Complesso Residenziale in Puente Sarela
Indirizzo: Puente Sarela, Santiago de Compostela, Spagna
Data di progettazione: 2000
Data di realizzazione: 2002-2007
Committente: Construccions Otero Pombo S.A., Santiago de Compostela, Spagna
Architetto: Victor López Cotelo, Madrid, Spagna
Project team: Juan Manuel Vargas Funes (Coordinatore di progetto)
Ana Isabel Torres Solana, Isabel Mira Pueo, Jesús Placencia Porrero, Juan Uribarri Sánchez-Marco, Francisco García Toribio, Flora López-Cotelo, Alvaro Guerrero Aragoneses
Direzione lavori: Victor López Cotelo, Juan Manuel Vargas Funes
Strutture: José María Fernández Álvarez, Madrid, Spagna
Impresa di costruzione: Construccions Otero Pombo S.A., Santiago de Compostela, Spagna
Materiale lapideo utilizzato: Granito locale
Fornitura della pietra: Mármoles Alende S.L, Santiago de Compostela, Spagna

Per una documentazione completa dell’opera Download PDF

Rieditazione tratta da Glocal Stone, a cura di Vincenzo Pavan pubblicato da Marmomacc

commenti ( 0 )

10 Settembre 2015

PostScriptum

Genesi di un cantiere meridionale: la riapertura del Castello di Gallipoli.


Il Castello di Gallipoli.

Raffaela Zizzari ha diretto i restauri del Castello di Gallipoli e oggi è responsabile della direzione artistica della struttura che domina il porto della località pugliese. Nel suo testo, riportato di seguito, la suggestione di un cantiere vissuto con particolare intensità.

Mi è sempre piaciuto svegliarmi presto la mattina, le cose più importanti della mia vita sono sempre accadute di mattina e forse è per questo che la mia casa ha un’unica finestra puntata sull’alba…“da quei balconi arcati, leggi nei giorni chiari Albania rosa”… ma questa è un’altra storia! Sicuramente il lavoro di architetto si esercita meglio la mattina, con la mente libera da pregiudizi e soprattutto con i cinque sensi poco sollecitati e pronti a recepire tutto il bello che ci circonda, quando il sole è appena spuntato: solo per me per sei mesi il castello di Gallipoli si è tinto di rosa e si è riflesso nel mare blu, intenso. È difficile spiegare il rapporto intimo che si crea tra il manufatto e l’architetto, è più di passione diventa mania e quando si tratta di restauro, il sentimento è amplificato. Le peculiarità del restauro risiedono nell’imprevedibilità e nell’incertezza, a questo va aggiunta l’estrema variabilità delle situazioni che impedisce di applicare teorie e schemi prefissati… il restauro richiede una lunga gestazione ed estrema pazienza. Tutte queste caratteristiche sono tipiche della passione che si alimenta giorno dopo giorno, fantasticando e lavorando duro.
I lavori sono partiti dalla presa di coscienza che il Castello di Gallipoli non esisteva più, al suo posto c’erano cumuli di spazzatura e cemento, eternit e anni di totale indifferenza.


Il Castello di Gallipoli prima, durante e dopo i lavori del recente restauro.

John Ruskin diceva: “…Prendetevi cura solerte dei vostri monumenti, e non avrete alcun bisogno di restaurarli (..) Vigilate su un vecchio edificio con attenzione premurosa; proteggetelo meglio che potete e ad ogni costo, da ogni accenno di deterioramento. Contate quelle pietre come contereste le gemme di una corona; mettetegli attorno dei sorveglianti come si trattasse delle porte di una città assediata; dove la struttura muraria mostra delle smagliature, tenetela compatta usando il ferro; e dove essa cede, puntellatela con travi; e non preoccupatevi per la bruttezza di questi interventi di sostegno; meglio avere una stampella che restare senza una gamba…”; tutto questo non è accaduto ahimè al castello, nessuno ha vegliato, nessuno! Ormai il danno era stato fatto, come procedere allora?
Con un ripristino tipologico e funzionale che potesse restituire almeno dignità alle sale deturpate da scellerate superfetazioni, ignoranti rivestimenti e silenziosi furti. Si è optato quindi per un intervento conservativo che potesse preservare ogni traccia preesistente degna di essere definita tale e adeguando la struttura ai percorsi di visita progettati.


Dettaglio di un bastione del castello di Gallipoli.

Sei mesi di duro lavoro, cantiere di giorno e progettazione di notte, incontri con gli enti preposti e grandi ore di attesa dietro le porte dei funzionari competenti! e all’alba di nuovo in cantiere! Il restauro presenta ogni giorno problemi nuovi, impone decisioni immediate, costringe a un continuo scambio d’idee e informazioni fra tecnici e maestranze, a una proficua circolarità di conoscenze e competenze. Il restauro è un incontro tra il lavoro intellettuale e il lavoro manuale, tra la riscoperta di antiche professioni tramandate e la sperimentazione di moderni sistemi di applicazione scientifica e informatica. I compagni di questo viaggio sono stati di volta in volta, archeologi, architetti, ingegneri, ma soprattutto fabbri, posatori, elettricisti e idraulici, artisti, operai, vecchi saggi e anche semplici cittadini che hanno in comune l’amore per la città di Gallipoli e la passione di condividerne i piaceri senza porsi nessuna stelletta sul bavero della giacca.


Michelangelo Pistoletto: il maestro al Castello di Gallipoli dove le sue opere saranno in mostra fino alla fine del mese di settembre.

È stato bello scrutare insieme dai torrioni le due baie gallipoline, da quella postazione si ha la straordinaria sensazione di essere al centro del Mediterraneo. Poi il tempo passava e bisognava tornare subito al lavoro con l’obiettivo di aprire prima possibile. L’unica pausa concessa era il caffè, al bar, e sul “giornale” si leggeva: “Castello svenduto e ancora chiuso”. Ma si può essere così miopi? I risultati parlano più di qualsiasi comunicato stampa: Lavoro eseguito in meno di sei mesi e senza alcun contributo pubblico, ma siamo in Italia? si!!! Nel sud del sud dei santi, recitava il Maestro!

di Raffaela Zizzari

Vai a: Castello di Gallipoli

commenti ( 0 )

7 Settembre 2015

Opere di Architettura

Morphosis


La copertina del libro.

Quello che si intraprende avvicinandosi alla lettura del libro dedicato ai Morphosis, edito da Edilstampa è un viaggio architettonico e storico che sì, raccoglie le sensazioni trasmesse negli ultimi anni dalla produzione dello studio americano, ma anche racconta un processo evolutivo che eredita il suo dinamismo dalle suggestioni dell’architettura americana della West Coast. L’autore ci accompagna nell’andare verso la comprensione del processo progettuale di Thom Mayne e del suo studio preparando il necessario sostrato, raccogliendo appunti in quello che diventa un indispensabile taccuino di viaggio. Da questa premessa si parte, e si viene guidati, per capire il cambio di scala a cui dobbiamo prepararci e a quello in cui ci imbatteremo durante il viaggio.
La prima parte di questa antologia è dedicata al contesto da cui l’architettura dei Morphosis eredita lo spirito e deriva la sua filosofia. Anche questo è un approccio che avviene progressivamente, quasi per tappe, come accade quando ci si prepara ad un intenso cammino. Si delinea dapprima il contesto. Scenario è la tumultuosa città di Los Angeles che ne diventa anche emblematicamente simbolo; strumenti interpretativi sono il lavoro di Frank Lyold Wright, le quattro ecologie di Banham, la SCI-arc e la generazione di architetti californiani che ne fanno parte. Essi “Come tre punti uniti da una retta […] trovano precisa collocazione nella storia dell’architettura. Le opere di questi ultimi progettisti costituiscono esse stesse uno specifico filone dell’architettura contemporanea, confinando in modo definitivo le facili etichettature di chi le consideri esempi di spavalderia californiana”.


Hypo Alpe Adria di Udine. La dinamicità dei collegamenti. I calpestii di piano terra in pietra piasentina. Fotografie di Alberto Ferraresi.

Si procede guardando al mondo di Thom Mayne attraverso le chiavi di lettura fornite dal suo ultimo libro Combinatory Urbanism. Se è vero che il manifesto scritto da Mayne raccoglie il vocabolario utile a leggere l’architettura dei Morphosis, possiamo spingerci oltre dicendo che con questo volume se ne riassumono quei tratti tipici che ci permettono di affrontarne l’analisi sintattica. Si percorre così, attraverso un arco temporale di 20 anni, un processo evolutivo che, pur mantenendo salde le idee cardine della progettazione dello studio, segue i progressi della tecnologia diventandone dichiarata manifestazione. La parola greca morphosis, da cui è derivato il nome dello studio, significa “formare” o “essere in formazione”. La forma, in questa espressione architettonica, nasce come conseguenza del paesaggio circostante, tanto nel Diamond Ranch High School in California, dove “le basse colline di Los Angeles e la topografia del terreno permettono di creare un sistema esteso dove il paesaggio e il costruito potrebbero essere intercambiabili”, quanto nelle sedi della Hypo Alpe Adria o nel Giant Interactive Group. La forma è sempre dichiarata esplicitazione dell’idea progettuale nel Clyde Frazier Wine and Dine o nel Cahill Center a Pasadina. In tutti i casi il mezzo espressivo è la pelle esterna, la facciata che si articola o disarticola, si spezza, si estende o contrae, per esprimere la potenza e la forza dell’edificio.
Questo viaggio diventa ancor più interessante a mano a mano che si procede, nel momento in cui la lettura diventa il mezzo di comprensione dell’approccio progettuale e le immagini raccolte ne concretizzano il risultato. È vero, come dichiara lo stesso Mayne nello scambio di battute con Joe Day, che non interessa più “where the silver goes”, avendo lo studio trovato la più adatta dimensione interpretativa nella grande scala, ma ciò non porta a tralasciare il significato profondo che l’architettura si propone, ossia l’organizzazione di uno spazio tutto dedicato alla dimensione umana. Da un lato quindi gli aspetti macroscopici che dal contesto portano alla forma, dall’altro l’attenzione per l’uso dell’architettura nel suo vivere quotidiano, sono trattati come aspetti paritari. Gli elementi costanti della progettazione, gli spazi flessibili, gli ambienti fluidi, i concetti di scambio e adattabilità, si trovano tanto nella pelle stratificata del Perot Museum, quanto nel sistema di oscuramento del rivestimento metallico del Caltrans Disctrict. La fluidità e il dinamismo dello schema progettuale della Wayne Lyman Courthouse sono gli stessi caratteri che, nei rapporti fra i fruitori, nascono con lo scambio giornaliero e involontario generato dal sistema skip-top proposto all’University of Toronto. Il fruitore non è più il singolo committente ma la comunità stessa e l’architettura dello studio ne diventa critico interprete e portavoce. In questo senso forse si possono interpretare le parole di Mayne e la necessità del salto di scala, l’esigenza cioè di avere un interlocutore in grado di assorbire un processo architettonico più complesso, una base più larga su cui impostare le proprie ricerche. Comunità e ambiente sono elementi fondanti della struttura sia concettualmente, sia fisicamente, in una relazione semi nascosta o ambigua, che trova interpretazione piena nel tetto verde del Rose Garden al Dr. Theodore Alexander Science Center School o nel suo giardino di bambù.
Si chiude il libro con la voglia di ripartire e con la sensazione che, al di là della ricerca tecnologica, della perfezione formale, della flessibilità funzionale, l’architettura non si riduca a semplice interpretazione parametrica dello spazio, ma raccolga le più piccole sfaccettature quotidiane, le molteplici tipicità dei luoghi e ne dia espressione piena, attraverso il risultato di una raccolta di strumenti durata oltre quarant’anni.


Hypo Alpe Adria di Udine. L’interno di uno spazio ricettivo e le volumetrie esterne. I calpestii di piano terra in pietra piasentina. Fotografie di Alberto Ferraresi.

[photogallery]morphosis_album[/photogallery]

di Federica Poini

Vai al sito dei Morphosis
Vai al sito di Edilstampa
Vai al sito dell’autore
Vai alla pagina su Reyner Banham
Vai al sito di Sci-arc
Vai alla pagina di Combinatory Urbanism
Vai alla definizione di parametrico

commenti ( 1 )

4 Settembre 2015

News

DIGITAL LITHIC DESIGN

Curatore e designer Raffaello Galiotto

Sul marmo, materiale antico e stabile, è stata scritta la storia dell’uomo, il quale sopra alla storia geologica del nostro pianeta insita nel materiale stesso e a seconda della propria epoca, ne ha sovrascritto le peculiarità, registrandone la cultura, lo stile e la tecnica.
Oggi i nuovi dispositivi meccanici computerizzati per la lavorazione della materia litica offrono incredibili possibilità. L’impiego di questi strumenti – da considerare come una sorta di “scalpello digitale” – apre un nuovo scenario in cui all’uomo, sempre al primo posto, spetta la responsabilità di un ripensamento profondo, volto alla valorizzazione simbolica, all’impiego durevole e alla limitazione dello scarto.
La mostra Digital Lithic Design, curata da Raffaello Galiotto, ha lo scopo di evidenziare, attraverso la realizzazione di una collezione di tredici opere sperimentali in marmo, le potenzialità dell’eccellenza tecnologica, della capacità di trasformazione del settore lapideo italiano unite al design e alla progettazione digitale.
Produttori di macchinari, software house, produttori di utensili, marmisti e cavatori di materia prima hanno accettato la sfida di portare al limite le proprie capacità per mostrare al pubblico internazionale della fiera Marmomacc di Verona le nuove opportunità che la tecnologia offre al settore.
Lavorazioni di altissima precisione e complessità, virtuosismi tridimensionali, lucidatura automatica di superfici sagomate, recupero e riduzione dello scarto sono alcuni dei numerosi aspetti che i progetti si prefiggono di affrontare. Attraverso un percorso multimediale costituito da artefatti in marmo, video esplicativi dei processi di produzione e infografica, il visitatore ha l’opportunità di comprendere in modo chiaro il contenuto innovativo e sperimentale di ogni progetto, creato appositamente per ciascuna tecnologia di lavorazione: frese a controllo numerico, sagomatori a filo 3D, waterjet, e software dedicati.

La mostra Digital Lithic Design rientra nel progetto The Italian Stone Theatre (padiglione 1), realizzato da Marmomacc con il supporto del Ministero per lo Sviluppo Economico (MISE), dell’Italian Trade Agency e di Confindustria Marmomacchine nell’ambito del Piano Straordinario della Promozione del Made in Italy per la valorizzazione dell’eccellenza del comparto litico e tecnologico nazionale.

LE OPERE IN MOSTRA


Acus
E’ una corazza cosparsa di elementi appuntiti inclinati. La realizzazione è stata possibile con tagli a disco diamantato su fresa a cinque assi seguendo precisi percorsi 3d. La particolare delicatezza delle punte è preservata dalla precisione del dispositivo che contemporaneamente al taglio ne leviga le superfici evitando ulteriori interventi di pulitura. produced by Gmm


Bicefalo
Il pretesto della morfologia animale diventa l’occasione per indagare e giocare sulle regole numeriche delle forme naturali, qui interpretate e tradotte con passaggi di fresa a controllo numerico con utensile sferico. La grafia automatica della macchina, che generalmente si elimina con lucidatura manuale, ora diventa la cifra caratterizzante dell’opera. produced by Intermac


Cacto
La lucidatura del marmo, dopo le operazioni di fresatura tridimensionale, è normalmente affidata alla mano dell’uomo. Quest’opera sperimenta la possibilità di lucidare la superficie direttamente a macchina con l’impiego di utensili dedicati utilizzando i percorsi di lavorazione senza nessun apporto manuale. La forma complessa e sinuosa è strettamente derivata dalla forma stessa dell’utensile a disco di lavorazione. produced by Omag


Glomus
La sfida affrontata da questo progetto è la fresatura di una superficie tridimensionale complessa con un passaggio continuo di utensile gestito anche dal punto di vista estetico. Come in un gomitolo, costituito da un solo e continuo filo, in quest’opera l’utensile si appoggia nella superficie sgrezzata e mediante un lunghissimo e tortuoso percorso senza interruzioni lavora la superficie portandola a finitura senza mai staccarsi. produced by Helios


Leucon
Il carattere singolare di questa doppia parete permeabile distanziata risiede nella difficoltà della realizzazione delle zone scavate in “sottosquadra” cioè non accessibili normalmente dall’utensile. Dopo aver realizzato la superficie sagomata bifacciale sono state effettuate le lavorazioni di scavatura con l’impiego di un utensile speciale a testa allargata il quale è entrato in ogni singola apertura con una direzione diagonale e un movimento rotante rendendo possibili le lavorazioni negli interstizi apparentemente inaccessibili. produced by Odone Angelo – Gruppo Tosco Marmi


Lisca
Il tradizionale taglio a disco diamantato è reinterpretato mediante percorsi di taglio curvi e distribuiti su una superficie ondulata. In ogni percorso il disco taglia due volte con inclinazione opposta realizzando solchi a V che mediante l’incrocio con quelli della superficie posteriore creano una rete permeabile alla luce e scanalata dal forte carattere tridimensionale. produced by Lithos Design


Litocorno
Oltre al virtuosismo formale l’opera è un’autentica sfida al risparmio di materia e di energia. Grazie a un accurato disegno e l’impiego della tecnologia di taglio Waterjet a 5 assi si riesce, partendo da un elemento di soli 60 cm di altezza, a sviluppare un cono scanalato, sinuoso, tortile e cavo di ben 6m di altezza, formato da 100 anelli monolitici sovrapposti. produced by Antolini


Micete
Questo progetto è realizzabile esclusivamente con la tecnologia impiegata: arco a filo diamantato montato su braccio robotizzato antropomorfo. La straordinaria possibilità di rotazione e inclinazione che il dispositivo consente ha reso possibile il taglio ondulato a spirale deformata dell’opera. La finitura di superficie è direttamente prodotta dal taglio stesso senza levigature manuali successive. produced by T&D Robotics


Pavo
Il grande ventaglio litico ispirato dalle penne dei volatili è stato creato gestendo la ripetizione degli elementi mediante software 3d. La particolarità dell’opera risiede nella realizzazione della texture superficiale che deriva direttamente dal percorso di lavorazione dell’utensile gestito individualmente per ogni singolo elemento diventando parte integrante e caratterizzante dell’opera. produced by Donatoni


Pinea
Con quest’opera si sperimenta la possibilità di gestire il taglio a filo diamantato non teso. L’allentamento del filo introduce una serie di variabili di percorso non prevedibili tramite software, la combinazione dei percorsi digitali e i risultati fisici proiettano la tecnica di taglio verso una nuova dimensione in cui è anche possibile l’ottenimento di superfici concave e convesse minimizzando lo scarto. I petali ottenuti dai tagli ripetuti sono poi disposti con i criteri della fillotassi e cioè con una rotazione fissa rispetto all’asse di rotazione. produced by Pellegrini -­ Margraf


Quadrilobo
La complessa volumetria dell’opera è prodotta esclusivamente con un percorso di taglio a filo diamantato ripetuto quattro volte su un blocco monolitico. Il design e i percorsi di taglio sono stati realizzati con l’impiego di software 3d che hanno permesso il controllo e l’ottimizzazione dei percorsi anticipando i risultati ed evitando gli scarti di prova. produced by Decormarmi


Trama
Il lungo elemento a doppia tromba traforata è stato eseguito esclusivamente con taglio a filo diamantato su un dispositivo a dieci assi. L’andamento del filo lungo il percorso binario ha automaticamente generato sia la superficie curva e scanalata incrociata che la foratura derivante dai tagli interni. L’interno è stato realizzato inserendo il filo in un foro passante realizzato precedentemente. produced by Breton


Vortex
Le spire avvolgenti a sezione triangolare sono state realizzate sul monolite con tagli a disco diamantato montato su fresa a cinque assi. Ogni singola corsia a V è ottenuta da un duplice passaggio di disco a inclinazione opposta sullo stesso percorso, la superficie di taglio liscia e uniforme non ha necessitato nessun tipo di levigatura successiva. La variazione dell’inclinazione delle spire in modo cadenzato e la loro disposizione sulla calotta conferiscono all’oggetto una leggera asimmetria dalla resa particolarmente dinamica. produced by Denver

commenti ( 0 )

2 Settembre 2015

Elementi di Pietra

OsteoMorphing

Volte catenarie e colonne litiche precompresse a conci osteomorfi. Note sullo stage presso la Generelli SA, Rivera (Svizzera)


Volte catenarie e colonne litiche precompresse a conci osteomorfi

Nel più ampio tema di ricerca sulle strutture lapidee osteomorfe, sviluppate dai proff. G. Fallacara (Politecnico di Bari) e Y. Estrin (Monash University, Melbourne), si inserisce il progetto sperimentale di Volte catenarie e colonne litiche precompresse a conci osteomorfi.


Stone Wave Block, strutture lapidee osteomorfe

L’arco catenario progettato1 è stato funzionalizzato come arcata aggiunta alla struttura preesistente del ponte Archi di Santa Cesarea Terme (LE) Italy in occasione del workshop “BRIDGE.TRAD” promosso da UPI Puglia, tenutosi nel Maggio 2015 con il fine di dare rilievo ai ponti tradizionali pugliesi, e creare nuovi poli attrattivi e punti panoramici privilegiati così da esaltare la magnificenza del luogo.
Il progetto del ponte del tuffatore è un’ infrastruttura costituita da due arcate catenarie di pietra e da una struttura metallica che collega impalcato superiore ed estradosso di entrambe le volte. Come preannuncia il nome dato al progetto, le volte hanno un passaggio con un trampolino da cui è possibile spiccare il volo per il tuffatore e poter poi risalire grazie alle scalinate.
All’interno della maglia metallica sono inseriti dei collegamenti verticali che coprono tutta l’altezza del ponte, e permettono la percorrenza dal mare fino alla passerella superiore e viceversa. Superiormente è presente un camminamento con un pavimento formato da listelli di legno che si estende sopra gli archi, garantendo la percorribilità del ponte.


Tavole per l’esposizione al Marmomacc 2015 – Stone Academy

Gli esiti di questa ricerca si sono concretizzati nel corso dello stage presso la Generelli SA marmi e graniti Rivera-Bironico, Ticino, Switzerland nel giugno 2015.
Si è infatti realizzato un arco con conci osteomorfi dalla geometria sinusoidale complessa: un arco catenario. L’arco catenario è un arco la cui curva ricorda quella di una lunga catena tenuta dalle due estremità e lasciata pendere, la catenaria appunto, che somiglia ad una parabola. È detto anche arco equilibrato perché la sua forma consente una omogenea redistribuzione del carico; a differenza di altri tipi di archi, non necessita né di contrafforti né di altri elementi di supporto e rinfianco.


Fasi di montaggio dell’arco catenario precompresso a giunti osteomorfi

[photogallery]osteomorfi_album[/photogallery]

Per una maggior gestione e possibilità di generare varianti, la progettazione del manufatto si è servita di mezzi parametrici, in particolare del plug-in di Rhinoceros, Grasshopper. Con questo plug-in si generano dei codici parametrico-variazionali.

Le fasi della parametrizzazione sono state le seguenti:
1. MODELLAZIONE DEL CONCIO
La modellazione dell’unità è stata eseguita mediante tecniche di controllo del giunto per grafici di funzioni matematiche. Variando i valori associati a determinate coordinate spaziali dei punti appartenenti alle curve di giunto, si possono definire le geometrie generali del concio e, di conseguenza, dettare determinate condizioni per l’aggregazione delle unità. In ordine a lato, la sezione di codice utile, il concio tipo con i grafici di controllo e due delle possibili variabili.
2. AGGREGAZIONE DELLE UNITA’
L’aggregazione delle unità è coordinata tramite parametri di controllo legati a spostamenti vettoriali del singolo concio nel piano orizzontale. (aggregazione sul piano orizzontale; particolare del giunto)
3. MORPHING
La modellazione spaziale dell’orditura della volta viene effettuata con un’operazione di morphing, ovvero deformazione topologica dell’aggregazione precedentemente definita sul piano orizzontale, in modo da generare un profilo catenario utilizzando una superficie guida. Un arco che segue una curva catenaria rappresenta uno stato di tensione pura (compressione o trazione) in cui l’elemento strutturale è inserito al di sotto. La parametrizzazione della volta inoltre include anche l’inserimento dei conci in chiave e dei conci d’attacco a terra, sfruttando le condizioni imposte per domini matematici per ordinare le posizioni degli elementi nell’opera stereotomica.

Durante lo stage partendo dalla modellazione tridimensionale sono stati realizzati i singoli conci: in prima battuta un braccio robotico a CN ha tagliato per mezzo di un elettro-mandrino i blocchi rettangolari di marmo( quindi un processo per sottrazione di materiale); i conci sono stati numerati e posizionati a terra, giuntati e assemblati a formare un arco catenario. Prima di ruotare l’arco è stata applicata una trave di legno che vincola a sé i piedritti in modo tale da impedire i movimenti di quest’ultimo. In seguito l’arco è stato ruotato da terra di 90 gradi. Nella parte bassa, sono stati effettuati dei fori direttamente sui conci, al cui interno sono stati inseriti dei fermi in acciaio. Questi ultimi contribuiscono al blocco dei due tiranti posizionati lungo tutto l’estradosso dell’arco allo scopo di mettere in tensione l’intera architettura.


Armatura estradossata dell’arco per post-tensione di precompressione della struttura

Il sistema costruttivo potrebbe anche essere agevolmente usato per coperture a botte con sezione catenaria in una concezione di montaggio prestabilita con mezzi meccanici.


Esemplificazione di montaggio

Durante lo svolgimento dello stage è stata affrontata un’altra tematica di stereotomia osteomorfa in particolare la Colonna Osteomorfa, con la realizzazione di un elemento verticale che, imitando le caratteristiche della colonna vertebrale è rigido ma elastico al tempo stesso. La Colonna Osteomorfa è dunque formata da conci lapidei la cui geometria a curve sinusoidali le garantisce maggiori vantaggi tra cui aumentare la superficie di contatto tra i conci, diminuendo l’attrito. E’ dunque evidente il parallelismo che si genera con il midollo osseo: il cuscinetto di neoprene (cuscinetti di appoggio per i nodi strutturali) così come i dischi di cartilagine; i cavi che dal basso verso l’alto uniscono tutti i conci della colonna, così come il midollo spinale, che percorre e attraversa tutta la colonna vertebrale.


Comportamento “flessibile” della Colonna Osteomorfa

I conci progettati in 3D, sono stati tagliati con il una macchina a controllo numerico. Quest’ultima mediante un elettro-mandrino incide i blocchi di marmo in maniera precisa rispetto al modello 3D di progetto. Ogni concio è stato forato verticalmente; nei fori allineati dei vari conci sono stati inseriti dei cavi in acciaio che mantengono salda la struttura. Inoltre tra un concio e l’altro sono state inserite delle sfere in metallo per permettere l’oscillazione dei conci posti uno sull’altro.
I conci realizzati, sono stati montati l’uno sull’altro verticalmente. La colonna così formata, sottoposta ad una leggera spinta è stata in grado di compiere oscillazioni senza modificare la sua geometria. I possibili utilizzi della colonna osteomorfa possono così spaziare da colonne portanti per gli edifici ad oggetti di design (per esempio lampade piegabili).


Realizzazione della Colonna Osteomorfa

[photogallery]osteomorfi1_album[/photogallery]

di Giuseppe Fallacara, Vincenzo Minenna,

Note
* Lab. Laurea Morfologia Strutturale 2.0
https://www.facebook.com/pages/Morfologia-Strutturale-20/432767090236736?sk=timeline

1 Il progetto è stato diretto dal prof. Arch. Giuseppe Fallacara con la collaborazione del prof. Ing. Marco Ferrero e il tutoraggio dell’arch. Vincenzo Minenna e l’ing. Daniele Malomo. Hanno partecipato alla progettazione gli studenti del Lab. Laurea Morfologia Strutturale 2.0 e gli studenti del corso di Tecnologia dell’Architettura dell’Università Roma La Sapienza.

commenti ( 0 )

4 Agosto 2015

Opere di Architettura

Coperture di ruderi archeologici: dai sistemi costruttivi del Rinascimento francese alla sperimentazione contemporanea


Foto dell’area dell’Iseion nella Valle dei Templi

Il 13 ed il 18 luglio 2015 si è tenuto ad Agrigento lo stage “Coperture lignee per siti archeologici”, curato dal prof. Giuseppe Fallacara, che si è svolto affiancando la missione di scavo e di studio delle strutture e dei frammenti dell’area del cosiddetto Iseion, nell’ambito della convenzione stipulata tra il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi e il Politecnico di Bari.

La riflessione sul delicato tema delle coperture dei siti archeologici ha avuto come esito la sperimentazione di un sistema costruttivo agile, economico e semplice da montare. E’ noto che il tema della copertura dei resti archeologici rientra in una vasta gamma d’interventi di restauro volti a preservare i beni, in cui l’obiettivo di conservazione coinvolge anche la sfera della musealizzazione e della presentazione del manufatto stesso; a tal proposito Minissi afferma che “l’esigenza di proteggere perché si conservi più a lungo possibile tutto ciò che fa parte del patrimonio dei beni culturali rientra indiscutibilmente nel campo del restauro. Si può anzi affermare che la protezione del bene culturale costituisce la fase conclusiva irrinunciabile di ogni intervento di restauro”1.
In questi casi, l’intervento architettonico non può risolversi alla mera protezione attiva del bene, ma deve tendere anche alla perfetta integrazione con l’istanza estetica e quella storica. L’intervento progettuale relativo ad una copertura, dunque, “dovrebbe avere come obiettivo quello di dare valore aggiunto al sito e puntare a riconfigurare l’area d’inquadramento dal punto di vista turistico/culturale avere come obiettivo quello di dare valore aggiunto al sito e puntare a riconfigurare l’area d’inquadramento dal punto di vista turistico/culturale”2.
Le principali problematiche progettuali riferibili alle coperture di resti archeologici riguardano l’esigenza di coprire grandi luci, ricorrendo a strutture reversibili che garantiscano sia la conservazione dell’area dello scavo nel rispetto delle sue peculiarità geomorfologiche, sia la ricerca di un linguaggio architettonico ben integrato con il territorio.
In particolar modo, questo è vero nei parchi archeologici3, dove gli aspetti storico-culturali si fondono con le specificità paesaggistiche del sito.
Nella progettazione di una copertura a protezione di frammenti antichi in tali contesti è necessario garantire alcuni requisiti fondamentali: tra questi, i limiti maggiori derivano dalla necessità di evitare il ricorso a fondazioni profonde e di far sì che tutte le fasi di cantierizzazione avvengano senza l’ausilio di mezzi meccanici e gru, impiegando esclusivamente la movimentazione ed il montaggio manuali.
Il prototipo realizzato durante lo stage ad Agrigento, e ideato dal prof. Giuseppe Fallacara, intende rispondere alle suddette esigenze e perseguire, tra l’altro, un ideale connubio tra il ricorso ai materiali naturali e la compatibilità con la materia antica, unitamente alla ricerca su sistemi costruttivi tecnologicamente efficienti.
La copertura si compone di due parti: una portante, rappresentata da una volta ottenuta dalla successione di archi lignei, ed una portata, data da una membrana trasparente che sfrutta la tecnologia EFTE (EtileneTetraFluoroEtilene).


Philibert de l’Orme e il suo scritto Le Nouvelles Inventions pour Bien Bastir et a Petits Fraiz

La struttura portante lignea trae ispirazione dal sistema costruttivo rinascimentale di Philibert de l’Orme, padre della stereotomia francese, pubblicato per la prima volta nel 1561 in Le Nouvelles Inventions pour Bien Bastir et a Petits Fraiz. Esso è costituito da una volta in legno, generata a seguito dell’assemblaggio di archi in sequenza paratattica: questi ultimi sono ottenuti a loro volta attraverso il montaggio di piccoli elementi modulari, adattabili a diverse forme e dimensioni. Questo sistema costruttivo ligneo, il cui montaggio viene illustrato da de l’Orme all’inizio del quarto capitolo del primo libro, è caratterizzato da ottime perfomance in termini di resistenza e da un’evidente semplicità di montaggio: ogni piccolo elemento sagomato viene assemblato agli altri fino a determinare il profilo di un arco. La predisposizione di fori, a passo prestabilito, consente l’inserimento all’interno degli archi così costituiti di travi di collegamento, bloccate in sede attraverso dei cunei lignei, detti chiavi4.


Il sistema costruttivo delormiano utilizzato per il concept e G. Fallacara prototipo in scala ridotta.

A partire dalla reinterpretazione del brevetto delormiano, il sistema costruttivo sperimentato nell’area del tempio romano ad Agrigento consiste di una serie di elementi modulari realizzati in multistrato di betulla, i quali, una volta assemblati, determinano i profili di tre archi del diametro di 5 metri. Essi vengono connessi tra loro ed equi-distanziati ortogonalmente attraverso travi che passano all’interno degli appositi alloggiamenti. Successivamente, le travi vengono bloccate mediante cunei e l’intera struttura viene collocata su due travi di appoggio, connesse ad essa stessa attraverso fissaggio meccanico.


G. Fallacara proposta progettuale.

Il prototipo è stato costruito per una profondità di 2,5 metri: i tre archi sono stati collegati con travi in legno d’abete bloccate con cunei in legno di pino. Per favorire la riduzione dei tempi e dei costi di lavorazione, l’intera struttura portante in legno è stata ingegnerizzata per il taglio con macchina CNC: il materiale, giunto in cantiere già tagliato e pronto per l’assemblaggio, è stato offerto dalla Xilux s.r.l. di Bari.


La realizzazione per lo stage Coperture lignee per siti archeologici. Fotografia R. Sanseverino

Il sistema costruttivo può essere esteso attraverso la semplice ripetizione seriale degli archi. La dimensione del singolo arco può essere calibrata a seconda dei casi specifici, variando dai 5 ai 15 metri: in funzione dei dati dimensionali si induce la variazione degli elementi di base, determinando contestualmente la modificazione del profilo dell’arco stesso.
Parallelamente alla progettazione del prototipo, è stato sviluppato un software parametrico che, in funzione della luce massima e della freccia dell’arco, consente lo sviluppo della dimensione degli elementi e la loro disposizione all’interno del pannello di multistrato “tipo” disponibile sul mercato, garantendo l’ottimizzazione del processo di taglio con macchine CNC.
Una volta assemblata la struttura lignea, essa si presenta come un’ossatura pronta per essere rivestita dalla membrana trasparente: la parte portata è stata concepita per sfruttare la tecnologia EFTE5, polimero parzialmente florurato che presenta un’alta resistenza alla corrosione in un ampio spettro di temperature. Si presenta sotto forma di un materiale plastico trasparente, più leggero e più resistente del vetro; rispetto ad esso, l’EFTE garantisce prestazioni migliori in termini di isolamento termico, con costi inferiori ed una maggiore semplicità di installazione, dal momento che la membrana viene prefabbricata e poi semplicemente fissata alla struttura di sostegno direttamente in cantiere.


Cuscinetti di EFTE

Il sistema di rivestimento prevede che un certo numero di strati UV, stabile copolimero di Etilene Tetrafluoro Etine (EFTE) prodotto in film molto sottili (da 50 a 150 ?m), venga saldato in cuscini, gonfiati con aria a bassa pressione per fornire isolamento o resistere all’azione del vento; questo garantisce che il materiale di copertura abbia ottime prestazioni in termini di durabilità, non venga intaccato dall’inquinamento atmosferico e dai raggi UV e non subisca alterazioni percepibili.
Dal punto di vista della sostenibilità ambientale, l’analisi LCA (Life-Cycle Assessment) evidenzia che i fogli di EFTE possano essere riciclati e riutilizzati attraverso la semplice fusione del materiale o anche additivato a quello vergine: inoltre, possiede un’elevata resistenza alla lacerazione, la capacità di indurire nel caso di deformazioni strutturali ed è autopulente sotto l’azione delle precipitazioni atmosferiche.


Copertura in EFTE utilizzata per il restauro della chiesa di San Pedro a Corbera D’Ebre (Tarragona). Foto di José Hevia

In occasione dello stage, la copertura altamente tecnologica in EFTE è stata simulata artigianalmente, ricorrendo ad un sistema ottenuto accoppiando due strati di cellophane sigillati con nastro biadesivo a formare delle celle. L’elemento portato è stato così collegato alla struttura lignea attraverso ganci di ferro cromato: tutti gli elementi della struttura prevendono connessioni completamente a secco.


Particolare della struttura montata in prossimità dei ruderi dell’Iseion. Fotografia R. Sanseverino

Le principali fasi di montaggio prevedono:
-connessione degli elementi modulari e degli elementi base per la formazione dell’arco;
– inserimento delle travi di connessione trasversale;
– bloccaggio delle travi di connessione trasversale tramite infissione di cunei;
– posizionamento della struttura sulle travi di appoggio e conseguente fissaggio meccanico;
– connessione tra la struttura portante lignea e la membrana trasparente tramite ancoraggi meccanici;
– picchettamento con l’ausilio di tenditori metallici.

La copertura così sperimentata presenta la prerogativa di rispondere alle peculiari esigenze di protezione attiva nelle aree archeologiche, dal momento che non necessita di fondazioni profonde e configurandosi come un sistema facilmente trasportabile a mano.
Inoltre, garantisce la protezione dei resti antichi offrendo un’efficace ombreggiatura che, tra l’altro, non altera la percezione visiva delle unità stratigrafiche anche in fase di scavo.
Per garantire un miglioramento delle prestazioni del sistema in termini di durabilità, ulteriori applicazioni pratiche di questo sistema costruttivo possono contemplare il ricorso a pannelli di multistrato di compensato marino, opportunamente trattati con vernici all’acqua.


Stage Scuola di Specializzazione Bari. Fotografia G. Fallacara

Guarda la sequenza della costruzione

[photogallery]agrigento_album[/photogallery]

di Giuseppe Fallacara, Vincenzo De Muro Fiocco, Alessandra Paresce, Raffaella Sanseverino

Note
1 F. Minissi, Ipotesi di impiego di coperture metalliche a protezione di aree archeologiche, “Restauro”, 1985, pp. 27?31: 27
2 G. Feola “Le coperture di ruderi e siti archeologici tra protezione, fruizione e interpretazione delle preesistenze” in Cultural Heritage. Present Challenges and Future Perspectives ? Roma, Università Roma Tre, 21?22 novembre 2014”
3 Com’è noto, il concetto di parco archeologico ha un’origine relativamente moderna e denota un’area protetta le cui preesistenze monumentali siano tali da connotare il sito e farne assumere la valenza di Museo all’Aperto, in cui bellezze artistiche qualificano in senso lato il paesaggio. Sotto il profilo legislativo, l’art. 101 del comma 2 lett. E del D.Lgs. 42/2004 “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” specifica che per parco archeologico si intende un “ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all’aperto”.
4 Philibert de l’Orme, Le Nouvelles Inventions pour Bien Bastir et a Petits Fraiz, Libro I, p. 8v, 1561
5 Copolimero alterato, formato da etilene e fluoro, utilizzato anche nel campo edilizio a partire dal 1996 con il marchio “Texlon” e successivamente prodotto da altre aziende.

Bibliografia
P. De l’Orme, Nouvelles inventions pour bien bastir et a petits fraiz, Federic Morel, Paris, 1561.
P. De l’Orme, Le premiere tome dell’architecture, Federic Morel, Paris, 1567.
G. Fallacara, Philibert De l’Orme e l’invenzione, in Nouvelles inventions pour bien bastir et à petit fraiz. Edizione critica e traduzione integrale a cura di M.R. Campa, pp. 129-148, Polibapress, Bari 2009, ristampa Aracne edizioni, Roma, 2009
M. Vaudetti, V. Minucciani, S. Canepa (a cura di) Mostrare l’Archeologia. Per un manuale-atlante degli interventi di valorizzazione, Allemandi& C., Torino, 2013
D.L. 18/04/2012 Allegato Linee Giuda
G.Feola Le coperture di ruderi e siti archeologici tra protezione, fruizione e interpretazione delle preesistenze in “Cultural Heritage. Present Challenges and Future Perspectives, Roma, Università Roma Tre, 21?22 novembre 2014”
F. Minissi, Ipotesi di impiego di coperture metalliche a protezione di aree archeologiche, “Restauro”, 1985, pp. 27-31.

commenti ( 0 )

stampa

torna su