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2 Febbraio 2008

News

Progettare in pietra
Brand Partners

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BRAND PARTNERS
VISITE IN AZIENDE E IN CAVE | CONCEPT PRODUTTIVI

IL CASONE | Firenzuola, Firenze
CONCEPT PRODUTTIVO IN FAF | Casone
21 FEBBRAIO 2008

PIETRA DELLA LESSINIA | S.Anna Alfaedo, Verona
VISITA IN AZIENDA E IN CAVA | www.pietradellalessinia.com
28 FEBBRAIO 2008
TESTI FRATELLI | S. Ambrogio di Valpolicella, Verona
VISITA IN AZIENDA | www.testigroup.com
28 FEBBRAIO 2008

LABORATORIO MORSELETTO | Vicenza
VISITA IN AZIENDA E IN CAVA | www.morseletto.com
6 MARZO 2008
ANTOLINI LUIGI | Sega di Cavaion, Verona
VISITA IN AZIENDA | www.antolini.com
6 MARZO 2008

PIBA MARMI | Chiampo, Vicenza
CONCEPT PRODUTTIVO IN FAF | www.pibamarmi.com
30 APRILE 2008

TRAVERTINO SANT’ANDREA | Serre di Rampolano, Siena
CONCEPT PRODUTTIVO IN FAF | www.travertinosantandrea.com
30 APRILE 2008

Le visite in azienda e in cava saranno gratuite per gli iscritti al Corso.

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1 Febbraio 2008

News

Progettare in pietra
Lectures

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LECTURES

LUIGI ALINI | Università di Catania
KENGO KUMA: PERCORSI LITICI
DA STONE MUSEUM A STONE PAVILLON

21 FEBBRAIO 2008

MAURIZIO MILAN | Studio Favero & Milan
LA PIETRA ARMATA.
RENZO PIANO BUILDING WORKSHOP

12 MARZO 2008

GIUSEPPE FALLACARA | Politecnico di Bari
VERSO UNA PROGETTAZIONE STEREOTOMICA
13 MARZO 2008

STEFANO ZERBI | Politecnico Federale di Losanna
LA PIETRA STRUTTURALE.
RICERCHE NEL CANTON TICINO

27 MARZO 2008

CHRISTINA CONTI | Università di Udine
RE-DESIGN DEGLI SCARTI LITICI
2 APRILE 2008

VERONICA DAL BUONO | Università di Ferrara
PIETRE D’ARTIFICIO TRA MIMESI E INVENZIONE
2 APRILE 2008

ANTÓN GARCÍA-ABRIL | Università di Madrid
OPERE DI ARCHITETTURA.
MONOLITI DI GRANITO

9 APRILE 2008

DAVIDE TURRINI | Università di Ferrara
ROUGH STONE.
TRASFIGURAZIONI DELLA RUSTICA
17 APRILE 2008

VERONICA CUPIOLI | Università di Ferrara
INTERIOR DESIGN. TREND LITICI
30 APRILE 2008

PIERO PRIMAVORI | Università di Bergamo
PRODUCT DESIGN DELLA PIETRA
7 MAGGIO 2008

ANNA MARIA FERRARI | Consulente geologico
Tenax S.p.a.
LITOTECA PIETRE D’ITALIA
8 MAGGIO 2008

CHRISTIAN PONGRATZ | Università di Austin
LA RICERCA DELLA FLUIDITA’ LITICA
14 MAGGIO 2008

Alcuni visiting teachers al termine delle conferenze parteciperanno all’Atelier di progettazione per una discussione dei progetti in progress dei frequentanti del Corso

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31 Gennaio 2008

News

Progettare in pietra

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ATELIER DI PROGETTAZIONE
SPAZI PER COMUNICARE LA PIETRA

Esito fondamentale del Corso di Costruzioni in Pietra è la progettazione di un padiglione showroom quale spazio per comunicare la pietra.
Il progetto corrisponde all’esigenza, avvertita in molte aziende del settore lapideo, di promuovere in modo qualificato e innovativo i propri prodotti, ma ancor più appropriatamente l’immagine del brand aziendale, attraverso una architettura contemporanea che si inserisca e si integri agli edifici produttivi divenendo essa stessa veicolo di comunicazione delle qualità esplicite o latenti dei materiali “eccellenti” proposti sul mercato.
Per questa esercitazione progettuale sono state scelte tre aziende leader dell’area veneta che intendono promuovere materiali lapidei provenienti da cave proprie.
Il padiglione espositivo, di dimensioni definite dalle caratteristiche di ogni azienda (circa 500÷800 mq di superficie), sarà inserito nel complesso produttivo rispettandone le specifiche necessità. Il programma funzionale prevede spazi di accoglienza con annessi servizi, spazi espositivi, spazi per videoproiezioni, conferenze e incontri. Particolare attenzione sarà rivolta all’impiego dei materiali lapidei nei possibili usi strutturali o di design di superficie (sia in esterni che in interni).
La progettazione sarà mirata principalmente all’approfondimento e definizione di soluzioni innovative sul piano del linguaggio dei materiali e delle tecnologie costruttive. Attraverso il confronto diretto con le aziende e l’acquisizione di specifiche e puntuali conoscenze dei materiali e dei processi di trasformazione si intende porre le basi per una cosciente cultura d’impiego dei materiali lapidei come supporto necessario per una progettazione attualizzata e di qualità.
Gli elaborati finali d’esame saranno formati da tre tavole di cm. 70×100 contenenti studi planimetrici,piante, prospetti, sezioni, particolari architettonici e rappresentazioni tridimensionali.
Le attività di progettazione saranno svolte con l’assistenza del gruppo docente e di alcuni visiting teachers.
Nell’autunno 2008 i progetti elaborati verranno esposti in una apposita mostra dedicata alla didattica e alla formazione presso la 4ª Marmomacc (Mostra Internazionale di Marmi, Design e Tecnologie) di Veronafiere, all’interno della speciale sezione delle mostre culturali.

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28 Gennaio 2008

Opere di Architettura

Centro Polifunzionale per lo sport, la cultura ed il tempo libero – Comune di Martina Franca, Taranto
d_progetti DONATI D’ELIA Associati

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Scorcio dell’intervento: il dialogo con la Basilica di S.Martino

E’ la val d’Itria, cuore della Murgia e conca carsica per la natura calcarea delle rocce locali, il contesto che ospita Martina Franca, borgo medievale della Puglia centro-meridionale dove si colloca il centro polifunzionale per lo sport di Donati D’Elia associati. Qui gli elementi e le risorse che la natura combina a costruire i propri paesaggi da sempre dialogano con i caratteri e i segni che l’uomo ha voluto o dovuto imporre al proprio territorio. I trulli e le masserie sembrano nascere, nella loro semplicità formale, materica e cromatica dagli andamenti del suolo; le distese dei muri posati a secco sono gli elementi senza i quali pare impossibile poter leggere, misurare, interpretare, traguardare il territorio. L’architettura, sia essa il barocco delle chiese e dei palazzi o quella più discreta delle più tradizionali abitazioni, vive dei materiali che il sottosuolo ha messo a disposizione e delle tecniche che il luogo ha reso possibili. Persino le cave di pietra (quella di Trani in modo particolare), diventano parte integrante e costitutiva del paesaggio: vere e proprie ferite nel terreno sono la testimonianza d’una forte dipendenza dell’attività antropica dalle risorse e dai caratteri locali e in alcuni casi occasione di importanti interventi di riqualificazione (si ricorda a titolo esemplificativo il recupero delle Cave di Fantiano, Taranto). Il nuovo Centro Polifunzionale per lo sport, la cultura ed il tempo libero che gli architetti Donati e d’Elia hanno progettato per Martina Franca ne è dimostrazione. Lasciando alla relazione di progetto il compito di descrivere l’intervento nei suoi aspetti architettonici e compositivi, è d’obbligo soffermarsi su di un carattere fondamentale che sempre meno tende a caratterizzare i progetti contemporanei, vale a dire il valore dell’intervento alla scala urbana.
Il complesso sorge in località “Pergolo” un comprensorio di recente formazione ed in fase d’espansione. Una distesa di terreni a coltivo, punteggiati di trulli e masserie ma anche dei lasciti dello sprawl che ovunque ha dominato l’espansione urbana, lo relega a corpo estraneo al nucleo cittadino principale. E’ per questo chiaro il tentativo da parte dei progettisti di innescare, come primo e preventivo atto progettuale, un processo d’appropriazione del nuovo quartiere da parte della città storica, attraverso un’architettura che lontana dall’essere fine a se stessa diventa anche lettura, interpretazione e soluzione di una specifica condizione urbana.
Individuati quelli che con tutta probabilità furono i tracciati generatori del nucleo medievale, viene utilizzato il prolungamento immaginario del cardo per definire la posizione e l’orientamento del nuovo edificio. Sullo stesso asse ma ad estremità opposte vengono a trovarsi in costante tensione la Basilica di S. Martino, cardine della città storica, e il centro polifunzionale, fulcro della nuova realtà insediativa. La candida ed articolata facciata barocca dell’una chiama a sè la razionale, austera ma riservata testata dell’altro: l’incessante dialogo ed il calibrato rapporto visivo tra i due corpi restituiscono alle due realtà un senso di comune appartenenza. Del resto la città si costituisce non soltanto di rapporti fisici ed infrastrutturali ma anche di semplici ma meno immediate relazioni visive e semantiche tra le sue parti.

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Il planivolumetrico di progetto

Dalla relazione di progetto:
(…) la localizzazione del lotto, la sua configurazione planimetrica (di forma pressochè quadrata) e quella altimetrica (caratterizzata da continui dislivelli) hanno fortemente condizionato le scelte distributive e funzionali del progetto generale (l’accesso alle tribune avviene per quella ovest da quota 0.00, per quella est da quota +4.50).
In tal senso si è proceduto ad istituire, sia per l’edificio polivalente (il “pieno”) che per lo stadio per il calcio e l’A.L. (il “vuoto”), una griglia generatrice di tutte le dimensioni in pianta ed in elevazione, che ha consentito di individuare nella intersezione tra la “morfologia naturale” (espressa dall’andamento plano-altimetrico del terreno) e la “morfologia artificiale” (espressa dagli organismi costruiti) gli elementi primari dell’intervento.
Gli attributi aggregativi dei corpi edilizi ed i materiali utilizzati sono stati “suggeriti” dalle specificità presenti sul territorio: le cattedrali romanico-pugliesi con le facciate in pietra di Trani levigata, i trulli a base circolare e copertura a cono in pietra a spacco, i pergolati antistanti le case rurali sostenuti da pilastrate in blocchi di pietra calcarea, i balconi dei palazzi patrizi adornati da arazzi in occasione delle feste patronali.
Tali elementi , assunti come componenti qualitativi degli edifici ad uso collettivo, sono stati scelti nell’ottica della semplicità di esecuzione, efficienza, durata e facile manutenzionabilità nel tempo; il medesimo criterio è stato adottato per la realizzazione degli impianti tecnologici, i cui componenti tengono soprattutto conto della modificabilità, innovazione tecnica e gestione.
Il palazzo polivalente è costituito da tre volumi, posti in fila, compenetrati l’uno all’altro:
la testata a “T”, su cinque livelli, ove sono ubicati gli ambienti specialistici per i servizi e la gestione dell’intera struttura; essa è rivestita esternamente con lastre in pietra di Trani levigata e lucidata, a corsi regolari alternati;
il corpo centrale a forma circolare, del diametro di m 57,00 ed altezza utile interna di m 9,00, in cui sono presenti lo spazio polivalente, le tribune per gli spettatori (1800 posti a sedere), i locali pluriuso sottotribuna, un unico ambiente a corona circolare con illuminazione zenitale, adibito a mostre ed esposizioni, che si affaccia con loggioni sullo spazio centrale polivalente.
La pietra di Trani levigata riveste il colonnato del loggione che è completato con intonaco lucido del tipo “martinese”, mentre all’esterno detto corpo cilindrico è rivestito con pietra di Trani “a spacco” posata a corsi irregolari. La copertura del cilindro è costituita da una struttura tridimensionale spaziale (aste e nodi) in acciaio con pacchetto di copertura in lamiera grecata e strati coibenti, fonoassorbenti ed impermeabilizzanti;
il corpo di fabbrica di chiusura a forma rettangolare su due livelli, di cui uno interrato, ove sono ubicate le centrali tecnologiche, ed uno fuoriterra, adibito a servizi per gli spettatori. Il rivestimento esterno riprende quello della testata.
(…)

La pietra di Trani
Sin dall’antichità costituisce una grande ricchezza per la città di Trani e non solo, essendo il suo bacino di sfruttamento esteso su di un’area molto vasta.
Anche se il periodo di massimo splendore del settore industriale estrattivo è ormai lontano ancora oggi la pietra di Trani trova un largo impiego, per le sue particolari caratteristiche tecnologiche di compattezza e resistenza, in ogni tipo di costruzioni civili ed in architettura; utilizzata più frequentemente per i rivestimenti interni, trova spazio, la dove il clima lo permette, anche all’esterno in rivestimenti, mensole, davanzali, pavimenti, scalini, coronamenti ecc.
La pietra di trani è un conglomerato appartenente alla categoria delle rocce calcaree di origine detritica e biochimica. E’ Generata da un complesso processo di sedimentazione che da origine all’alternarsi, per tutta l’estensione del giacimento, di cromatismi e venature serpeggianti.
Le varie sedimentazioni non arrivano a costituire un blocco unico e compatto; nel sottosuolo sono infatti separate naturalmente da strati di argilla, anche di pochi centimetri, ciascuno dei quali è segnale di una vera e propria età geologica comunque appartenente all’era cretacea (più di un milione di anni)
I vari strati si differenziano l’uno dall’altro sia per il colore di fondo, variabile attorno al bianco avorio, sia per l’intensità delle venature gialle e rosse.
Ne deriva una classificazione, utilizzata soprattutto in campo commerciale, che le suddivide in categorie quali “serpeggiante classico”, “serpeggiante”, “venatino”, “bronzetto”.
Anche il taglio incide sulla catalogazione delle pietre di Trani:
in falda: i blocchi di pietra sono tagliati parallelamente alle falde di deposito e quindi orizzontalmente rispetto al suolo;
controfalda: i blocchi di pietra sono tagliati perpendicolarmente alle falde di deposito, ossia parallelamente rispetto al terreno. La pietra così estratta presenta venature particolarmente evidenti.

Per informazioni più specifiche si rimanda alla scheda tecnica della pietra di Trani

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Il corpo polivalente circolare: dettaglio del rivestimento in pietra di Trani

[photogallery]sport_matinafranca_album[/photogallery]

di Pietro Manfredi

(Vai al sito della Val d’Itria)
(Vai al sito di Martina Franca)
(Vai al post Cave di Fantiano)
(Vai al sito Scheda Tecnica della pietra di Trani)

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26 Gennaio 2008

English

New Bezalel Academy Campus
Jerusalem, Israel

Versione italiana

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New Health Science Campus for the University of Granada
Granada, Spain

The plan for the new Health science campus of Granada (E) involves the construction of 4 faculties (Medicine, Pharmacy, Medical Sciences, Odontology) and a building for the General Services.
The concept of the design is derived from an idea of protection: the building sinks into the soil to find the most favourable geological layers and micro-climates, while the architecture lifts into the sky producing a dense network of shades to mitigate the intensity of the andalucian sun.
The usual horizontal relationship among open and built space is subverted; freeing the ground, the buildings allow for the flow of connectivity: a sort of east-west oriented spine is produced on which the life of the campus is literally elevated.
The spine provides access to the faculties, the general services and the largest classrooms; the garden becomes a real outdoor extension of the working/studying areas.
The architecture presents a double character: the exterior stone facades gives the building an introverted appearance from the street, whereas the interior’s glass facades gives it a more extroverted look from the courtyards.
Vast water surfaces, fed by the collected winter rain-water, isolate the external fronts of the buildings producing scenic effects and to indicate that life develops entirely inside.
A further climatic filter will be constituted by the abundance of flourishing vegetation.

New Bezalel Academy Campus
Jerusalem, Israel
The new campus of the Bezalel Academy of Arts and Design will be a unique place for cultivating creativity; not a simple facility for education, nor a fashionable container but rather a highly stimulating work environment.
Like in a stone quarry the architecture is excavated in the ground, generating a sort of natural habitat for learning; the earth protects the campus against the aggressiveness of the sun and from the external disturbances.
The architectural urban discretion is a choice of responsibility toward Jerusalem history and skylines; from the surroundings the campus will appear more like a landscaped park than a composition of buildings.
The complexity of the architectural design reflects the multi-disciplinary and culturally broad program, without compromising the functionality of the system; the central canyon works as an east-west spine clearly connecting all the areas and departments and promoting interaction among students.
The layered organization of the building program will guarantee both private and public life to the campus, whilst adhering to security requirements; all the open parts of the Academy, such as the main gallery, main auditorium, library and the coffee shop are planned in the first two upper levels.
Large significance is given to the open spaces: through building in the ground, nearly 100% of plot surfaces are recovered to be used as terraces and gardens; the students will have the opportunity to study and work outside in addition to exhibiting their work in a sort of open-air gallery.
The environmental and sustainability management of the new campus are guaranteed by reducing the thermal dispersions up to 1/3 and by resorting to a large use of renewable energy sources.

Alberto Ferraresi

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26 Gennaio 2008

Progetti

Nuovo Campus della Bezalel Academy, Gerusalemme
Marazzi Architetti

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La proposta per il campus di Granada

[photogallery]gerusalemme_album_1[/photogallery]

Gli importanti precedenti di concorso di Marazzi Architetti, dal progetto per il futuro stadio di Siena a quello per la sede della Provincia d’Arezzo ed alle esperienze in Cina, giungono a significativa sintesi prima con la proposta per il nuovo campus delle Scienze mediche dell’Università di Granada poi soprattutto con quella per il nuovo campus della Bezalel Academy di Gerusalemme – la prima è selezionata tra i progetti finalisti, la seconda vale allo studio la menzione d’onore. Accomunati da condizioni di sole battente per ubicazione del sito di progetto, i due interventi a tema universitario interpretano il vincolo climatico offrendo soluzioni di generose quantità d’ombra e, non secondariamente, di scavo, così che le architetture possano intelligentemente fare propri gli effetti benefici di controllo termico del sottosuolo.
Nel sito prescelto all’interno di Gerusalemme, città di basamento naturale eminentemente lapideo, la volontà di scavo alla volta del canyon artificiale offre prospettive di particolare rilievo sia alla scala della città sia a quella dell’edificio. Urbanisticamente infatti si asseconda la memoria del vuoto associata a questo luogo da sempre e s’interviene senza interferire con le millenarie visuali monumentali. Alla scala dell’architettura si propone invece un sistema di fabbriche-blocchi come scolpiti in cava, ravvicinati come edifici antichi di città storica, sollevati da terra ad ottenere un sistema sinuoso di percorrenze e slarghi improvvisi quale una piccola Petra artificiale.
L’unico e costante rivestimento lapideo sottile non solo risponde alle richieste vincolanti della municipalità – per una legge risalente ad inizio secolo scorso e di volontà anglosassone, tutti gli edifici a Gerusalemme devono essere in parte rivestiti in Pietra di Gerusalemme – ma anche assolve ruoli molteplici quanto a contenuti di progetto: il risalto alla funzione pubblica, la restituzione del fronte naturale di scavo, la continuità con la città storica, l’assonanza a luoghi celebri d’area mediorientale, il rassicurante senso di stabilità ed appartenenza di chi fruisce gli spazi.
La Pietra di Gerusalemme ha come provenienza Israele e particolarmente aree estrattive tra il fiume Giordano ed il Mediterraneo, tra il porto di Eilat sul Mar Rosso e la Galilea. Risale a circa 145 milioni di anni fa all’epoca del giurassico superiore/cretaceo inferiore. Il luogo di formazione è la piattaforma carbonica nei fondali del mare della Teide. Si compone di sabbia, alghe, calcare, fossili, bilocastri e nerinee. E’ una pietra calcarea particolarmente resistente ed impermeabile.

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Il campus di Gerusalemme: una vista interna

Segue la descrizione dalla scheda di progetto.

(…) Al livello 0, alla quota della vicina chiesa ortodossa, le coperture saranno cedute all’uso pubblico a configurare una sorta di grande terrazza verso la parte Est della città; questa ospiterà giardini, aree per esposizioni all’aperto e superfici sportive. Su Monbaz Smora street sono previsti l’ingresso principale e la galleria centrale, una sorta di vetrina ove l’Accademia potrà presentare al pubblico le proprie attività e gli studenti esporre e vendere direttamente i loro lavori.
Al livello -1 sul lato Ovest del canyon, una promenade Nord-Sud collega gli ingressi A e B, garantendo l’accessibilità alle funzioni pubbliche dell’Accademia; al di sotto, i livelli privati ospitano i dipartimenti ed i servizi comuni; al livello -5 il canyon è una sorta di piazza per lavorare, studiare, incontrarsi e socializzare all’aperto.
Ogni dipartimento è contenuto in un volume specifico, in alcuni casi su di un unico livello, in altri su più di uno in relazione alla sua superficie. Il sistema di circolazione prevede 7 nuclei scale/ascensori e la doppia accessibilità a tutti i dipartimenti. Al livello -5, come una sorta di hub all’aperto, il canyon collega tra loro gli elementi verticali, mentre al livello -6 è garantita la circolazione al coperto durante i mesi invernali.
Il layout dei dipartimenti è aperto e flessibile e la maggior parte delle aree sarà adattabile ad usi diversi durante il corso dell’anno (esposizioni temporanee, presentazioni, performances..)
Come in una cava, le superfici verticali e quelle orizzontali saranno trattate diversamente: le ampie superfici orizzontali (tetti, terrazze e la pavimentazione del canyon) saranno rivestite con lastre di pietra locale cesellata in modo tradizionale, mentre le superfici verticali saranno rivestite mediante lastre di grande formato rigate irregolarmente.

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Il campus di Gerusalemme: inquadramento planivolumetrico

[photogallery]gerusalemme_album_2[/photogallery]

Committente: Bezalel Academy of Arts and Design
Progettisti: Davide Marazzi, Federico Pompignoli
Collaboratori: Tommaso Gasparini, Federico Giacometti, Leonardo Michieletto, Tyler Schaffer
Ingegneria: Favero & Milan Ingegneria
Consulenti: Daniele De Paz, Giacomo Ricci
Dati dimensionali: 9.000 mq superficie del lotto
35.000 mq superficie costruita
9.000 mq parcheggio interrato
Importo lavori: 60.000.000 $
Cronologia: 2007, concorso di progettazione in due fasi Progetto finalista, menzione d’onore

di Alberto Ferraresi

(Vai ai precedenti concorsi di Marazzi Architetti)
(Vai al sito di Marazzi Architetti)
(Vai al sito del concorso per la Bezalel Academy)
(Vai al sito di Favero & Milan Ingegneria)

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26 Gennaio 2008

Principale

Racconti d’architettura

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Racconti d’architettura
Esperienze e progetti di Edoardo Milesi

31 gennaio 2008
Istituto Superiore di Architettura e Design
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24 Gennaio 2008

Principale

Stefano Graziano – Luce della materia

Si inaugura domani, venerdì 25 gennaio, alle 17,30, alla Chiesa del Suffragio (via del Plebiscito – Carrara) la mostra di Stefano Graziano “luce della materia”.
L’evento, promosso da Cermec SpA e Opera Bianca, con Regione Toscana, Provincia di Massa-Carrara, Comune di Carrara e con la partecipazione di Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara, propone una panoramica sull’opera di Stefano Graziano coniugando l’arte contemporanea con i diversi aspetti che riguardano il mondo del marmo nel suo complesso, non solo quello sculturale, e il tessuto socio-culturale della città.
È una sorta di ricerca del genius loci che vive il marmo attraverso scultura, installazioni site specific e che, sotto forma di polvere di carbonato di calcio, si riappropria della sua forza primeva nell’impasto delle Carte.
Ed è proprio con la polvere di carbonato di calcio e con la carta da macero che si introduce un altro tema fondamentale, quello dell’educazione ambientale per la crescita di una diffusa cultura del riuso/recupero/riciclaggio di materiali di scarto, abitualmente considerati “rifiuti”.
luce della materia si articola in tre luoghi del centro storico di Carrara, la Chiesa del Suffragio con il suo sagrato per due installazioni site specific e la Sala della Circoscrizione II per una mostra antologica di sculture e Carte.
La mostra è curata dalla professoressa Cristina Piersimoni, storica dell’arte.

Stefano Graziano
“luce della materia”
A cura di Cristina Piersimoni
Carrara Chiesa del Suffragio e Sagrato, via del Plebiscito
Sala della Circoscrizione, Piazza dell’Accademia
25 Gennaio
16 febbraio 2008

Vai al sito internet dedicato all’evento

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22 Gennaio 2008

PostScriptum

Dove va l’architettura di pietra*

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Die Neue Staatagalerie Stuttgart di James Stirling e Michael Wilford
(Stuttgart, Germania, 1978-1984. Foto © Richard Bryant)

Negli ultimi vent’anni è radicalmente cambiato il modo di pensare e costruire in pietra, dalle teorie alle tecniche ai linguaggi.
Dieci edizioni dell’International Award Architecture in Stone di MARMOMACC aiutano a costruire un profilo dei mutamenti e individuare i nuovi percorsi offerti dal panorama internazionale.
Vincenzo Pavan ideatore e curatore del Premio traccia una sintesi delle principali linee di tendenza in un testo che esce sulla rivista spagnola Arquitectura Viva.

Gli stereotipi della bidimensionalità
L’ultimo ventennio ci ha abituato a mutamenti radicali nell’architettura che hanno aperto la strada a nuove interpretazioni dei materiali, inclusi quelli “antichi”, spesso assegnando loro un ruolo determinante nel successo delle opere. Una rivalutazione quindi, talvolta anche una supervalutazione, di un aspetto dell’architettura oggi imprescindibile ma precedentemente trascurato, a cui non si è sottratta la pietra.
Il confronto tra il panorama attuale e il passato recente è impressionante.
Pur non essendo mancate nei decenni centrali del Novecento opere emblematiche di una nuova possibile cultura della pietra nell’architettura della Modernità, il ruolo di questo materiale a livello più generale è stato per un lungo periodo assolutamente marginale, tanto da far temere in tempi più recenti la perdita irreparabile di antichi magisteri in via d’estinzione.
Alle aspirazioni di leggerezza dell’International Style ha corrisposto, gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, la sparizione dei materiali lapidei dagli esterni sia dall’architettura rappresentativa sia da quella commerciale e del potere economico finanziario, sostituiti da acciaio e vetro, mentre le lobby e gli uffici degli stessi si riempivano di marmi lussuosi, simboli della società opulenta, discretamente sottratti allo sguardo dalla strada. Tuttavia di lì a poco il Tardo Modernismo aveva fatto ricomparire il marmo sulle facciate sotto forma di pelle sottile, nella igienica e pratica versione della parete ventilata: una protesi staccata dalla struttura portante e montata a secco che, escludendo la collaborazione tra le diverse componenti del corpo murario, sembrava costringere inevitabilmente gli architetti all’adozione di una concezione bidimensionale delle facciate in pietra.
Grazie anche a tali “progressi” della tecnica, favoriti dal mercato edilizio e immediatamente accolti nei regolamenti edilizi comunali di molti paesi, fu assecondato un linguaggio lapideo convenzionale, stereotipato, già condizionato da una visione monocroma del materiale. preferibilmente marmi chiari e bianchi: apparentemente in sintonia con le originarie istanze di immaterialità del movimento moderno o in grado di restituire ad edifici pretenziosi un’aura di classicità.

La rottura delle convenzioni
Questo improduttivo equilibrio viene rotto alla metà degli anni Ottanta del Novecento da un’opera – la Neuestaatsgalerie di Stuttgart di Stirling & Wilford – che irrompe con potenza mediatica a spezzare la convenzionalità dei consueti rivestimenti lapidei e la nudità delle pareti intonacate. Detestata da molti per il linguaggio post-moderno, declinato però con sottile ironia, l’opera di Stirling rappresentò in quegli anni, grazie anche al carisma di cui godeva il suo autore, una via d’uscita al ruolo meramente “ornamentale” assegnato alla pietra dagli architetti e dal mercato. Certo si trattava di un mascheramento, per altro apertamente dichiarato dal disegno dell’apparato murario fuori scala, ma quell’inedito rivestimento di travertino del Baden Württemberg così vivacemente policromo, dalla texture diseguale, dava alle ermetiche pareti del museo un senso di potenza lapidea fino allora sconosciuta, lasciando intravedere nuove possibili materialità per l’architettura e prefigurando una repressa aspirazione a riattivare pratiche costruttive trilitiche.

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Museum of Contemporary Art di Arata Isozaki & Associates
(Los Angeles, California, USA, 1981-1986. Foto © Mario Carrieri)
Hotel Il Palazzo di Aldo Rossi
(Fukuoka, Giappone, 1987-1989. Foto © Matteo Piazza)

Su altri partiti architettonici, ma su un concetto analogo di ricerca delle proprietà percettive dei materiali lapidei, operano in quegli anni Arata Isozaki e Aldo Rossi. Il primo, grazie all’impiego di una pietra speciale riesce a dotare di una coriacea identità un edificio prestigioso, come il MOCA di Los Angeles, sfortunatamente accerchiato e sommerso da una selva di high-rise di acciaio e vetro innalzati nel cuore dell’area commerciale. L’effetto di solida materialità che gli permette di opporsi brillantemente ai giganti vicini è ottenuto grazie al rivestimento delle parti esterne con un’arenaria indiana di colore rosso intenso tagliata in lastre molto sottili ma dalla superficie rugosa come la roccia viva.
Anche Rossi, nell’albergo Il Palazzo di Fukuoka, un alto volume che per quella singolare facciata cieca architravata, si impone sul frantumato landscape della città giapponese, gioca sulle proprietà cromatico sensoriali della pietra: un travertino persiano di colore rosso aranciato lavorato al contro per dare alla superficie lapidea e alle corpose membrature verticali un senso di corteccia pietrificata.
Queste inusuali tipologie lapidee, scelte nel mercato globalizzato in luoghi di origine molto lontani dal loro impiego, hanno paradossalmente lo scopo di creare un legame con il contesto locale dell’opera: a Los Angeles con la cultura statunitense del Rosso Cherokee, usato spesso da Wright, e a Fukuoka con la pietra rossa della Persia, Porta d’Oriente, e con le costruzioni lignee giapponesi dipinte con vivaci colori.

Il disvelamento della maschera

Ma lo sviluppo più interessante e produttivo della linea disciplinare aperta da Stirling si realizza in Germania. Divisa sulla ideologica disputa “Berlino di Pietra versus Berlino di Vetro”, la parte più impegnata degli architetti tedeschi si appresta nei primi anni Novanta del secolo scorso alla ricostruzione della capitale sotto la guida del Senatbaudirektor Hans Stimmann, il quale impone come tema centrale per gli interventi sulle aree distrutte dalla guerra, il rivestimento lapideo delle facciate. Inizialmente Josef Paul Kleihues, e in seguito Max Dudler, Klaus Theo Brenner, Jürgen Sawade, Jan Kleihues e altri lavorano alla ricerca di meccanismi di disvelamento della maschera-facciata per rendere palese la verità costruttiva dell’architettura. Alcuni mettendo in evidenza i meccanismi di ancoraggio che fissano la pietra alla struttura dell’edificio, come l’inserzione sulle lastre di lucenti borchie metalliche che riprendono la wagneriana Postparkasse di Vienna, altri facendo fuoriuscire dalle giunzioni parti del congegno meccanico di fissaggio.

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Edificio per appartamenti e uffici BEWAG di Max Dudler
(Berlino, Germania, 1994-1997. Foto © Stefan Müller)
Banca regionale centrale di Sassonia e Turingia di Hans Kollhoff
(Lipsia, Germania, 1994-1996. Foto © Ivan Nemec)

Mirato invece al superamento della bidimensionalità della facciata è l’intervento di Hans Kollhoff in numerose opere berlinesi nelle quali applica la sua concezione tettonica: una misurata stratificazione verticale di lastre lapidee che allude alla ideale struttura costruttiva che sta dietro la superficie, ottenuta attraverso la profondità dei piani, i giochi di chiaro-scuro e la variazione degli spessori della pietra.
Nonostante i numerosi sforzi e gli esercizi di stile, costretta tra l’incudine di rigide normative che tengono separato il rivestimento dalla struttura e il martello del mercato immobiliare, che richiede l’impiego di lastre sempre più sottili, l’architettura tedesca non riesce liberarsi della propria ingombrante maschera.

Murature composite
In una condizione meno compressa operano invece gli architetti iberici i quali hanno fatto dell’architettura di pietra un campo di sperimentazione straordinariamente fecondo, con qualche contraddizione. La loro ricerca si è sviluppata su un duplice percorso: verso la leggerezza nel rivestimento sottile delle superfici e in direzione della gravità per le pareti massive associando la pietra a conci con materiali diversi, facendoli collaborare all’unità costruttiva del corpo murario.
Due esempi ne illuminano le complessità e i diversi esiti. A Santiago de Compostela Alvaro Siza riveste le facciate del suo Centro Galiziano di Arte Contemporanea di lastre sottili del locale Granito Grigio di Mondariz con un disegno che simula in modo minuzioso e convincente il sistema costruttivo di una muratura portante a corsi alterni. Ma l’idea di gravità che in questo modo intende rappresentare non si coniuga con la forma del progetto, un libero gioco di volumi con tagli e aperture che lasciano sospesi sul vuoto lunghi tratti di muro “a conci legati”; e la ricerca di correttivi visivi finisce per complicare ulteriormente la rappresentazione e renderla poco credibile.

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Centro Galiziano di Arte Contemporanea di A’lvaro Siza
(Santiago de Compostela, Spagna, 1988-1993. Foto © Juan Rodriguez e Luis Ferreira Alves)
Ampliamento dell’edificio municipale di Rafael Moneo
(Murcia, Spagna, 1991-1998. Foto © Duccio Malagamba)

Laddove invece è stata evitata l’ossessione della “corretta rappresentazione tettonica”, è stato trovato il giusto design e la pietra sottile si è fatta materiale leggero e luminoso che mette in vibrazione le superfici, come nelle opere, di RCR Arquitectes a Girona e di Madridejos e Osinaga a Henares, per giungere fino alla traslucenza dell’estremamente sottile che illumina gli interni degli edifici di Campo Baeza a Granada o Moneo a Palma de Mallorca.
Ma è lo stesso Moneo, pochi anni dopo ad aprire la strada alla pietra massiva. Nell’ampliamento del municipio di Murcia l’arenaria locale Amarillo Fosil, una pietra dotata di una texture sensuale ed empatica, tagliata in conci di forte spessore è stata montata come auto-portante ma nel contempo è muscolarmente legata all’ossatura in cemento dell’edificio tramite un altro materiale, il laterizio, che ne rinforza la massa. Il risultato è un’opera visivamente solida e unitaria dove la pietra risulta costruttivamente credibile.

La pietra massiva
In questa direzione si sono moltiplicate le esperienze nell’ultimo decennio, in particolare la scoperta dell’autonomia estetica della pietra, ossia la valorizzazione delle sue naturali qualità geomorfologiche senza l’intervento di trasformazione della superficie che spesso ne distrugge preziose qualità tattili.
Alcune opere di Mario Botta devono in gran parte il loro carattere al modo in cui il materiale lapideo è stato lavorato, non per taglio ma per spacco. Legando i conci così ottenuti in una muratura continua, Botta realizza superfici di insolita energia rocciosa che conferiscono anche a piccoli organismi architettonici, come la Cappella del Monte Tamaro nel Canton Ticino o la Sinagoga Cymbalista di Tel Aviv, un potente senso di solidità e gravità.

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Cappella del Monte Tamaro di Mario Botta
(Rivera, Canton Ticino, Svizzera, 1990-1995. Foto © Marco D’Anna)
Bagni termali di Peter Zumthor
(Vals, Svizzera, 1991-1996. Foto © Margherita Spiluttini)

Peter Zumthor al contrario rifiuta il pittoresco della pietra rustica e nelle sue celebrate Terme di Vals elabora una ardita operazione mentale. Per realizzare un ambiente lapideo unitario e totale, che leghi tra loro gli spazi ipogei come fossero un’opera di scavo, utilizza la locale quarzite scistosa tagliata in perfette lastre sottili, poi rimontate in un controllato disegno della struttura muraria che concettualmente restituisce la loro naturale stratificazione. Il muro di Vals tecnologicamente perfetto, quasi high-tech, viene però realizzato con un sistema costruttivo a sacco ripreso dalla antica tradizione romana e modernamente tradotto con il riempimento interno di calcestruzzo armato, come già trenta anni prima aveva fatto Giovanni Michelucci con sua arcaico-avveniristica chiesa dell’Autostrada del Sole a Firenze.

La pietra strutturale
Dopo la pietra massiva collaborante la tappa successiva è la pietra strutturale portante.
Una ricerca per certi aspetti estrema è stata iniziata in questi ultimi anni con rigore da Gilles Perraudin. Sulle tracce dell’opera troppo a lungo disconosciuta di Fernand Pouillon, che aveva osato negli anni ’50 sfidare la vincente ascesa della prefabbricazione edilizia per realizzare integralmente con pietra strutturale interi quartieri residenziali di edilizia sociale a Marsiglia, Parigi e Algeri, Perraudin ha creato un essenziale linguaggio trilitico utilizzando enormi blocchi scartati dalla cava come elemento modulare per alcune sue opere come il Centro di Formazione di Nimes, le due cantine di Vauvert, Nizas e la recente di Solan.

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Magazzino di un’azienda vinicola di Gilles Perraudin
(Vauvert, Francia, 1996-1999. Foto © Serge Demailly)
Nuova aula liturgica “Padre Pio” di Renzo Piano
(San Giovanni Rotondo, Italia, 1997-2004. Foto Alfonso Acocella)

Una scelta che richiede l’accettazione di una disciplina molto rigorosa imposta dalle grandi dimensioni della pietra. L’aspetto arcaico di queste opere non è però, il risultato di una ricerca estetica ma di una scelta etica volta a risolvere con la sostenibilità di un materiale naturale e di tecniche elementari di montaggio i problemi della costruzione.
Associabile al filone di ricerca della pietra strutturale, ma concettualmente e tecnicamente assai lontana dalla impostazione di Perraudin, è la chiesa di Renzo Piano a San Giovanni Rotondo. I grandi archi su cui poggia il soffitto dell’Aula Liturgica non Pietra di Apricena locale ma si avvalgono di un dispositivo di rinforzo costituito di fasci di cavi messi in precompressione al loro interno con funzione antisismica: un percorso che ibrida l’antico sapere stereotomico con la scienza delle costruzioni in calcestruzzo.

Verso nuove frontiere litiche
Ancora oltre nella ricerca di nuovi linguaggi legati alla pietra massiva si spinge Anton Garcia Abril. Lavorando spazialmente sul purismo formale della scuola iberica introduce valori tattili capaci di sbilanciarne la staticità per provocare una “inquietudine” materiale e spaziale.
L’edificio cubico che ospita il Centro di Alti Studi Musicali a Santiago de Compostela è interamente fasciato di possenti lastroni di granito che portano sulla superficie fortemente abrasiva i canali di perforazione, segni della violenta separazione dal blocco, così operando un conflitto visivo tra imperfezione della materia costruttiva e perfezione concettuale del volume.
Ulteriore estremo sviluppo del tema è la sede della Sociedad General de Autores y Editores di Santiago, anch’essa di Garcia Abril. L’opera, interamente concentrata sull’impressionante parete lapidea “a griglia”che si erge sul parco, formata dall’intreccio di enormi frammenti di granito montati uno sull’altro in un inquietante quanto apparente disordine strutturale, riunisce in una sintetica visione il primordiale megalitico paesaggio galiziano con il caos e il disordine della città contemporanea.

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Centro di Alti Studi Musicali di Anton Garcia Abril
(Santiago de Compostela, Spagna, 1999-2003. Foto © Roland Halbe)
Sociedad General de Autores y Editores
(Santiago de Compostela, Spagna, in costruzione. Foto © Roland Halbe)

Con opere come queste, e con numerose altre, frutto dell’intelligente esplorazione di nuovi percorsi, l’architettura di pietra si è ormai tolta la maschera e mostra un volto proteiforme che rivela una disponibilità totale a mutare il proprio punto di vista. E’ come se questo materiale si fosse aperto a una revisione permanente che lo rende straordinariamente idoneo a nuovi linguaggi. La pietra non è più il materiale eterno, portatore di valori immutabili, ma partecipa, attraverso il pensiero libero delle nuove generazioni di architetti, ai mutamenti sempre più rapidi e imprevedibili del nostro tempo.

Vincenzo Pavan

*L’articolo ripropone il testo preparato per la rivista spagnola Arquitectura Viva

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21 Gennaio 2008

Ri_editazioni

RACCONTI DI PIETRA*
Madre, Abbraccio, Casa, Forza, Silenzio, Rispetto, Bellezza, Architettura, Unicità, Patrimonio non rinnovabile

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Foto di Palmalisa Zantedeschi

Casa
Specchio dell’anima, chiave e scrigno del nostro pensare.
Spazio esterno dell’essere, dimora fissa di mondani averi.
Sede del nostro vivere, riflesso di un fervido attuare:
luogo reale o immaginario, proiezione di illusioni e aspettative,
in cui crescono rigogliose cime verdi di speranze e fantasie.
“Venne avanti un muratore, che domandò:
“Parlaci delle case”.
E lui rispose, dicendo:
Costruitevi con la fantasia un capanno nel deserto, un rifugio in una grotta, prima di erigervi una casa entro le mura della città. Infatti, nei crepuscoli voi fate ritorno alla casa, e anche l’errante in voi, remoto e sempre solitario, ambisce questi ritorni.
La casa è il vostro più ampio corpo.
Cresce nel sole e dorme nella quiete silenziosa della notte; e non è priva di sogni. Non sogna forse la vostra casa? E sognando non abbandona la città per il bosco o la collina?
Come vorrei accogliere le vostre case nella mia mano, e come il seminatore sparpagliarle nelle foreste e sui prati.
Potessero le valli essere le vostre strade, e i verdi sentieri i vostri vicoli, così da cercarvi l’un l’altro fra i vigneti, accogliendovi a vicenda con il profumo della terra negli abiti. […]
Nella loro paura i vostri antenati vi hanno radunati troppo stretti insieme. E quella paura durerà ancora un poco. Ancora un poco le mura della vostra città separeranno i vostri focolari dai campi.
E ditemi gente, che tenete in queste case? Cos’è che proteggete con le sbarre agli usci?
Forse la pace? Il quieto desiderio che rivela in voi la forza?
Forse ricordi, questi risplendenti archi che sorreggono della mente le sommità?
Forse la bellezza, che sa condurvi dai legni e dalle pietre lavorate al sacro monte?
Ditemi, custodite tutto ciò nelle vostre case?
Oppure è solo la comodità che esse contengono, e la brama di comodità che subdola si fa ospite nella casa, e poi ne diventa la padrona e poi ancora il despota?
Sì, e con rampino e frusta vi rende i burattini dei vostri intensi desideri.
Ma voi, figli degli spazi, irrequieti nella quiete, non cederete all’ansia e non sarete domati. La vostra casa non sarà ancora un albero di nave.
Non sarà la smerigliante membrana che ricopre la ferita, ma una palpebra che protegge la pupilla. Non ripiegherete le ali per attraversare l’uscio, nè chinerete il capo per non urtare la volta, nè tratterrete il respiro temendo che ferendosi i muri crollino. Non abiterete sepolcri edificati dai morti per i viventi.
E per quanto sontuose e piene di sfarzo, le vostre case non potranno conservare il vostro segreto nè albergare le vostre aspirazioni. Poichè quel che in voi non ha confini alberga nella dimora del cielo, la cui porta è la bruma del mattino e le cui finestre sono i canti e i silenzi della notte.”1

Nicoletta Gemignani

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Foto Palmalisa Zantedeschi

(Visita il sito di Palmalisa Zantedeschi)

Note
* Racconti di pietra, testi di Alfonso Acocella e Nicoletta Gemignani, foto di Palmalisa Zantedeschi
1 Kahlil Gibran, Il Profeta (The Prophet, 1923), Verona, Demetra, 1995, pp. 53-55.

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