aprile 2025
L M M G V S D
« Dic    
 123456
78910111213
14151617181920
21222324252627
282930  

Ultimi articoli

Ultimi commenti

Rubriche

Pubblico dei lettori

 

rss

 

Notizie

23 Aprile 2008

Pietre Artificiali

Opus spicatum contemporaneo

brioni_1.jpg
La corte di Casa Brioni sullo sfondo della torre gonzaghesca.

Il progetto di Lorenzo Carmassi per Casa Brioni
Nel mantovano, diversamente da quanto accade per le aree padane cremonesi o venete, il Po non è un confine storico, nè tanto meno culturale, ha invece assunto il ruolo, nel corso dei secoli, di asse portante lungo cui antropizzare il territorio in base ai modelli configurativi elaborati e irradiati dalla vicina città lacustre. Percorrendo la pianura, è chiaramente percepibile la suggestione derivante dalla presenza del fiume e di un diffuso sistema di ulteriori vie d’acqua, con le golene, gli argini e i vasti pioppeti; in queste antiche campagne i caratteri urbani e costruttivi della Mantova canossiana, quindi comunale e soprattutto gonzaghesca, si sono stratificati, nel segno unificante della civiltà materiale del cotto.
Gonzaga fa parte del sistema di insediamenti che punteggiano questo nobile paesaggio, ed è il luogo da cui presero il nome i capostipiti della dinastia che governò Mantova dagli inizi del Trecento per circa tre secoli. Dell’antica rocca andata perduta rimangono due torri quattrocentesche; una di esse, la più alta, ingentilita da un coronamento di timpani e pinnacoli, domina il semplice tessuto edificato come sola testimonianza della cinta muraria obliterata nel XIX secolo da una schiera di piccole case con corte retrostante.
Su una di queste abitazioni Lorenzo Carmassi, giovane progettista appartenente all’affermata famiglia di architetti, opera un raffinato intervento di ristrutturazione. Dietro alla facciata, del tutto conservata, inizia il paziente labor limae del progetto di Casa Brioni, finalizzato a ridisegnare integralmente gli spazi residenziali, ritagliati in origine sulle modeste esigenze della piccola borghesia provinciale ottocentesca e troppo esigui per le istanze dell’abitare contemporaneo.
Con il fine di salvaguardare la coerenza del progetto, concepito con rigorosa unitarietà dall’architetto, i molteplici linguaggi diversificati degli arredi, dei complementi e delle attrezzature della normale consuetudine domestica sono costantemente occultati alla vista grazie alle misurate trasparenze di leggere e diafane sovrastrutture vitree e metalliche. Sia la luce naturale che l’illuminazione artificiale non si sottraggono a questa cura meticolosa e avvolgono gli ambienti residenziali indirettamente, diffondendosi da superfici vetrate satinate per evitare il linguaggio chiaroscurale di fasci luminosi direzionati e circoscritti. Lorenzo, con nuova vitalità, prosegue la consolidata tradizione dei Carmassi nel sicuro controllo progettuale ed esecutivo dei dettagli infissistici.
Al piano terreno un soggiorno continuo si apre ad impegnare l’intero spazio disponibile ed è occupato unicamente dal volume cilindrico della scala a chiocciola che sale al livello superiore. Dietro alla casa, alcuni annessi già presenti nella corte sono rimodellati e collegati al corpo residenziale principale per dar vita al nuovo volume della cucina. Il vano allungato, che si viene così a configurare, è definito da un diaframma vitreo verso la corte e da una parete cieca di fondo sulla quale trovano posto un ripiano ed un’alzata a tutta lunghezza in marmo botticino color crema. Gli alloggiamenti degli elettrodomestici e i mobili contenitori sono completamente schermati sotto il banco marmoreo da ante in vetro traslucido separate da esili montanti in ottone.
Anche il soggiorno vive in stretta relazione ambientale e visiva con il cortile attraverso una soluzione di continuità verticale della cortina muraria che segna l’intero prospetto tergale della casa illuminando anche la camera da letto al primo piano. Grazie alla strombatura interna del taglio, resa perfettamente apprezzabile dal cospicuo arretramento dell’infisso a tutta altezza rispetto al filo di parete, il dispositivo murario laterizio è posto in evidenza nel suo generoso spessore; è così che alla presenza archetipica del muro massivo viene assegnato un primato di incisività nel qualificare l’architettura della residenza. I solidi quasi scultorei dei muri, appaiono come nitidi oggetti autonomi semplicemente adagiati sul tappeto continuo, monomaterico e monocromatico del pavimento, pure realizzato in laterizio.

brioni_2.jpg
Vista del soggiorno aperto sulla corte.

[photogallery]brioni_album_1[/photogallery]

Se il materiale del piano di calpestio e delle pareti è il medesimo, la grana materica della superficie orizzontale si differenzia sensibilmente rispetto alla stratificazione dei mattoni degli alzati e diviene più minuta e vibrante con la serrata giustapposizione di elementi in cotto posati a spina di pesce.
Nella Casa Brioni Lorenzo Carmassi propone un’accattivante riedizione dell’opus spicatum romano, utilizzando una tecnologia che prevede il preassemblaggio di lastre pavimentali pseudoquadrate di circa 30 centimetri di lato per 3 di spessore, ognuna delle quali è formata da 28 listelli di laterizio in pasta molle incollati su di una rete sintetica per commessi musivi. Successivamente i moduli sono posti in opera a correre sul massetto cementizio e quindi stuccati a comporre il piano pavimentale omogeneo. Conservando le proprietà geometriche, di continuità replicativa e compattezza materica di questa antica tessitura, un’originale processo di aggiornamento produttivo e costruttivo consente di passare dal carattere massivo dello spicatum romano, riguardabile come vero e proprio spessore murario disteso a terra, alla leggerezza del sottile rivestimento pavimentale contemporaneo.
Dall’interno lo stesso pavimento a spina di pesce esce per distendersi in continuità nella corte, ampliando nella percezione ottica le contenute dimensioni reali della casa. L’infisso del taglio finestrato del soggiorno è completamente trasparente, il telaio è estremamente sottile e particolare attenzione è stata dedicata nel ridurre al minimo lo spessore del suo profilo inferiore per non interrompere visivamente, a serramento chiuso, la prospettiva continua del piano orizzontale.
La corte è recintata da un setto murario in mattoni elevato da Carmassi fino ad un metro e settanta centimetri di altezza. La quota del muro, oltre a garantire la privacy di chi abita la casa, impedisce dall’interno le viste anche solo parziali del tessuto edificato circostante minuto e disomogeneo, enfatizzando la sensazione di chiusura in un microcosmo foderato interamente di laterizio e sovrastato unicamente dal cielo. Anche nel soggiorno, e nella camera al primo piano, l’infisso arretrato rispetto alla facciata non consente di aprire liberamente lo sguardo sullo spazio esterno ma guida ad una percezione studiata, mai casuale, ritagliando un campo visivo anch’esso progettato in partenza. A questo piccolo mondo protetto, architettato con sapienza, i giardini limitrofi aggiungono solo pochi scorci di verdi chiome d’alberi.

brioni_3.jpg
La texture pavimentale a spina di pesce con il posizionamento degli elementi speciali di bordo.

Produzione e posa dello spicatum pavimentale
Il trasferimento dell’archetipo figurale del pavimento a spina di pesce dal campo applicativo tradizionale dei dispositivi a spessore, in cui mattoni pieni posati di coltello venivano giustapposti a formare uno strato massivo di ricoprimento del suolo, al mondo attuale delle pelli sottili di rivestimento create componendo un mosaico di macro-tessere, porta ad evidenti implicazioni positive in termini di economia e rapidità di posa, di alleggerimento delle strutture e di flessibilità di applicazione del rivestimento sia in esterno che in interno.
Come detto, il materiale utilizzato per la realizzazione della tessitura pavimentale di Casa Brioni è il cotto in “pasta molle”. Il processo produttivo di tale tipologia di laterizio si distingue in modo sostanziale da quello del cotto trafilato estruso. Gli elementi da cuocere sono conformati a stampo in casseri di legno, o di metallo, o di plastica, partendo da un impasto di terra con un’umidità pari a circa il 40-45%. L’amalgama viene realizzata mescolando, grazie ad appositi cassoni dosatori, argille e limi diversi per provenienza geografica e quindi per composizione chimica, mineralogica e granulometrica.
Successivamente alla operazione di frantumazione le terre vengono vagliate, laminate e impastate con l’acqua; dopo tali lavorazioni la realizzazione delle forme può essere eseguita completamente a mano o in modo semi-automatico attraverso un impianto che riproduce il sistema manuale di lavaggio, sabbiatura e riempimento dello stampo.
Al termine di un’essiccazione di circa 5 giorni in un essiccatoio semi-continuo, il materiale viene cotto in forni intermittenti con cicli che durano dalle 40 alle 50 ore ad una temperatura massima che varia dai 970 ai 1020°C.
Per realizzare lo spicatum i mattoni vengono tagliati in listelli delle dimensioni di 10 x 2,5 x 2,8 centimetri, ottenuti grazie ad una taglierina multilama di precisione ad acqua. L’assemblaggio delle lastre pavimentali è eseguito manualmente a partire da una rete in PVC per tessiture musive su cui viene applicato uno strato di collante ad alta adesione a base cementizia per materiali ceramici o lapidei. Il legante è steso con una spatola a denti larghi in modo da creare una superficie d’incollaggio omogenea e di spessore consistente che rende rigida la mattonella.

brioni_4.jpg
Lavorazione di preassemblaggio dei moduli pavimentali.

[photogallery]brioni_album_2[/photogallery]

La composizione del piano pavimentale avviene con la posa dei moduli preassemblati su di un massetto tramite una colla a spessore che consente aggiustamenti e calibrature. I giunti sono sigillati successivamente grazie ad una boiaccatura realizzata con stucchi pronti all’uso o con una barbottina molto fluida di cemento bianco e polvere di mattone. Nell’ultimo caso, prima della boiaccatura, al laterizio deve essere applicato un trattamento idrofobizzante che facilita lo scorrimento della barbottina e le operazioni di pulizia finale.
Dopo l’indurimento della stuccatura si procede al lavaggio e alla finitura del pavimento con eventuale carteggiatura o levigatura. Se è stato posato un laterizio prelevigato (come è accaduto per Casa Brioni), attraverso un’operazione di leggera carteggiatura si possono correggere eventuali irregolarità di posa tra una mattonella e l’altra e il piano dello spicatum mantiene un effetto di morbida irregolarità (le fughe sono leggermente più basse delle mattonelle) con una chiara leggibilità della grana materica e della tessitura pavimentale a spina di pesce. Nel caso in cui si preferisca invece levigare integralmente il pavimento in opera, il risultato finale è quello di una superficie perfettamente liscia e polita in cui la trama geometrica dello spicatum emerge in filigrana da un campo cromatico e materico compatto e omogeneo.
A partire dalla realizzazione del pavimento di Casa Brioni la sperimentazione sullo spicatum pavimentale è proseguita, consentendo di pervenire a perfezionamenti e nuove varianti del prodotto di base. Innanzitutto, poichè il pavimento ha avuto origine e continua ad essere realizzato nel contesto della consolidata tradizione delle fornaci padano-lombarde, da sempre portatrici di un alto magistero nella produzione di pezzi speciali modellati su disegno, è stato agevole corredare lo spicatum con elementi di bordo rettangolari caratterizzati da un margine a denti di sega: tali moduli di laterizio pieno non preassemblati sulla rete permettono di comporre fasce perimetrali con cui rettificare il contorno frastagliato del campo pavimentale.
Inoltre, ad accompagnare i diversi assetti colorici degli impasti omogenei o variegati con cui si possono realizzare i listelli, sono in fase di studio variazioni del tema tessiturale a spina di pesce e nuove tipologie di lastre preassemblate con spessori tra gli 1,5 e i 2 centimetri. Questi ultimi moduli, ancor più sottili e leggeri dello spicatum originario (il peso del rivestimento in opera si potrà attestare entro i 28 kg/mq), verranno realizzati comunque manualmente e su rete sintetica, grazie ad una colla bicomponente: le lastre di 50 centimetri di lato saranno semirigide e adattabili alla posa anche su superfici sensibilmente ondulate.
Il preassemblaggio musivo di macrotessere, già diffusamente applicato in chiave contemporanea ai materiali lapidei e ceramici, è così trasferito con esiti di particolare originalità e raffinatezza anche al laterizio e con esso si apre un percorso di ulteriore ricerca sui temi dell’assottigliamento e dell’alleggerimento per pelli di rivestimento non solo pavimentali.

di Davide Turrini

Il post costituisce una rielaborazione dell’articolo pubblicato in Costruire in Laterizio, n. 111, 2006.

Scheda tecnica dell’edificio:
Progetto Lorenzo Carmassi
Collaborazione tecnica Luigi Bertellini
Pavimenti Fornace Brioni, Gonzaga (MN)
Serramenti Dealfer, Calci (PI)
Cronologia:
progettazione, 1998-1999
realizzazione, 1999-2001

Scheda tecnica del pavimento:
Dimensioni della lastra preassemblata 25×30 cm
Spessore della lastra preassemblata 3 cm
Numero di lastre per mq 13,3
Dimensioni del singolo listello 10×2,5 cm
Spessore del singolo listello 2,8 cm
Numero di listelli per mq circa 400
Dimensioni dei pezzi speciali di bordo 22×13 cm
Spessore dei pezzi speciali di bordo 3 cm
Numero dei pezzi di bordo per ml 4,5
Peso del pavimento in opera 50 kg/mq
Resistenza al gelo
(UNI EN 202) i campioni non presentano alcuna incrinatura o distacco di particelle
Abrasione profonda
(ISO 10545-6) superficie abrasa 2700 mmc
Assorbimento dell’acqua
(UNI EN 8942/3) 20%
Resistenza a flessione
(UNI EN 100) 4,4 N/mmq
Resistenza all’urto
(R.D. 16/11/39) 0,41 Kgm

Vai a:
Carmassi Studio di Architettura

Fornace Brioni

commenti ( 0 )

21 Aprile 2008

Pietre Artificiali

LECTURE “ARCHITETTURE IN LATERIZIO”
di Alfonso Acocella

seminario_laterizio.jpg
Clikka sull’immagine per scaricare il poster

“Progettare è un processo che non ha fine.
Comunque, se vogliamo parlare del mio ultimo interesse, allora direi che è quello di evolvere una grammatica architettonica in grado di esprimersi e di dettagliare con un linguaggio contemporaneo una vasta gamma di materiali.
Il Movimento Moderno ha sviluppato tecniche molto sofisticate per gli edifici in “ferro e vetro”, tanto che si può parlare di “tradizione” in questo settore. Ma io vorrei riuscire a raggiungere un ugual livello di definizione anche con materiali diversi, o meglio vorrei sviluppare un linguaggio nuovo per i materiali cosi detti tradizionali.
Pensiamo al laterizio, ad esempio. È ancora un materiale molto utile, ma come lo tratti in modo “moderno” ? Così, in breve, oggi la mia aspirazione è come rendere ogni materiale “contemporaneo””.

Michael Hopkins, “Attualizzare la memoria”, Controspazio 3/1996

Scarica la presentazione “ARCHITETTURE DI LATERIZIO” di Alfonso Acocella

commenti ( 0 )

18 Aprile 2008

Progetti

“Corpo architettonico” e “protesi paesaggistica”

Due progetti recenti di Cherubino Gambardella dimostrano come la ricerca contemporanea tenda a superare la distinzione classica tra opposizioni dialettiche quali paesaggio e architettura, linguaggio e processo, artificio e natura, senza per questo rinnegare le rispettive specificità. Tale discorso sui “generi” si sviluppa all’interno di una nuova visione olistica del progetto, in cui la diversità degli apporti aspira a estendere reciprocamente ruoli e funzioni, oltre i limiti di un approccio convenzionale, all’interno di una infinita moltiplicazione di significati.

Vita e rappresentazione tra empirismo e tradizione neorealista

gambardella_1.jpg

[photogallery]gambardella_album_1[/photogallery]

L’intervento di via Cupa Spinelli prevede la sostituzione integrale di una serie di edifici realizzati con sistemi di prefabbricazione pesante. Il lotto che ne risulta, restituito all’originaria morfologia, lievemente digradante da nord a sud, viene articolato secondo due distinti nuclei tematici, che corrispondono a fasi successive di programmazione del cantiere.
Una cortina edilizia perimetralmente chiusa su tre lati – nord, est e sud- a ridefinire il bordo del terreno edificabile, è scandita dalla ritmica discontinuità degli elementi in linea, la cui regolare ripetizione viene interrotta nelle soluzioni d’angolo, intenzionalmente site-specific. I singoli fabbricati, che si elevano per cinque piani, risultano impostati su di un sistema a pilotis che conferisce unità al complessivo attacco a terra e accoglie piccoli esercizi commerciali, disponendosi a una distanza dal confine dell’area tale da consentire la realizzazione di una fascia di parcheggi pertinenziali serviti dal relativo corsello.
La porzione centrale del lotto è contraddistinta dalla libera disposizione di elementi in linea, di altezza variabile dai tre ai quattro piani fuori terra, che definisce un sistema integralmente pedonale di spazi di vicinato, univocamente connotati nelle reciproche gerarchie e relazioni qualitative dall’unicità degli affacci- rigorosamente distinti in relazione agli ambienti di vita- e delle giaciture edilizie.
Ogni edificio insiste su di un piano lievemente rialzato rispetto alla circostante quota di campagna e risulta recintato da “muri a bolla” rivestiti di materiale lapideo, il cui organico profilo entra in un rapporto di vibrante tensione con la regolarità dei corpi di fabbrica e concorre alla realizzazione di un’atmosfera più informale nell’interazione dinamica tra pertinenzialità dirette a uso esclusivo e connettivo di pubblico interesse, scandito da un tessuto lineare di fasce a verde, parzialmente piantumate, ordite in direzione nord-sud.
La viabilità carrabile interna all’area si sviluppa in fregio ai fabbricati disposti sul perimetro, così da consentire l’accesso alle retrostanti pertinenze attraverso i varchi tra due successivi elementi in linea e servire contestualmente il nucleo centrale erodendone in parte le frange inerbite per consentire la realizzazione di parcheggi a raso e di aree attrezzate per lo sport.

gambardella_2.jpg

La proposta di Cherubino Gambardella sembra attualizzare una ricerca sul quartiere residenziale avviata in Europa a partire dagli anni ’40, che registrò un fertile scambio di prospettive tra empirismo scandinavo e tradizione neorealista. Prendendo consapevolmente le distanze da una facile e pericolosa deriva citazionista, l’autore ne rielabora i principi di base, illuminandoli con una sensibilità mediterranea del tutto appropriata al contesto di appartenenza. Il ricorso a moduli edilizi standardizzati, imposti dal programma, stimola la ricerca di condizioni di eccezionalità tanto a livello di tessuto edilizio quanto in termini di linguaggio architettonico. Attraverso l’azione del “recingere”, l’edilizia perimetrale di bordo definisce preventivamente la “scena” dello spazio pubblico, articolandone sapientemente le soglie e gli ingressi con soluzioni che derogano rispetto alla norma complessiva. La “narrazione” è lasciata alla libera disposizione dei corpi di fabbrica che ne occupano il centro. La divergenza programmatica delle giaciture, unita alla contestuale perimetrazione delle rispettive aree di influenza pertinenziale, esaspera l’unicità e irripetibilità dei condizionamenti, pur nel rispetto della uniformità della sostanza edilizia. L’inclinazione dei raggi solari, investendo i corpi solidi con diversa incidenza, ne amplifica l’individualità e l’isolamento metafisico, rendendone vibrante lo spazio sotteso, mentre il ricorso all’elemento verde con funzione di spazio connettivo è contemporaneamente un omaggio, con variazione di scala, alla tradizione della città moderna e al “tumulto nell’insieme” del bosco urbano laugeriano.
L’ossimoro pare essere la figura retorica che riconduce le scelte architettoniche a quelle urbanistiche. La plastica stereometria dei volumi, rafforzata dalla precisa incisione delle finestre di tradizione moderna- con dirette citazioni nelle soluzioni a nastro- è puntualmente contraddetta dal disegno dei balconi, la cui varietà allude all’inevitabile processo di appropriazione spontanea dello spazio da parte dei futuri abitanti: negli edifici di bordo ad intonaco tinteggiato, attraverso pareti di laterizio che si raccordano alle solette descrivendo motivi arabescati; negli elementi in linea disposti al centro della scena, rivestiti di klinker, con l’introduzione di bow-window intonacati le cui proporzioni e bucature esasperatamente strombate da sguinci in gesso sporgenti rammentano l’ineludibilità della “stanza” quale principio generatore della casa mediterranea.
La scelta delle tinte pastello, in toni di rosa, giallo, verde e azzurro, pare rispondere all’intenzione di saturare il colore con la luce naturale, dissolvendo così la presenza dei volumi nell’ambiente atmosferico.

gambardella_3.jpg

Affermando il comune sostrato “tipologico” e negandone allo stesso tempo l’implicita assertività normativa attraverso la calibrata disposizione “topologica”; assumendo lo spazio pubblico come “ordito” primitivo di progetto ed incrinandone successivamente la stabilità attraverso la progressiva erosione della “trama” degli usi privati; definendo il dominio collettivo nella dimensione unificante del singolo edificio e aggredendone simultaneamente l’assolutezza attraverso l’esasperata appropriazione individuale degli spazi pertinenziali in aggetto il progetto rivela indirettamente la complessità del tessuto culturale contemporaneo, in cui vita e rappresentazione sfumano reciprocamente nei rispettivi domini, senza negare per questo la necessità del linguaggio e l’imprevedibilità dei comportamenti.

Paesaggio mediterraneo, città di fondazione e tradizione pittoresca

gambardella_4.jpg

[photogallery]gambardella_album_2[/photogallery]

La costa salentina è articolata da un sistema di ampi e piatti crinali che, staccandosi dalla dorsale pugliese interna, già sede della viabilità di attraversamento romana, precipitano nelle profondità marine con picchi improvvisi, assumendo le forme di un’alta quanto spettacolare falesia rocciosa. La superficie del paesaggio è ammorbidita dalla presenza di un diffuso compascuo, cui l’arsura e la secchezza dell’aria, tagliata da una luce “razionale”, conferisce il caratteristico color paglierino, sporadicamente interrotto dall’informale macchia mediterranea e dall’alternarsi degli appezzamenti rigorosamente orditi degli uliveti e degli orti.
Il progetto insiste all’interno di un frammento di tale scenario, nel pressi della famosa stazione termale di Santa Cesarea. Si tratta di un centro turistico per 3000 ospiti, la cui presenza si vuole integrata nel paesaggio, tanto per ragioni estetiche quanto per rispondere a più generali principi di sostenibilità delle scelte urbanistiche e architettoniche, a cui sono ascrivibili le soluzioni di orientamento rispetto al sole e ai venti dominanti, il ricorso a pannelli fotovoltaici e i dispositivi per la raccolta della acque meteoriche ad uso sanitario. La multiforme conformazione delle trame vegetazionali e il relativo diverso grado di artificialità offrono lo spunto per l’impostazione complessiva del sistema urbano: la spina centrale, che culmina con una piazza collettiva aperta prospetticamente sul mare e integra residenze con zone coltivate a ulivo e frumento, riprende la regolare orditura di un impianto di fondazione, mentre i quartieri periferici si dispongono a guisa di isole tematizzate in base alle diverse essenze connotanti- agavi, ginestre, pini e ulivi- che interpretano le sottili variazioni orografiche della sottostante topografia assorbendole nel proprio disegno, mentre l’approdo a mare si dispone secondo le linee di massima pendenza, “mineralizzandole” al grado minimo necessario per l’uso funzionale. Artificio e natura, vita e rappresentazione coesistono nello strato superficiale che agglutina le diversità, cortocircuitandone il senso complessivo, all’interno di un’unica impronta generatrice che non aspira a ricomporle in sintesi di livello superiore.

gambardella_5.jpg

La prevalente dimensione pittoresta del paesaggio antropico locale, che deriva da un singolare adattamento dell’azione umana alla “preesistenza ambientale”, nelle sua irripetibile unicità di accadimenti, viene ribadita nelle scelte di scala edilizia e architettonica. Le residenze individuali- a schiera e a patio-si dispongono secondo aggregazioni multiple perimetralmente chiuse che assimilano la propria conformazione organica all’andamento delle curve di livello naturali, stratificando linguaggio a dato reale e conferendo alla modellazione del suolo un insolito spessore materico e semantico.
La ricerca di una relazione osmotica con il supporto naturale informa le soluzioni materiali. Muri a secco in pietra calcarea locale, riprendendo una tradizione ampiamente diffusa nell’area, perimetrano gli ambiti pertinenziali individuali, qualificando in termini omogenei, senza apparente soluzione di continuità, tanto il profilo dei percorsi pedonali di servizio quanto l’elementare nucleo generativo delle singole abitazioni, mentre la trama leggera degli schermi paravento, dei velari e dei balconi in diafane strutture metalliche ne impreziosisce la morfologia complessiva simulando l’informe adattamento dell’elemento naturale, la cui massa porosa e ramificata progressivamente ne ammorbidisce i profili, alla presenza artificiale, oramai ridotto a simulacro di una incipiente rovina.
La polifonia architettonica complessiva è amplificata dall’uso ricorrente di inserti la cui varietà volumetrica e materiale intacca la primitiva semplicità dei volumi lapidei di base e delle relative recinzioni, in un persistente gioco di specchi in cui adattamento antropico e fenomenologia naturale si riverberano l’uno nell’altra, ampliando i reciproci confini.
L’assimilazione del linguaggio architettonico al comportamento del paesaggio naturale produce una condizione di programmatica dissolvenza che amplifica le reciproche prerogative sovvertendone l’univocità dei ruoli: il paesaggio si trasforma in “corpo architettonico” mentre l’architettura ne estende le funzioni in quanto sua “protesi naturale”.

Nicola Marzot

gambardella_6.jpg

commenti ( 0 )

18 Aprile 2008

Principale

La Storia del Marmo artificiale di Rima

quadrato.jpg

Clikka sull’immagine per scaricare l’invito

La Storia del Marmo artificiale di Rima
Gloria e fasto nelle corti e palazzi europei
Intervento di Orlando Perera

22 aprile 2008 ore 18.00
Circolo dei Lettori – Palazzo Granieri della Roccia
Via Bogino, 9 – Torino

commenti ( 0 )

17 Aprile 2008

Interviste

Kazuto Kuetani: “Era solo scoppiata una bomba più potente delle altre…”

A colloquio con lo scultore giapponese autore della “Collina della Speranza”*

kk_1.jpg
Kazuto Kuetani (foto Stefano Sabella)

L’arrivo a Carrara
“Giungo a Roma all’età di 27 anni, povero e senza ispirazione per il mio lavoro. Un giorno, osservando per l’ennesima volta Piazza S. Pietro, mi chiedo da dove provengano tutti questi marmi. Recatomi a Carrara rimango folgorato dalla maestosità e dall’importanza di quanto hanno saputo fare gli uomini a Roma e la natura nel maestoso scenario delle cave. Sulle Alpi Apuane come nella città eterna percepisco le stesse sensazioni di vitalità, la stessa comunanza con la natura, la stessa ispirazione”.

L’influenza della cultura occidentale
“In Giappone lavoravo solo sulla concretezza dell’opera. In Italia ho imparato a contestualizzare la scultura in stretto riferimento allo spazio in cui essa è collocato. L’arte e le sue produzioni hanno un aspetto astratto che va oltre il mero aspetto materiale. Un’opera è completa quando interagiscono l’aspetto concreto, dato dalla materia e l’aspetto intangibile, lo spazio che ha intorno. Per questo i miei lavori spesso presentano fori e passaggi; essi sono come delle porte che mettono in comunicazione spazio e materia”.

Il rispetto e il dialogo
“Sono concetti che ho maturato quando avevo 3 anni e scoppiò la bomba atomica su Hiroshima: io mi trovavo solo a 60 km dalla città. Al momento dell’esplosione tutto cominciò a bruciare e ci rifugiammo nelle grotte delle vicine montagne. Non pensavamo ad un’arma nucleare, si diceva che si trattava di una bomba solo più potente. In questa situazione di estrema drammaticità che si è poi prolungata negli anni con le conseguenze delle radiazioni, ho capito che il rispetto e il dialogo sono le sole “armi” a cui deve ricorrere l’uomo per risolvere le proprie controversie”.

kk_2.jpg

I bambini e la scultura
“Provo un grande piacere quando vedo i bambini saltare sulle mie opere: sono fatte in modo che possano giocarci. I bambini apprendono giocando con le cose e la natura a sua volta semina la vitalità in essi. Purtroppo nel mondo di oggi è sempre più difficile giocare nella natura. Questo può farci capire perchè siano sempre di più i giovani che non riescono a comunicare adeguatamente. Mi domando se la situazione non sia tanto grave proprio perchè i bambini, non ricevendo più i semi di vitalità un tempo sparsi dalla natura, non riescono a crescere, pur dissetati e nutriti dalla società umana”.

L’incontro con Giovanni Paolo II
“Un uomo di acciaio dalla testa ai piedi:questa la sensazione al momento dell’incontro con il Papa. Emanava una grande forza, lo si sentiva anche dalla vigorosa stretta di mano. Sono rimasto molto colpito dal fatto che si è rivolto a me parlando la lingua giapponese. Un segno di grande rispetto”.

kk_3.jpg

Il Colle della Speranza
La Collina della Speranza nasce nel 1933 quando l’industriale Kokso Kosanji decide di realizzare una scultura da collocare sulla collina sovrastante un tempio fatto erigere dalla sua famiglia. L’opera diventa il punto di partenza di un progetto più ambizioso, la realizzazione di un intero colle di marmo proveniente dalle Cave di Carrara. Racconta Kuetani: “Ho utilizzato le due pietre provenienti dall’acqua e dal fuoco, due elementi vitali creati da Dio e cioè il marmo e il granito. La gente che si reca sul colle dunque ritrova pace e serenità in un ambiente che invita al gioco e alla fantasia – simbolo di unione con la natura – tutti insieme anziani, adulti e bambini.
La Hill of Hope sorge su una terra ad alto rischio sismico. Diversi gli accorgimenti tecnici adottati da Kuetani, alcuni di sua invenzione: l’inserimento di lamine di piombo di 3 mm fra i blocchi, a sua famiglia. il taglio “ondulato” delle pietre per evitare che scivolassero l’una sull’altra, l’inserimento di perni di acciaio lasciando un po’ di gioco per dare elasticità in caso di eventuali scosse. La scultura ha resistito ad un sisma del VI° grado della scala Richter, “ho visto i blocchi oscillare di 20 centimetri – racconta Kuetani – ma resistere in piedi”.

Intervista a cura di Stefano De Franceschi

Tratto da “VersiliaProduce” Anno XIV, Aprile 2008 n. 60

commenti ( 0 )

15 Aprile 2008

Eventi

TRASLUCENZE LITICHE

granitifavorita.jpg
Traslucenze litiche nell’Interior Design contemporaneo
Clikka sull’immagine per scaricare il poster

TRASLUCENZE LITICHE
Lecture di DAVIDE TURRINI | Università di Ferrara

17 APRILE 2008 ORE 09.00 AULA A4
IN COLLABORAZIONE CON VERONAFIERE MARMOMACC
CORSO DI COSTRUZIONI IN PIETRA A.A. 2007/2008
PROF. ALFONSO ACOCELLA PROF. VINCENZO PAVAN

La disponibilità di tecnologie contemporanee in grado di ridurre i blocchi di pietra in spessori ultrasottili ibridandoli poi con pellicole rinforzanti e supporti di varia natura – tra cui il vetro che in questo particolare campo applicativo ha assunto un ovvio imprescindibile valore – ha inaugurato, in apertura del nuovo millennio, nuove vie di sviluppo ad un’estetica della traslucenza della pietra sempre più basata su pelli litiche libere, superfici grafiche e coloriche cangianti elette a luoghi di espressione di una crescente e fervida creatività.
Così alabastri, onici e marmi cristallini sempre più sottili – con spessori minimi che possono spingersi fino ai 2-4 mm – possono essere oggi massimamente valorizzati nelle loro qualità di lasciarsi attraversare parzialmente dalla luce, trovando nel connubio con la materia vitrea e con strati di incollaggio in genere epossidici, una valida integrazione e complementarietà per ciò che attiene le loro prestazioni strutturali e di coibenza termica e acustica. Inoltre, poichè il marmo-vetro si configura come un materiale laminare bifronte, ulteriori possibilità di espressività formale si aprono a seconda che la pietra si porga alla vista direttamente, come strato più vicino agli occhi di chi la osserva, o venga invece percepita attraverso la lastra di vetro.
La traslucenza dei materiali laminati costituiti da pietra e vetro deve moltissimo, come in passato, alla luce naturale posta ad attraversarli dall’esterno verso l’interno, ma in forma inedita può attingere sempre più anche alle accresciute potenzialità del progetto contemporaneo della luce artificiale, capace quest’ultima – dall’interno – di proiettare la materia, e gli involucri da essa formati, verso insondabili leggerezze nella oscura “pesantezza” dei cieli notturni e, soprattutto di accendere presenze coloriche e materiche del tutto inaspettate nell’allestimento degli spazi interni e nella realizzazione di arredi fissi o mobili.

Davide Turrini
Davide Turrini, laureato in architettura presso l’Università di Firenze, ha conseguito nello stesso ateneo la specializzazione in Storia Analisi e Valutazione dei Beni Architettonici e Ambientali e successivamente, all’Università di Ferrara, il titolo di dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura. Svolge attività di ricerca sulle tecnologie costruttive del laterizio e delle pietre naturali tra tradizione e contemporaneità, pubblicando con continuità contributi autonomi e articoli su riviste specializzate. Attualmente è titolare di un assegno di ricerca sull’innovazione tecnologica nel settore dei lapidei presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara.

Programma del Corso
Lectures
Brand Partners
Atelier di progettazione

In collaborazione con
faf.jpg veronafiere_logo.jpg marmomacc1.jpg

commenti ( 0 )

13 Aprile 2008

Letture

Terme e Architettura
progetti tecnologie strategie per una moderna cultura termale

terme_1.jpg
La copertina del testo

[photogallery]terme_album_1[/photogallery]

Emilio Faroldi, Francesca Cipullo, Maria Pilar Vettori
Terme e Architettura
progetti tecnologie strategie per una moderna cultura termale

2007, Maggioli Editore
pp. 274 (euro 49,00)

Salute, benessere e tempo libero sono tre espressioni ed anche tre concetti spesso sovrapponibili, ma capaci nelle sottili differenze reciproche di rappresentare tre modi assai diversi di fruizione dello spazio termale. Se infatti per ampi tratti s’è guardato alle acque termali come fonti cui attingere per intervenire in via migliorativa principalmente sulla condizione fisica, od anche solamente sulla condizione fisica, con riconoscimento pure istituzionale delle proprietà termali e della loro utilità sulla comunità, è pur vero che in tempi recenti alle terme s’è sempre più guardato con l’idea del riequilibrio non più prettamente fisico ma estesamente psicofisico, da cui il passaggio dal termine simbolico di salute a quello di benessere. Molto sintetizzando ed indirizzando al testo per la conoscenza più approfondita, da benessere a tempo libero il passo non risulterà molto lungo, poichè uscendo dalla condizione scientificamente determinabile di salute i confini della necessità di riequilibrio psicofisico più o meno impellente sfumano. Ruolo significativo giocano inoltre sia l’attrattiva esercitata sulla collettività dalle terme viste come fonti di benessere accessibili in partenza solo con certa disponibilità economica, sia dal lato diametralmente opposto la necessità d’assorbire i costi di strutture impegnative specialmente quando nelle fasi attuali non siano più sostenute in modo continuativo dall’ente pubblico. Questo stesso fatto porta ad orientare l’offerta dei centri termali più decisamente sui desideri della domanda ed a differenziarla così da abbracciare fasce differenti e crescenti d’utenza.
La medesima significanza simbolica dei tre termini riportati sopra possiamo cogliere nel termine curista, col quale si vuole fotografare l’attuale utente tipico dei luoghi termali: non più la persona mossa da motivi di cura, nè più spinta come turista dalla moda del viaggio alla ricerca anche esterofila di luoghi di fisica piacevolezza, ma persona mediamente giovane aperta alla possibilità d’abbinare la sosta termale ad escursioni ed itinerari di vacanza. Cambia quindi la natura propria delle terme: non più luogo in cui cercare propriamente salute, nè in cui indirettamente cercare riprove d’appartenenza sociale, quanto luogo della ricerca di sè. In questo senso ancora una volta il progetto di Zumthor per le terme di Vals si pone quale emblematico punto di partenza per la comprensione della fase attuale in ambito disciplinare di progettazione architettonica.

terme_2.jpg
Alcuni scorci delle terme di Vals, opera di Peter Zumthor

[photogallery]terme_album_2[/photogallery]

Il volume affronta compiutamente il tema, particolarmente strutturato da tre saggi a firma ciascuno di uno dei tre autori, a scandire la schedatura della ricca selezione d’opere contemporanee anche lette alla luce dell’excursus introduttivo sull’evoluzione della tipologia, dagli esempi classici greci prima e poi romani. A partire infatti dalla millenaria conoscenza associante all’acqua capacità benefiche e curative, le prime formalizzazioni tipologiche capaci di istituzionalizzarne la presenza nel costruito risalgono al ginnasio greco. Poi la grande età delle terme romane, rivisitate nei secoli a seconda della sensibilità con cui s’è guardato all’antico; quindi i risvolti del concetto di benessere in parallelo alla presa di coscienza del ceto borghese in tutta Europa. Le fasi più recenti, a partire da quella delle ideologie totalitarie, rivalutano fortemente i contenuti del termalismo dal punto di vista degli effetti benefici sulla salute della popolazione, imponendo alle strutture rapide espansioni e specializzazioni in senso medico. A questo s’accompagna pure un forte sostegno economico istituzionale. Conseguentemente, il successivo venir meno di queste ultime due condizioni – il taglio fortemente medico e la gestione pubblica – ha preparato il campo alla situazione odierna.
Col tramite del volume citiamo a nostra volta Paolo Portoghesi quando in Natura e architettura afferma che l’acqua è fonte inesauribile per l’architettura. La condizione attuale di autonomia d’ogni istituto termale, così come di gestione privata orientata aziendalmente al mercato, coincide ora disciplinarmente con la mancanza d’una tipologia consolidata in favore di certo eclettismo. Anche il particolare profilo dell’utente, il suo marcato desiderio introspettivo di questi tempi, così come la maggiore libertà offerta all’incipit del progetto d’essere scevro da condizionamenti preordinati, apre a possibilità interessanti ad edifici che possano derivare dalle specificità del luogo tratti decisivi del proprio carattere.
In questo senso il momento è significativo anche per i lapidei, e non solo dal punto di vista tecnico a risolvere il contatto fra acqua e pietra, ma poichè, riprendendo il testo, la direzione è quella di terme della reinterpretazione delle tecnologie tradizionali e del contesto, come riacquisizione di sè, della propria storia, del proprio equilibrio con l’intorno e la natura. Vals, ci ripetiamo, con la riabilitazione della tradizione del muro in quarzite locale e l’estensione a tutta la composizione delle suggestioni litico-visive del sito, ne è l’esempio.

terme_3.jpg
Premia, Verbania: in primo piano il basamento in serizzo su cui poggia il nuovo centro termale

[photogallery]terme_album_3[/photogallery]

di Alberto Ferraresi

(Vai al sito di Emilio Faroldi associati)
(Vai al sito delle Terme di Vals)
(Vai al sito delle Terme di Premia)

commenti ( 0 )

12 Aprile 2008

Ri_editazioni

RACCONTI DI PIETRA*
Madre, Abbraccio, Casa, Forza, Silenzio, Rispetto, Bellezza, Architettura, Unicità, Patrimonio non rinnovabile

bellezza.jpg
Foto Palmalisa Zantedeschi

Bellezza
Bellezza e bello sono termini che usiamo comunemente per indicare qualcosa che ci “piace” e ci “intriga”, a cui attribuiamo implicitamente valore e qualità.
Bellezza come entità ideale, o materiale, capace di attrarre e, non infrequentemente, di sedurre.
Bellezza posta a rappresentare, a volte, fonte di desiderio e di possesso personale ma altre volte disponibile ad offrirsi generosamente a chi è capace di goderne a distanza, esperienza fra le più sagge e raffinate degli uomini.
Bellezza femminile, bellezza delle nuvole, bellezza degli astri, bellezza delle specie vegetali, bellezza degli animali, bellezza del movimento.
Bellezza delle cose inanimate e ferme.
S rimane spesso affascinati dalla bellezza della materia naturale, nuda, non artefatta che ci consente di avvicinarci allo stato originario delle cose.
Risiede qui forse il “nocciolo duro” della bellezza; la bellezza inviolata da ogni segno modificatorio dell’uomo, libera da sovrastrutture interpretative.
Più di ogni altra sostanza, la pietra partecipa di quella bellezza aurorale, incontaminata, danzante sull’epidermide affiorante del mondo. Una bellezza pronta a rigenerarsi lungamente anche quando la vita della materia è costretta a subire le erosioni del tempo o le azioni trasformative dell’uomo.
Amiamo questa forma di bellezza molto particolare; bellezza sobria e pacata, trasmessa dalla materia monografica in sè che ci richiama e ci fa sentire avvinti dall’essenza delle cose.
La vicinanza alla materia ci allontana dalle forme e ci suggerisce di approfittare del “contatto” dove il vedere, toccare, sentire, odorare, soppesare mette in risonanza i nostri sensi.
Questa prossimità consente di trasformare la realtà fisica in emozioni, a volte sublimi: “La magia del reale è… quell’alchimia che trasforma le sostanze materiali in sensazioni umane, quel momento particolare di appropriazione emotiva o di trasformazione della materia e della forma presenti nello spazio architettonico.”1

Alfonso Acocella

Note
* Racconti di pietra, testi di Alfonso Acocella e Nicoletta Gemignani, foto di Palmalisa Zantedeschi
1 Peter Zumthor, “La magia del reale“, Lectio Magistralis svolta il 10.12. 2003 per il conferimento della Laurea Honoris Causa conferita all’architetto svizzero dalla Facoltà di Architettura di Ferrara.

commenti ( 0 )

12 Aprile 2008

Principale

TIRANA AND COLORE

tirana.jpg
Clikka sull’immagine per scaricare il pdf

TIRANA AND COLORE
Energia urbana

La rivoluzione architettonica della città albanese degli ultimi anni, il significato del colore nel rinnovamento urbano e la creatività di giovani writers animano il nuovo appuntamento degli Aperitivi di Architettura di A18. Paolo di Nardo, direttore editoriale di AND, in occasione dell’uscita del numero 11 della rivista, dal titolo Tirana AND Architettura Balcanica, inaugura a nuova mostra dello spazio A18: Tirana AND Colore.
Il colore diventa segno del rinnovamento della capitale albanese. L’uso diffuso di superfici colorate sulle facciate degli anonimi palazzi cittadini rappresenta, infatti, il desiderio della città di trovare, attraverso un linguaggio immediato ed accessibile, una propria e nuova identità culturale.
Una dimensione contemporanea che possa coesistere con l’identità storica del paese e rappresentare uno stimolo vitale per l’ulteriore sviluppo. Tirana AND Colore racconta questo fenomeno attraverso una esposizione fotografica, la proiezione del video Dammi i colori dell’artista albanese Anri Sala e le stampe di Gianluigi Tarantola. L’inaugurazione, inoltre, sarà animata da un happening di writers che attraverso la creazione non casuale di un murale, improvviseranno un’opera d’arte legata alla città in linea con il fermento tipico di Tirana.

Inaugurazione: 17 aprile 2008, dalle ore 19,00
via degli Artisti, 18r Firenze
Mostra: 18 aprile – 13 maggio 2008
h. 10.00-13.00; 15.00-19.00

commenti ( 0 )

12 Aprile 2008

Principale

Filosofia e Architettura

filoarch.jpg
Clikka sull’immagine peringranire il poster

Lunedì 28 Aprile 2008, ore 16
Firenze, Sala Ferri, Gabinetto Viesseux, Palazzo Strozzi
5° incontro della serie “La Filosofia e l’altro”

Filosofia e Architettura
Architettura e produzione di senso

A cura di Patrizia Mello
Interventi di
Ubaldo Fadini, Massimo Ilardi e Patrizia Mello

PRESENTAZIONE
Tra i percorsi del pensiero contemporaneo indagati dal gruppo di lavoro “Quinto Alto”, quello dedicato al rapporto tra Filosofia e Architettura è l’ultimo di una serie che ha visto chiamate in causa la letteratura, il cinema, la pittura, il teatro.
Come scrive Gilles Deleuze, “l’arte comincia non con la carne, ma con la casa; per questo l’architettura è la prima tra le arti”. E per quanto riguarda la forma, “l’architettura più ricercata non cessa di costruire e congiungere piani e lembi. Per questo la si può definire una “cornice”, un incastro di cornici diversamente orientate che si imporrà alle altre arti, dalla pittura al cinema. L’affresco nella cornice del muro, la vetrata nella cornice della finestra, il mosaico nella cornice del pavimento sono stati visti come altrettante tappe della preistoria del quadro”.
Attualmente, in particolare nel nostro Paese, il dibattito sull’architettura si limita più che altro ad evidenziare possibili incongruità estetiche tra l’architettura e il resto della città, in qualche modo avvalorando il fatto che il resto della città abbia una forma “gradevole”, tale da dover essere preservata, magari dal grattacielo di un architetto un po’ troppo creativo. Mentre se si tratta del centro storico, il problema è il solito: tenerlo intatto, e nel frattempo procedere senza ritegno alla sua volgarizzazione estrema, così da tramutare i nostri amati centri storici in luoghi di culto per lo shopping a 5 stelle.
Ma basterà allungare lo sguardo sui lembi delle nostre città, dove quegli stessi grattacieli saranno costruiti, per accorgersi che l’architettura ha perso tutto il suo prestigio, che si tratta al massimo di edilizia, e che alla gente è stato veramente offerto poco. A Firenze neppure un progetto di pensiline per gli autobus, attualmente davvero deprimenti, mentre si sprecano energie nei referendum per la tramvia. Magari venisse offerto un nuovo grattacielo in grado di bucare l’orizzonte di paesaggi urbani piatti di idee, ma soprattutto di ideali! Per lo meno ognuno potrebbe di nuovo posare lo sguardo su qualcosa.
Questa si chiama produzione di non-senso.
Come scrive Fèlix Guattari, “l’oggetto dell’architettura ha perso il suo splendore”, poichè hanno prevalso i giochi politici, gli antagonismi economici, sociali e regionali.
Questo incontro di studio con la partecipazione di un architetto (chi scrive), un filosofo, e un sociologo, intende rimettere in campo alcune delle questioni lasciate in sospeso che riguardano l’architettura, proprio a partire dal confronto con la filosofia, campo disciplinare aperto sulla realtà, che ne estrapola visioni caratteristiche, forme di attrazione, deviazioni, intrinseca bellezza, disponibilità al dialogo.
Innanzitutto bisognerebbe riprendere in mano la sostanza dell’architettura, confrontarne il divenire rispetto alla realtà contemporanea, alle vicissitudini del contemporaneo. In questa direzione, l’incontro con l’Altro potrebbe essere produttivo.
Diversamente, si tratta di indagare sulla realtà di una disciplina che sta perdendo terreno mentre bisognerebbe contribuire a valorizzarne il tema della “cornice” come quello più adatto a ritagliare futuro, a catturare gli sguardi, mentre nello stesso istante i pensieri liberano energia, s-fuggono in ogni direzione e la cornice ne amplifica il ricordo.

Patrizia Mello

Ubaldo Fadini – La città deterritorializzata
L’idea-base di questo intervento è che la città abbia sempre costituito una sorta di sfida alla elaborazione filosofica e ciò a partire dalla sua ragion d’essere fondamentalmente “deterritorializzante”, per riprendere la terminologia concettuale di Deleuze-Guattari. Non è un caso, allora, che alcune delle riflessioni più stimolanti sul “caosmos” urbano provengano da pensatori “eccentrici”, particolarmente “fissati” sulle irregolarità “regine” del moderno: ad esempio, Alfred Sohn-Rethel, per non parlare di Walter Benjamin, ai quali sono dedicate alcune parti del contributo. Anche a partire da tale eccentricità, alla quale dà un suo contributo di spicco Guy Debord, è possibile sviluppare una critica della “geografia umana”, delle scritture ordinate e (auto)-controllate, delle rappresentazioni (in fondo comunque di “pericolo”…) proprie del discorso urbanistico, che non riescono a cogliere pienamente quelle “intensità” urbane che fanno delle città metropolitane una macchina proliferante, una sorta di dismisura mobile, con i suoi appunto ingordi interessi speculativi e i suoi soggetti costitutivamente fuori misura.

Ubaldo Fadini, insegna all’Università di Firenze, occupandosi, prevalentemente, di estetica e di antropologia filosofica. Tra le sue ultime pubblicazioni, si segnalano: Sviluppo antropologico e identità personale. Linee di antropologia della tecnica (Dedalo, 2000), Figure nel tempo. A partire da Deleuze/Bacon (Ombre corte, 2003), Soggetti a rischio. Fenomenologie del contemporaneo (Città Aperta, 2004), Le mappe del possibile. Per un’estetica della salute (Clinamen, 2007). Ha curato con A. Zanini, Lessico postfordista. Dizionario di idee della mutazione (Feltrinelli, 2001) e con A. Negri e C. T. Wolfe, Desiderio del mostro. Dal circo al laboratorio, alla politica (Manifestolibri, 2001). Ha tradotto e curato, tra l’altro, testi di T. Lessing, T. W. Adorno, A. Gehlen, H. Plessner, P. Virilio, G. Deleuze. Fa parte dei comitati di redazione e dei comitati scientifici delle riviste “Fenomenologia e società”, “Iride”, “Millepiani”.

Massimo Ilardi – teoria, progetto e territorio
Per il progetto di architettura dove si situa oggi il terreno della ricerca? Il progetto sembra avere davanti a sè tre direzioni: o si rivolge, operando sull’immagine per mezzo dell’immagine, all’individuo sociale plasmato e governato dal mercato con la conseguenza di trasformarsi in design perchè sempre più associato a operazioni economiche e di marketing che esaltano il valore comunicativo (e cioè la logica dell’et…et e non dell’aut…aut) ed estetico della merce; oppure lavora sulle questioni della pura forma sganciata da ogni funzione e contenuto, decidendo così di liberarsi della realtà evitandone ogni compromesso e rifugiandosi in discussioni concettuali sulla natura dell’architettura; o, infine, decide di mantenere il suo carattere fenomenologico e di radicamento nell’esperienza valorizzando drasticamente la sua funzione che è quella di creare territorio dove mettere a confronto attori istituzionali e sociali per spingerli verso un nuovo ma mai definitivo equilibrio, senza per questo implicare un radicale cambiamento della struttura economica.
Scrive l’architetto svizzero Peter Zumthor che la realtà dell’architettura,”il nocciolo vero e proprio di ogni compito architettonico”, risiede nell’atto del costruire. L’architettura non è nè messaggio nè segno, ma è “ciò che si è fatto forma, massa e spazio.” E Franco Purini: “La propensione per l’ibrido, per l’indeterminato, per il discontinuo, per l’interrotto e il frammentario, è costretta a confrontarsi con la constatazione che ogni azione progettuale, seppure la più anarchica e imprevedibile, produce ordine e misura.”
Assumiamo queste affermazioni come un buon punto di partenza per la riflessione perchè non c’è nulla di più vero del fatto che l’architettura non è solo astrazione o gioco virtuale ma ha bisogno di punti fermi che la inchiodino al suolo per individuare il suo campo d’intervento dentro l’esperienza e l’organizzazione urbana.

Massimo Ilardi, insegna Sociologia Urbana presso la Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno, Università di Camerino. E’ direttore della rivista ‘Gomorra’. Le sue ultime pubblicazioni sono: Negli spazi vuoti della metropoli (Bollati Boringhieri, 1999), In nome della strada.Libertà e violenza (Meltemi, 2002), Nei territori del consumo totale. Il disobbidiente e l’architetto (DeriveApprodi, 2004), Il tramonto dei non luoghi (Meltemi, 2007)

Patrizia Mello – sul concetto di autonomia etico-estetica dell’architettura
L’intervento parte da una serie di considerazioni sulle possibili modalità di incontro tra filosofia e architettura, per arrivare in ultima analisi a sottolineare la necessità di una autonomia etico-estetica dell’architettura in vista di una effettiva produzione di senso, osservando come una delle cause di maggiore dispersione di senso sia proprio il fatto che certa architettura contemporanea si adoperi per costruire significati a priori, tenendo il pubblico in una sorta di suspense del significato, perdendo di vista il fatto che – come ha recentemente spiegato il filosofo Koji Taki – “gli edifici devono essere significanti per se stessi”. Che cosa allora renderebbe l’atto progettuale significante per se stesso? In definitiva: quali i presupposti perchè si verifichi una autonomia etico-estetica dell’architettura?
In risposta a tali interrogativi vengono riprese idee e riflessioni di filosofi come Jean Baudrillard, Gilles Deleuze, Fèlix Guattari, Enzo Paci, Taki, di architetti come Jean Nouvel e Toyo Ito.

Patrizia Mello, si interessa di teoria del progetto contemporaneo, di architettura e di disegno industriale, argomenti su cui svolge attività di ricerca, con pubblicazione di numerosi articoli e saggi, organizzazione di convegni e incontri di studio. Insegna presso la Facoltà di Architettura di Firenze.
Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Philippe Starck. Progetti in movimento (Festina Lente, 1997), Spazi della patologia Patologia degli spazi (Mimesis, 1999), L’ospedale ridefinito. Soluzioni e ipotesi a confronto (Alinea, 2000), Metamorfosi dello spazio. Annotazioni sul divenire metropolitano (Bollati Boringhieri, 2002), Ito Digitale. Nuovi media, nuovo reale (Edilstampa, 2008), Design Contemporaneo. Mutazioni, oggetti, ambienti, architetture (Electa, 2008).

commenti ( 0 )

stampa

torna su