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2 Luglio 2008

Opere di Architettura

Complesso parrocchiale di San Giovanni Battista a Lecce (1999-2006)*
di Franco Purini e Laura Thermes

English version

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Il Centro Parrocchiale di San Giovanni Battista si trova nel Quartiere Stadio, un quartiere periferico di Lecce nel quale gli edifici residenziali di edilizia pubblica sono immersi in spazi relativamente vasti costituenti un grande deserto. Proprio a causa del carattere atopico del quartiere in cui sorge, il nuovo centro parrocchiale è chiamato a svolgere, assieme alla precedente piccola chiesa e al complesso degli impianti sportivi preesistenti, il ruolo di polo urbano e di segno di una comunità priva finora di convincenti elementi di riconoscibilità collettiva.
A questo scopo i volumi si raccolgono a definire una piazza pedonale, una corte interna e un hortus conclusus, un raccolto ambiente di meditazione questo che ospita un grande albero di ulivo. Questi spazi, in parte lastricati con pietra di Apricena a filo sega e bocciardata e in parte a prato, con la loro scala misurata contrapposta ai circostanti vuoti urbani privi di disegno, determinano un naturale luogo di richiamo e di accoglienza.

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Lo spazio dell’aula è uno spazio primario, a pianta quadrata di ventiquattro metri di lato, con accanto un’ala rettangolare che accoglie la sacrestia e la cappella feriale. In prossimità della bussola di ingresso è situato il battistero.
Nell’interno dell’aula è inserita una grande struttura trilitica, che interferisce in modo complesso con la geometria del quadrato, contraddicendone il valore di stabilità e solidità di cui è simbolo e suggerendo l’impressione che l’impianto regolare perimetrale sia un recinto costruito attorno ad una preesitenza solenne e misteriosa., un’arcana presenza ancestrale.

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Il sistema di membrature pilastri-travi, produce l’effetto di moltiplicazione e quindi di dilatazione della dimensione spaziale e individua un invaso centrale a tutta altezza di forma trapezoidale – come una crociera e un grande ciborio che attrae e raccoglie la comunità riunita attorno all’altare – e un anello di luoghi perimetrali di servizio ad altezza minore, che assumono in successione il valore di endonartece, navata laterale, deambulatorio.

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L’aula si presenta come una grande cavità che la pietra leccese del suo rivestimento fa vibrare attraverso l’illuminazione indiretta che penetra dalle fenditure operate nelle quinte murarie. La pavimentazione è in marmo rosso Asiago con ricorsi in pietra di Apicena.

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L’ingresso è costituito da un piccolo edificio autonomo che segnala architettonicamente il passaggio dallo spazio urbano al luogo del culto. Un spazio transitivo che si distingue dall’esterno intonacato dell’intero complesso parrocchiale per il suo rivestimento in pietra leccese e introduce per contrasto, con lo scarto diagonale della sua copertura, al respiro ampio dell’aula e sopratutto alla visione della struttura trilitica.

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La luce, una luce ontologica nell’intenzione dei progettisti, caratterizza lo spazio come luogo liturgico volutamente senza effetti scenografici e vuole simbolicamente rappresentare una dimensione altra. Essa scende dall’alto, a filo dell’intradosso della copertura, conferendo all’interno un senso di leggerezza e di espansione. Entra poi da un volume sospeso sull’abside per sottolineare la focalità del presbiterio e da sopra l’ingresso per portare una luminosità anche frontale sull’altare. Penetra infine da una finestra tridimensionale che articola plasticamente il muro perimetrale in corrispondenza del battistero, per marcarne il significato di luogo della rinascita dalle tenebre alla luce. La cappella con il tabernacolo ha un’illuminazione discreta, che esprime il senso di protezione e raccoglimento del luogo.

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Giò Pomodoro avrebbe dovuto disegnare gli arredi sacri, ma la morte lo ha colto prima che iniziasse il lavoro, che sarebbe stato sicuramente profondo ed emozionante. Armando Marrocco e Mimmo Paladino hanno interpretato con le loro diverse personalità di artisti il programma iconografico e lo spazio dell’aula: il primo ha disegnato gli altari, l’ambone e il seggio, l’altro le grandi vetrate, il portale in bronzo e il battistero.

SCHEDA DELL’OPERA

denominazione / project title
complesso parrocchiale di san giovanni battista a Lecce
committente / client
Arcidiocesi di Lecce
progetto / design period
1999/2000
realizzazione / construction period
2004/2006
progetto / architects
Franco Purini e Laura Thermes con Adriano Cornoldi
collaboratori e consulenti / project team
M. Rapposelli, A. Sdegno, L. Paglialunga, M. De Meo
liturgista /
don Roberto Tagliaferri
opere d’arte /
Giò Pomodoro (scomparso nel 2002), Armando Marrocco e Mimmo Paladino
progetto delle strutture / structural engineers
chiesa / church
ing. Enzo Pierri
campanile / steeple
ing. Andrea Cinuzi
direzione lavori / site team
Raffaele Parlangeli
impresa di costruzioni / building general contractor
Fratelli Marullo|Calimera (Le)
materiali lapidei utilizzati / stone materials employmed
marmo rosso Asiago, pietra di Apricena, pietra leccese
forniture materiali lapidei / stone supplier
Ditta Fratelli Pitardi|Melpignano
Ditta ZE.I.CO.MAR.|Trani
installazione materiali lapidei / stone placement
Fratelli Marullo|Calimera (Le)

AUTORI

Franco Purini, nato nel 1941, architetto, è professore ordinario di Composizione Architettonica e Urbana presso la Facoltà di Architettura Valle Giulia dell’Università La Sapienza di Roma.

Laura Thermes, architetto è professore ordinario di Composizione Architettonica presso la Facoltà di Architettura di Reggio Calabria.

Lo studio Purini/Thermes è operativo dal 1966: al suo interno sono stati affrontati sia temi architettonici sia complesse problematiche urbane. Tale ricerca si è espressa in un numero consistente di progetti, tra i quali numerosi concorsi nazionali e internazionali, ampiamente documentati sulle più importanti riviste italiane ed estere. Molti dei progetti relativi a città hanno come oggetto il rapporto tra segni permanenti ed elementi mutevoli. Tra questi si segnalano in particolare gli studi su Roma, Milano, Venezia, Postdam, Buenos Aires, Volos. Realizzazioni dello studio sono state selezionate in importanti premi internazionali di architettura, molti anche i lavori in corso di realizzazione ottenuti a seguito di concorsi.

Note
*Il testo è tratto dal volume di Domenico Potenza, Puglia di Pietra, Regione Puglia, Claudio Grenzi editore, 2007, pp. 143. Dalla pubblicazione e dalla mostra evento di Marmomacc 2007 intitolata “Puglia di Pietre” e curata dall’arch. Domenico Potenza pubblichiamo in maniera più didascalica ed esplicativa, le opere e i progettisti che fanno parte di questa prima “selezione d’autore”, articolando la descrizione nella presentazione dell’architettura realizzata, del luogo e del contesto in cui l’opera si colloca, dell’idea che ha generato la soluzione progettuale e soprattutto della tecnica e dei materiali utilizzati per realizzare l’opera con indicazioni fornite direttamente dagli stessi progettisti. Infine, una scheda della realizzazione chiude in maniera tecnica e sintetica tutto quanto c’è ancora da sapere sul progetto e sugli autori di cui viene editata una breve biografia scientifica.

A cura del Laboratorio Progetto Cultura, responsabile della comunicazione Giuseppe Di Lullo.

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29 Giugno 2008

Principale

Italo Rota

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Programma
2 luglio 2008

Promotori
Assessorato all’Urbanistica del Comune di Firenze
ANCE Toscana – Sezione Edile Confindustria Firenze
AND – Rivista di architetture, città e architetti

Organizzazione
AND – Rivista di architetture, città e architetti

Patrocini
Comune di Firenze
Università di Architettura
Università di Ingegneria
Ordine degli Architetti di Firenze
Ordine degli Ingegneri di Firenze
Comitato Grandi Infrastrutture di Ance Nazionale

Progetto Tradizione e Modernità
La città di Firenze si riconferma il luogo deputato e il nuovo Laboratorio per parlare di architettura contemporanea. In questo contesto si è attivata la stretta collaborazione tra l’Assessorato all’ Urbanistica del Comune di Firenze, la Sezione Costruttori Edili di Assindustria Firenze e la rivista AND che ha raggiunto il suo apice con la realizzazione di una serie di conferenze, tenutesi presso il Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, incentrate sulla visione dei più illustri architetti del nostro tempo – quali Jean Nouvel, Rafael Moneo, Roger Diener, Massimiliano Fuksas, Wolf D. Prix, William Alsop, Martin Haas per Behnisch & partners – sulle realtà urbane oggetto di scelte strategiche per far coesistere la modernità ed il loro essere città storiche. Firenze può in questo senso apparire come il luogo ideale, un nuovo laboratorio di idee, per aprire un dibattito su questi temi: attraverso
l’architetto contemporaneo si vuole gettare lo sguardo su una realtà urbana che sta effettuando delle scelte strategiche per far coesistere la modernità e il suo essere città storica, libro di pietra, luogo della memoria dalla fortissima connotazione medievale e rinascimentale.

Location
Firenze, Palazzo Vecchio, Salone dei Cinquecento

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29 Giugno 2008

Eventi

XXIII CONGRESSO UIA: WORKSHOP CON KENGO KUMA

English version

Precisa mission di Marmomacc, giunta quest’anno alla sua 43ª edizione, è attualmente l’attenta esplorazione delle variegate potenzialità offerte da un materiale dalle tradizioni antiche e prestigiose come quello lapideo.
Marmomacc promuove infatti la formazione, l’esposizione, l’editoria di settore, il design, premiando con cadenza biennale, da oltre vent’anni, le opere di architettura che maggiormente hanno saputo interpretare specificità del materiale e creatività contemporanea.
In quest’ambito appare di basilare importanza il rapporto che Marmomacc ha da tempo instaurato con i protagonisti della progettazione internazionale, cui dedica, in un’ottica sistematica di collaborazione e continuità, attenzioni e visibilità.
S’inserisce in questo percorso l’ormai consolidato rapporto che lega la fiera veronese a uno dei maestri dell’architettura giapponese: Kengo Kuma, insignito nel 2001 del Premio Internazionale Architetture di Pietra per l’innovativa suggestione che presiede allo Stone Museum di Nasu.
Se lo scorso anno Kuma è stato tra i protagonisti della prima edizione di “Marmomacc incontra il design”, consentendo al Casone di ottenere – grazie all’allestimento del proprio stand basato su un modulo lapideo di nuova concezione – uno dei tre riconoscimenti Best Communicator Award, consegnati nel corso della manifestazione, Marmomacc ha scelto proprio il raffinato, inconfondibile approccio del maestro giapponese per presenziare al prestigioso XXIII Congresso Internazionale degli Architetti UIA, che si terrà a Torino dal 29 giugno al 3 luglio.
Marmomacc, infatti, non solo utilizzerà il modulo espressivo creato da Kuma per Il Casone per allestire il proprio spazio dedicato alla formazione presso l’Oval – in cui saranno anche disponibili le pubblicazioni edite nel corso della sua più che quarantennale attività -, ma soprattutto presenterà il workshop dall’emblematico titolo “SOFT-STONE Origami di pietra” (30/06, h.17.00, Lingotto, Sala Londra), che consentirà al maestro nipponico di affrontare le molteplici declinazioni del tema litico proposte dalle sue opere.
Il workshop si pone nell’ambito di una presenza di Kuma al Cogresso UIA di Torino che lo vedrà tra i protagonisti della lectio magistralis di apertura e dell’incontro del giorno successivo focalizzato sul tema delle biblioteche.

(Vai a Marmomacc)

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28 Giugno 2008

English

XXIII UIA CONGRESS WORKSHOP WITH KENGO KUMA

Versione italiana

The precise mission of Marmomacc, the International Natural Stone, Design and Technology Exhibition this year celebrating its 43rd edition, currently focuses on detailed exploration of the variegated potential offered by a material boasting ancient and prestigious traditions such as natural stone.

Marmomacc, in short, promotes training, exposure, sector publishing and design by rewarding – every two years for more than twenty years – works of architecture that best interpret the specific character of this material and contemporary creativity.
In this context, the relationship that Marmomacc has long established with the protagonists of international design is fundamentally important by creating a systematic background for collaboration and continuity, attention and visibility.
This approach equally boasts consolidated relationships between VeronaFiere and one of the modern masters of architecture – Japanese designer Kengo Kuma who in 2001 received the International Stone Architecture Award for the innovative and lyrical impact of the Stone Museum in Nasu
Last year, Kuma was one of the protagonists of the first edition of “Marmomacc Meets Design”, when Il Casone won – thanks to the set-up of its stand based on a new stone module concept – one of the three Best Communicator Awards made during the Show. Marmomacc has now opted for the sophisticated, incomparable approach of the Japanese “maestro” as its hallmark for the prestigious XXIII UIA International Congress of Architects, scheduled in Turin 29 June-3 July.
Marmomacc, in short, will not only use the expressive module created by Kuma for Il Casone to set up its own space dedicated to training at the Oval – where publications covering more than forty years of activity will also be available – but especially to present the workshop with the emblematic title “SOFT-STONE Stone Origami” (30/06, 17.00, Lingotto, London Hall) where the Japanese master will discuss the multitude of stone themes involved in his projects.
The workshop comes within the scope of Kuma’s attendance at the UIA Congress in Turin where he will also be one of the protagonists of the inaugural “lectio magistralis” and the meeting on the following day focusing on libraries.

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27 Giugno 2008

Progetti

Un muro quasi di pietra
Valorizzazione urbanistica del centro di Custoza
di Carlo Palazzolo Architetto

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Custoza inquadrata dagli elementi della struttura muraria (foto Alessandra Chemollo)

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Tra la sponda meridionale del Garda veronese, il Mincio e l’Adige, ambiente, storia e cultura si incontrano in un paesaggio morbido e quieto di dolci colline, modellate dall’uomo e dalle stagioni in piccoli borghi, vigne dorate, campanili e cipressi, dove la vita pare essersi fermata ad un ideale passato, lontano dalla velocità delle grandi città. Sono le fertili terre originarie del Bianco di Custoza, le medesime del “quadrilatero”, scenario delle storiche battaglie tra austriaci e piemontesi. La memoria corre alle remote Guerre d’Indipendenza quando da queste sommità si fronteggiavano soldati e capitani; ed è proprio la collina e la casa solitaria dalla quale ha preso slancio la corsa del Tamburino sardo narrato da De Amicis, guardando verso SudEst, a scorgersi all’orizzonte inquadrata dalla prospettiva della nuova piazza centrale al paese di Custoza.
Custoza, frazione di Sommacampagna, ha una conformazione particolare: è un borgo non accentrato ma suddiviso in due nuclei, l’uno sulla sommità del colle a Nord, sotto la torre eretta a memoria degli episodi che videro il paese protagonista; l’altro opposto e rivolto a SudOvest, prominente rispetto alla pianura. Nello spazio intermedio si definisce un “vuoto” non-urbano, un avvallamento coltivato a vite, aperto, come scavato tra le due sommità che vi si affacciano.
È su questa area che l’architetto veneziano Carlo Palazzolo interviene con la discrezione di un progetto che trasforma tale spazio in luogo significativo, mantenendone l’ariosa spazialità, ristabilendo una connessione tra le aree circostanti e strutturando l’insieme.
La strategia è quella del ricucire le parti del borgo realizzando un percorso che è un ibrido tipologico tra strada, parco e infrastruttura allo stesso tempo, inserendo linee forti che disegnano il progetto ed un materiale significativo che va a costruirne l’architettura.

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Frammenti di porfido ricomposti in un’architettura essenzialmente di muri

Il progetto dell’ “Eno-parking” – parcheggio tutti i giorni, spazio attrezzabile a festa per le grandi occasioni – segue la geometria del sito: attesta alla strada principale lo spazio leggermente affossato perchè le automobili non dominino il paesaggio invece rurale. Sull’incrocio di strade che raggiungono il centro, la pensilina per l’autobus è un oggetto architettonico astratto, composto solo di muri e piani, unico elemento “costruito” dal quale partono le linee murarie che vanno a perimetrare il contesto. Un lungo muro segue la vallata, argina un percorso pedonale in salita che unisce i due lati del paese, proteggendo allo stesso tempo lo spazio coltivato intermedio. L’insieme raggiunge un effetto monolitico: un materiale unico costruisce sia gli elementi verticali che i piani orizzontali, lega il suolo alle strutture, conferendo il carattere di uno spazio scavato, emerso dal terreno stesso, già rovina nella sua scabra natura dall’apparente semplicità che cela una ricercata elaborazione esecutiva.
L’atto del costruire l’architettura ne esce con le sembianza di risultato di opere di scavo, come un’attività assimilabile a quelle che si compiono in una cava, eppure il gioco sottile del progetto avviene simulando la massività raggiungibile con la pietra naturale attraverso un conglomerato che ricompone materiali d’origine naturale in un composto artificiale. La conformazione complessiva diviene “mimetica” e consente l’interazione prudente col paesaggio circostante, reintegrando e valorizzando scarti di cava – frammenti di porfido trentino – attraverso il singolare uso del conglomerato di calcestruzzo realizzato in opera.

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Lo spazio funzionale alle attività del borgo, conservato e perimetrato dalla struttura muraria

Il calcestruzzo a vista, altrimenti noto per il suo grigiore, si fa qui “architettonico”, importante per il suo valore estetico, per la qualità cromatica e la lavorazione della superficie. Dopo aver condotto un certo di numero di prove, il progettista è giunto ad ottenere una “ricetta” per il getto di una pietra artificiale che mentre permette di ottenere l’effetto di un materiale connaturato col territorio, ne marca il contrasto evidenziando la sua natura di prodotto d’artificio. La miscela comprende cemento grigio, pigmento rosso di ossido di ferro e granulati lucenti e spigolosi di porfido, recuperati come ultimo sfrido di cava. Sfridi dell’attività estrattiva solitamente comminuti in pietrischi e sabbia per pavimentazioni e opere stradali, in questo caso tornano a dar vita ad un materiale per l’architettura.
Pastoso e liquido nella fase iniziale, il conglomerato cementizio si presta ad essere modellato seguendo le forme plastiche del progetto perchè capace di ricomporre frammenti rocciosi minuti e angolosi in un amalgama che lasciato indurire raggiunge un risultato alternativo alla pietra naturale, pur differendo radicalmente da essa.
La superficie delle opere murarie in conglomerato a base cementizia, suscettibili di numerose lavorazioni supplementari, in questo caso sono state oggetto della tecnica del “lavaggio”, ampiamente conosciuta per la lavorazione degli elementi prefabbricati, qui sperimentata sull’opera unica gettata in situ.

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La materia e la costruzione del muro

Le superfici orizzontali dei piani di calpestio sono terrazzate con semina manuale degli inerti; quelle verticali degli elementi murari portano alla luce i granulati con l’adozione di un prodotto ritardante: poco prima che il cemento faccia presa la superficie viene lavata affinchè struttura e colore degli inerti vengano alla luce, ottenendo l’effetto formale che, se osservati a distanza, afferma i piani murari come screpolate “pelli d’elefante” pesanti e granulose, come rocce appena sbozzate o costruzioni già in rovina.
Tecnica e naturalità si accordano, si incontrano nella successione delle ore del giorno ed il sole che attraversa la piana di Custoza da occidente a oriente, disegna il senso del tempo sulle forme del progetto, lo attraversa nelle sue aperture, diverso nei colori e riflessi che si leggono sulla pietra ricostruita, contribuendo ad avvalorare la qualità del paesaggio circostante.

di Veronica Dal Buono

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La forza materica del muro in porfido ricostruito

“ENO-PARKING”
per Comune di Sommacampagna
realizzazione 2006-07
progetto di Carlo Palazzolo, Venezia
con Linda Bagaglio, Lenia Messina, Giovanni Montina

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26 Giugno 2008

Eventi

Rafael Moneo
conferenza

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26 Giugno 2008

Eventi

Puglia di pietre
territori, materiali, architetture

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In occasione della XXIII° edizione del Congresso Mondiale degli Architetti promosso dall’UIA (Unione Internazionale degli Architetti), che si terrà a Torino dal 29 giugno al 3 luglio 2008, la Regione Puglia, Assessorato allo Sviluppo Economico, allestirà un proprio spazio espositivo istituzionale.
Presso il plesso dell’Oval, i visitatori potranno approfondire la conoscenza dei punti di forza del “Sistema Puglia”, sia in termini di produzioni locali di eccellenza che in termini di patrimonio architettonico.
Lo stand ospiterà la mostra “Puglia di Pietre” e “I Profili della Luna. Architetture delle donne in Puglia” che rappresenterà una serie di opere di architettura contemporanea che hanno visto l’impiego delle pietre naturali pugliesi.
E’ prevista inoltre la realizzazione di una “catalogoteca”, spazio nel quale le aziende pugliesi del settore lapideo avranno la possibilità di esporre i propri cataloghi tecnici e promozionali.

(Vail al post “Puglia di Pietre“)

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23 Giugno 2008

Design litico

Pietre Wabi-Sabi

English version

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La vasca Kobe disegnata da Hikaru Mori per PIBA Marmi.

“Nella tradizione del pensiero occidentale le questioni estetiche sono sempre state affrontate come una parte secondaria e accessoria della grande questione etica, unica che impegna l’individuo sulle grandi scelte esistenziali e religiose. L’arte non è che lo specchio visibile della morale, di cui fornisce testimonianza e a cui puntualmente rinvia. La tecnica non è che una vuota pratica costruttiva, che ha valore soltanto per i “contenuti” che la giustificano.
(…) Per il Giappone è vero esattamente l’opposto: la questione morale non è che una piccola parte della grande “questione estetica” della vita. A testimonianza della possibile armonia tra il mondo celeste e quello terreno, la morale dell’uomo giapponese (soprattutto nella tradizione shintoista) si esprime soprattutto nel costruire “bene” il mondo. Questa sorta di equilibrio cosmico non viene cercato nei mega progetti, ma nelle pratiche quotidiane e nei micro sistemi: nella precisione dei rituali domestici, nel rigore delle cerimonie pubbliche e private (…).
Il nostro è uno spazio illuminista e inquieto, limpido e cristallino (…); lo spazio giapponese invece è opaco, sereno, umido come le risaie e i canneti, poggiato su fondamenta galleggianti e guarda la Natura e i suoi cicli come parte della storia. (…) E’ nel design che questo latente “naturalismo” giapponese si rende più visibile; oggetti ibridi, opachi, quasi commestibili…”1.
Con queste parole, in un recente saggio, Andrea Branzi descrive con efficacia un modello filosofico, quello appunto del latente e pervasivo naturalismo che caratterizza la cultura giapponese ed è anche definibile come Wabi-Sabi. Tale approccio estetico nei confronti della realtà, sotteso ad un ben preciso stile di vita, da alcuni anni si è conquistato ampi spazi di apprezzamento nel gusto occidentale, facendosi sempre più strada e mutando profondamente il nostro modo di apprezzare i materiali, di pensare gli oggetti d’uso, di progettare e abitare gli spazi.
Il Wabi-Sabi cerca un equilibrio tra uomo e natura basato sul concetto di intuitività, proponendo un universo formale “morbido” e avvolgente che presuppone una percezione soffusa, sfumata e sfuggente, un mondo rilassante e appartato fatto di oggetti invitanti che chiedono di essere avvicinati, toccati, di entrare in relazione con essi.
Questo modello naturalistico assegna una netta prevalenza alla sfera intima, privata, personale rispetto a quella pubblica ed esalta l’esperienza del quotidiano, rivalutando la bellezza dei riti semplici legati alla dimensione domestica, alla cura dello spirito e del corpo. La pratica di un tale stile di vita presuppone una cultura materiale che stimola l’arricchimento e l’espansione delle esperienze sensoriali visive, tattili, olfattive, sonore2. Le superfici Wabi-Sabi sono così calde, opache, imperfette, screziate, esse si adeguano all’invecchiamento e all’usura dei materiali e la loro espressività si arricchisce con la contaminazione, l’ossidazione, la corrosione.
I materiali Wabi-Sabi sono la pietra, il legno, la ceramica, la carta e i tessuti naturali; i colori sono scuri, terrosi o vulcanici, o chiari come la canapa, i grigi argentei o sbiancati, o le tonalità intermedie della ruggine o del fango.

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Il lavabo Kyoto di Hikaru Mori nel padiglione PIBA al 42° Marmomacc di Verona.

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In questo contesto materico, cromatico e formale si collocano i prototipi di tre elementi per l’ambiente bagno progettati da Hikaru Mori e a breve disponibili nel catalogo PIBA Marmi. La vasca Kobe, il lavabo Kyoto e il piatto doccia Osaka, ideati dalla designer giapponese e realizzati dall’azienda di Chiampo, sono frutto di una concezione tutta contemporanea del prodotto di design, ormai distante dalla civiltà oggettuale nata con l’avvento dell’industrialesimo e totalmente calata nell’ambito di un rinnovato design artigianale di terzo millennio, in cui le alte tecnologie di lavorazione convivono con la sapienza tradizionale del fatto a mano, del pezzo unico fuori serie o della serie limitata, diversificata e, soprattutto, personalizzata3.
La vasca Kobe, dedicata principalmente ad un utilizzo professionale all’interno di SPA o centri benessere, è realizzata in marmo Nero Assoluto con lavorazione rigata sulla superficie esterna e finitura levigata grezza sulle parti interne. Il grande recipiente parallelepipedo è pensato per lasciar tracimare l’acqua che, scorrendo sulle pareti rigate, scende fino a terra dove si raccoglie in una caditoia per essere poi rimandata ad un sistema di ricircolo e depurazione. Le fitte scanalature orizzontali sulla superficie lapidea esterna amplificano l’effetto visivo di caduta dell’elemento liquido, mentre il colore grigio scuro della pietra a contatto con l’acqua diviene nero intenso.
Anche il piano lavabo Kyoto è realizzato in Nero Assoluto con finitura levigata grezza; l’acqua viene dapprima raccolta in un basso catino da cui successivamente tracima per scorrere in forma di velo continuo su di un piano leggermente inclinato, che la convoglia verso uno scarico a scomparsa.
Il piatto doccia Osaka è invece realizzato in Pietra di Fatima color latte; lo scarico dell’acqua avviene attraverso canali laterali che confluiscono al di sotto di una lastra rimuovibile; sul piano di calpestio sono presenti rilievi smussati per il massaggio plantare.
Tutti gli elementi, comunque personalizzabili nelle scelte materiche e nelle dimensioni, sono pensati e realizzati in funzione del loro rapporto privilegiato con l’acqua: essa scorre in continuo movimento sulla loro superficie e diventa parte integrante del loro design. L’elemento liquido si trasforma, da entità eminentemente funzionale diviene presenza emozionale che amplifica la percezione della pietra esaltandone la facies cromatica e tessiturale, invitando alla pratica di rituali d’interazione con l’oggetto o di contemplazione del suo aspetto in una dimensione di benessere globale.
Dalla rilettura contemporanea del patrimonio di oggetti ed ambienti della tradizione termale giapponese a cui chiaramente Hikaru Mori si ispira, nascono così tre nuove presenze per l’ambiente bagno, naturali nella sostanza materica e cromatica, essenziali e rigorose nelle forme, stimolanti nelle superfici lavorate sia con l’ausilio di macchine avanzate che con la magistrale finitura manuale dell’uomo; in Kobe, Kyoto e Osaka la pietra, custode della forza primigenia del mondo, trova un rinnovato connubio Wabi-Sabi con l’acqua purificatrice e rigeneratrice, fonte primaria di vita e di riconciliazione fisica e spirituale.

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Piatto doccia Osaka di Hikaru Mori per PIBA Marmi.

BIOGRAFIA HIKARU MORI
Nata a Sapporo in Giappone nel 1964, Hikaru Mori si laurea in architettura nel 1987 presso l’Università Statale di Tokyo Geijytsu Daigaku dove consegue anche, nel 1991, il dottorato di ricerca. Successivamente si trasferisce a Milano per frequentare il corso di specializzazione in architettura d’interni all’Istituto Europeo del Design; nella stessa città intraprende dal 1993 l’attività professionale in proprio, aprendo uno studio e occupandosi parallelamente di architettura e design.
Dal 1997 forma con Maurizio Zito il gruppo ZITO+MORI che opera nel settore della progettazione di opere di architettura, arredo urbano, verde attrezzato e allestimenti.
Hikaru Mori ha disegnato la collezione di lampade Iota per Nemo e per Lucitalia ha progettato Adam, innovativo sistema di piastre multiuso a soffitto in cui possono trovare alloggiamento una serie di servizi e corpi illuminanti di diverse morfologie; tra le sue principali realizzazioni di architettura si ricordano le cantine per l’azienda Feudi di San Gregorio nei pressi di Avellino e la cantina Bisceglia a Potenza4.

di Davide Turrini

Note
1 Andrea Branzi, “Il naturalismo del dopo-Kobe”, Area n. 84, 2006, pp. 22-25.
2 Si veda in proposito Leonard Koren, Wabi-sabi per artisti, designer, poeti e filosofi, Firenze, Ponte alle Grazie, 2002, pp. 92, (tit. or. Wabi-sabi for artists, designers, poets and philosophers, 1994).
3 Si vedano a riguardo le considerazioni contenute in Andrea Branzi, “Un museo diverso”, Interni n. 583, 2007, pp. 49-51.
4 Per le opere di Hikaru Mori si rimanda a: Stefano Casciani, “Se un giorno in primavera un avventore…”, Domus n. 880 – Speciale Convivialità, 2005, pp. 40-51; Maria Cristina Tommasini, “Calligrafia geometrica”, Domus n. 909, 2007, pp. 98-101; Vincenzo Pavan, Tre architetture con la pietra, Chiampo, PIBA Marmi, 2008, pp. 77.

Vai a: PIBA Marmi

Parallelamente alla editazione di questo post la sezione Lithospedia del progetto architetturadipietra.it si arricchisce di una nuova virtual gallery dedicata all’Interior Design. Tale archivio di immagini e schede tecniche nasce come spazio di conoscenza e informazione selezionata rivolto a progettisti e studenti interessati al mondo del design litico contemporaneo.
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20 Giugno 2008

Opere di Architettura

Centro incontri a Firenze (1998-2000)
di Fabrizio Rossi Prodi*

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Veduta prospettica dell’edificio e assonometria del contesto

Il meeting point, progettato nell’ambito degli interventi per il Giubileo del 2000, sorge, contestualmente ad un grande parcheggio scambiatore attrezzato, in prossimità dell’aeroporto fiorentino. Destinato ad accoglienza, informazione ed incontri, l’edificio comprende (su 1500 metri quadrati di superficie) sale riunioni, uffici, ambienti di ristoro, segreterie e altri spazi accessori.
Alla base dell’intervento vi è la volontà di segnare, con un elemento architettonico, una “soglia” urbana che non è più città ma non è ancora paesaggio naturale; un settore periurbano contrassegnato da un tessuto edilizio discontinuo, attraversato da reti infrastrutturali di comunicazione. La matrice di pensiero da cui si sviluppa il percorso progettuale di Rossi Prodi è programmaticamente annunciata nella presentazione dell’intervento: “la ricerca affronta l’antecedente storico, la trascrizione del paesaggio toscano, ordine composito di elementi distinti, forse una limonaia di villa, o un brano dell’Ospedale degli Innocenti che annuncia la città e accoglie, un impianto riferito alle strutture tipologiche lineari di questa città e poi la rinata frequentazione con l’identità figurativa dell’architettura toscana. Il carattere severo, schivo, spigoloso ma magnifico, la razionalità umanistica, la spazialità sobria e plastica, i volumi sodi, le forme pure della geometria (…), la durezza della pietra e i materiali terrosi, e infine l’impiego di procedimenti “a levare”, il ruolo della sezione nel progetto, anche come definizione figurativa dei fronti, in un paradigma che conferma la prevalenza della tettonica sui partiti figurativi”.1
Il risultato è una distribuzione lineare di spazi all’interno di un sobrio volume parallelepipedo di due piani a cui è anteposto un portico sviluppato per tutta l’altezza dell’edificio. I materiali che connotano l’aspetto dell’opera sono la pietraforte della tradizione fiorentina, che riveste le murature in filari di 38 cm a correre, e il legno per gli infissi e la struttura piana di copertura. La forza della logica costruttiva si esprime attraverso l’effetto di una compagine di blocchi giustapposti per dare forma all’architettura, di masse vincolate tra loro dalle sole leggi della gravità, come se fossero montate a secco.
La regola compositiva è sì figlia della storia architettonica locale ma, in prospettiva più ampia, mostra un legame diretto con i modelli antichi a cui guardano gli stessi architetti umanisti del Rinascimento fiorentino. L’impianto, caratterizzato da un netto prevalere dell’estensione longitudinale con un prospetto porticato su di un solo lato, è quello della stoà ellenica colonnata o, più raramente, pilastrata; con quel suo ritmo ieratico e severo, l’edificio fiorentino trova le sue origini più remote nel configurarsi delle tettoie lignee delle stoai arcaiche destinate alla protezione dei pellegrini in attesa di entrare nei santuari.

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Veduta prospettica dell’edificio e assonometria del contesto

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La lunga teoria di pilastri che si rincorrono assume forti valenze replicative, riunificanti alla fine dell’immagine architettonica.
Come il portico nell’antica Grecia limita e orienta l’agorà, conferendole il valore spaziale e sociale di luogo dell’incontro, così qui la pilastrata agisce da elemento ordinatore con caratteri di sobria monumentalità. Alle porte di Firenze, l’opera caratterizzata da un aspetto essenziale e severo, offre spazi flessibili nell’ospitare molteplici attività: accoglienza, riparo, riunione, scambio di informazioni.
Così, nel riproporre un’immagine stilizzata dell’archetipo, Rossi Prodi coglie appieno le potenzialità contemporanee del modello, dettando all’intorno unità di misura e coordinate spaziali.

di Alfonso Acocella

Note
* Il saggio è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624.
1 Fabrizio Rossi Prodi, Relazione di progetto (dattiloscritto inedito), s.d., p.1.

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20 Giugno 2008

English

The Meeting Point in Florence (1998 – 2000)
Fabrizio Rossi Prodi *

Versione italiana

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The Meeting Point, specifically designed for the 2000 Jubilee, was built, together with a large car park and interchange, not far from Florence Airport. Designed as a reception, meeting and information centre, the building (with a surface area of 1500m.) comprises various meeting rooms, offices, restaurants and bars, as well as a number of service areas.
The rationale underlying the building of the complex was the desire for an architectural creation that marked an urban “boundary” in an area that is no longer part of the city but is still not part of the surrounding countryside. A peripheral area characterised by a discontinuous series of buildings and crossed by a network of road and rail lines. The reasons leading Fabrizio Rossi Prodi to design this particular architectural complex were announced in his presentation of the project: “the study focused on past history, the recording of the Tuscan landscape, a composite order of separate elements, perhaps a villa’s lemon-house, or a section of the hospital (Ospedale degli Innocenti) announcing the beginning of the city and welcoming the visitor, a structure that reflects the traditional linear architecture of this city and the renewed interest in the figurative identity of Tuscan architecture in general. The severe, sharp-edged, yet magnificent style, the humanistic rationality, the sober, plastic spatiality, the compact volumes, the pure geometrical shapes (…), the hardness of the stone and the earthy materials, and finally the use of ‘removal’ procedures, the role played by section in the project – including its part in figuratively defining the façades – in a paradigm that confirms the prevalence of structural features over figurative ones”.1
The result is a linear distribution of spaces within a sober, parallelepiped volume on two floors, with a portico in front the same height as the building itself. The materials that define the appearance of the building are: traditional Florentine pietraforte, used to clad the walls in 38 cm. high courses, and wood, employed for the windows, doors and roof. The strength of the underlying constructive logic can be seen in the framework of juxtaposed blocks that lend shape to the structure, bound to each other by the sheer force of gravity as in a dry wall.
The composition is undoubtedly the product of local architectural history, although from a broader point of view it also displays a direct link with the ancient models that inspired the humanistic architects of the Florentine Renaissance. The structure, characterised by the clear prevalence of length over width and a portico running along one side of the building only, is that of the colonnaded (or sometimes pilastered) Hellenic stoa. With its solemn, stark rhythm, this Florentine building’s origins lie in the wooden porticoes of those archaic stoas built to protect pilgrims as they waited to enter the sanctuary.
The long series of pilasters lend a strong architectural identity to the construction. Just as the portico in ancient Greece defined the boundaries of, and oriented, the agorà (the meeting place or market), the pilasters act as structural organiser, with their sober, monumental character. Situated at the entrance to Florence, this building, with its essential, somewhat severe appearance, offers flexible spaces ideal for hosting a variety of functions: reception, meetings, the exchange of information and so forth.
Thus, in re-proposing a stylised image of an archetypal construction, Rossi Prodi has successfully managed to exploit the modern potential of this model.

Alfonso Acocella

Note
* The re-edited essay has been taken out from the volume by Alfonso Acocella, Stone architecture. Ancient and modern constructive skills, Milano, Skira-Lucense, 2006, pp. 624.
1 Fabrizio Rossi Prodi, Relazione di progetto (unpublished typed copy), p.1.

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