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1 Aprile 2009

Opere di Architettura

British Museum Great Court

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Scorcio della sala di lettura al centro della Great Court.

L’occasione del trasferimento della British Library nella nuova sede di St. Pancras ha creato le condizioni per un progetto di totale rifunzionalizzazione del British Museum curato da Sir Norman Foster tra il 1994 e il 2000. Al centro del museo, nella Great Court che dalla metà dell’Ottocento ospita la neogotica sala di lettura progettata da Sydney Smirke, Foster ha ideato una grande piazza coperta da una struttura vetrata e interamente pavimentata in lastre di un calcare iberico di colore chiaro e di grana finissima. Anche il volume cilindrico della sala di lettura è stato rivestito dello stesso litotipo e va a costituire il fulcro attorno a cui si sviluppano due nuove scalinate ellittiche che collegano i diversi livelli del museo.

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Sezione longitudinale del British Museum nell’immediato contesto urbano.

L’ampio spazio coperto agisce infatti da elemento connettivo e distributivo per i consistenti flussi di pubblico che attraversandolo possono raggiungere le diverse sezioni espositive, i servizi di ristoro e le nuove sale interrate destinate a conferenze e attività didattiche.
Il nuovo volto della Great Court è dominato da un’immagine di grande unitarietà; grazie al mantello di copertura trasparente, che come un velario lievemente rigonfio raccorda il volume cilindrico centrale con le facciate circostanti, e grazie al rivestimento litico continuo e omogeneo che fodera completamente le superfici verticali e orizzontali della piazza, le preesistenze e i nuovi spazi trovano un’organica fusione nel segno di un’atmosfera sobria, luminosa e rarefatta, caratterizzata dalla luce zenitale e dalla chiara dominante cromatica della pietra.

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Vista generale e progetto esecutivo del rivestimento lapideo della sala di lettura (rielaborazione grafica Davide Turrini).

Il ruolo dello spazio reinterpretato da Foster non si limita ad una rilettura dell’immagine architettonica e ad un riordino dei percorsi di fruizione museale ma, inscrivendosi in un più ampio progetto di riqualificazione urbana operato tra il 1996 e il 2003, diviene il baricentro di una potente operazione di valorizzazione e raccordo di luoghi chiave della cultura londinese come Covent Garden, Trafalgar Square e, appunto, il British Museum.
La consistente fornitura di pietra richiesta dal progetto di Foster per la Great Court è stata assicurata da Savema s.p.a., azienda di Pietrasanta leader nella escavazione e lavorazione dei lapidei. La realtà produttiva versiliese ha affiancato il team di progettazione sin dalla fase di redazione degli elaborati grafici esecutivi, mettendo in campo specifiche competenze tecniche nella ingegnerizzazione del progetto dei rivestimenti, delle pavimentazioni nonché delle scalinate di impianto ellittico che abbracciano la sala di lettura.

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Abaci di componenti in pietra realizzati per la Great Court del British Museum: in alto, esecutivi dei masselli per le pedate delle scale; in basso, sezioni di elementi da rivestimento curvi o angolati (rielaborazioni grafiche Davide Turrini).

Durante le operazioni di costruzione il cantiere è stato approvvigionato con oltre 10.000 metri quadrati di lastre da pavimentazione di geometria radiale e pezzi per rivestimenti verticali caratterizzati da facce concave o convesse di curvatura diversificata. A tali elementi si sono poi aggiunte le forniture di masselli per le pedate delle scale e di pezzi speciali per corrimani litici di sezione complessa.
La pietra calcarea scelta per la realizzazione è stata accuratamente selezionata per garantire caratteristiche estetiche e prestazionali ottimali, sia in termini di omogeneità cromatica che di resistenza strutturale e durabilità (data la collocazione in spazi ad elevata affluenza di pubblico). Dopo le operazioni di taglio primario e secondario, tutti gli elementi sono stati modellati con l’ausilio di macchine a controllo numerico e sono stati sottoposti ad un trattamento finale di levigatura.

di Davide Turrini

Bibliografia di riferimento
David Jenkins (a cura di), On Foster… Foster on, Monaco-Berlino-Londra-New York, Prestel, 2000, pp. 814.
Norman Foster, Deyan Sudjic, Spencer De Grey, Norman Foster and the British Museum, Monaco-Berlino-Londra-New York, Prestel, 2001, pp. 120.
Massimiliano Campi, Norman Foster. Il disegno per la conoscenza di strutture complesse e di geometrie pure, Roma, Kappa, 2002, pp. 169.
David Jenkins (a cura di), Norman Foster: Works, Monaco-Berlino-Londra-New York, Prestel, 2003, voll. 4.
David Jenkins (a cura di), Norman Foster: Catalogue, Monaco-Berlino-Londra-New York, Prestel, 2005, pp. 259.
Giovanni Leoni, Norman Foster, Milano, Motta, 2008, pp. 119.

Vai a:
Foster and partners
Savema s.p.a.

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30 Marzo 2009

Opere di Architettura

Domus Galilae a Chorazim, Israele
Kiko Arguello Wirtz / Rino Rossi

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Immagini tratte dalla rete

Come è noto vi sono realtà estere – ne sono un esempio i casi degli Stati Uniti o del Giappone – in cui il made in Italy davvero costituisce agli occhi dell’acquirente una condizione di particolare significanza commerciale. Pur essendo però la provenienza italiana un valore aggiunto generalmente riconosciuto nel mondo negli ambiti in cui intervengano l’artigianalità ed il sapere manifatturiero, forse non si direbbero sempre per primi i mercati mediorientali, come i bacini in cui questo dato potesse sempre fare maggiormente breccia. Con particolare riferimento all’area israeliana e palestinese, la consapevolezza di una storia millenaria e parimenti importante alla nostra, e pure l’eccezionalità della condizione legata alla presenza delle sedi religiose, risultano punti di contatto con la cultura italiana ma anche creano ragionevolmente i presupposti di un’orgogliosa possibile rivendicazione di autosufficienza.
Nel settore delle pietre poi, la presenza di materiali lapidei caratteristici locali è tale da connotare il volto di un’intera città come Gerusalemme, fino al punto di imporne in quota parte l’utilizzo nelle nuove costruzioni intervenenti nel centro storico.
Su queste premesse, quand’anche occasionalmente, la capacità di riuscire a convincere questo specifico mercato oltre confine costituisce per noi risultato ancora più significativo. In favore di aperture sovranazionali possono in effetti subentrare volontà di progetto orientate a richiamare episodi monumentali diversi da quelli tipici locali, come pure scelte di vincolarsi strettamente alle caratteristiche tecniche di una specifica pietra rispetto alle altre simili sul mercato, ma queste due condizioni da sole non paiono del tutto sufficienti a scardinare il banco delle materie prime autoctone in assenza di un adeguato sostegno dedicato di struttura aziendale.

Domus Galilae
Netta nel tratto e, se osservata da talune visuali, affiorante come pietra dura in superficie, la Domus Galilae vicino a Gerusalemme è una nuova occasione offerta al rivestimento litico parietale d’essere protagonista. Gli stilemi sontuosi occhieggianti alla tradizione locale e le connotazioni altre d’ispirazione più internazionale, anche di richiamo alle esperienze indiane di Khan, sono trattenuti in dinamico accordo dall’opera connettiva svolta della materia grigia arenaria.
Un monumento, un oggetto articolato vocato all’essere contemplato d’attorno, si completa qui di un ampio spazio verde perimetrale.
Il complesso abitativo affronta il tema della moltitudine di unità nell’unico edificio e si offre quale sistema urbano a sé stante; nelle sue profondità e nei suoi raccordi trovano spazio misurati intenti scultorei e riusciti accostamenti polimaterici, ora evocativi con l’intarsio, ora orientati all’immagine più innovativa mediante il ricorso alle tecnologie del cristallo.

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Il percorso centrale contenuto da setti lapidei (le immagini sono fornite da Il Casone)

Pietra serena e colombino levigati sono utilizzati entrambi, secondo il desiderio del progettista. E’ notevole, nella complessità dell’opera, il controllo del dettaglio.
Un primo esempio sono i tracciati segnati dai giunti di pavimentazione allo sbarco della scala monumentale, simmetrici rispetto al varco del camminamento. Allo stesso modo risultano simmetrici quelli fra gli elementi costituenti le pedate della scala contigua; particolarmente all’ultimo gradino d’ogni rampa, la tripartizione dei conci si ridistribuisce guadagnando l’intera dimensione del percorso compreso fra i due setti di contenimento.
Un secondo esempio è l’arco strombato: esso si compone a sua volta di sette differenti piani di profondità, cui corrispondono altrettanti autonomi archi lapidei tracciati su una geometria a tre centri, a ribadire significati di trinità religiosa. Oltre alla perizia tecnica di disegno e di realizzazione dei conci, s’evidenzia in questo caso l’impegno nel far sorreggere senza dissimulazioni i pesi propri e portati di materia dalle quattordici colonne sottili in base d’arco.
La vocazione più generale dell’intero complesso è religiosa. Alla prima realizzazione dai richiami formali d’accento kahniano, segue il completamento nell’adiacente costruzione del piccolo convento e della cappella del Santissimo posta al centro, a pianta circolare.
Al medesimo tempo connessione e cesura fra le due metà dell’intero intervento, scende da monte a valle l’ampio percorso pedonale su più livelli; i setti scalettati d’ordine gigante lo delimitano assecondando le linee di pendio naturale. Il progettista li riveste con conci regolarmente giustapposti per due corsi, cui sempre segue un corso con sormonto in mezzeria; poi la sequenza si ripete ordinatamente.
Le arenarie dell’Appennino tosco-emiliano fornite da Il Casone di Firenzuola, coerentemente con quanto allestito nei fabbricati a fianco, ancora cercano equilibri polimaterici; sono coinvolti allora i marmi bianchi, le fusioni dei metalli, il vetro e l’acqua. A ciascuno di questi è riservato specifico, singolo ruolo; alle arenarie grigie spetta invece quello di presenza dominante e caratterizzante. Il progetto indaga infatti, per i grigi di provenienza italiana, la gamma completa di applicazioni: abbiamo pavimentazioni esterne ed interne, rivestimenti di parete, poi addirittura coperture, oltre a vari elementi scultorei.
Questi ultimi, così come i conci posati a definire la copertura delle celle situate al perimetro del nuovo spazio aperto, tentano la reinterpretazione in chiave contemporanea delle geometrie orientali tipiche.
I piani pavimentali sono proposti con disegno regolare e costante delle lastre, senza diversità fra i conci nei differenti corsi di posa. Così facendo il calpestio predispone una piattaforma neutra da cui poter contemplare senza impedimenti il paesaggio naturale. Ci troviamo infatti di fronte ad un tempio sul mare, come a Tharros o Delfi.
Se dunque la prima parte dell’intervento risulta elemento scultoreo nel paesaggio pronto ad essere osservato dall’esterno, il suo completamento si offre come spazio contemplativo da cui finalmente potersi fermare ed ammirare l’intorno naturale.

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Alcune viste d’insieme dell’intervento (le immagini sono fornite da Il Casone)

di Alberto Ferraresi

(Vai alla pagina del progetto per la Bezalel Academy a Gerusalemme)
(Vai al sito Casone)

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26 Marzo 2009

English

The Leibnizkolonnaden in Berlin (1997-2000)
Designed by Hans Kollhoff *

Versione italiana

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Just a short distance from Berlin’s Kurfürstendamm, Hans Kollhoff, aided by Helga Timmermann, has created a truly rigorous work of architecture that has conferred a strong identity on what had previously been an empty, substantially forlorn urban space.
Kollhoff’s two compact structures have clearly defined two sides of a new square, which they separate from the exisiting buildings on either side. This square, named the Walter Benjamin Platz, forms a wide pedestrian zone joining two of the major roads in the Charlottenburg quarter of the city. On the Leibnizstrasse side of the square, a series of fountains arising out of the granite-slabs of the concourse drown out the noise of passing traffic. The walls of this newly-created space are constituted by the continuous façades of the two opposite buildings, some 100 metres long and 20 metres tall, creating a lengthy vista.
Each of the two buildings incorporates a variety of spaces with either commercial, residential or entertainment functions, and each consists of a different number of floors (seven or eight), layout and structural arrangement (frames or seven reinforced concrete load-bearing structures). This differentiation gives rise to two symmetric, yet not identical, façades, whose structural scansion of perspectives often varies, although it always remains within a commonly-shared framework dictated by the continuous eaves (surmounted by a low attic) and by two identical, ground-floor colonnaded porticoes.

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The columns, which constitute a kind of gigantic order rising the height of the first two floors of each building, contribute to the static design of the whole, and together with the lesenes and strings on the upper floors, they stress the plastic thickness of the façades. The division of the façade has a strong chiaroscuro character, created by the great monolithic columns and the large grey, sandstone facing slabs positioned in a layered pattern. In the words of Kollhoff himself: “we no longer build with heavy, roughly-hewn stone. The stone we use comes in slabs three to six centimetres thick (…). The arrangement of these slabs on the façade may be based on either of two opposing principles. The first is to consider the building as an abstract cube (…). The second is to treat the building in an objective manner: the slabs have to be arranged according to a structural principle (…). Following a structural process, besides the long-forgotten forms of expression, other possibilities emerge which go beyond the mere question of distribution of weight, and focus on the relationship with Man’s physical presence. This is why we suggest – above all in the square, where the building is no longer a volume but simply a surface – that when the façade is built, the covering be layered, thus working towards a raised effect. The facing slabs can be applied in a layered fashion, one behind the other, without any problem. The gaps get covered and the joints are only visible in the vicinity of the architrave. A subliminal architectural form gives a monolithic impression and offers that play of light and shadow that is so impressive before the stone is hewn”. 1
From this point of view, whereby the massive nature of the stone architecture is not “falsified” but updated in terms of its constructive “substance”, the monolithic appearance of the columns is also achieved thanks to a fruitful syncretism, a blend of reinforced concrete technology and the renewed practice of stone cutting.
A mixture of binders and marble grit is poured over a steel frame and inside a metal caisson, thus casting the shafts of the columns. The rough elements thus obtained are then worked on a large lathe to give them the perfect geometrical entasis that characterises the finished column. In a constructive process that sees the stone-mason’s skills replaced by the electronic precision of numerically-controlled machines, the shafts are further sanded and polished to give them a mirror-like finish that highlights the homogeneous granules of marble grit in the mixture.

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For Kollhoff, this series of 52 identical shafts, more than 6 metres high and with a maximum diameter of 76 centimetres, represents the quintessence of the contemporary column; a column with no base, given that it stands directly on a stone platform – one that evokes the classical stylobate – and with no capital, ending as it does in a simple annulet. In this extreme synthesis of the new forms of a stylised architectural order, the classical entablature sequence of architrave, frieze and cornice is also present in a reduced form, consisting of a simple, slightly projecting combination of two flat bands and a crowning listel. The ancient triglyph is evoked in a square plate positioned along the axis of each column.

Notes
* The re-edited essay has been taken out from the volume by Alfonso Acocella, Stone architecture. Ancient and modern constructive skills, Milano, Skira-Lucense, 2006, pp. 624.
1 Hans Kollhoff, “Hofgarten am Gendarmenmarkt, Friedrichstrasse 79”, in Bauwelt no.7, 1997, p.300

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26 Marzo 2009

Opere di Architettura

Leibnizkolonnaden a Berlino (1997-2000)
di Hans Kollhoff*

English version

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Veduta della piazza filtrata dalle colonne

A Berlino, nelle immediate vicinanze del Kurfürstendamm, Hans Kollhoff, coadiuvato da Helga Timmermann, è il protagonista di un gesto architettonico di grande rigore conferendo una forte identità ad un vuoto urbano per troppo tempo abbandonato ad uno stato di assoluta provvisorietà.
Grazie a due edifici dal carattere compatto, Kollhoff definisce due testate raffrontate, una coppia di margini regolari chiudenti posti a separare il tessuto edificato esistente da una nuova piazza. Si tratta della Walter Benjamin Platz che come un ampio corridoio pedonale congiunge due delle principali arterie del quartiere di Charlottenburg. A delimitare la piazza verso la Leibnizstrasse, schermando con lo scrosciare dell’acqua i rumori del traffico, è una serie di fontane che “nascono” dal piano pavimentale realizzato in grandi piastre di granito. A dar forma alle pareti dell’invaso spaziale, individuando una lunga fuga prospettica, sono le cortine continue di facciata dei due edifici contrapposti, sviluppate per oltre 100 metri di lunghezza e 20 metri di altezza.
All’interno di ognuno dei corpi di fabbrica sono ospitate diverse funzioni, da quella residenziale a spazi per il commercio e le attività ricettive; così come diversi sono il numero dei piani (sette o otto livelli), la distribuzione planimetrica e il dispositivo strutturale (telai o setti portanti in cemento armato). Tale differenziazione dà vita a due facciate simmetriche ma non identiche, dove il tema comune della scansione tettonica dei prospetti è sì frequentemente variato, ma rimane sempre e comunque inscritto in un regola generale, dettata dalle gronde continue (sormontate da un breve attico) e da due, eguali, portici colonnati terreni.

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Planimetria e sezione trasversale dell’intevento

Le colonne che, in una sorta di ordine gigante, si sviluppano per i primi due piani di ogni edificio, compartecipano alla macchina statica dell’insieme e scandiscono, insieme con lesene e marcapiani ai livelli superiori, la spessa profondità plastica dei fronti. Si tratta di una partitura di facciata dalle forti valenze chiaroscurali, realizzata tramite colonne monolitiche e grandi lastre di rivestimento in pietra arenaria grigia posate a strati, così come efficacemente descritto dallo stesso Kollhoff: “oggi non si costruisce più con pesanti pietre sbozzate. La pietra che adoperiamo è in lastre di spessore da tre a sei centimetri (…). La disposizione delle lastre sulla facciata può seguire due principi opposti. Il primo è considerare l’edificio come un cubo astratto (…). Il secondo è trattare l’edificio oggettivamente: le lastre vengono articolate secondo un principio tettonico (…). Seguendo il procedimento della tettonica si aprono, oltre a quelle ormai dimenticate, altre possibilità di espressione dell’edificio, superando il semplice tema della distribuzione dei carichi, ma riportando in primo piano la relazione con la fisicità dell’uomo. Per questo noi consigliamo – soprattutto nell’isolato, quando l’edificio non si presenta come volume ma semplicemente come superficie – di costruire la facciata posando i rivestimenti a strati, cioè lavorando sull’effetto di rilievo. Le lastre di rivestimento si possono traslare una dietro l’altra senza problemi. Le tolleranze vengono coperte, le fughe delle giunzioni sono inevitabili solo nella zona dell’architrave. Con una forma architettonica sublimata si ottengono l’immagine monolitica e il gioco di luce e ombra che tanto ci impressionano della pietra prima che venga tagliata”.1
In quest’ottica che non falsifica la massività dell’architettura litica ma ne aggiorna la “sostanza” costruttiva, anche la monoliticità delle colonne è ottenuta grazie ad un fruttuoso sincretismo che fonde la tecnologia del calcestruzzo armato e una pratica rinnovata della scienza stereotomica.
Attorno ad un’armatura d’acciaio e all’interno di una casseratura metallica, viene gettato un impasto di leganti e graniglie di marmi diversi per dar vita ai fusti delle colonne. Gli elementi grezzi così ottenuti sono poi lavorati su di un grande tornio che, asportando materiale, conferisce alle colonne l’entasi geometricamente perfetta che le caratterizza. In un processo costruttivo che vede la perizia artigianale degli scalpellini sostituita dalla precisione elettronica delle macchine a controllo numerico, i fusti sono poi ulteriormente levigati e lucidati sino ad ottenere una superficie specchiante che evidenzia la granulometria omogenea degli inerti di marmo dell’impasto.

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Rielaboazioni grafiche di facciata e colonna

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Così in questa teoria di 52 fusti tutti identici, alti oltre 6 metri con un diametro massimo di 76 centimetri, Kollhoff trova la quintessenza della colonna contemporanea, mancante della base perché appoggiata direttamente su di una pedana litica che evoca lo stilobate classico e priva di capitello in quanto conclusa, in cima, da un semplice collarino. In questa estrema sintesi che vuole distillare le nuove forme di un ordine architettonico stilizzato, anche la successione classica di architrave, fregio e cornice della trabeazione è presentata come semplice progressione in leggero aggetto di due fasce piatte e di un listello terminale. Dei triglifi rimane una memoria in una piastra quadrata posta sull’asse di ogni supporto colonnare.

di Alfonso Acocella

Note
* l saggio è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624.
1 Hans Kollhoff, “Hofgarten am Gendarmenmarkt, Friedrichstrasse 79”, Bauwelt n.7, 1997, p.300 (traduzione italiana Annegret Burg, Kollhoff, Berlino, Birkhäuser, 1998, pp. 190-191).

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25 Marzo 2009

Principale

Architetti Bologna a Restauro 2009

L’Ordine degli Architetti di Bologna partecipa con un proprio stand al Salone del Restauro della Fiera di Ferrara, 25-28 marzo 2009. Prossimamente pubblicheremo il programma delle iniziative che svolgeremo durante la manifestazione. Per informazioni sul Salone e sul Programma consultare il sito

Scarica il Programma

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25 Marzo 2009

Principale

Il restauro di Palazzo Tassoni a Ferrara

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IL RESTAURO DI PALAZZO TASSONI A FERRARA
Sinergie di progetto con metodologie per il recupero ed il restauro di tipo innovativo

Sabato 28 marzo ore 10.0
Sala Massari, I piano, atrio

Restauro 2009 – Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali – Ferrara Fiere

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24 Marzo 2009

Principale

Architettura Energia

archienergia
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ARCHITETTURA ENERGIA
Il restauro energetico degli edifici storici

Venerdì 27 marzo ore 14.30
Sala Schifanoia, pad. 2

Restauro 2009 – Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali – Ferrara Fiere

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24 Marzo 2009

News

REGOLA E SOSTENIBILITÀ
Lectio Magistralis di Gilles Perraudin

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GILLES PERRAUDIN
REGOLA E SOSTENIBILITA’

LECTIO MAGISTRALIS|MERCOLEDI’ 1 APRILE 2009|ORE 11|
AULA MAGNA

via Quartieri 8

Corso di COSTRUZIONI IN PIETRA|a.a. 2008-2009|Prof. ALFONSO ACOCELLA, Prof. VINCENZO PAVAN
Corso di STORIA DELL’ARCHITETTURA CONTEMPORANEA|a.a. 2008-2009|Prof. MARCO MULAZZANI

Saluti, prof. Roberto Di Giulio Direttore del Dipartimento di Architettura
Presentazione, prof. Vincenzo Pavan

Gilles Perraudin
Nato nel 1949, Perraudin si laurea nel 1977 all’Ecole d’Architecture di Lyon, città dove vive e lavora.
Inizia la propria attività progettuale, in associazione con Françoise Jourda, sviluppando una coerente linea di ricerca su edifici a struttura leggera e ad alto contenuto bioclimatico. Tra i più significativi di questo periodo l’ampliamento della Scuola di Architettura di Vaulx-en-Velin di Lioni, la residenza per studenti a Ecully, edifici dell’Università di Marne La Vallée, l’Emscher Park Academy di Herne Sodingen.
Contemporaneamente collabora con alcune grandi firme internazionali come Foster e Rice.
Nel 1998 fonda lo studio Perraudin Architectes con Elisabeth Polzella, e inizia una approfondita ricerca sulle strutture in pietra massiva utilizzando grandi blocchi di Pierre du Pont du Gard in una rigorosa disciplina costruttiva che caratterizza numerosi suoi edifici nel sud della Francia. Tra questi le cantine vinicole di Vauvert, Nizas e Solan, e il Centro Professionale “Marguerittes” a Nîmes.
Perraudin ha svolto attività didattica in diverse sedi accademiche:
Lione, Oslo, Huston, Copenhagen.
Attualmente insegna alla Facoltà di Architettura Languedoc-Roussillon a Montpellier.
È stato insignito di numerosi riconoscimenti e premi tra i quali Membro dell’Accademie Française d’Architecture; Primo premio al Concorso Europeo delle energie solari passive, 1980; l’International Award Architecture in Stone di Marmomacc, 2001; la Tessenow Gold Medal, 2004.

Leggi su Gilles Perraudin:
Gilles Perraudin intervistato da Mario Pisani
Centro scolastico a Marguerittes
Cantine vinicole a Vauvert
Gilles Perraudin, cantina per il Monastero di Solan

Gilles Perraudin sarà presente in Conferenza a Verona il 31 marzo 2009
Museo di Castelvecchio, Sala Boggian, ore 17,00

Scarica invito

Vai al sito di Facoltà

In collaborazione con

faf.jpg veronafiere_logo.jpg marmomacc1.jpg

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23 Marzo 2009

Principale

MAsp08 il progetto dello spazio pubblico

masp08

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23 Marzo 2009

News

Presentazione del volume
Case del Balilla. Architettura e fascismo

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Presentazione del volume
Case del Balilla. Architettura e fascismo
(Electa, Milano 2008)
di Rinaldo Capomolla, Marco Mulazzani, Rosalia Vittorini

Facoltà di Architettura di Ferrara
Mercoledì 25 Marzo 2009

Ore 17,30
La presentazione si svolgerà nell’Aula Magna
via Quartieri 8

Il libro presenta l’esperienza architettonica maturata all’interno dell’Opera nazionale balilla che, in poco meno di un decennio, tra gli anni ’20 e ’30 del Novecento, si è concretizzata nella realizzazione del complesso del Foro Mussolini (oggi Foro Italico) a Roma e in centinaia di edifici sparsi sul territorio nazionale: le case del balilla.
Si tratta di un tipo edilizio nuovo, destinato a divenire il luogo deputato alla formazione dei giovani negli anni del regime fascista. Considerata inizialmente poco più che una struttura di servizio –costituita da una palestra e, nelle città maggiori, attrezzata con biblioteca, cinema-teatro, piscina e campi da gioco all’aperto – la casa del balilla è oggetto, dai primi anni ’30, di un progressivo affinamento tipologico e formale. Nei progetti e nelle realizzazioni più significative di una nuova generazione di professionisti si possono cogliere i riflessi di una questione cruciale per le vicende dell’architettura moderna italiana tra le due guerre mondiali: la volontà di definire un canone per l’architettura del fascismo.
Il volume, che documenta per la prima volta e con materiali in grandissima parte inediti l’attività di questa organizzazione del regime, presenta negli apparati una schedatura di oltre duecento edifici costruiti o progettati per l’Onb, con riferimenti archivistici e bibliografici. La parte centrale del libro propone una selezione di architetture esemplari, opera di architetti quali, tra gli altri, Enrico Del Debbio, Luigi Moretti, Francesco Mansutti e Gino Miozzo, Adalberto Libera, Mario Ridolfi, Mario Cereghini, Gaetano Minnucci, Cesare Valle, illustrate da un cospicuo apparato iconografico originale.

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Tre scritti ricostruiscono il quadro dell’attività dell’Opera balilla, analizzando la vicenda edilizia nel suo complesso, le caratteristiche tecniche e tipologiche delle case e il ruolo di una committenza affatto particolare, attiva negli anni più significativi per comprendere i rapporti tra architetti italiani e regime fascista.
L’introduzione, affidata allo storico Emilio Gentile, colloca l’esperienza dell’Opera balilla nel quadro più generale del progetto totalitario della società italiana tentato dal fascismo.

Biografie degli autori

Rinaldo Capomolla è professore associato di Architettura tecnica presso il Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Roma Tor Vergata.
Marco Mulazzani è professore associato di Storia dell’architettura presso il Corso di laurea della Facoltà Architettura dell’Università di Ferrara. Dal 1997 è redattore di Casabella.
Rosalia Vittorini è professore associato di Tecnologia degli elementi costruttivi presso il Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Roma Tor Vergata.

(Vai al sito della Facoltà di Architettura di Ferrara)
(Vai al sito di Electa)

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