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4 Maggio 2009

Principale

FILOSOFIA E DESIGN

filosofia-e-design

Lunedì 11 maggio 2009, ore 16
Firenze, Sala Ferri, Gabinetto Vieusseux, Palazzo Strozzi
4° incontro della serie “La Filosofia e l’altro”

Filosofia e Design
Sul protagonismo degli oggetti

A cura di Patrizia Mello
Interventi di
Mario Costa, Patrizia Mello e Marco Zito

PRESENTAZIONE
Da quando l’utilità specifica degli oggetti e la propria soddisfazione personale sono diventati un tutt’uno, scavalcando il muto apparire delle cose, le implicazioni di natura antropologica ed estetica legate al mondo oggettuale si sono moltiplicate. Gli oggetti funzionano, infatti, non solo per la loro efficienza pratica ma anche affettiva e, negli ultimi tempi, con l’ingresso dell’elettronica, sono diventati forme di proseguimento dell’umana presenza, tanto da tratteggiare universi autonomi di operosità, di saggezza e di partecipazione visiva, seguendo il filo di un protagonismo sfaccettato, che necessita di nuove interpretazioni.
La scelta degli oggetti diventa sempre più un fatto di cultura personale che porta ciascuno a veicolare parte di sé anche attraverso di essi. In un certo senso, l’uomo, materia viva, declina parte della propria immagine personale al mondo inanimato e lascia che questo parli al proprio posto. Senza contare il legame forte con il territorio da cui gli oggetti provengono. Come scrive Aldo Colonetti, gli oggetti rappresentano una sorta di “DNA culturale” che identifica le persone, la natura, le contraddizioni di un determinato luogo.
L’attuale contesto di vita è puntellato da una miriade di oggetti tra i più diversi: da quelli in grado di interfacciarsi con l’umano in maniera ravvicinata nella sequenza di dialoghi intimi e prolungati (dall’iPod ai computer palmari), a quelli che continuano ad esaltarne gli aspetti glamour (divorando lo spazio intorno), a quelli che ne minano illusioni e certezze (alterando il sapore acre della carne), a quelli soporiferi (che godono di grande fortuna), a quelli che ne racchiudono parentesi di saggezza (come cariatidi sempre al posto giusto).
Ciò che scaturisce è la nascita di un ordine simbolico “oggetticale”, come lo ha definito Michel Maffesoli, che fa testo in proprio.
Diventa perciò necessario fermarsi a riflettere su tale dimensione vitale del design, valutando in maniera allargata la realtà degli oggetti nel quotidiano fluire dell’esistenza, come veicolo di comprensione dell’attuale complessità del sociale, dei mutamenti che ne attraversano il “divenire” in ambienti urbani extra large, troppo spesso disorientanti, distanti dal senso comune, lo stesso che possiamo leggere, invece, nel carattere colloquiale e facilitato degli oggetti di design.
Come afferma Andrea Branzi, oggi “il design può occupare una nuova centralità dentro alla questione urbana; i microsistemi su cui esso opera costituiscono l’unico plancton connettivo dell’ambiente costruito”.
Patrizia Mello

Mario Costa – Metamorfosi della cosa
Tutte le teorie della “cosa”, da Martin Heidegger a Jean Baudrillard, sono ora del tutto inutilizzabili: la neotecnologia ci mette di fronte a nuove cose digitali e comunicazionali, vere e proprie epifanie in grado di perturbare fortemente tutti i modi nei quali la “cosa” è stata pensata; tutto questo non può lasciare inalterato il “design”.

Mario Costa è uno dei protagonisti del dibattito internazionale sull’arte neo-tecnologica nel quale ha introdotto concetti come “sublime tecnologico”, “estetica della comunicazione”, “blocco comunicante”. È Professore Ordinario di Estetica all’Università di Salerno e Professore Incaricato di Estetica della comunicazione all’Università de Nice Sophia-Antipolis (DEES). È ideatore e direttore di “Artmedia”, seminario/laboratorio permanente di estetica, di media e di comunicazione attivo presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Salerno dalla fine degli anni ’70. Tra le sue numerosissime pubblicazioni, ricordiamo in particolare: Il sublime tecnologico (Edisud, 1990), La televisione e le passioni (A. Guida, 1992), Della fotografia senza soggetto. Per una teoria dell’oggetto tecnologico (Costa & Nolan, 1997; 2008 – nuova edizione ampliata), L’estetica dei media. Avanguardie e tecnologie (Castelvecchi, 1999), Dall’estetica dell’ornamento alla computerart (Tempo Lungo, 2000), Internet e globalizzazione estetica (Tempo Lungo, 2002), Dimenticare l’arte. Nuovi orientamenti nella teoria e nella sperimentazione estetica (Franco Angeli, 2005), La disumanizzazione tecnologica. Il destino dell’arte nell’epoca delle nuove tecnologie (Costa & Nolan, 2007).

Patrizia Mello – Uomini & Cose
Secondo Michel Maffesoli “gli oggetti hanno una funzione omeopatica: ci abituano alla estraneità della natura”.
È così che progressivamente ci siamo trovati davanti un mondo di cose, quantitativamente spiazzanti, le cui performance ancora oggi non finiscono di stupire, fino alla comparsa di quel “sex appeal dell’inorganico” di cui scrive Mario Perniola, traslando caratteri di pertinenza dell’umano al mondo inanimato delle cose.
Da ciò scaturiscono dialoghi eccentrici tra uomini e cose, dove i caratteri si mescolano, fino a creare alleanze tra le più singolari. Oggetti che sembrano avere un’anima, design senza muscoli, dispositivi in grado di animare lo scorrere del tempo tra un bip e l’altro…
Si tratta perciò di indagare somiglianze, dialoghi, interazioni, provocazioni di senso all’interno di questo processo di “cosificazione” del mondo.

Patrizia Mello, si interessa di teoria del progetto contemporaneo, di architettura e di disegno industriale, argomenti su cui svolge attività di ricerca, con pubblicazione di numerosi articoli e saggi, organizzazione di convegni e incontri di studio. Insegna presso il Corso di Laurea in Disegno Industriale della Facoltà di Architettura di Firenze.
Nel 1995 ha fondato e diretto, fino alla chiusura, IDEA. (Industrial Design Electronic Address), uno dei primi siti Internet di design esistenti a livello internazionale, ed il primo in Italia.
Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Philippe Starck. Progetti in movimento (Festina Lente, 1997), Spazi della patologia Patologia degli spazi (Mimesis, 1999), L’ospedale ridefinito. Soluzioni e ipotesi a confronto (Alinea, 2000), Metamorfosi dello spazio. Annotazioni sul divenire metropolitano (Bollati Boringhieri, 2002), Ito Digitale. Nuovi media, nuovo reale (Edilstampa, 2008), Design Contemporaneo. Mutazioni, oggetti, ambienti, architetture, Electa, 2008.

Marco Zito – Oggetti e Prodotti. dispositivi di mediazione
Ogni giorno ci relazioniamo con un sorprendente numero di oggetti, almeno tanti quanti sono gran parte dei nostri gesti quotidiani.
Centinaia di oggetti specializzati, spesso costituiti da più parti componenti, devono essere “compresi” e il loro funzionamento assimilato.
Un soggetto adulto riesce a distinguere fino a 30.000 oggetti. Appare dunque evidente che il compito del progettista è quello di semplificare la vita del cosiddetto “utente” grazie a una progettazione evoluta.
In che forma avviene l’inter-azione tra corpo umano e artefatto, quale il luogo di scambio, più o meno veloce, riflessivo o intuitivo, dei dati tradotti in azione?
La progettazione del prodotto avviene nell’intervallo che sta tra il modello di azioni iscritto nell’oggetto e il modello di azioni cognitivo-comportamentali presenti nella mente dell’utente.
Gli oggetti disegnati correttamente invitano, o meglio, autorizzano ad effettuare le operazioni lecite e coerenti nell’utilizzo dell’artefatto.
Come alcuni tra i designer storici e contemporanei interpretano l’oggetto d’uso in questo senso?

Marco Zito, 16.2.1966, architetto, laureato con Vittorio Gregotti allo IUAV nel 1994. Dal 1996 insegna presso la Facoltà di Design e Arti dello IUAV di Venezia, titolare di cattedra e collaboratore del prof. A. Meda. Docente presso il Corso di Laurea in Disegno Industriale, Università di San Marino. Docente invitato presso il centro di Disegno Industriale di Montevideo (Uruguay). Design Index ADI 2004, selezione per “Steelon”, produzione Viabizzuno. Pubblicato in Design Yearbook 2004 di Tom Dixon. Premio al trofeo del design per l’innovazione “Batimat 2005”, Parigi, il progetto “lettere” sistema illuminante, prodotto da Viabizzuno. Design Index ADI 2007, selezione per “lettere”, produzione Viabizzuno. Esposizione “New Italian design” collezione permanente del design Triennale di Milano. Collaborazioni con Agape, Viabizzuno, Salviati, Olivetti, Maxid, Deltacalor, Coin, Electrolux, Casamania. Lo studio, con sede a Venezia, si occupa di disegno del prodotto, allestimenti e architettura.

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4 Maggio 2009

News

Presentazione del volume
Tomaso Buzzi. Il principe degli architetti 1900-1981
Electa, Milano 2008
a cura di
Alberto Giorgio Cassani

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Presentazione del volume
Tomaso Buzzi. Il principe degli architetti
1900-1981
(Electa, Milano 2008)
a cura di Alberto Giorgio Cassani

Facoltà di Architettura di Ferrara
Mercoledì 6 maggio 2009

Ore 17,30
La presentazione si svolgerà a Palazzo Tassoni
via della Ghiara 36
introduce Marco Mulazzani

Tomaso Buzzi (Sondrio 1900 – Rapallo 1981) è una figura singolare nella storia dell’architettura italiana del Novecento. Dopo il 1945 divenne un maestro del gusto lavorando per le più note famiglie della nobiltà e dell’industria italiana, dai Volpi agli Agnelli, dai Cini ai Contini Bonacossi, interpretandone gli stili di vita e accompagnandone i riti mondani. Snob, dandy, partigiano, bibliofilo, colto, ironico e tormentato custode del bon-ton, Buzzi iniziò la sua carriera laureandosi a Milano nel 1923, entrando poi in contatto col gruppo del “Novecento milanese”, di cui facevano parte, fra gli altri, Gio Ponti e Emilio Lancia. Con loro Buzzi realizza, nel 1925-26, la sua prima opera importante, la villa L’ange volant a Garches (Parigi). Assieme al Club degli Urbanisti (Alpago Novello, De Finetti, Muzio, Lancia, Reggiori), Buzzi progetta la Forma Urbis Mediolani per il concorso del Piano regolatore di Milano nel 1926. Nel 1927 fonda la società di arredamento Il Labirinto: tra il 1932 e il 1934 è direttore artistico della Venini. Dal 1931, quando lavora per villa Vittoria di Contini Bonacossi, inizia il suo rapporto con la committenza aristocratica che conserverà nell’arco di tutta la sua carriera. Dal 1928 al 1934 pubblica diversi articoli sull’architettura del Cinquecento, su progetti contemporanei e sul tema dei giardini su “Domus” e su “Dedalo” di Ugo Ojetti. L’abbandono di tematiche moderne, a partire dalla metà degli anni Trenta, e la sua apertura verso una committenza d’élite determinano la fine dei rapporti con l’establishment architettonico ufficiale e l’inizio della sua damnatio memoriae protrattasi quasi fino ai nostri giorni. I suoi progetti d’ora in poi vengono pubblicati solo da riviste come “Vogue” e “Harper’s bazar”. Nel 1956 ha inizio l’avventura della sua opera più eccentrica e al tempo stesso più autobiografica, la Scarzuola, con l’acquisto di una chiesa e di un convento francescani del Duecento nei pressi di Montegabbione (in località Montegiove, Terni). Dopo averli ristrutturati per abitarvi Buzzi comincia a progettare e a far costruire la sua “città ideale”: costituita da sette teatri, pieni di rimandi all’architettura dal Quattrocento al Settecento, è una sorta di Museo della Memoria, cui Buzzi lavorerà incessantemente fino alla morte e che rappresenta una della pagine più bizzarre e singolari nella storia dell’architettura del Novecento.

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Il volume, curato da Alberto Giorgio Cassani, raccoglie i saggi di cinque specialisti che indagano la varia e complessa vicenda umana, artistica e professionale di Buzzi. Guglielmo Bilancioni ci restituisce l’altra faccia del Buzzi romito e solitario, quella cioè dell’uomo di mondo, appassionato collezionista e bibliofilo; Cassani esplora lo spessore erudito di Buzzi rintracciando il ricco retroterra della sua formazione, strettamente debitrice all’antico e ad alcune figure emblematiche di architetti, quali Serlio, Scamozzi, Palladio, Borromini, per giungere a Ledoux; Enrico Fenzi ripercorre la formazione letteraria e filosofica; il contributo di Alessandro Mazza si riferisce alla centralità del tema del giardino e al significato che esso riveste sul piano del costruire e del progettare come metafora della caducità del tempo, espressa dalla deperibilità dei materiali impiegati, come il tufo; la passione per le arti applicate viene indagata all’interno del libro da Paola Tognon.
Il volume è corredato da una biografia, dal regesto delle opere e da una aggiornata bibliografia critica. L’opera è impreziosita da un ricco apparto iconografico che offre un’ampia selezione di disegni tratti dall’archivio della Scarzuola e un suggestivo reportage fotografico sulla “città ideale” di Buzzi.

Sommario
Terremoto e Tragedia. Riti della festa e tensione mondana
Guglielmo Bilancioni

Antichi maestri, anime affini
Alberto Giorgio Cassani

La cultura di un architetto
Enrico Fenzi

La Scarzuola

Architettura e Cerimonia
Alessandro Mazza

L’“ideario” dell’ architetto
Paola Tognon

Apparati
Biografia
Alberto Giorgio Cassani
Regesto delle opere
a cura di Silvia Chiesa

Bibliografia
Indice dei nomi

(Vai al sito della Facoltà di Architettura di Ferrara)
(Vai al sito di Electa)

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30 Aprile 2009

Opere di Architettura

Due allestimenti di Frassinago18 al Sun di Rimini
Frassinago Lab

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Uno scorcio pavimentale realizzato con le arenarie d’appennino tosco-emiliano

A Bologna in via Frassinago 18 si trova, per dirla con le parole del suo sito, un contenitore di design, moda e contemporaneità a cui sarebbe davvero riduttivo associare l’etichetta di showroom. Non si tratta infatti di mettere in vetrina degli oggetti d’arredo, ma di sceglierli sulla base del contesto, in un modo in cui sia gli oggetti sia il contesto reciprocamente si esaltano. Gli scenari di questo contesto mutevole sono frutto dell’interpretazione di Frassinago Lab. Nel nome, il rimando al fare artigianale laboratoriale è senz’altro pertinente, ma non l’unico. Lab sta infatti anche per Landscape Architecture Bologna, con riferimento all’architettura del paesaggio, alla capacità di prefigurare scenari spaziali.
La monumentalità della pietra dei templi egizi è una delle immagini selezionate a rappresentare il repertorio emozionale dell’orizzonte di Frassinago, per cui il materiale lapideo entra nello spazio col suo carico di storia millenaria a significare una temporalità durevole.

Salone Internazionale dell’Esterno, Sun 2007
In occasione del 25° Salone Internazionale dell’Esterno Frassinago18 con Frassinago Lab allestisce negli spazi coperti della Fiera di Rimini porzioni di paesaggi urbani come fossero rubati alla realtà, in una rappresentazione che seppure effimera è in grado di riproporre l’esperienza dello spazio architettonico e le immaginazioni, le aspirazioni ed i desideri a cui questo rimanda.
Il concept del Sun 007 è racchiuso forse nel titolo stesso dato a questo allestimento, o mostra, od installazione: “A’Mare Paesaggi”, ovvero l’amore per il paesaggio e per la sua contemplazione, ma anche per il mare.
Il percorso è personale e davvero avvolge il visitatore senza limitarsi a coinvolgerlo, lo accompagna in un viaggio attraverso contesti differenti in una sperimentazione continua di diverse discipline come la botanica, l’architettura ed il design d’interno. Rendono avvolgente lo spazio i materiali e le forme, seppur coniugati per gli spazi aperti, così come i colori e le luci invitano ad interagire ed a non fermarsi alla sola contemplazione.
Le lastre pavimentali creano un layout continuo, ma proprio come accade percorrendo un sentiero in natura, talvolta questo s’interrompe, s’innesta in altri materiali che danno percezioni diverse ai sensi, restituendoci una realtà eterogenea e variopinta nelle costrizioni di uno spazio artificiale. Gli incastri a disegno della pavimentazione creano geometrie perfette e complementari che alimentano l’idea del filo continuo lasciante correre lo sguardo senza ostacoli.
La pietra utilizzata per i percorsi del visitatore s’accosta dunque ad altri materiali come resine, acciaio e legno; l’immediato raffronto accentua della pietra i contenuti propri di durabilità e monumentalità.
I materiali, unitamente ad alcuni specifici oggetti di design, sono capaci di creare suggestioni paesaggistiche: così in un attimo attraversiamo l’ambiente collinare per avere subito dopo la sensazione di trovarci sulla terrazza di un’isola mediterranea, con l’illusione del luogo domestico che ci fa dimenticare d’essere in uno spazio destinato a durare solo un tempo limitato.

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L’accesso all’allestimento per Frassinago18 al Sun 2007

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Salone Internazionale dell’Esterno, Sun 2008
Frassinago Lab per Frassinago18 Insideout progetta per l’edizione 2008 di Sun un allestimento fortemente legato al mondo del mare ed alla location ospitante la manifestazione. Il risultato è un grande parco a tema in cui l’ideogramma di un tentacolare essere degli abissi, disteso in pianta per oltre 90 metri di lunghezza, guida il visitatore tra gli spazi espositivi. In questa rappresentazione simbolica l’ambiente viene frammentato tra specchi d’acqua, isole di terraferma e ponti sospesi.
La luce gioca qui un ruolo fondamentale: quella naturale mutevole nell’arco della giornata s’infrange nello specchio d’acqua delle piscine, poi quella artificiale filtrante attraverso i tessuti microforati, che come paraventi disposti concentricamente definiscono i percorsi e delimitano gli spazi.
In questi allestimenti è possibile vedere come in modo crescente il design pervada l’outdoor e come gli spazi esterni siano sempre più l’estensione di ciò che avviene all’interno. A questo si lega una rinnovata permeabilità, specialmente per gli spazi espositivi e commerciali, in cui la presenza di pochi dettagli oltre all’uso sapiente di luci e colori riporta un’atmosfera domestica.
Questi allestimenti sono luogo di sperimentazione in cui la creatività si unisce alle forme, ai materiali, creando dei rifugi di verde, seppur artificiale, nel caos urbano. Lo spazio è una sorta di grande scenografia all’aperto ed i materiali sono quelli della natura: l’alternanza di legno, acqua e pietra richiama gli elementi fondamentali della terra.
La fluidità e sinuosità delle forme accentuata dal gioco di luci e riflessi è contrapposta al rigore dei percorsi in pietra arenaria forniti da Il Casone: posati in lastre rettangolari di grande formato, formano passerelle rettilinee innestate su piattaforme lignee come fossero pontili sospesi. La pietra, componendosi con le doghe in legno, rende ancor più evidente l’inversione di ruolo tra i due materiali: ciò che dovrebbe per sua natura essere duttile ed elastico diventa qui solido e permanente, mentre il legno finge d’assolvere il ruolo più resistente e monumentale.

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L’ingresso di AMBIENTI D’aMARE al Sun 2008

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di Debora Giacomelli e Alberto Ferraresi

(Vai al sito di Frassinago18)
(Vai al sito di FrassinagoLab)
(Vai al sito del Sun di Rimini)
(Vai al sito Casone)

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30 Aprile 2009

English

“Magma Arts” Conference Centre, Adeje, Tenerife, Canary Islands
Contemporary megaliths and stones of invention

Versione italiana


The sculptural forms of the Conference Centre; view of the rough-hewn profile of its elements

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AMP Arquitectos – Felipe Artengo Rufino, Fernando M. Menis and José M. Rodríguez-Pastrana Malagón, active on the Canary Islands since 1981, have constructed unique, coherent and expressive buildings, based on a variety of themes – social and non social collective residences, public buildings, urban projects – in which international linguistic research merges with local specific elements. The recognition and enhancement of the site, in terms of its tectonics and landscape, was at the heart of the poetics of the designers, and this was achieved by maintaining a privileged rapport with the skilled workers of local building sites, thus enabling us to carry out a more in-depth, experimental research, relative to the rapport between material and form. An architecture which displays its own roots and which appears to be a tectonic synthesis of the island’s features.
The “Magma Arts” project, which was completed in 2005, has been defined a “declaration of love and of war” on their land. “War” because clearly adverse to the production of speculative building without soul, without reason, without form, which suffocates the environment in areas with a high rate of tourism; “love”, on the other hand, since it is loaded with pathos for that territory of such powerful impact, marked by volcanic craters in the heart of the island, with its dark sands, its sun and ephemeral clouds which are blown toward the ocean.
In 2001, work was completed on the Government building of Tenerife in Santa Cruz, where already visible is the expressive potential of the concrete in common with the local stone. Work on the new Cultural Centre, on the other hand, had been started in the desert-like area on the southernmost tip of the island in Adeje, a project bearing similarities to the first, but with a crescendo of scale.


Magma Arts Center, the Cyclopean elements

“Magma Arts”, a paradigmatic name for this complex founded on the emergence of “architectural” stones, primitive and regular at the same time, as if only just rough-hewn from the rocks which can be perceived on the horizon. Twelve imposing monolithic elements, with a rough surface, surprisingly reveal themselves to be hollow, with both functional and independent interior spaces: workshops, equipment, washrooms, a cloakroom and other facilities are enclosed within. In fact, the elements are not blocks of natural stone but of reinforced concrete cast in situ.
The space created by the sequence of pilaster-blocks – “urban megalithic work”, reminiscent of the circle of Stonehenge, but also of the 20th-century poetics of the beton brut – is a vast hall to hold 30,000 people. It can surprisingly be transformed into nine smaller halls to hold 300 people, through means of soundproof panels incorporated into the cupboard-walls of the very monolithic pilasters, left unfaced on the inside also to reveal the naked stone.

The great blocks of architectural concrete: schematic section drawing

A simple building system corresponds to the apparent complexity of the project in terms of form. The great masses act as a base to support the regular metal structure, which in turn sustains the roof, which is made up of beams almost all of equal dimensions: plates of pale grey fibre cement cladding used for the first time in a double curve, to follow the overall project design.
This stone, reconstructed in situ for the cyclopean boulders, rich in autochthonous grain – fragments of “chasnera” stone, sandy grey volcanic ash -, chromatically designed, composes a mosaic of surfaces which at times appear as wooden formwork, at times eroded, alive, because they have been bushhammered with a hammer drill. Fernando Menis, the chief supervisor of the project, who has been pursuing the poetics of unfaced concrete with his own studio since 2004, has worked continuously with a small group of professionals including local skilled workers, benefiting from the limited access to technologies and therefore adapting techniques to practical requirements. In this case, to make the great monoliths, casting the concrete in situ rather than prefabrication turned out to be extremely economical.
The common process of casting the specifically designed mixture inside shuttering on site evocatively alludes to the transformation which lava undergoes when it turns into stone and shapes the surrounding landscape.
For the static definition of the work, complex calculation processes were necessary: the acoustic form of the roof – the conference centre and also the auditorium and concert hall -, the ample space between the pilasters, the overall result of forms visible from the exterior. The project required a number of years to devise and various external collaborations, in particular, with the University of Madrid. The creative phase, as is customary in Menis’ projects, stemmed from the three-dimensional model: from the three-dimensional rhythm of a primitive model in papier-mâché and wet sand, progressively redesigned and defined, until arriving at the precise definitions of the sections with curvilinear planes, made possible by Katia, a three-dimensional modeling programme, which Frank Gehry made famous in his Bilbao project.
Magma Arts belongs to the current of projects born on the post-Guggenheim wave, and displays the adaptability of computer technologies to the expressive language of the different materials.
Here, the designers’ research is clearly directed at integrating the building into its surroundings, the artificial architectural object into the environment: the material is dense, the forms are sculptural, solid, they appear hardened by the telluric flow or freshly rough-hewn from the quarry. They compete with the hard and intense reflectivity of the artificial material, inextricably connected to the stone, to the point of becoming a symbol of it.

by Veronica Dal Buono


The meticulous research into colour and texture for the surfaces

Project: AMP Arquitectos, Felipe Artengo Rufino, Fernando Martin Menis and José M. Rodríguez-Pastrana Malagón
Chronology: project 1997; construction 1998-2005
Materials: unfaced concrete (structures), panels in fibre cement cladding (roof)
Production: Naturvex (roof elements); U.T.E. – Nesco – PPI (building contractors)
Building technology: unfaced reinforced concrete cast in situ
Dimensions: surface area 14,000 m2; constructed surface area 20,400 m2
Work process: concrete cast in situ in wooden shuttering, manually bushhammered using a pneumatic drill.

(Go to Fernando Menis)

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27 Aprile 2009

Principale

OH CHE BEL CASTELLO… Restauri, riusi, ricostruzioni del

castello

Il 8 maggio alle ore 16:30 sarà presentato, al Palazzo Reale di Napoli, il Concorso internazionale di idee per la riconfigurazione spaziale della Cattedrale del Castello Aragonese di Ischia, all’interno della “Terza Mostra Internazionale del Restauro Monumentale” promossa dalla Sovrintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Napoli e Provincia e dall’Aniai Campania.
OH CHE BEL CASTELLO… Restauri, riusi, ricostruzioni del patrimonio storico, questo il titolo dell’intervento del prof. Antonello Monaco, presidente dell’IsAM-Istituto per l’Architettura Mediterranea che promuove l’iniziativa concorsuale e docente di Progettazione architettonica presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria.
Il concorso intende dare soluzione al un nodo nevralgico dello straordinario complesso monumentale del castello ischitano, promuovendo un rapporto forte e dialettico tra patrimonio storico e progetto moderno.

INFO: http://www.isamweb.eu/concorso_presentazione.aspx

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27 Aprile 2009

Principale

A CARRARA UNA MOSTRA EVENTO SUL DESIGN APPLICATO AI MATERIALI LAPIDEI

Stone Style-Territorio&design è una mostra evento che parte dal territorio e le sue tradizioni e arriva ai materiali lapidei e alle sue tecnologie innovative attraverso il design. L’evento si terrà a Carrara dal 9 al 12 giugno 2009, la mostra resterà aperta anche in seguito e sarà visitabile fino al 21 giugno.
L’evento, che si terrà negli spazi del Chiostro di San Francesco di Carrara, sarà ospitato in una scenografia appositamente creata dallo Studio Santachiara di Milano.
Al centro della mostra sarà l’esposizione di prodotti disegnati da famosi designer italiani, come rivestimenti per facciate ventilate, arredo urbano e pavimenti, design d’interni, bagni, caminetti e così via, realizzati con i materiali lapidei presenti nella zona e attraverso le tecnologie esclusive delle aziende di Carrara.
L’allestimento prevederà anche una sala per la presentazione multimediale delle potenzialità produttive e tecnologiche del territorio, con esposizione di materiali lapidei e processi produttivi.
All’evento saranno invitati i più famosi studi di architettura esteri ed italiani. La mostra, infatti, è organizzata dall’Istituto per il Commercio Estero, che attraverso i suoi uffici all’estero selezionerà i più famosi ed innovativi architetti e designers da Paesi Arabi e Area del Golfo, Francia, Gran Bretagna, USA e Russia per proporgli le opportunità di materiali e lavorazioni ad alta tecnologia realizzabili nel distretto lapideo di Carrara. Collaborano alla realizzazione della mostra-evento anche la Regione Toscana e IMM, Internazionale Marmi e Macchine.
La manifestazione si colloca nel periodo generalmente dedicato agli eventi legati all’innovazione nel marmo e coincide con l’anno di assenza di CarraraMarmotec.

L’evento sarà affiancato da una serie di iniziative collaterali, volte a far conoscere ad architetti e designer le realtà più innovative sul territorio.
Info: http://www.stonestyle.info/

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27 Aprile 2009

Opere di Architettura

Centro Congressi “Magma Arts”, Adeje, Tenerife, Isole Canarie
Megaliti contemporanei e pietre d’invenzione

English version

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Le forme scultoree del Centro Congressi; scorcio sul profilo sbozzato dei corpi

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AMP Arquitectos – Felipe Artengo Rufino, Fernando M. Menis e José M. Rodríguez-Pastrana Malagón, in attivi sul territorio delle Canarie dal 1981, hanno realizzato edifici singolari, coerenti ed espressivi, spaziando tra temi diversi – residenze collettive, sociali e non, edifici pubblici, sistemazioni urbane – nei quali ricerca linguistica internazionale e specificità locale sono coniugate. Il riconoscimento e la valorizzazione del luogo, nelle sue forme tettoniche e paesaggistiche, è stata al centro della poetica dei progettisti e si è svolta mantenendo sempre un rapporto privilegiato con le maestranze di cantiere locali, consentendo così di approfondire la ricerca, anche sperimentale, relativa al rapporto tra materia e forma. Un’architettura che mostra le proprie radici e che pare una sintesi tettonica dei caratteri dell’isola.
L’opera “Magma Arts” conclusa nel 2005, è stata definita una “dichiarazione d’amore e di guerra” alla loro terra. “Guerra” perché esplicitamente avversa alla produzione senz’anima, senza raziocinio, senza forma, della speculazione immobiliare che nei territori battuti dal turismo internazionale soffoca l’ambiente; “amore” invece perché carica di pathos per quel territorio di così forte impatto, segnato dai crateri vulcanici nel cuore dell’isola, dalle sabbie scure, dal sole e dalle nuvole fugaci che scorrono verso l’oceano.
Nel 2001 erano conclusi i lavori del Palazzo del Governo di Tenerife a Santa Cruz dove già si trova adottato il potenziale espressivo del conglomerato di calcestruzzo in analogia alla pietra locale, mentre il cantiere per il nuovo Centro Culturale era avviato nello spazio semi-desertico all’estremo sud dell’isola, presso Adeje, confrontandosi con il primo progetto ma in un crescendo di scala.

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Magma Arts Center, i ciclopici volumi

“Magma Arts”, un nome paradigmatico per questo complesso fondato sull’emergenza di pietre “architettoniche”, primitive e regolari allo stesso tempo, come appena sbozzate dalle rocce che si scorgono all’orizzonte.
Dodici elementi monolitici imponenti, dalla configurazione massiva nello svolgere funzione portante, e dalla superficie grezza, rude ad accentuarne il carattere, si svelano essere invece cavi, a celare all’interno spazi autonomi e funzionali: laboratori, impianti, servizi igienici, guardaroba ed elementi di servizio sono in essi racchiusi, non trattandosi infatti di blocchi in pietra naturale ma di calcestruzzo armato gettato in opera.
Lo spazio libero che nasce dalla disposizione della sequenza di blocchi-pilastro – “opera megalitica urbana” che evoca il cerchio di Stonhenge ma anche le poetiche novecentesche del beton brut – è una vasta hall, per 30000 persone, sorprendentemente trasformabile in nove sale minori da 300 posti tramite pannelli fonoassorbenti incorporati nelle pareti-armadio degli stessi pilastri monolitici, trattati a vista anche all’interno come nuda pietra.

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I grandi blocchi di calcestruzzo architettonico: disegno schematico di sezione

All’apparente complessità formale dell’intervento corrisponde un sistema costruttivo semplice. I grandi massi fungono da basamento per sostenere la struttura metallica regolare, sostegno della copertura sovrastante, composta da travi quasi tutte di uguali dimensioni: placche di fibrocemento dal colore grigio chiaro per la prima volta usate in doppia curvatura per seguire il disegno complessivo del progetto.
Questa pietra ricostruita in opera per i ciclopici macigni, ricca di granulati autoctoni – frammenti di pietra “chasnera”, cenere vulcanica color grigio-sabbia -, cromaticamente progettata, compone un mosaico di superfici che talora mostrano l’impressione delle casseforme in legno, talora sembrano erose, vive, perché bocciardate con martello pneumatico.
Fernando Menis, principale supervisore al progetto e che dal 2004 persegue con il proprio studio professionale la medesima poetica del conglomerato di calcestruzzo a
vista, ha lavorato costantemente con un gruppo ristretto di professionisti unitamente a maestranza locali, traendo vantaggio dal limitato accesso alle tecnologie che l’importazione necessaria sull’isola induce e quindi adattando la tecnica alle esigenze pratiche. In questo caso, alla realizzazione dei grandi monoliti, il getto in opera piuttosto che la prefabbricazione è risultata estremamente conveniente.
Il comune processo di gettare entro casseri il materiale impastato in cantiere nella miscela progettata specificatamente, si fa suggestiva allusione alla trasformazione che subisce la lava convertendosi in pietra e conformando il paesaggio circostante.
La definizione statica dell’opera sono state necessarie complesse fasi di calcolo: la forma acustica della copertura – il centro congressi è anche auditorium e sala concerti -, l’ampio spazio libero tra i pilastri, il risultato complessivo delle forme percepibili dall’esterno. Il progetto ha richiesto diversi anni di elaborazione ed il succedersi di collaborazioni esterne in particolare con l’Università di Madrid. La fase creativa, come consuetudine nei progetti di Menis, ha preso le mosse dal modello in tre dimensioni: dalla scansione tridimensionale di un primitivo bozzetto in carta pesta e sabbia bagnata progressivamente ridisegnato e definito, sino a raggiungere le precise definizioni delle sezioni con piani curvilinei, rese possibile da Katia, il programma di modellazione tridimensionale reso noto da Frank Gehry nel progetto per Bilbao.
Il Magma Arts appartiene alla corrente di progetti nati sull’onda post-Guggheneim e mostra l’adattabilità delle tecnologie informatiche al linguaggio espressivo dei diversi materiali.
Qui la ricerca dei progettisti è dichiaratamente rivolta all’integrazione dell’edificio col suo intorno, dell’oggetto architettonico artificiale nell’ambiente: la materia è densa, le forme sono plastiche, piene, paiono appena indurite dal flusso tellurico o sbozzate di cava, si misurano con la riflessività dura e intensa del materiale conglomerato artificiale inestricabilmente connesso con quello lapideo fino a farsene simbolo.

di Veronica Dal Buono

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L’accurata ricerca cromatica e tessiturale per le superifici

Progetto: AMP Arquitectos, Felipe Artengo Rufino, Fernando Martin Menis e José M. Rodríguez-Pastrana Malagón
Cronologia: progetto 1997; costruzione 1998-2005
Materiali: calcestruzzo faccia vista (strutture), pannelli in fibrocemento (copertura)
Produzione: Naturvex (elementi di copertura); Congress U.T.E. – Nesco – PPl (imprese di costruzioni)
Tecnologia costruttiva: cemento armato gettato in opera faccia a vista
Dati dimensionali: superficie 14 000 m2; superficie costruita 20 400 m2
Lavorazione: calcestruzzo gettato in opera in casseri lignei e bocciardato manualmente con martello pneumatico

(Vai a Fernando Menis)

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24 Aprile 2009

Letture

Casa Araba d’Egitto

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CASA ARABA D’EGITTO – COSTRUIRE CON IL CLIMA DAL VERNACOLO AI MAESTRI CONTEMPORANEI
Adelina Picone
Jaca book (Milano) – 2009
pagine 370 – € 32,00

L’architettura egiziana è un esempio di convivenza tra progetto, clima e tradizione, in pratica la definizione della vera architettura sostenibile.
Il libro, presentato in collaborazione con il Dipartimento di progettazione urbana e urbanistica dell’Università di Napoli, propone un’analisi, corredata di disegni e immagini, dei caratteri della casa egiziana nei suoi diversi contesti ambientali: dalle oasi del deserto occidentale, all’oasi di Siwa, alle regioni rurali, all’ambiente urbano consolidato della città del Cairo.
Chiave di lettura del percorso, tracciato attraverso l’architettura vernacolare e quella contemporanea, è il rapporto tra gli elementi naturali, le influenze climatiche da essi determinate e la forma costruita.
Inoltre la considerazione del modo con cui l’architettura spontanea riflette in maniera diretta l’accumularsi delle conoscenze tradizionali, senza porsi il problema dell’innovazione nella determinazione della forma, che è invece tema centrale nel lavoro dell’architetto.
Ashraf M.Salama, nella prefazione, ripercorre la storia della capitale d’Egitto, cercando di recuperare la memoria di una tradizione tipologica dell’abitare arabo.
La presentazione di Isadora d’Aimmo dà invece valore alla ricerca riprodotta in questo libro, sottolinenando il carattere di efficienza e funzionalità che può offrire il modo di costruire legato alla civiltà che si affaccia sul Mediterraneo.
Nell’introduzione, l’autrice(docente all’Università di Napoli) definisce la mediterraneità architettonica frutto del rapporto tra forma costruita e ambiente naturale (paesaggio, clima, suolo e tradizioni di conoscenza).
Citando libri e autori d’architettura, sottolinea l’importanza dell’edilizia minore, frutto di un processo spontaneo basato sull’abitudine, sul vernacolare, sulla ripetitività di un modello e ne richiama la definizione dei termini.
Ricorda comunque “il rapporto tra le architetture spontanee, sintesi delle architetture tradizionali e i progetti d’autore, che di quelle istanze forniscono un’interpretazione critica”.
Da ciò giunge a dichiarare come i temi e i termini di quella relazione si palesano nella vicenda architettonica egiziana.
La descrizione del modello abitativo, ove si sperimentano i principi di ventilazione naturale, selezione della luce solare, uso dell’acqua per il miglioramento del comfort ambientale, è l’oggetto specifico di studio dei primi quattro capitoli.

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Casa As- Suhaymi, qa’a

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Il quinto capitolo è incentrato sull’opera di un protagonista dell’architettura del XX secolo come Hassan Fathy e il suo metodo progettuale, basato sulla varia articolazione di alcuni elementi base, invarianti tipologiche e formali, che lo studio della tradizione ha dimostrato derivare dal rapporto tra architettura ed elementi naturali.
I successivi hanno come argomento cardine il lavoro di architetti come Ramses Wissa Wassef o Abdel Wahed El Wakil, individuando l’eredità culturale dei maestri, nel panorama architettonico dell’Egitto contemporaneo e spunti di riflessione sul rapporto tra progetto, clima e tradizione.
Dei progetti presentati sono descritte le qualità compositive e formali, la semplicità e il rigore, la ricerca di equilibrio fra tradizione e innovazione.
Il volume infatti, pur inserendosi nel quadro degli scritti relativi alla cosiddetta architettura bioclimatica, si occupa principalmente degli aspetti progettuali di costruzione della forma; allontanandosi quindi dalle implicazioni tecnologiche, per rivendicare un’appartenenza dei temi trattati alla sfera del progetto di architettura.

Roberto Gamba

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21 Aprile 2009

Opere di Architettura

Piazza Cardinale Angelo Maj a Schilpario, Bergamo
Gualtiero Oberti e Attilio Stocchi

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Uno scorcio della piazza dall’alto mostra le sfumature cromatiche del porfido d’Albiano.

Ad Angelo Mai
Italo ardito, a che giammai non posi
Di svegliar dalle tombe
I nostri padri? ed a parlar gli meni
A questo secol morto, al quale incombe
Tanta nebbia di tedio? (…)

Opere litico-letterarie: Palinsesto
Davide Turrini ci mette in contatto con Attilio Stocchi. La telefonata con l’architetto, appena dopo aver visionato alcune fotografie delle sue realizzazioni, è una scoperta: Stocchi riporta infatti al centro della professione il gusto della ricerca compositiva, il divertimento nella pratica della costruzione, la consapevolezza della responsabilità dell’opera d’architettura specialmente pubblica; tutto questo traspare immediatamente dalle sue parole.
I suoi interventi generanti e rigeneranti gli spazi pubblici ricercano nuovi equilibri tra le rinnovate concrete esigenze funzionali ed il territorio. Lo fanno affiancando alla prestazione puramente tecnica quella culturale, ricercante concettualmente il contenuto di progetto ben prima della forma.
Le parole dell’architetto sono assai precise, quanto per altro i disegni delle sue realizzazioni. Le parole hanno particolarmente in questo caso valore primario: ci spiega Stocchi come, in massima sintesi, il suo approccio al progetto per lo spazio pubblico coincida con l’emersione di uno o più motivi storici attinenti lo spazio specifico – ciò che lui definisce il pretesto – ed in parallelo la percezione dei contenuti geografici, naturali ed ambientali rientranti invece nella sfera del contesto. Il progetto nasce dunque, dopo l’individuazione di questi componenti di base secondo personale sensibilità del progettista, con l’elaborazione e l’acquisizione della regola capace di mettere a sistema i vari componenti per così dire pretestuali e contestuali, allo stesso modo in cui singole parole ritenute essenziali possono essere poste in relazione in una frase così che il messaggio si porti al destinatario nel modo più espressivo e chiaro.
Per la piazza di Schilpario intitolata al Cardinale Angelo Maj il pretesto è fornito dall’attività di ricerca sui palinsesti antichi per cui il Cardinale è rimasto nella memoria dei posteri, immortalato nell’ode leopardiana celebrante il rinvenimento del De Republica ciceroniano ad opera appunto di Maj. Il componimento leopardiano e la figura del Cardinale, in special modo nella cultura locale, si fondono quasi a diventare cosa sola. La poesia allora, un’esaltazione di Maj e degli avi illustri rappresentati anche nelle persone dei poeti Alighieri, Petrarca, Ariosto, Tasso e Alfieri, diventa la chiave, prima d’impostazione, poi di lettura dell’intero intervento architettonico, in quanto testo capace, trasposto ad opera pavimentale e spaziale, di legare fra loro da un lato persone ed eventi storici, dall’altro le montagne, i laghi ed i luoghi del contesto naturale. Il contesto è infatti costituito dai picchi montani cingenti Schilpario. Per parola dello stesso architetto essi delineano il profilo verso il cielo distinguendo nettamente le vette principali affaccianti sulla valle, come fossero personaggi dal carattere e dal portamento assai ben delineato.

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Il legame fra pretesto e contesto è concretizzato nelle parole leopardiane.

Sul piano pavimentale vengono quindi riproposti da Gualtiero Oberti ed Attilio Stocchi brani estrapolati dall’ode leopardiana, con una lunghezza della stringa testuale proporzionale alle altezze caratteristiche delle montagne circostanti od anche alle altitudini dei laghi. Secondo stesso principio, le scritte sono proposte in rilievo quando si tratti del rimando alle montagne, mentre in negativo quando si tratti di laghi, poichè dunque in questo caso le concettuali associazioni d’idee son rivolte ai rilievi altimetrici sotto il livello dell’orizzonte calpestabile. Al centro, una griglia lineare continua per la raccolta dell’acqua meteorica segna la dimensione principale dello spazio pubblico. Vi è poi anche un garage sotterraneo in cui il corsello sempre centrale ripropone le dimensioni caratteristiche e la propria pendenza secondo le proporzioni geometriche dell’asse reale di fondovalle.
Tornando al calpestio: cinque lampade a raso pavimento illuminano le cinque scritte dell’ode leopardiana prescelte e realizzate qui in fusione metallica. La materia prima, salvo queste contenute eccezioni, è il porfido d’Albiano. I conci della pavimentazione a correre sono posati con attenzione cromatica particolare, per cui le lastre con prevalenza di sfumature violacee sono raccolte verso il centro della piazza, quelle più tendenti al grigio sono invece disposte ai margini. Le sedute emergenti dal suolo sono sempre coerentemente realizzate in porfido di Albiano; costituiscono assieme all’albero esistente l’unica eccezione all’orizzontale bidimensionalità della piazza. I rilievi delle scritte, emergenti o profondi, offrono una tridimensionalità sottile, epidermica. Il senso di stupore di Maj all’atto del ritrovamento dei testi latini sotto la riscrittura dell’opera di Sant’Agostino, è rivissuto dal bambino che scopre col piede le lettere sotto la neve.

Alcune parole chiave
Pretesto
Dal latino prae – davanti, prima; texere – tessere, intrecciare, vestire, ornare.
Il pretesto è dunque la veste esteriore giungente all’osservatore od al lettore prima del contenuto più vero e profondo.
“Motivo addotto palesemente a spiegazione del proprio comportamento o del proprio operato, allo scopo di mascherarne i veri motivi.” Definizione tratta dal dizionario Devoto – Oli

Contesto
Dal latino cum – assieme; texere – tessere, intrecciare, vestire, ornare.
Il contesto è letteralmente l’insieme degli elementi e delle condizioni strettamente legati, quasi annodati ed intrecciati ad un determinato argomento.

Cardinale Angelo Maj
Nativo di Schilpario nel 1782, erudito e poligrafo, fu un gesuita studioso degli antichi palinsesti della Biblioteca ambrosiana; alla Biblioteca vaticana giunse al ritrovamento di ampi brani del De Republica di Cicerone.

Palinsesto
“Manoscritto ottenuto previa raschiatura di un materiale scrittorio (papiro, pietra, metallo, coccio, ma specialmente pergamena), in modo da consentirne la riutilizzazione. (…) Dal XVII sec. i paleografi riuscirono a leggere le tracce incise della scriptura anterior perlopiù servendosi di fonti luminose. La decifrazione scientifica moderna comincia con Angelo Maj. (…)” Definizione tratta dall’Enciclopedia Generale Mondadori

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La planimetria generale della piazza ed uno scorcio verso la chiesa sul fianco.

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di Alberto Ferraresi

(Vai al sito di Attilio Stocchi)
(Vai alle informazioni sul Cardinale Angelo Maj)
(Vai al testo dell’ode leopardiana)

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21 Aprile 2009

News

Presentazione del volume
Leon Battista Alberti 1404-1472. Architettura e Storia

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Presentazione del volume
Leon Battista Alberti 1404-1472.
Architettura e Storia
(Electa, Milano 2008)
di Massimo Bulgarelli

Facoltà di Architettura di Ferrara
Mercoledì 22 aprile 2009

Ore 17,30
La presentazione si svolgerà a Palazzo Tassoni
via della Ghiara 36
Introduce Susanna Pasquali

Il libro propone non una monografia sistematica sull’opera albertiana, bensì un saggio d’interpretazione della sua architettura.
Dato di partenza è l’eccezionalità della figura di Alberti. Studioso dell’antico, grande umanista e pensatore, egli è autore dei progetti per alcuni degli edifici più importanti e affascinanti della tradizione architettonica occidentale. A lui si devono i primi trattati sulle arti in epoca moderna – il De re aedificatoria, vero e proprio testo fondativo della disciplina – e diversi testi letterari in latino e in volgare.
Lo studio di Massimo Bulgarelli prende le mosse dal concetto di ornamento presente nel trattato, dimostrando come Alberti consideri l’architettura esito di una serrata dialettica fra natura e artificio, nella quale l’accento cade sul secondo termine. Ciò è ancora più chiaro quando si procede all’esame degli edifici – soprattutto Sant’Andrea a Mantova, Palazzo Rucellai e Santa Maria Novella a Firenze –, frutto di un sofisticato procedimento di montaggio di forme antiche e medievali, osservate da Alberti con uno sguardo insieme appassionato e straniante.
Dall’analisi di quelle stesse architetture emerge una strategia precisa, fondata su quello che si propone di definire “immaginario architettonico”. Alberti prende la parola nei suoi progetti rifacendosi all’insieme di significati, storie, leggende, depositatosi nel corso dei secoli sulle fonti architettoniche, scelte con grande consapevolezza. La trama di citazioni e riferimenti depositata sull’architettura rende quest’ultima leggibile come tramite di precise prese di posizione su politica e religione. Si tratta di opinioni non del tutto coincidenti con le intenzioni dei committenti e confrontabili, viceversa, con quelle espresse da Alberti nei dialoghi – Theogenius, Profugiorum ab aerumna, e De iciarchia – e, in forma satirica, nel Momus.

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Biografia dell’autore
Massimo Bulgarelli si è laureato e ha conseguito il Dottorato di ricerca in Storia dell’architettura all’Università Iuav di Venezia, studiando con Georges Teyssot e poi con Manfredo Tafuri. Attualmente insegna presso la stessa Università, dove è membro del collegio docenti del Dottorato di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica.

(Vai al sito della Facoltà di Architettura di Ferrara)
(Vai al sito di Electa)

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