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Bianco Lavagnina

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La Cava Lavagnina nel Bacino di Gioia (Carrara).

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Aronta è quel ch’al ventre li s’atterga, che ne’ monti di Luni, dove ronca lo Carrarese che di sotto alberga ebbe tra ‘bianchi marmi la spelonca per sua dimora; onde a guardar le stelle e ‘l mar no li era la veduta tronca….”
(Dante Alighieri, Inferno, XX, 48)

Siamo arrivati nella Cava Lavagnina del Bacino di Colonnata (Carrara) da dove proviene il materiale del nostro studio: un marmo compatto, di colore bianco con leggere venature e sottili punteggiature più scure, che vanno dal grigio chiaro al grigio cupo. Il campione in analisi è stato estratto nella parte più orientale dei bacini carraresi, quella appunto di Colonnata, e precisamente nel grande complesso estrattivo di Gioia che si affaccia sul versante di Massa.
Colonnata: piccolo paese arroccato sulle Alpi Apuane… poche centinaia di abitanti (391 nel 1991) e borgo di indubbia origine romana con un nome dalle plurime etimologie, tutte incerte: secondo alcuni, infatti, deriverebbe dalla presenza in loco, in epoca romana, di una colonia di schiavi stanziati per la forzata escavazione del marmo; secondo altri, invece, il toponimo deriverebbe dai numerosi reperti di colonne anche romane rinvenute nella zona, a riprova che da sempre i materiali lapidei locali sono considerati tra i migliori, in virtù delle loro caratteristiche fisico-meccaniche, per la realizzazione di elementi architettonici.
Certamente le cave di Gioia sono le più grandi di tutto il complesso carrarino e numerose sono le tracce che esse recano di lavorazioni risalenti all’epoca romana.
Il bianchi venati di Carrara sono tra i materiali di più antico utilizzo, conosciuti un tempo come marmi di Luni, cittadina fondata a circa 5 km dalla attuale Carrara. Del loro uso si ha informazione certa a partire dal 48 a.C. quando Plinio il Vecchio, riferendosi alla costruzione della casa di Mamurra, scrive: “primum totis aedibus nullam nisi e marmore columnam habuisse et omnes solidas e Carystio aut Luniensi” (Naturalis Historia, XXXVI, 48) in virtù del fatto che il Mamurra aveva utilizzato solo colonne di marmo pieno di Caristo o di Luni.
Marmi ritenuti di grande pregio, alla stregua dei bianchi di Grecia a cui spesso erano associati nell’edificazione dei monumenti, come nel mausoleo dei Domizi in Campo Marzio, dove, accanto al sarcofago di Nerone in porfido e alla balaustra in marmo di Taso, fa bella mostra di sè l’ara in lunense.
Molto usati fin dalla prima metà del primo secolo a.C. fino al basso impero per realizzare anche sculture e preziosi oggetti d’uso.
Sarà però il Rinascimento a consacrare i marmi Carrarini grazie al mecenatismo dei Malaspina che fecero arrivare a Carrara i più grandi artisti dell’epoca per conoscere e godere della esaltante lavorabilità di questi materiale che, come esprimeva Michelangelo in maniera molto efficace “non ha l’ottimo artista alcun concetto ch’un marmo solo in se non circoscriva col suo soverchio, et solo à quello arriva, la man che ubbidisce all’intelletto”.
Ma oltre a Michelangelo, Leon Battista Alberti, Filippo Brunelleschi e molti altri artisti e architetti usarono questi materiali e li fecero conoscere ben oltre la Toscana facendoli diventare “i marmi bianchi” per antonomasia.

Descrizione macroscopica
Litotipo cristallino di origine metamorfica di colore di insieme bianco con venature talora ad andamento seghettato di dimensioni variabili da submillimetriche a plurimillimetriche, talora associate a plaghe e macchie di colore grigio scuro caratterizzate spesso da un aspetto indistinto. La grana è medio fine ed il materiale risulta essere particolarmente compatto e sano.
Non sono presenti tracce di fratturazioni.
Si riga con una lama metallica a giustificare una durezza media dei suoi costituenti pari a 3 della scala di Mohs e reagisce rapidamente in presenza di acido cloridrico ad indicare una composizione prevalentemente calcitica.

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Aspetto del Bianco Lavagnina fotografato allo stereomicroscopio a 7 ingrandimenti. In evidenza l’andamento di una venatura.

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Descrizione microscopica
Litotipo metamorfico cristalloblastico, eteroblastico per la presenza, in differenti parti della sezione sottile, di individui porfiroblasti anche millimetrici, immersi all’interno di un mosaico cristallino particolarmente omogeneo dal punto di vista dimensionale con dimensioni medie pari a 300 ?m. La forma dei cristalloblasti è generalmente equigranulare poligonale e gli individui si presentano tendenzialmente isodiametrici a generare una struttura a mosaico nel cui interno spicca la presenza di rari individui a dimensioni maggiori.
Poichè le dimensioni dei blasti costituenti il materiale sono solitamente minori di 1 mm, la roccia può essere definita a grana fine.
Nella sezione si apprezzano locali discontinuità imputabili alla concentrazione di microgranulazioni calcitiche che sono solitamente associate a microgranuli costituiti da minerali opachi. Tali discontinuità sono la causa delle venature grigio scure che caratterizzano macroscopicamente il materiale.
I costituenti della roccia sono calcite, minerali opachi, quarzo e feldspati.
Calcite (circa il 99% dei costituenti la roccia secondo stima visiva). Ha una durezza Mohs pari a 3.

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Campione di Bianco Lavagnina analizzato al microscopio a 10 ingrandimenti. Nella vista a nicols paralleli (in alto) il cristalloblasto al centro della sezione sottile è costituito da quarzo di neoformazione; esso si presenta limpido, privo di inclusioni ed euedrale. Nella vista a nicols incrociati (in basso) la luce polarizzata che investe la sezione sottile fa apparire il quarzo di colore grigio mentre tutto il resto nella foto è costituito da calcite.

La forma dei cristalli è prevalentemente subedrale ed euedrale e in subordine anedrale. Tali cristalloblasti calcitici hanno un range dimensionale variabile tra 100 µm e 800 ?m, anche se le dimensioni medie sono solitamente attestate attorno al valore di 300 ?m. Rare le eccezioni, con la presenza di porfiroblasti che possono raggiungere dimensioni pari a 5÷6 mm. Gli individui cristallini generano microstrutture granoblastiche localmente poligonali, raramente idioblastiche, con interfacce che convergono in giunzioni triple con angoli di 120 gradi, tipico di eventi di ricristallizzazione tendenti ad una riduzione dell’area superficiale dei granuli che costituiscono la roccia che subisce l’evento. Tale processo di ricristallizzazione provoca una riduzione della energia libera interna (“grain boundary area reduction”).
Le interfacce tra i cristalli risultano essere piane, e solo più raramente con curve ed anse. I rari porfiroblasti sono sempre calcitici, hanno dimensioni massime pari a 5,6 mm. Essi sono verosimilmente relitti, compatibili con soluzioni di pressione di basso grado (maggiore di 250°C) e con presenza di acqua in quanto tra le microstrutture presenti si osservano geminazioni parzialmente dissolte nel loro interno, ed anche lungo i bordi degli individui e piani di geminazione serrati associati a condizioni di ricristallizzazione di particelle per migrazione (“Grain Boundary Migration Recristallization”). Attorno a questi individui, si nota la crescita sintassiale di calcite lungo i bordi relitti con locali concentrazioni di microgranulazioni di opachi. Le tracce di sfaldatura sono iridescenti.
In coincidenza di quelle che sono le venature macroscopiche, si nota la presenza di microcristalli calcitici associati a microgranuli di opachi ad andamento prevalentemente isoorientato, mentre la presenza di cristalli dalla forma rombica lascia supporre che si possa avere anche una concomitante esistenza di individui dolomitici.
L’1% dei costituenti rimanenti è costituito nella maggior parte dei casi da microcristalli di opachi comunque troppo piccoli per essere riconosciuti anche ai massimi ingrandimenti, mentre a luce riflessa i minerali opachi di dimensioni maggiori, 40 µm, risultano essere costituiti da pirite.
Si notano anche tracce di quarzo euedrale di dimensioni massime pari a 0,3 mm, poligonali e con bordi piani e rari feldspati subedrali. In entrambi i casi gli individui si presentano limpidi, privi di inclusi, non deformati e quindi di origine singenetica.
Discontinuità: non si notano tracce di porosità presenti nella roccia, nè tracce di fratture che interessino il mosaico cristallino, mentre si osservano microcristalli calcitici associati a microgranulazioni di opachi.
Alterazione: assente.

Definizione petrografica* (secondo EN12670): MARMO (Metamorphic Rocks Classification Charts)

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Carta geologica d’Italia . Foglio 96 Massa.
Clikka sull’immagine per ingrandirla

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Bianco Carrara Lavagnina. Geologia
Anche se più o meno lontano dai bacini estrattivi della zona della Versilia, ci ritroviamo ancora in zona di sottoscorrimento del basamento autoctono sotto la successione della falda toscana ad esso sovra scorso.
Indubbiamente anche solo spostandosi di pochi chilometri in linea d’aria si nota come intrinsecamente il materiale possa presentare locali differenze genetiche e per parte compositive. Questo è sicuramente ascrivibile al fatto che in ambiente marino anche in aree molto vicine tra loro si possono trovare delle condizioni tali per cui si hanno micro sedimentazioni differenziate tra loro. Se ad esempio si è in una zona di apporto di materiale terrigeno differente dal semplice carbonato di calcio, allora si potrà osservare la presenza di minerali di differenti tipologie associati ai blasti calcitici.
In ogni caso anche nella zona di Carrara vale dal punto di vista genetico quanto si può evidenziare per tutta l’analisi geologica della zona dei marmi della toscana.
La geologia apuana è resa complicata dal fatto che le formazioni che vi affiorano appartengono a differenti unità a struttura complessa che hanno subito una altrettanto complessa evoluzione tettonica sviluppatasi durante l’Era Cenozoica, nell’Oligocene superiore, in una età stimata pari a 34 -27 milioni di anni quando, dopo un primo evento compressivo collisionale che generò le prime condizioni di deformazione e un metamorfismo con “raddoppio” della successione toscana, seguì una seconda fase sempre deformativa ma a questo punto collegata ad una condizione tettonico – distensiva che provocò il sollevamento di unità strutturali profonde a quel punto già metamorfosate.
Le Alpi Apuane possono essere considerate un bell’esempio di “finestra tettonica”, con l’affioramento dell’Autoctono Apuano, metamorfico, circondato dai terreni non metamorfici della Falda Toscana, ad essa sovrascorsa. Tra il nucleo autoctono metamorfico e l’unità sovra scorsa si trovano due complessi di scaglie tettoniche con caratteri di metamorfismo intermedio, mentre tettonicamente sovrapposte alla falda toscana si trovano unità anche esse alloctone che provengono dal dominio ligure.
In termini molto semplici, quindi, se sui vuole cercare di ricostruire la condizione di formazione dell’area Apuana, possiamo verosimilmente ipotizzare che fino al Terziario fossero ancora presenti in condizione pressochè indisturbata, la Falda Toscana e, direttamente ad est, l’Autoctono Apuano, entrambe simili come condizione di sedimentazione in ambiente marino. Nell’oligocene superiore, però, si sono impostate condizioni compressive che hanno agito in maniera differenziata sulle varie falde di sedimentazione. A questo punto, quindi, nell’olocene superiore la Falda Toscana si è scollata dal basamento e, scorrendo sulle evaporiti del Norico , si è sovrapposta sull’Autoctono Apuano assieme, per parte, all’Unità di Massa che però affiora solo nella zona occidentale della finestra tettonica e all’Unità Ligure che rimane però a contorno della finestra tettonica toscana.
Successivamente, dopo questa prima fase compressiva si è instaurata una fase distensiva che ha provocato l’esposizione della zona metamorfica per denudazione e sollevamento connessi con ulteriore assottigliamento crostale (Pliocene – Pleistocene) in quella che alcuni interpretano come una “pop-up structure”. Durante tutto questo periodo che va dall’ Oligocene superiore (27 MA) fino al Tortoniano (10 MA) che durante l’orogenesi ha provocato sul nucleo Apuano un metamorfismo di bassa pressione e bassa temperatura (facies di Scisti Verdi), si sono sovrapposti almeno due eventi deformativi, dei quali uno ha generato strutture Adriatico-vergenti, mentre il secondo ha impostato strutture Tirreno-vergenti. La più recente tettonica distensiva con direzione appenninica (NW-SE) ha dissezionato la struttura di sovrascorrimento secondo l’attuale direzione di allungamento della finestra tettonica Apuana e sovrimponendosi agli assi di deformazione precedenti complicando in maniera ancor maggiore la storia evolutiva e conoscitiva di tutta la zona.

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Bianco Lavagnina levigato e lucidato.

Parlare dei marmi venati è cosa piuttosto complicata. Quando definire un materiale venato? E quanto venato deve essere il materiale? E le venature quanto devono essere spesse? Pochi millimetri o qualche centimetro? E il colore? Deve essere grigio, grigio scuro, nero o ambrato?
Il materiale sottoposto ad analisi petrografica proviene come detto dalla Cava Lavagnina in località Casette in prossimità di Cima Gioia. La sua venatura è estremamente gradevole e raffinata, mai eccessiva per colore e dimensione delle vene che risultano marezzare delicatamente il biancore del marmo. Ma esistono anche materiali con venature molto più fitte e intense, di colore grigio scuro o addirittura nero… è chiaro quindi che nel settore merceologico dei venati ricadono una quantità di tipologie così ampia tale per cui i due estremi sono esteticamente molto lontani l’un dall’altro.

Composizione chimica (% in peso) di un marmo Bianco Venato di Carrara

CO2 44.05
CaO 53.75
MgO 1.76
Si O2 0.23
Al2O3 0.12
Fe2O3 0.00
Na2O n.d.
K2O 0.05
Ti O2 0.01
MnO2 0.02

Dati tratti da: ERTAG (1980) – Schede merceologiche – Regione Toscana, Firenze

La tabella riporta dati chimici determinati su un bianco venato campionato in località Cima di Gioia, a distanza quindi non rilevante rispetto al materiale analizzato petrograficamente che proviene sempre da Cima Gioia, e precisamente dalla Cava Lavagnina.

Caratteristiche fisico-meccaniche di un marmo Bianco Venato di Carrara

Massa volumica apparente (kg/m3) 2706 – 2720
Coefficiente di imbibizione (‰) 0,96 – 1,40
Resistenza alla compressione (kg/cm2) 1284 – 1426
Resistenza alla compressione dopo gelo (kg/cm2) 1271 – 1388
Resistenza alla flessione (kg/cm2) 192 – 202
Coefficiente di dilatazione termica lineare (x10-6 x°C-1) 3,7 – 8
Resistenza all’urto (cm) 75 – 82,5
Resistenza all’usura per attrito radente:
Coeff. relativo di abrasione
0,32
Resistenza alla abrasione (mm) 4,13

Dati tratti da: Blanco G. (1991)- Pavimenti e rivestimenti lapidei – 295 pp. La Nuova Italia Scientifica, Roma; ERTAG (1980) – Schede merceologiche – Regione Toscana, Firenze

Usi e trattamenti del materiale
Considerando la storia applicativa del Bianco Venato di Carrara, di certo si rimane affascinati da quanto esso abbia viaggiato il mondo. Nell’antichità era considerato degnissima alternativa dei marmi greci Paro e Thassos, e come tale, a bordo delle naves lapidarie utilizzate per i commerci, ha raggiunto tutto l’impero romano. Venendo all’epoca contemporanea è possibile ritrovare il nostro marmo in numerosissime importanti architetture, in Europa come in America, in Asia e in Ocenania, dalla Berliner Bank di Berlino alla Moschea della Mecca, dal Foro Italico a Roma alla Cattedrale di Sant’Isacco a San Pietroburgo, dall’aeroporto di Dusseldorf al Palazzo dell’Organizzazione dei Paesi Arabi di Kuwait City, dall’Arco della Defense a Parigi alla National Library di Canberra in Australia; esso è largamente impiegato in interno come in esterno per la realizzazione di componenti d’architettura sottili o a spessore.
Bello, ma delicato per ciò che riguarda la possibilità di macchiarsi se posto a contatto con prodotti quali vino, tè, inchiostro, unto; essendo costituito da carbonato di calcio che reagisce sciogliendosi se posto a contatto con prodotto anticalcarei, il Venato di Carrara deve essere pulito evitando acidi e altri prodotti aggressivi. Anche il contatto prolungato con aceto, succo di limone, frutta o bevande a base di cola può intaccare la sua lucentezza. Per la pulizia è consigliabile impiegare del buon sapone di Marsiglia neutro, evitando anche di utilizzare prodotti a base di candeggina non purificata che potrebbe rilasciare agenti macchianti. Esiste comunque, ed è sempre più perfezionata, la possibilità di trattare con finiture protettive tale materiale che può così acquisire un’elevata capacità di resistenza alle macchie senza subire col tempo antiestetici ingiallimenti.
Ma, attenzione: molto spesso queste problematiche sono collegate più ad un senso personale di esistenza del perfetto che non alle condizioni reali di alterabilità. Se infatti questo marmo viene usato anche per realizzare cubetti che vengono posati assieme al porfido per pavimentazioni esterne, possiamo ben intuire che il venato è un materiale di buona resistenza a patto che venga impiegato nei giusti spessori e con le opportune finiture superficiali.
di Anna Maria Ferrari
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I campioni di Bianco Lavagnina utilizzati per l’analisi petrografica sono stati gentilmente forniti da Carlo Telara s.r.l.
Vai a: www.telara.com

Note
* Numero accettazione campioni 204.
(1) Metodo d’analisi: EN 12407:2007 Natural stone test methods – Petrographic examination. Strumento: Stereo microscopio Olympus SZX-FOF 4J02049). Analisi effettuata su lastrine differenti di materiale tal quale. Operatore: Dr. Anna Maria Ferrari.
(2) Metodo d’analisi: EN 12407:2007 Natural stone test methods – Petrographic examination. Strumento. Microscopio a luce polarizzata Olympus BX51TRF 4M23804. Analisi effettuata su 2 sezioni sottili di dimensione standard. Operatore: Dr. Anna Maria Ferrari.

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www.geotecnologie.unisi.it
www.marmiapuane.info
www-b.unipg.it/denz/gloria/Ipert/APUANE-descrizione.html

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2 Giugno 2008

Principale

Nuove forme abitative – nuove strategie costruttive: innovazione tecnologica per il social housing

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UNICAM – Università degli Studi di Camerino
“Incontri dell’Annunziata” – Giornate di studio sull’innovazione tecnologica
VII edizione 19 – 20 giugno 2008
Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno – Convento dell’Annunziata

Con il patrocinio di:
Regione Marche
Provincia di Ascoli Piceno
Comune di Ascoli Piceno
CUP – Consorzio Universitario Piceno
ANCE Ascoli Piceno
SITdA – Società Italiana della Tecnologia dell’Architettura
Tecnomarche S.c.a.r.l.

Con il contributo di:
ANCE Ascoli Piceno, Ordine degli Architetti della Provincia di Ascoli Piceno, ITALPANNELLI Srl, KNAUF Sistemi Costruttivi

Nuove forme abitative – nuove strategie costruttive: innovazione tecnologica per il social housing
Le giornate di studio si propongono di avviare una riflessione sulla sperimentazione di metodi e procedure progettuali e costruttive innovativi per la residenza sociale, in grado di intercettare ed assecondare le trasformazioni in atto nei processi produttivi e nei modi e nelle forme di abitare. La
cultura radicata in Europa per la realizzazione di residenze sociali a basso costo, oggi caratterizzate da una progettazione sensibile alla sostenibilità ambientale degli interventi, e le impellenti urgenze abitative manifestatesi di recente anche nel nostro Paese, richiamano l’esigenza di dare nuovo stimolo alla ricerca sull’abitazione destinata alle fasce sociali più deboli, indicando metodi e procedure nuove e compatibili con i caratteri e le peculiarità del sistema sociale e produttivo italiano ed europeo.
Il tema dell’abitazione a “basso costo e a basso consumo energetico” negli ultimi anni ha costituito sotto il profilo didattico, e in modo particolare per il tipo di approccio progettuale delle discipline tecnologiche, un campo di studi ideale per individuare strategie progettuali orientate verso l’innovazione
tecnologica e la sperimentazione costruttiva. L’allestimento di una mostra di progetti didattici, elaborati nei laboratori di “Costruzione dell’architettura” che in varie sedi universitarie si sono occupati del tema dell’abitazione, costituirà l’occasione per un utile confronto, oltre che sul tema in questione, anche sulle metodologie e sugli esiti formativi dei laboratori stessi.

(Continua su Tecnologi.net)

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2 Giugno 2008

Appunti di viaggio

Arcosanti, deviazione sull’Hwy 17

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Edificio di accesso alla città di Arcosanti. All’interno trovano sede museo, uffici, cucina e spazi sociali.

In un caldo pomeriggio di fine estate percorrevo in auto l’Hwy 17, strada che unisce Flagstaff –piccolo paese a sud del Grand Canyon– con Phoneix –capitale dell’Arizona-, il viaggio programmato tappa per tappa in una corsa contro il tempo per poter scoprire ogni aspetto della contraddittoria west-coast americana ha disegnato una sosta inattesa.
Un grande cartello con scritta bianca su fondo blu indica Arcosanti. La Ford Taurus sul quale si viaggiava devia uscendo dall’Hwy 17 per dirigersi spinta dal vento del deserto alla scoperta della vita di Paolo Soleri, perchè Arcosanti può di fatto considerarsi la vita di Paolo Soleri.
La nostra storia dell’architettura porta poche tracce all’interno dei suoi testi dell’emozionante storia di questo importante architetto italiano emigrato negli Stati Uniti per lavorare sotto la guida del grande maestro Frank Loyd Wright che al tempo dirigeva la scuola di Taliesin.
Nel 1946, dopo la laurea ottenuta al Politecnico di Torino, Paolo Soleri decide di partire alla volta di degli Stati Uniti.
Il rapporto di lavoro nato con F.L. Wright durerà fino al 1948 quando per sopraggiunte incomprensioni con il maestro si sposterà con un collega nella Camelback Mountain, attuale centro di Scottsdale.
Il rapporto con l’Italia non è stato mai interrotto, l’attivo rapporto epistolare intercorso con la sorella gli ha permesso di partecipare senza fortuna ad alcuni concorsi nazionali. Nel 1950 con la moglie Colly torna a Torino. Vi rimane per qualche anno e la tappa più importanti che indirizza il suo cammino è il trasferimento a Vietri sul Mare dove apprende la lavorazione artistica della ceramica e dove disegna quello che oggi rimane l’unico progetto italiano: la Fabbrica artistica Solimene.
In Italia si avvicina allo studio di nuove tematiche: i potenziali cosmici, l’interesse sull’uso di fonti energetiche rinnovabili, le problematiche urbane.
Nel 1954 decide però di ritornare definitivamente con la famiglia in U.S.A. in quella che di fatto fino ad oggi rimane la sua terra: l’Arziona. In questo luogo naturale, lontano dalle urbanizzate città, Soleri da vita a quello che fino a quel momento era stato il sogno impresso nei suoi disegni: Arcosanti.
L’innata dote artistica dell’Architetto è ben rappresentata nei suoi numerosi sketchbooks e scrolls dove si nascondono sogni di una modo di vivere lontani dal comune.

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Gradinate realizzate nei tetti degli edifici per vedere nelle ore notturne il cielo stellato.

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Le sue città sono, come da lui stesso definite, delle Arcologie ovvero l’unione di ciò che è l’architettura con l’ecologia. Da tempo si era avvicinato allo studio delle problematiche urbane e dell’inquinamento del pianeta e le futuristiche parti di città schizzate su pezzi di carta sintetizzavano bene le soluzioni per risolvere queste problematiche.
Nasce così, senza un progetto unitario Arcosanti, una città costruita per parti in modo del tutto artigianale dall’Architetto stesso e dai suoi fedeli collaboratori.
L’ultima definizione su carta e modello di quello che dovrebbe essere il progetto definitivo di Arcosanti risale al 2001 dopo che le prime parti furono disegnate nei lontani anni ’70. Di fatto Arcosanti è da considerare un Laboratorio Urbano auto-finanziato nel quale ogni persona può portare il proprio contributo di crescita e di partecipazione nel credere nelle idee native della città. Sta proprio nella scarsità di risorse economiche – attualmente dipese esclusivamente dal mercato delle campane prodotte sui disegni di Soleri e dal pagamento della quota d’iscrizione ai work-shop annuali – il principale problema per i rallentamenti della costruzione di questa importante utopia.
Le architetture oggi presenti sono tutte realizzate con cemento che in alcune sue parti è stato colorato e dipinto; la morfologia dei principali corpi edilizi si basa su un sistema di absidi e semicupole emisferiche – caratteristica di molte delle architetture disegnate dall’Architetto in quanto esplorano i potenziali cosmici passivi – dove nei loro spazi trovano luogo residenze, teatri, spazi di lavoro ed incontro; fa eccezione l’edificio che ospita la cucina comune e lo spazio museale che richiama per caratteristiche la razionalità dell’architettura di Le Courbusier. L’impostazione planimetrica è fortemente legata al contesto nel quale è evidente l’attenzione rivolta: all’orientamento, alla ventilazione, al recupero di acqua piovana e all’utilizzo di energie rinnovabili; qui prende forma l’idea che l’architettura è sì una macchina per vivere ma anche una macchina per catturare energia. Così, in questo luogo fuori dal tempo Soleri tenta di dar vita ad un nuovo rapporto tra architettura, società ed ambiente; una città attenta alle esigenze dell’uomo ma sensibile verso le problematiche energetiche della Terra.
In questo pezzo di deserto avvicina la sua Italia piantando alberi di cipresso e coinvolgendo gli abitanti in festose serate nel quale egli stesso si impegna a cucinare pasta e ammirando il cielo stellato in una delle terrazze gradinate appositamente realizzate sopra i tetti degli edifici.

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Alcune campane disegnate da P. Soleri e in vendita nel museo di Arcosanti.

Passeggiando in questo luogo si calpestano frammenti di sogni che probabilmente rimarranno immagine di una città sognata e che mai sarà ultimata. Un sapere di conoscenze, di idee e sperimentazioni coltivate con l’amore di chi vive per passione in quello in cui crede, un percorso avviato nella lontana Italia del 1946 e che ancora oggi è portato avanti nel deserto dell’Arizona.

di Emanuele Piaia

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31 Maggio 2008

Principale

Sustainab.Italy. Energies for Italian Architecture

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Gherardo La Francesca, direttore generale per la promozione e la cooperazione culturale del Ministero degli Affari EsteriCarla Di Francesco, direttore generale per la qualità e la tutela del paesaggio,
l’architettura e l’arte contemporanee del Ministero per i Beni e le Attività Culturalisono lieti di invitare la S.V.
alla conferenza stampa di presentazione del progetto

Sustainab.Italy. Energies for Italian Architecture

che rappresenterà l’Italia al

London Festival of Architecture 2008

mercoledì 4 giugno 2008, ore 11
Museo Andersen, via Pasquale Stanislao Mancini 20, Roma

interverranno
Luca Molinari e Alessandro D’Onofrio, curatori del progetto

saranno presenti
Margherita Guccione, direttore Servizio architettura contemporanea della PARC
Erminia Sciacchitano, responsabile Ufficio studi e rapporti internazionali della PARC
gli autori dei progetti Sustainab.Italy

Roma, 30 maggio 2008 – Il London Festival of Architecture 2008 – che si terrà a Londra dal 20 giugno al 20 luglio e che quest’anno si intitola emblematicamente FRESH! – è la più innovativa, dinamica, poliedrica manifestazione dedicata all’architettura. L’Italia partecipa con il progetto Sustainab.Italy, a cura di Luca Molinari e Alessandro D’Onofrio, che prevede una mostra, un video e tanti incontri tematici sul tema della sostenibilità nell’architettura.
Su 174 progetti inviati, i curatori ne hanno selezionati ben 41, già realizzati o in fase di realizzazione (recupero di insediamenti industriali, nuove aree produttive, scuole e asili, centri comunitari, parchi e spazi pubblici, residenze e uffic) tutti all’insegna della sostenibilità ambientale nel DNA di una nuova generazione di architetti italiani.

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30 Maggio 2008

News

Alabastri a Volterra. Scultura di luce 1780-1930

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La suggestiva cornice di Palazzo dei Priori di Volterra, il più antico palazzo pubblico della Toscana costruito tra il 1208 e il 1257, ospita fino alla fine di novembre una serie di 130 capolavori prodotti dalla sapienza creativa dei migliori maestri alabastrai del luogo.
In occasione dell’evento vengono presentati al pubblico pezzi unici perlopiù inediti, raffinati oggetti d’uso e preziose sculture di proprietà di collezioni pubbliche e private che testimoniano di quasi due secoli di produzione artistica, dagli ultimi decenni del Settecento ai primi del Novecento.
In particolare la storia della pietra volterrana, duttile e trasparente, viene ripercorsa attraverso i lavori dell’Officina Inghirami, della Fabbrica Viti, di Albino Funaioli, del Cavaliere Giuseppe Bessi, di Giovanni Andreoli, di Giovanni Cassioli, del Laboratorio di Riccardo Gremigni, solo per citare alcuni tra i nomi più rilevanti dell’artigianato artistico alabastrino, spesso sfortunatamente celato dall’anonimato.
La rassegna pone inoltre l’accento sui grandi “viaggiatori”: imprenditori locali che tra il XIX e l’inizio del XX secolo percorsero le vie del commercio internazionale portando in Europa, in Asia e nelle due Americhe il gusto e la sensibilità artistica di Volterra. Tra le loro imprese più importanti, si ricorda in particolare l’ingente ordinazione commissionata dall’imperatore del Messico Massimiliano d’Asburgo alla ditta Tangassi, per arredare con oggetti in alabastro la nuova residenza imperiale.
Curata da un comitato scientifico composto da Roberto Ciardi, Ilario Luperini e Luciano Nesi e realizzata sotto il patrocinio della Regione Toscana e della Provincia di Pisa, la mostra propone un allestimento di grande impatto visivo, che include anche la ricostruzione visiva e sonora di Via Porta all’Arco, l’antica strada degli alabastrai volterrani.

di Davide Turrini

Sede: Volterra, Palazzo dei Priori
Durata: 24 aprile – 30 novembre 2008
Orario: tutti i giorni 10.30-18.30
Telefono: 058886099, 058887257
Ingresso: € 5

Vai a: Mostra Alabastri Volterra

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28 Maggio 2008

Opere di Architettura

Genova: rinnovati scenari urbani

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Scorci di Galleria Mazzini

Tre interventi realizzati da Il Casone di Firenzuola ci guidano per le strade di Genova, rinnovata dal suo centro storico ai lembi di terra ridisegnanti il litorale. Filo rosso è il manto grigio colombino a finitura pavimentale di tre porzioni di città: la storica galleria coperta, la piazza principale e, attraverso il passeggio della principale via San Lorenzo, il porto, considerato quest’ultimo principalmente negli assetti derivati dal lavoro di Renzo Piano fra 1985 e 1992. Gli ultimi progetti, noti per essere raccolti nell’affresco regalato dall’architetto alla città, la rilanciano in direzione del mare per ricostituire equilibri ora perduti fra acqua ed edificato.

Galleria Mazzini
Acquisizione di richiamo borghese di fine ‘800, anticipazione dei camminamenti protetti dei centri commerciali contemporanei, in Italia la tipologia della galleria coperta centra alcune realizzazioni notevoli ispirate ai precedenti dei passages parigini; tra queste è la galleria Mazzini di Genova, rilanciante l’esempio riuscito di galleria Vittorio Emanuele II a Milano, di poco precedente.
Il calpestio lambisce i fabbricati, improvvisamente moltiplicando la propria ampiezza in ogni occasione di vetrina espositiva. Partecipa al gioco di luci e superfici patinate l’effetto lucido delle singole lastre in colombino levigato. L’ingresso della luce naturale fa emergere occasionalmente contenuti minimi di vena della pietra, con il risultato dell’evidenza della sua elegante naturalità.
La posa avviene entro binari longitudinali nella direzione principale della galleria: due corsi di posa regolare. Sono essi occasionalmente intraversati da corsi litici, a definire insieme campiture entro le quali le singole lastre sono posate con tradizionale sormonto in mezzeria.
Le immissioni di altri flussi pedonali avvengono sempre perpendicolarmente all’asse principale e sono siglate a pavimento dall’inserto di disegno geometrico ottagonale delimitato con fascia color porpora. In alzato la caratterizzazione si materializza in serliane prendenti a riferimento gli allineamenti degli edifici.

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Alcune viste panoramiche di Piazza Raffaele De Ferrari

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Piazza De Ferrari
Percorsa la galleria in direzione della Cattedrale cittadina, Piazza Raffaele De Ferrari si colloca a pochi passi nel cuore di zona urbana monumentale. In questo punto nodale allo smistamento di percorrenze del centro si pone quasi quale fulcro regolatore dei flussi viari una piattaforma rialzata di forma circolare. Al suo interno è centralmente fissata fontana d’ampia dimensione e, con i suoi giochi d’acqua, notevole valore scenografico. Al contorno lo spazio pubblico si frammenta a livello di disegno pavimentale in più porzioni di geometria differente, ora colmate con piccoli elementi quadrati, ora con grandi lastre di base rettangolare ma bordi e superficie non rigorosi, espressivi dell’invecchiamento della materia nel tempo.
Al centro dunque la presenza monumentale circolare, a sua volta protetta lungo due lati principali di piazza ancora da rialzi e giochi d’acqua, da cui pure ci si protegge con bordure lapidee e leggeri salti di quota di nuovo progetto. La forma rotonda è accentuata da ripetuti anelli concentrici a giungere dal perimetro al cuore, incarnato dalla fontana storica. Ognuno di questi anelli realizzati in colombino dalla finitura scabra è esaltato nel colore dai bordi eseguiti con piccoli elementi altri, di forma quadra e tonalità del tutto scura. Questi inserti ora tracciano figure geometriche in sovrapposizione agli anelli concentrici, ora ispessiscono i bordi di contenimento agli anelli in colombino, ora infine caratterizzano a terra un camminamento perimetrale tra piattaforma di fontana e nuove presenze d’arredo con acqua.
A ridosso dell’anello centrale contenente la vasca storica il colombino si rialza dal piano, assume rilievo e spessore di seduta – continua e circolare – offrendosi piacevolmente al passante al pelo rinfrescante dell’acqua. La scelta d’essenza lapidea ben si sposa per materia e colore ai paramenti d’architettura storica circostante.

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Piazza Caricamento, spazio pubblico fra edificato e mare

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Piazza Caricamento
Il fronte mare della città di Genova è ricco di protagonisti: le coloriture accese dei fabbricati, le loro diverse età ed i diversi stili, gli elementi a corredo della viabilità lungo la costa – palme, lampioni, arredi – poi la velocità automobilistica sopraelevata, infine il golfo con il suo portato di imbarcazioni, mare ed il disegno importante a progetto di Renzo Piano. Piazza Caricamento si trova compresa entro questa ricchezza di presenze in vario modo architettoniche, anche portatrici di sicura eterogeneità materica. Come un momento intenso vissuto lungo l’arco della giornata, la piazza è un punto significativo d’apertura delle visuali nel percorso attraversante il lungomare.
Al piano di calpestio è richiesta in questo caso specifico la capacità d’essere nell’insieme fondo omogeneo a tanta ricchezza di attori, poi alla scala della città d’accompagnare la geometria sinuosa del golfo, a quella del pedone d’interpretare percettivamente in superficie lo scenario di cui si fa esso stesso piano orizzontale di base.
E’ prescelto il colombino con la sua leggera presenza di vena e con le sue contenute variabili cromatiche del grigio occasionalmente velato da modesti contenuti più bruni. Il forte spessore è anche utilizzato per incidere in modo sensibile il piano superficiale con rigature oblique profonde, ricavate entro il rettangolo di base ulteriormente bordato ad accentuare il giunto fra i conci. Sono questi posati semplicemente a correre, con dimensioni variabili pur nelle larghezze tipiche costanti di ogni fila di lastre. Si prescrive la successione di elementi alternati con rigatura obliqua contrapposta: l’effetto evidente alla luce naturale, specialmente radente, è quello di una sorta di bicromia ottenuta fra lastre immediatamente adiacenti, aggiungendo dunque spessore al ventaglio di possibilità cromatiche già offerte naturalmente dalla pietra. La medesima essenza litica pure risolve con specifici elementi i rialzi puntuali del calpestio.

di Alberto Ferraresi

(Vai al sito Casone)
(Vai a Renzo Piano Building Workshop)

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27 Maggio 2008

Letture

RESIDENZE IN VILLA A CATANIA, TRA OTTOCENTO E NOVECENTO
VINCENZO SAPIENZA

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VINCENZO SAPIENZA
RESIDENZE IN VILLA A CATANIA, TRA OTTOCENTO E NOVECENTO
“Documenti D.A.U.” n. 25
EDITORE IL LUNARIO, ENNA, PP. 176.

La villa rappresenta un tipo edilizio del tutto particolare nella storia dell’architettura tradizionale in quanto prescelta, per consuetudine consolidata, come dimora dalla classe preminente. In varie epoche, e segnatamente nei momenti di maggiore espansione economica, essa ha conosciuto ampio successo. Nata per soddisfare l’esigenza, particolarmente sentita dall’aristocrazia fondiaria, di possedere una residenza in campagna, in cui trascorrere brevi periodi di soggiorno anche per il controllo delle attività di produzione agricola; ben presto si è svincolata da questo ruolo per divenire uno status symbol; infatti si è prestata ad essere un segno, un simbolo capace di rappresentare in maniera concreta il rango sociale del proprietario.
L’isolamento rispetto al tessuto circostante, la posizione in un sito dominante e panoramico, il rapporto con il giardino che la circonda, sono le caratteristiche sfruttate dai più abili architetti di tutti i tempi (da Raffaello a Palladio, da Wright a Mayer) per dar vita a organismi esemplari capaci di vincere il logorio dei tempi, arrivando fino ai giorni nostri carichi di fascino e prestigio.
A Catania la diffusione della residenza in villa ebbe luogo a partire dal 1884, data di apertura del viale Regina Margherita, una strada adibita al pubblico passeggio delle carrozze, fiancheggiata dalle ville delle famiglie più in vista della borghesia e della nobiltà cittadina. La preferenza per questo tipo edilizio a Catania, si deve anche alla presenza in quell’epoca di numerosi imprenditori stranieri richiamati in città dalle ricche commesse per la modernizzazione dell’area urbana.
Il rinnovato interesse per gli edifici del genere si protrasse sino al primo dopoguerra. Successivamente il meccanismo di sfruttamento delle aree urbane mutò radicalmente, tant’è che numerose ville furono demolite per essere trasformate in appetibili lotti edificabili nel cuore della città moderna. Tale atteggiamento è in parte imputabile al frazionamento della proprietà, che tutt’oggi allontana la possibilità degli eredi di sfruttare il bene a fini residenziali ed accresce la difficoltà di eseguire i necessari interventi manutentivi.
Lo studio delle ville catanesi peraltro offre l’occasione di rivolgere l’attenzione all’evoluzione delle tecniche costruttive che si verificò tra ottocento e novecento, dovuta sostanzialmente a due fattori: la diffusione di nuovi materiali, primo fra tutti il calcestruzzo armato, e l’accresciuta sensibilità verso i problemi strutturali, anche in rapporto agli eventi sismici di allora.
Dal panorama cittadino emergono alcuni esempi maggiormente qualificati. Su questi è stata condotta una dettagliata analisi approfondita sino alla descrizione della apparecchiatura di fabbrica.

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26 Maggio 2008

Letture

FINESTRE E PARETI VETRATE
Santi Cascone

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SANTI CASCONE
FINESTRE E PARETI VETRATE

“Documenti D.A.U.” n. 15
GANGEMI EDITORE, ROMA, PP. 206.

I materiali e le tecniche esecutive delle finestre e delle pareti esterne trasparenti costituiscono oggetto di notevole interesse per quanti si occupano di edilizia. Queste rappresentano la parte più vulnerabile dell’involucro esterno degli edifici, cariche come sono di determinanti valenze prestazionali ed estetiche che permettono all’ambiente esterno di interagire con l’interno della fabbrica e a questo di trasparire all’esterno.
Nel presente volume l’autore effettua un’analisi tecnico-costruttiva dei serramenti in legno e in leghe di alluminio e delle facciate continue, con l’obiettivo principale di proporre alcune soluzioni di dettaglio significative. A tal fine il testo risulta corredato di numerose illustrazioni didascaliche e di oltre 60 tavole a colori esemplificative degli argomenti trattati. Il lavoro, per la vastità e la complessità della materia, non può avere la pretesa di essere esaustivo ma piuttosto intende offrire un contributo, in termini di architettura pratica, agli studi del settore.

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24 Maggio 2008

Progetti

Parco sportivo “Cave del Faraone”
Arch/lab arch. Giovanni Bellinvia _ arch. Massimo Castiello

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Sezione longitudinale di progetto sulla cava

In seguito alla breve indagine compiuta su alcune realizzazioni e progetti aventi per comune denominatore il sito in cava lapidea, abbiamo ricevuto segnalazione e volentieri proponiamo materiali descrittivi di un ulteriore progetto pugliese, avviato ormai agli approfondimenti che conducono alla realizzazione.

Il sito di intevento nel comune di Massafra in provincia di Taranto, è costituito da un’ampia fascia digradante verso il mare Ionio ed è incorniciata a sud ovest dalla fossa Bradanica, caratterizzata da una successione di sedimenti carbonatici di età plio-pleistocenica e a nord est da una piattaforma mesozoica di calcari. Il territorio ha carattere collinare verso il centro abitato di Massafra (160 m slm) per poi addolcirsi in una serie di terrazzi paralleli verso la costa che si sviluppano a partire da quota 120 m fino a ridosso delle dune costiere.
E’ proprio a partire dagli affioramenti di calcarenite di gravina, più comunemente conosciuta come “tufo”, che la roccia si manifesta nella sua spettacolarità attraverso le lame, solchi erosivi che incidono i corpi rocciosi fino ad una profondità di 10 m.
Ma la zona presenta a diverse altezze stratigrafiche anche Calcare di Altamura, affioramenti di argille subappennine, depositi marini, alluvionali, palustri e costieri offrendo litotipi in continua mutazione per un’ eterogeneità di cromie dal bianco, al grigio-nocciola, al rossastro dei residui ferrosi di superficie, e per i continui passaggi da matrici di sabbie fini a stratificazioni massicce.

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Immagine della cava allo stato attuale

Il progetto prevede la riqualificazione/rifunzionalizzazione della cava attualmente utilizzata come discarica autorizzata per lo smaltimento di rifiuti inerti e a base di amianto.
Il nuovo sito, caratterizzato dall’avere il piano di campagna ad una quota inferiore rispetto al traffico veicolare presente, sarà escluso al traffico dei mezzi non autorizzati e raggiungibile solo pedonalmente attraverso rampe o in modo diretto con scale e ascensori dal centro sportivo, unico volume a raggiungere una quota superiore. I visitatori e i fruitori, già dalla zona di accesso avranno immediatamente la percezione di entrare in un complesso separato funzionalmente e non solo visivamente dal contesto circostante, ma che ne richiama fortemente le origini.
Il centro di Massafra infatti è sorto come evoluzione delle preesistenti grotte ipogee; il paesaggio caratterizzato da anfratti e gravine costituisce già di per sè un percorso culturale, una sorta di viaggio indietro nel tempo. Il parco, di circa 10 ettari, costituirà un vero e proprio progetto didattico alla riscoperta di essenze arboree ed arbustive tipiche della Macchia Mediterranea. Un unico grande percorso infatti attraverserà tutto il parco e sarà ritmato dalle attività presenti, come il centro sportivo, la piscina, la palestra e la grande piazza polifunzionale cuore del progetto, ma anche da un bar e un ristorante che consentiranno all’area di essere frequentate in tutti i periodi dell’anno.
Gli edifici saranno costruiti non in aderenza ai margini di cava, il cui fronte sarà quanto più possibile lasciato integro, e in altezza sempre contenuta in modo da poter valorizzare quanto più possibile la skyline del paesaggio.
La pietra sarà uno dei materiali che caratterizzano non solo il sito come storia ma anche le nuove costruzioni sia sotto forma di pavimentazioni degli ampi spazi comuni quali la piazza e il sagrato, sia come rivestimento nelle facciate ventilate delle palestre e del centro benessere; per queste applicazioni non potrà essere impiegata la pietra del luogo, ormai da tempo utilizzato come discarica.
In prospettiva appunto della chiusura definitiva della discarica e della sua riqualificazione è stato redatto un Piano di gestione che riguarderà soprattutto le attività di manutenzione delle opere e dei presidi già esistenti, in modo da garantire che anche in fase post-operativa la discarica mantenga i requisiti di sicurezza ambientale raggiunti fino ad oggi. Infatti il piano di gestione post-operativa verrà realizzato attraverso le seguenti fasi:
Manutenzione per conservare in buona efficienza tutta la zona;
Recinzione della stessa con cancelli di accesso;
Canalizzazione delle acque meteoriche e smaltimento delle stesse;
Creazione di una viabilità interna ed esterna;
Sistema di drenaggio dell’eventuale percolato;
Sistema di impermeabilizzazione sommitale;
Copertura vegetale, innaffiature periodiche, sfalci periodici e sostituzione delle essenze morte;
Controllo delle acque sotterranee attraverso pozzi già esistenti.
(…)
Successivamente il piano di ripristino ambientale dovrà individuare gli interventi che il gestore deve effettuare per il recupero e la sistemazione dell’area della discarica a chiusura della stessa.

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Sezione longitudinale di progetto sulla cava

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di Debora Giacomelli

(Vai alla pubblicazione del progetto su europaconcorsi)
(Vai alla sezione Progetti)
(Vai al post sulle cave di Fantiano)
(Vai al sito di Massafra)

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21 Maggio 2008

Principale

Casa per tutti – La vita nuda

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