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13 Dicembre 2008

Principale

Beyond Media 2009

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3 dicembre 2008. Siamo felici di annunciare il bando di partecipazione riservato agli autori di video e di opere di comunicazione dell’architettura e del progetto per la nona edizione di BEYOND MEDIA, festival internazionale di architettura e media.
Il festival, dedicato alle più attuali visioni sull’architettura e al dibattito sulle relazioni del progetto con i media, avrà luogo nella Stazione Leopolda di Firenze dal 9 al 17 luglio 2009.
Organizzato da Image www.image-web.org, BEYOND MEDIA, curato da Marco Brizzi, accompagna dal 1997 lo sviluppo dei sistemi di comunicazione in architettura, misurando la loro incidenza sulla produzione attuale e promovendo la qualità e la ricerca nell’elaborazione dei mezzi di comunicazione del progetto.
La nona edizione di BEYOND MEDIA sarà dedicata al tema VISIONS. L’architettura contemporanea sembra aver perso, negli ultimi anni, la capacità di ricercare visioni ampie, di raccogliere in uno sguardo esteso la complessità dei fenomeni di trasformazione dell’ambiente abitato, di guidare il pensiero e la coscienza al di là di quello che è consueto, empirico, visibile. Le immagini dell’architettura, la loro massiva produzione e il loro consumo hanno avuto come diretta conseguenza, negli ultimi anni, una maggiore vicinanza del pubblico alla progettualità mondiale. Ma, al contempo, hanno realizzato una modificazione nel modo di pensare l’architettura e inciso sulla capacità e sull’opportunità di realizzare visioni, e quindi teorie, radicate nel nostro tempo ma aperte verso possibili nuovi scenari.
La scadenza per la consegna è il 31 gennaio 2009.

(Vai a Beyondmedia)

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12 Dicembre 2008

Eventi

MARMOMACC INCONTRA IL DESIGN | edizione 2008

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Consorzio Marmisti Chiampo, Lavabi e vasca, design R. Galiotto

Passeggiando tra gli stand della Fiera MarmoMacc, l’attenzione è rapita dai colori e dalle forme della materia antica. La pietra, il marmo, che da sempre rappresentano l’arte e la scultura, oggi si riscoprono con una nuova plasticità. La tecnologia avanzata di cui sfruttano i processi, così come l’artigianalità sapiente e di tradizione, creano un connubio dal quale fuoriescono manufatti di grande pregio. Al contrario di chi sostiene che la pietra non possa essere associata al design, o meglio, a quel filone dell’industrial design che lavora sulla catena di montaggio e sul prodotto in serie, penso alla pietra come ai primi oggetti di design, fuoriusciti da un lento processo di progetto-confronto tra l’architetto e il produttore.
Con la pietra, la lentezza del processo è solo apparente, poichè anche in questa realtà produttiva tutto corre seguendo e scandendo i tempi dettati dal mercato, ma non perdendo mai di vista il contatto tra le mani e la materia forgiata da strumenti di lavoro innovativi. E grazie a questi macchinari che lavorano guidati da computers, troviamo dei manufatti sempre più audaci, fatti di superfici traforate, di elementi scavati, di forme astratte che prendono vita nel più concreto dei materiali. I progettisti che si sono affacciati su questo panorama lapideo sono riusciti a ricavarne prodotti leggeri e lievi, o massicci e manifesti.
Nonostante l’ambito di competizione tra le diverse aziende quest’anno fosse dedicato a “Pelle, Skin, Texture”, non sono mancati progetti che guardassero alla tridimensionalità del product design.
La mostra organizzata dal Consorzio Marmisti del Chiampo in collaborazione con il designer Raffaello Galiotto, ha costituito uno spartiacque avendo al suo interno prodotti tridimensionali ma anche rivestimenti parietali. La mostra ha dato mostra delle abilità tecniche delle aziende e al contempo alla reinterpretazione e riattualizzazione del fare palladiano del secondo. All’interno del percorso espositivo si sono visti prodotti legati all’arredo bagno, ma anche panchine e sedute per l’arredo urbano. Le forme ispirate al classico, si adattano agli ambienti moderni e contemporanei grazie alla varietà dei colori e delle trame naturali delle pietre usate.
Altre aziende hanno presentato nuove linee d’arredo, come Piba Marmi e Vaselli Marmi. La prima ha proposto la nuova linea “Stone Like Water” disegnata da Hikaru Mori, designer giapponese che aveva già collaborato in passato con l’azienda. Questa nuova linea rispecchia un approccio essenziale tra la materia e la liquidità, frutto della cultura zen e di una ricerca ispirata alla purezza.
La seconda, Vaselli Marmi, propone una nuova collezione comprendente un lavabo ed una vasca in marmo bianco statuario di Carrara dalle forme dolci e sinuose, materne, da appoggiare su un piano, nel caso del lavabo, o direttamente a terra, nel caso della vasca. La forma cilindrica di partenza si va a chiudere con una semisfera, tale da dare l’impressione che il lavabo possa rotolare, ondeggiare ruotando, tanto sembra leggero.
Marsotto presenta in anteprima un elemento realizzato in collaborazione con il designer James Irvine: un porta-frutta fuori scala, che diventa un elemento costituito da mensole sovrapposte, si pone a metà strada tra design e scultura.
Altre interessanti proposte, legate all’arredo urbano e da giardino, sono arrivate da Franchi Umberto Marmi. Frutto della collaborazione con i designers Silvia Nerbi e Paolo Armenise, i grandi vasi da giardino Tjiandi e Ira sono realizzati con marmi di diverse tonalità, dal Bianco Carrara al grigio della Pietra di Carrara, al Rosso Collemandina. Le forme sono varie e richiamano gli otri greci, dalle forme panciute e un po’ goffe, oppure lunghi e slanciati come colonne ioniche, rastremati e poi riaperti sulla sommità. All’interno dello stand vi era un elemento cucina realizzato con un piano in marmo bianco di Carrara contenente i vari scompartimenti necessari alla cucina stessa. Altri elementi, come, ad esempio, un tavolo basso, anche questo in marmo Carrara, un altro tavolo costruito con tre lastre unite agli angoli con un taglio a 45° realizzato in Pietra Carrara, altri piccoli vasi ispirati ai giardini zen, e totem realizzati con un rivestimento sottile come esposizione dei marmi estratti dall’azienda, completavano il grande stand.
Come per franchi umberto marmi, altre aziende si sono concentrate sui rivestimenti sottili applicati principalmente alle cucine. Ad esempio Italiana Cucine srl ha presentato tre prototipi di cucine: la prima M1 presentata in marmo Emperador Light, ispirata ad una forma a C, in cui le due parti corte comprendono i lavabi e i fornelli. La seconda, M2, ispirata ad una forma a U, le cui pareti laterali rialzate comprendono l’intero spazio di lavoro e presentata in Crema Imperiale. La terza, M3, presentata in marmo Moon Rock, è una cucina a blocco, completamente chiusa, al cui interno cela tutti i vari scompartimenti e gli stessi strumenti di lavoro come fornelli e lavabi. I piani a scomparsa, i tagli a 45° che nascondono gli scompartimenti interni realizzati poi in acciaio e legno, rendono questa struttura un monolite progettato fin nel minimo dettaglio.
Rimanendo all’interno dell’ambiente living, proposte relative all’arredo e al design di prodotto sono arrivate anche da Testi Fratelli, che ha mostrato nello stand i vari prodotti realizzati per aziende specializzate nell’arredamento come Porro, o nell’illuminazione come Flos.
Talvolta risalire a coloro che realizzano materialmente determinati prodotti risulta difficile per vari motivi, ma aver visto la mano di Achille Castiglioni (per la lampada Arco, disegnata nel 1962) e di Piero Lissoni (con il tavolo Yule, disegnato nel 2007) confrontarsi all’interno di un unico stand non è cosa da poco.

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Stand Testi Fratelli, Tavolo Yule, design P. Lissoni

L’attenzione al dettaglio, all’incastro perfetto, alla coincidenza dei lembi a 45° non si ritrova solo nei progetti tridimensionali, ma sono peculiarità poste alla base anche dei progetti che affrontano le due superfici. La provocazione di Stefano Giovannoni nel realizzare il pavimento ondulato dello stand di Grassi Pietre, fa cogliere tutta l’abilità di questa azienda del plasmare le superfici, e nel renderle simili a materiali molto meno duri. In maniera diversa, ma altrettanto provocatoria Riccardo Blumer prova ad uscire dal bianco guscio che lo circonda, nello stand di Scalvini Marmi, ma senza riuscirci. Il risultato è una sagoma che spinge con forza la superficie lapidea sulla quale lascia l’impronta della propria spinta, senza forarla.

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Stand Scalvini Marmi, Kosmoderma, design R. Blumer

Un po’ meno provocatorio, ma rispecchiante un’elevata abilità tecnica e manuale, è stata l’istallazione di Massimo Iosa Ghini all’interno dello stand Budri. La parete, ispirata alle forme fluide da cui prende il nome “Wave” è realizzata con lamelle in marmo Bianco Carrara separate tra loro da un’intercapedine pari allo spessore della lastra tale da consentire il passaggio della luce emessa da una fonte luminosa cangiante posta dietro all’elemento lapideo. Le lamelle tagliate con una sezione variabile, provocavano, in alcuni punti, uno sfasamento e una plasticità molto forte. La plasticità era aumentata dalla proiezione del movimento della parete sul pavimento, realizzato con la tecnica dell’intarsio, che seguiva e accentuava il movimento delle onde, come la sabbia, mantenendo impressa la forma dei flutti. Il pavimento, concepito anch’esso da Massimo Iosa Ghini, era realizzato in marmo Bianco Carrara e in marmo Bardiglio Perla.

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Stand Budri, Wave, design M. Iosa Ghini

Assotigliandosi sempre più gli spessori, e lavorando sulla superficie, in senso lato, poichè parliamo sempre di spessori, le proposte più innovative sono state presentate da Lasa Marmi, con un progetto in collaborazione con Marco Piva, su rivestimenti parietali a spessori variabili in marmo Bianco Carrara, che partendo da un modulo quadrato e di forte spessore, lo alterna ad uno con minor spessore, creando una sorta di scacchiera in cui a variare non è soltanto lo spessore, ma anche le dimensioni del quadrato di partenza. Altra proposta innovativa è stata quella di CITCO, in collaborazione con Ferruccio Laviani, che ha realizzato una parete costruita con elementi curvi. La particolare forma dei singoli elementi lascia filtrare un sottilissimo raggio di luce che consente di fendere la penombra negli spazi circostanti. L’azienda propone anche un trattamento superficiale ispirato alla pelle di coccodrillo, un altro che prevede l’inserimento di fasce metalliche che riflettono la luce creando effetti particolari, ed infine una lavorazione rappresentante degli elementi floreali tono su tono.

di Veronica Cupioli

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2 Dicembre 2008

Eventi

FAF inaugura PALAZZO TASSONI
Giovedì 11 dicembre 2008
Video Conferenza Stampa

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Scarica Invito “FAF inaugura PALAZZO TASSONI”
Scarica Cartella stampa
Scarica Foto Palazzo Tassoni (in alta definizione)
Scarica Foto Palazzo Tassoni (in bassa definizione)

Ufficio stampa: Davide Turrini – Tel. 3282280668
Segreteria organizzativa: Veronica Dal Buono – Tel. 3396249979

PALAZZO TASSONI
Gli spazi della Facoltà di Architettura di Ferrara si espandono significativamente nel corso del 2008 con il complesso di Palazzo Tassoni, completamente rifunzionalizzato attraverso un restauro scientifico della fabbrica storica e l’addizione di nuovi corpi tecnici, portando quasi a conclusione il processo di costituzione di un vero e proprio campus universitario incastonato nel tessuto della città storica estense.
Le attività formative ed istituzionali acquisiscono alla piena funzionalità l’articolato insieme di edifici, coincidente con il nucleo monumentale e di alta rappresentanza della residenza patrizia della famiglia Tassoni, destinato all’ampliamento degli spazi per la didattica, per la ricerca e per importanti progetti culturali.
Costruito durante l’Addizione borsiana nella metà del XV secolo presso la contrada della Ghiara, il palazzo venne confiscato da Ercole I d’Este al fattore ducale Bonvicino dalla Carte per farne dono ai Conti Tassoni nel 1476. Risale al 1491 la lettera indirizzata al duca in cui l’architetto Biagio Rossetti afferma di seguire i lavori per la ristrutturazione del palazzo. L’edificio rimase dimora della famiglia Tassoni sino al 1858 quando venne destinato a sede dell’ospedale provinciale e la sua struttura, conseguentemente, modificata con trasformazioni ed aggiunte funzionali che ne snaturarono il carattere di grande residenza. Successivamente vennero costruiti i padiglioni su via Quartieri e via Chiodare e la destinazione d’uso impropria perdurò sino agli anni Settanta del Novecento: la struttura ha ospitato molteplici e variegate attività amministrative che hanno declassato la fruizione del complesso. Negli anni Ottanta la gestione del palazzo passa all’Università ed il suo recupero viene inserito nel “Progetto di Valorizzazione delle Mura e del Sistema Museale di Ferrara”.
Dal 1997 Palazzo Tassoni è stato oggetto di studi e di ricerche da parte della Facoltà di Architettura di Ferrara da cui è scaturito un intervento di restauro scientifico per l’ampliamento della funzione universitaria attraverso una intensa attività multidisciplinare tradottasi in un incarico progettuale interno all’Amministrazione universitaria (1998).

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Palazzo Tassoni (foto di Enrico Geminiani)

[photogallery]tassoni_album[/photogallery]

Il progetto è stato redatto da un nucleo di docenti composto da Pietromaria Davoli (coordinamento generale e progetto architettonico), Claudio Alessandri (progetto strutturale), Sante Mazzacane (progetto impiantistico), con la collaborazione di neolaureati e numerosi studenti nonchè il coinvolgimento del Centro operativo di Ferrara della Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici con direzione dei lavori svolta da Andrea Alberti.
Oltre che per attività didattiche, di ricerca, di rappresentanza, una parte dei quartieri monumentali – soprattutto il grande salone a piano terra e il salone monumentale al primo piano – potrà ospitare mostre ed eventi culturali; altri ambienti sono resi disponibili per riunioni, tavole rotonde e seminari aperti all’esterno della società civile e produttiva in base alla programmazione temporalizzata di specifici open day o open week per iniziative promosse in stretta collaborazione con Istituzioni, con Committenze pubbliche e private, con le Organizzazioni di produzione, con le Associazioni culturali sia di ambito ferrarese che dell’orizzonte più vasto nazionale ed internazionale.

Alfonso Acocella
Responsabile “Relazioni esterne e Comunicazione FAF”
Progetto scientifico e fund raising evento “FAF inaugura PALAZZO TASSONI”

EVENTI INAUGURATIVI DI PALAZZO TASSONI
11 dicembre 2008

CONVEGNO: ANTICO CONTEMPORANEO
Facoltà di Architettura di Ferrara, Aula Magna Via Quartieri 8

Un evento culturale di alto profilo e di rappresentatività istituzionale – una sorta di confronto colto a più voci – pensato come omaggio all’inaugurazione dell’ala monumentale di Palazzo Tassoni restaurato e recuperato all’uso della Facoltà di Architettura di Ferrara e della città stessa. Il simposio intende avvicinare visioni ed interpretazioni dei massimi studiosi della civiltà antica con prefigurazioni contemporanee di architetti giunti ad una fama internazionale per l’alto valore espresso dalla loro opera.

ore 10 Aula Magna
Intervengono
Patrizio Bianchi, Magnifico Rettore Università di Ferrara
Graziano Trippa, Preside della Facoltà di Architettura
Carla Di Francesco, Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna
Giorgio Cozzolino, Soprintendente ai Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini

ore 14,30 Aula Magna
L’ANTICO prima sessione
Marco Carminati, Il Sole 24 Ore – Introduzione
Roberto Pazzi | Il Romanzo e la Storia
Gabriele Morolli | “Rinascimento e Rinascenze”
Andrea Alberti | Del Restauro

ore 14.30 Aula Magna
IL CONTEMPORANEO seconda sessione
Francesco Erbani, La Repubblica – Introduzione
Francesco Cellini | Progettare nell’Antico
Massimo Carmassi | Dalla Conservazione all’Architettura
Hans Kollhoff | Classico contemporaneo
Alberto Campo Baeza | Pensare con le mani

INAUGURAZIONE PALAZZO TASSONI
Facoltà di Architettura di Ferrara, Via della Ghiara 36

ore 17.30
SVELAMENTI. Esercizi per una inaugurazione
di Antonio Utili, con gli studenti del Laboratorio di Allestimento Scenico e il contributo del Centro Teatro Universitario e del Conservatorio di Musica Girolamo Frescobaldi.
ore 18.00

INAUGURAZIONE
Saluti delle autorità
Graziano Trippa – Preside della Facoltà di Architettura
Patrizio Bianchi – Magnifico Rettore Università di Ferrara
Giorgio Cozzolino – Soprintendente ai Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini
Carla Di Francesco – Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna
Rita Tagliati – Vicesindaco di Ferrara
Sergio Lenzi – Presidente Fondazione Carife
Introducono al Palazzo
Pietro Maria Davoli, Sante Mazzacane, Andrea Alberti

ore 18.45
ROSSOITALIANO
Facoltà di Architettura di Ferrara, Palazzo Tassoni Via della Ghiara 36

Opening Mostra “Pavimentazioni in cotto dall’Antico al Contemporaneo”

La Mostra si snoda attraverso quattro sezioni – Antico, Spazio pittorico, Rinascenza, Rossoitaliano – rappresentative della tradizione tipicamente italiana che dal periodo arcaico giunge fino al presente senza soluzione di continuità. Il racconto visivo evolve i temi di partenza, legati ai cocciopesti fenicio-punici, verso l’opus signinum e i pavimenti in tessere laterizie del mondo romano, per poi soffermarsi sulle scritture pavimentali policromatiche in cotto della Rinascenza prima di giungere al Contemporaneo.

Saluto e introduzione alla Mostra
Gianfranco Chiacchieroni – Sindaco di Marsciano
Alfonso Acocella – Curatore scientifico della Mostra

ore 19.15
CONCERTO A PALAZZO
Facoltà di Architettura di Ferrara, Palazzo Tassoni Via della Ghiara 36

Ensemble di Flauti del Conservatorio “Girolamo Frescobaldi” Direttore Luciano Ravagnani nel Salone Palazzo Tassoni

Il concerto, tenuto dai musicisti del conservatorio “Girolamo Frescobaldi” di Ferrara, intende rievocare negli spazi della residenza patrizia dei Tassoni l’atmosfera di una “Corte Musicale”, luogo di incontro e di scambio di valori artistici che, senza soluzione di continuità, hanno attraversato la storia e la cultura estense, dalla più fulgida stagione rinascimentale fino all’attività contemporanea di alto profilo delle istituzioni teatrali e musicali cittadine.

FACOLTA’ DI ARCHITETTURA DI FERRARA
www.xfaf.it
www.unife.it/facolta/architettura
UNIVERSITA’ DI FERRARA
www.unife.it

SOSTENITORI
FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI FERRARA
ASSOCIAZIONE MUSEO DI MARSCIANO
ANDIL
CASALGRANDE PADANA
IL CASONE
PIBA MARMI
TENAX S.P.A.
LUCCI
CUSIMANO
FRANCHINI PAVIMENTI
UNIECO
FASSA BORTOLO S. P. A.
ESPO
VELUX
NEMETSCHEK
LEICA
KONICA MINOLTA

PARTNERS
KNOLL INTERNATIONAL
VIA BIZZUNO
CONSORZIO FERRARA RICERCHE – CFR
ISTITUTO TECNICO AGRARIO “F.LLI NAVARRA” DI FERRARA

MEDIA PARTNER
MAGGIOLI EDITORE

COLLABORAZIONI
CONSERVATORIO “G- FRESCOBALDI” DI FERRARA
COMUNE DI FERRARA – U.O. PROMOZIONE E DIDATTICA ARTI SCENICHE
C.T.U. CENTRO TEATRO UNIVERSITARIO DI FERRARA

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1 Dicembre 2008

Opere Murarie

IL SITO ARCHEOLOGICO DI MORGANTINA (EN).
MATERIALI LAPIDEI E TESSITURE MURARIE

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Il sito di Morgantina

Morgantina: profilo storico-topografico
Il sito di Morgantina, situato in provincia di Enna, presenta un primo insediamento arcaico, fondato sul Monte la Cittadella da popolazioni indigene provenienti dall’Italia meridionale, risalente alla tarda età del bronzo, e un secondo impianto ellenizzato del sec. V a.C., sul pianoro di Serra Orlando, occupato dai Romani nel 211 a.C. La ricchezza di Morgantina è testimoniata dalla presenza di numerosi edifici pubblici: il teatro, l’ekklesiasterion, il prytaneion, il bouleuterion, il macellum, una grande fornace e ben cinque stoài. La città, che presenta un impianto a maglia ortogonale con l’agorà pressochè centrale, era delimitata da un sistema difensivo con quattro porte di accesso. Morgantina venne abbandonata per ragioni sconosciute intorno al sec. II d.C.

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Il Macellum e l’Ekklesiasterion.

Caratterizzazione dei materiali lapidei naturali
Al fine di caratterizzare i materiali lapidei con i quali sono realizzate le murature nel sito, è stata eseguita una campagna di indagini diagnostiche su campioni di materiale prelevati direttamente nel sito a cura dell’Università degli Studi di Palermo. Dopo il prelievo, i campioni sono stati catalogati e schedati e sugli stessi sono state eseguite analisi mineralogico-petrografiche su sezioni sottili, sezioni lucide, diffrattometrie ai raggi X, assorbimento d’acqua per immersione totale e capacità di imbibizione. Si è scelto di analizzare tre diverse tipologie di rocce, un calcare e due rocce sedimentarie di origine clastica, arenarie sensu lato, una calcarenite quarzosa, ricca in quarzo, e una bio-calcarenite ricca in calcite e gusci di fossili.
Il calcare presenta macroscopicamente un aspetto piuttosto cavernoso, brecciato e coerente, e alla prova di assorbimento d’acqua ha restituito un valore medio dell’8,1% che, secondo la classifica di Artini e Principi, dimostra trattasi di un “calcare cavernoso”, cioè di una roccia calcarea ricca in cavità, suscettibile ai fenomeni di degrado. La roccia risulta composta esclusivamente da carbonato di calcio (calcite), con una pasta di fondo micritica, ed è caratterizzata dalla presenza di microlesioni ramificate di dimensioni intorno a micron 140, probabilmente dovute alla dissoluzione del carbonato di calcio a opera delle acque circolanti.
La calcarenite quarzosa rilevata nel sito, macroscopicamente appare di colore giallo-paglierino, abbastanza compatta e cementata, scabrosa al tatto, con una certa ricchezza in quarzo. In superficie si è rilevata la presenza di mesovene ramificate con dimensioni decimetriche e con spessore dell’ordine del millimetro, riempite di quarzo. Dall’osservazione della sezione sottile al microscopio ottico a luce trasmessa, si rileva che, in genere, la morfologia dei grani è sub angolosa, mentre i clasti feldspatici presentano un habitus poligonale; la struttura presenta una pasta di fondo micritica e una tessitura Packstone. Sono evidenti inoltre resti di fossili (lamellibranchi, pecten) e microfossili. Si osserva una porosità secondaria dovuta alla dissoluzione del carbonato di calcio dei gusci di fossili e microfossili operata dalle acque circolanti, con conseguente deposizione di vene di calcite spatica nelle micro fessure, originatesi secondariamente per cause tettoniche. La porosità è distribuita in modo uniforme nella pasta di fondo ed è presente in corrispondenza dei clasti calcitici. Le dimensioni dei pori, che raramente presentano un contorno frastagliato, variano da micron 20, per i pori di dimensioni minime, a micron 160 x 56 ad micron 80 x 56.

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Campioni di calcare cavernoso, calcarenite quarzosa, biocalcarenite Clikka sull’immagine per ingrandirla

La biocalcarenite si presenta ricca in fossili; si rilevano gusci, impronte e calchi di conchiglie, frammenti di molluschi, quali pecten e resti di ostree. Dall’osservazione della sezione sottile al microscopio ottico a luce trasmessa, è emersa la prevalenza di minerali silicatici: clasti di quarzo, mono e policristallino, ma con inclusioni di zirconio e un habitus con spigoli vivi. La porosità non sembra essere uniforme in tutta la pasta di fondo, interessando però sia la matrice micritica che i clasti carbonatici. I pori, di dimensione in prevalenza di micron 100 x 160, presentano un habitus sub-rettangolare; sono presenti anche pori di forma ellissoidale, dalle dimensioni di micron 400 x 12, con un evidente bordo di reazione e, in questi casi, si tratta di una porosità secondaria dovuta alla dissoluzione dei grani carbonatici.

Tessiture murarie
Nell’intero sito sono state individuate, in prevalenza, tre modalità di assetto murario: murature irregolari in pietrame grezzo, murature regolari e murature in opus africanum.

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Muratura irregolare in pietrame grezzo.

Le murature irregolari in pietrame grezzo, sono in genere costituite da bozze o pietrame erratico, disposto a secco o con una malta realizzata con argilla locale, sabbia e calce. Tali strutture si presentano frequentemente senza corsi regolari, come in alcuni paramenti interni rilevati nel Granaio Est, o a corsi sub-orizzontali (figg. 9-10), come nelle pareti esterne del Santuario Centrale.

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Muratura squadrata a corsi sub-orizzontali.

Le murature regolari, in genere pseudo-isodome, sono realizzate con blocchi squadrati, che in alcuni casi raggiungono dimensioni notevoli, come nella Casa Fontana ellenistica nella quale si rilevano blocchi regolari della superficie media di cm2 4.500, con uno spessore di circa cm 60, o nel muro di analemma frontale del Teatro. Una tecnica discretamente diffusa a Morgantina è l’opera squadrata a corsi sub-orizzontali o orizzontali, costituita da blocchi di dimensione variabile, disposti con l’apporto di zeppe.

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Muratura squadrata pseudo-isodoma.

Ma la tipologia più diffusa nel sito, rilevata in quasi tutti gli edifici pubblici, è l’opus africanum, con vari tipi di tamponamento realizzati sempre in materiale lapideo, che vanno dalle pietre grezze, alle bozze più o meno squadrate di medie dimensioni, fino ad arrivare ai blocchi squadrati della parete di contenimento della Stoà Ovest. La tecnica comportava indubbiamente numerosi vantaggi derivanti da una riduzione dei costi di costruzione, sia perchè si utilizzava pietrame di scarto nei riempimenti, sia perchè la realizzazione di tali murature consentiva tempi di esecuzione più rapidi. Inoltre, rispetto ad una muratura continua a tessitura uniforme, il telaio, come muratura discontinua, presentava un comportamento migliore dal punto di vista strutturale, poichè i resistenti piedritti sopportavano le forze verticali, mentre i deboli e plastici tamponamenti erano idonei ad assorbire le sollecitazioni trasversali che, ad esempio, potevano derivare da un terremoto.

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Muratura in opus africanum con riempimento in grandi blocchi.

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Tale considerazione, a Morgantina, è confermata dalla precisa posizione che il telaio assume nel contesto murario: mai casuale, ma legata alla distribuzione dei carichi della struttura nel suo complesso. Troviamo pertanto, ad esempio, che nella Stoà Est il telaio è disposto in corrispondenza dei pilatri che, con molta probabilità, reggevano il tetto di copertura dell’edificio.

di Alberto Sposito1 e Federica Fernandez2
1 Professore Ordinario, Facoltà di Architettura di Palermo
2 Assegnista di Ricerca, D.P.C.E. Università di Palermo

Bibliografia essenziale
Adam J.P. (1984), L’arte di costruire presso i Romani, Longanesi, Milano.
Belz W. (1998), Atlante della muratura, UTET, Torino.
Bigaux G. (1965), Opere in muratura, Celi, Bologna.
Davey N. (1965), Storia del materiale da costruzione, Il Saggiatore, Milano.
Fantar M. (1986), Kerkouane Citè Punique du Cap Bon, Tome III, Tunisi.
Fernandez F. (2006), Le murature archeologiche: conoscenza storica, tecnologica e materica, Il Prato, Saonara (PD).
Giuliani C. F. (1990), L’edilizia nell’Antichità, Cairoli, Roma.
Lugli G. (1957), La tecnica edilizia romana, Bardi, Roma.
Marta R. (1991), Tecnica costruttiva romana, Roma.
Martin R. (1965), Manuel D’Architecture Greque, A. et J. Picard, Parigi.
Orlandos A. K. (1968), Les matèriaux de construction et la tèchnique architecturale des anciens grecs, De Boccard, Parigi.
Raffiotta S. (1992), C’era una volta Morgantina, BAE, Palermo.
Sposito A. e AA.VV. (2001), Morgantina e Solunto: conoscenza tecnologica finalizzata alla conservazione, D.P.C.E., Palermo; Sposito A. (1999), Sylloge Archeologica. Cultura e processi della conservazione, D.P.C.E., Palermo;
Sposito A. e AA.VV. (1996), Morgantina. Architettura e città ellenistiche, Alloro, Palermo.
Tomasello F. (1996), Edilizia antica e sismi – Struttura muraria del tipo a telaio in Sicilia, in Atti del Convegno di Studi “La Sicilia dei terremoti”, Università di Catania 11-13 Dic. 1995, Ed. Maimone, Catania.

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1 Dicembre 2008

English

…of water and shadow

Versione italiana

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Fukuoka basin designed by Hikaru Mori for PIBA Marmi. (photo by Peppe Misto)

“4th May. After the bath, breakfast with the Uenos, Mrs. Gernier and Shimomura. A present from him: a book. Photos for the press in the garden. Lunch at home. Then with the Uenos and Gernier to Katsura palace. Bamboo fence. Courtyard and entrance of Katsura palace. (…) It’s of moving beauty: a complex garden, a transversal bridge, azalea plants on the right – high society pleasures on the left – differentiation. Infinite and so rich in relationship that you remain overwhelmed. (…) A building without individuality, everything seems the same. Calculated proportions of the seats. Garden! A path leads to the teahouse: 1) landscape; 2) idyllic stream; 3) stones – a stripe of sand with a lantern, “distance”.
Disposition of the seats in the waiting room, you talk with no one in front of you. Path with 4 rough stones, repulsing, “think about it!”. Along the stone bridge over the water, overhead teahouses. Refined harmony. You must nearly crawl to get in. Here there are no “emperors”.
(…) It has probably been the best birthday ever. “Asahi” wrote: I don’t want a trip, but something serious. So Katsura palace; he’s right”1.
The atmospheres and sensations telegraphically noted down by Bruno Taut in his diary about the visit at Katsura imperial villa lead us back to Japan, to the magic of its architectures related to human proportions, to its dry or aquatic gardens, modelled on the lines of marine or stone landscapes.
We get very close to this culture once again watching Hikaru Mori’s works, a Japanese designer that long time ago decided to start in our country an original creative path, proposing a collection of bathroom elements in natural stone, called “Stone likes water”.
In Katsura there are paved paths, giant bridges, basins for the tea ceremony connected with streams, the rocky beaches of Japanese coasts miniaturized in form of pebbles; all these things talk about the ancient relationship of men with stones and water, a primary relationship full of mystery and energy that Hikaru Mori is using to intimately celebrate inside our houses simple a naked materic beauty, characterized by subtle enclosures and veins, and faded by irregular light porosity, that finds in time passing by and ageing an inexhaustible source of regeneration and enrichment.
In this way, Nagoya seat (cubical with imperceptible curve on the upper face), Wabi bath (in which the elliptical emptiness is obliquely inserted in a stone parallelepiped), and Fukuoka basin (in which the water flows in a hidden caditoia) join some new variations of Kobe, Kyoto and Osaka, models from the previous collection designed by Mori and engineered and produced by Piba Marmi brand.
All these elements convey an idea of substantial massivity; their elementary shapes are gently animated by minimal asymmetries, by unexpected oblique axes; their surfaces are texturized accurately and put in contrast silky and smooth parts with rough ones full of numerous grooves. Playing with a few elaborated refining processes, Hikaru Mori creates a subtle game of materic and sensorial contamination, she gives life to “textile” and “woody” stones, creating a minimal scene where the story of water can develop autonomously and can talk with multiple languages through colours, sounds and temperatures that continuously change.

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Elements of ‘Stone likes Water’ collection, designed by Hikaru Mori in PIBA Marmi pavilion at 43rd Marmomacc in Verona. (photo Peppe Misto)

Since “stone likes water, and water likes stone”, the liquid element spreads over the stone material and becomes free, strong, temporary or fixed, discrete, unmovable. So once again bathroom becomes the place where an intimate relationship with one’s body can be established and activated by the sensorial stimulation through water, the energy of its downpour movement, the quietness of its slow flowing, or even the reflective dimension of a static water glass.
In formal private and symbolic ritual spaces in which stones are disposed to represent inertia, density and equilibrium, Hikaru Mori invites us to a pleasure given by the contact with the things of the world, she accompanies us in humid settings and dense atmospheres where the primate of visual perception leaves place to tactile and auditory stimulations, because the stone presences designed by Mori give privilege to a soft and faded light, or to the various graduations of its contrary: darkness.
In order to comprehend the universe of Japanese objects, and consequently the designer’s poetic, we must concentrate on the concept of WabiSabi, or to zen aesthetics and philosophy, from which the elements of the collection descend: it’s important to get the complete acknowledgement that these ideas are based on the attempt – typical of Japanese culture – to harmonize senses in an attitude opposite to the Western one, based on visual hyper-stimulation and on the atrophy of other senses. This harmony is often searched in temples, monasteries, geishas’ houses, in common people’s houses, in an equality or complete lack of luminous components that is frequently changed into more or less deep obscurity: this radiates not in light but in stimulations as powerful as the visual ones.
Junichiro Tanizaki invites us to understand the mystery of the atmospheres created by the various types of light absence: “the essential elegance of Japanese rooms is totally founded on infinite graduations of darkness. It happens that such a nudity impress a Western observer. What beauty could hide behind four grey walls, without no decoration? That’s a reasonable remark but it shows however how the Western hasn’t understood the games and mysteries of the shadow”.2

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Wabi bath designed by Hikaru Mori for PIBA Marmi. (photo Peppe Misto)

photogallery

HIKARU MORI’S BIOGRAPHY
Born in Sapporo (Japan) in 1964, Hikaru Mori obtained an architecture degree in 1987 at Tokyo State University Geijytsu Daigaku where she also obtained, in 1991, a PhD. Then she moved to Milan in order to attend the specialization course on interior design at Design European Institute (IED); in the same city she began her professional activity in 1993, opening a studio and working both on architecture and on design.
From 1997 she teamed up with Maurizio Zito in the ZITO+MORI group that works on projecting architectural buildings, urban furnishings, geared gardens and installations.
Hikaru Mori designed Iota lamp collections for Nemo and created for Lucitalia “Adam”, an innovative system of multipurpose plates for ceilings, where different services and lightings of various morphology can be installed; among her main architectural creations we can remember the cellars for Fuedi company in San Gregorio (Avellino) and the Bisceglia cellar in Potenza.3

by Davide Turrini

Go to: Pietre Wabi-Sabi
Go to: PIBA Marmi

Note
1 Bruno Taut, “Diario giapponese, 1933”, p. 331, cit. in Katsura. La villa imperiale, a cura di Virginia Ponciroli, Milano, Electa, 2004, pp. 396.
2 Junichiro Tanizaki, Libro d’ombra, Milano, Bompiani, 2007, p. 41, (first Japanese edition, 1935).
3 About Hikaru Mori’s work see: Stefano Casciani, “Se un giorno in primavera un avventore…”, Domus n. 880 – Speciale Convivialità, 2005, pp. 40-51; Maria Cristina Tommasini, “Calligrafia geometrica”, Domus n. 909, 2007, pp. 98-101; Vincenzo Pavan, Tre architetture con la pietra, Chiampo, PIBA Marmi, 2008, pp. 77.

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27 Novembre 2008

Design litico

… d’acqua e ombra

English version

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Il lavabo Fukuoka disegnato da Hikaru Mori per PIBA Marmi. (foto Peppe Misto)

“4 maggio. Dopo il bagno colazione con i coniugi Ueno, la signora Gernier e Shimomura. Un regalo da lui: un libro. Foto per la stampa in giardino. Pranzo a casa. Poi con i coniugi Ueno e Gernier a palazzo Katsura. Recinto in bambù. Cortile e ingresso di palazzo Katsura. (…) Di una bellezza commovente sino alle lacrime: giardino movimentato, pontile trasversale, piante di azalee a destra – mondanità, a sinistra – differenziazione. Infinito e così ricco di relazioni che si resta sopraffatti.
(…) Edificio privo di individualità, tutto appare eguale. Proporzioni calcolate sui sedili. Giardino! Sentiero che porta alla casa del tè: 1) paesaggio; 2) ruscello idilliaco; 3) pietre – striscia di sabbia con lanterna, “lontananza”.
Disposizione dei sedili nella sala d’attesa, si conversa senza avere nessuno di fronte. Sentiero 4 pietre aspre, respingenti, “riflettete!”. Lungo ponte di pietra sopra l’acqua, casa del tè sopraelevata. Raffinata armonia. Per entrare si deve quasi strisciare. Qui nessun “imperatore”.
(…) E’ stato forse il compleanno più bello. “Asahi” ha scritto: non voglio un’escursione, ma qualcosa di serio, e quindi palazzo Katsura; ha ragione”1.
Sono le atmosfere e le sensazioni annotate telegraficamente da Bruno Taut nel suo diario di visita alla villa imperiale di Katsura a ricondurci al Giappone, alla magia delle sue architetture commisurate alle proporzioni umane e dei suoi giardini secchi o acquatici, modellati sulle linee di paesaggi rocciosi e marini.
Compiamo tale avvicinamento ancora una volta per osservare l’opera di Hikaru Mori, designer nipponica che da tempo ha intrapreso nel nostro Paese un percorso creativo del tutto originale, proponendo una collezione di elementi per il bagno in pietre naturali intitolata “Stone likes water”.
A Katsura i sentieri lastricati, i ponti monolitici e i lavacri per la cerimonia del tè lambiti dai ruscelli, così come le spiagge sassose delle insenature costiere giapponesi riproposte in miniatura nelle distese di ciottoli, parlano di un antico rapporto dell’uomo con la pietra e l’elemento liquido; si tratta di un legame primigenio con il mistero e la forza della natura di cui Hikaru Mori oggi si riappropria per celebrare sommessamente, all’interno delle nostre case, una bellezza materica semplice e nuda, segnata da impercettibili inclusioni e venature, sfumata da lievi e irregolari porosità, che non svanisce col passare del tempo ma che trova nelle mutazioni date dall’invecchiamento una inesauribile fonte di ricchezza e rigenerazione.
Ecco allora che la seduta Nagoya (cubica e caratterizzata dall’impercettibile incavo della faccia superiore), la vasca Wabi (in cui un vuoto ellittico si inscrive obliquamente in un parallelepipedo di pietra) e il lavabo Fukuoka (dove l’acqua scorre in una caditoia nascosta), si vanno ad aggiungere ad alcune nuove varianti di Kobe, Kyoto e Osaka, modelli già progettati dalla designer per la stessa collezione ingegnerizzata e prodotta dal brand PIBA Marmi.
Tutti questi elementi litici trasmettono un’idea di sostanziale massività; le loro forme elementari sono delicatamente animate da minime asimmetrie, da inattese assialità oblique; le loro superfici sono accuratamente texturizzate e accostano per contrasto stesure lisce e setose a piani ruvidi increspati da serrate scanalature ripetute. Giocando con poche studiate lavorazioni di finitura, Hikaru Mori imbastisce un sottile gioco di contaminazioni materiche e sensoriali, dà vita a pietre legnose, o a pietre tessili, creando una scena minimale affinchè il racconto dell’acqua si possa sviluppare indisturbato e possa parlare i suoi molteplici linguaggi, fatti di colori, suoni e temperature sempre mutevoli.

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Elementi della collezione Stone likes Water, disegnati da Hikaru Mori nel padiglione PIBA Marmi al 43° Marmomacc di Verona. (foto Peppe Misto)

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Poichè “la pietra ama l’acqua e da essa è riamata”, l’elemento liquido si distende sulla materia litica, e si rivela di volta in volta libero, forte e transitorio, o imbrigliato, discreto e immobile. Così, ancora una volta, il bagno diviene il luogo dove stabilire un rapporto intimo con il corpo attivato dalla stimolazione sensoriale nel segno dell’acqua, attraverso la quale incorporiamo l’energia del movimento scrosciante, o la quiete di un lento scorrimento, o ancora la dimensione riflessiva di uno specchio statico.
In spazi rituali privati, formali e fortemente simbolici, in cui le pietre sono disposte con attenzione a rappresentare inerzia, densità ed equilibrio, Hikaru Mori ci invita ad un piacere dato dal contatto con le cose del mondo, ci accompagna in ambienti umidi e in atmosfere pastose dove il primato della sensazione visiva cede il passo al prevalere delle stimolazioni sensoriali tattili e uditive, poichè le presenze litiche da lei disegnate prediligono una luce fievole, soffusa, o anche, le innumerevoli tonalità della sua negazione: l’oscurità.
Per comprendere l’universo oggettuale giapponese, e quindi la poetica della designer, bisogna infatti ritornare ai concetti del wabi-sabi, che abbiamo in passato introdotto, o al pensiero e all’estetica zen, da cui discendono evidentemente gli ultimi oggetti della collezione: è importante assumere la piena consapevolezza che tali idee sono basate su di un tentativo di armonizzazione dei sensi operato storicamente dalla cultura nipponica in un atteggiamento oppositivo rispetto a quello occidentale a lungo basato sulla iper-stimolazione visiva e sulla atrofizzazione delle altre sfere percettive. Questa armonia è stata spesso ricercata nei templi, nei monasteri, nelle case delle geishe, nelle abitazioni della gente comune, in una equalizzazione – o in un azzeramento – della componente luminosa che di frequente si è tramutata in un’oscurità più o meno spessa, radiosa non di luce ma di altri stimoli sensoriali, forti e penetranti quanto le più spiccate sensazioni visive.
Di queste atmosfere permeate delle differenti qualità dell’assenza di luce, Junichiro Tanizaki ci invita a cogliere il mistero: “la spoglia eleganza delle stanze giapponesi è fondata, per intero, sulle infinite gradazioni del buio. Può accadere che una nudità così estrema sconcerti un occidentale. Che beltà può celarsi in quattro muri grigi, senza decorazione alcuna? Osservazione ragionevole, che mostra tuttavia come l’occidentale non abbia penetrato enigmi e giochi dell’ombra”.2

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La vasca Wabi disegnata da Hikaru Mori per PIBA Marmi. (foto Peppe Misto)

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BIOGRAFIA HIKARU MORI
Nata a Sapporo in Giappone nel 1964, Hikaru Mori si laurea in architettura nel 1987 presso l’Università Statale di Tokyo Geijytsu Daigaku dove consegue anche, nel 1991, il dottorato di ricerca. Successivamente si trasferisce a Milano per frequentare il corso di specializzazione in architettura d’interni all’Istituto Europeo del Design; nella stessa città intraprende dal 1993 l’attività professionale in proprio, aprendo uno studio e occupandosi parallelamente di architettura e design.
Dal 1997 forma con Maurizio Zito il gruppo ZITO+MORI che opera nel settore della progettazione di opere di architettura, giardini e allestimenti.
Hikaru Mori ha disegnato la collezione di lampade Iota per Nemo e per Lucitalia ha progettato Adam, innovativo sistema di piastre multiuso a soffitto in cui possono trovare alloggiamento una serie di servizi e corpi illuminanti di diverse morfologie; tra le sue principali realizzazioni di architettura si ricordano le cantine per l’azienda Feudi di San Gregorio nei pressi di Avellino e la cantina Bisceglia a Potenza.3

di Davide Turrini

Vai a: Pietre Wabi-Sabi
Vai a: PIBA Marmi

Note
1 Bruno Taut, “Diario giapponese, 1933”, p. 331, cit. in Katsura. La villa imperiale, a cura di Virginia Ponciroli, Milano, Electa, 2004, pp. 396.
2 Junichiro Tanizaki, Libro d’ombra, Milano, Bompiani, 2007, p. 41, (I ed. giapponese, 1935).
3 Per le opere di Hikaru Mori si rimanda a: Stefano Casciani, “Se un giorno in primavera un avventore…”, Domus n. 880 – Speciale Convivialità, 2005, pp. 40-51; Maria Cristina Tommasini, “Calligrafia geometrica”, Domus n. 909, 2007, pp. 98-101; Vincenzo Pavan, Tre architetture con la pietra, Chiampo, PIBA Marmi, 2008, pp. 77.

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26 Novembre 2008

Eventi

Design contemporaneo
mutazioni, oggetti, ambienti, architetture

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Giovedì 4 dicembre 2008, ore 15
presso la sede del Corso di Laurea in Disegno Industriale

Via Vittorio Emanuele, 41 – Calenzano (Firenze)

verrà presentato il libro di

Patrizia Mello

Design contemporaneo
mutazioni, oggetti, ambienti, architetture

INTRODUCONO
Raimondo Innocenti
Preside della Facoltà di Architettura di Firenze
Vincenzo Legnante
Presidente del Corso di Laurea in Disegno Industriale

NE PARLANO
Denis Santachiara
Designer
Francesco Trabucco
Facoltà del Design, Politecnico di Milano
Maurizio Vitta
Facoltà del Design, Politecnico di Milano

COORDINA
Massimo Ruffilli
Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Design

Scheda Volume
In libreria per Electa un volume che fa il punto sulle nuove mutazioni del design contemporaneo, puntando a colmare un vuoto di impegno teorico e critico.
L’autrice Patrizia Mello mira in particolare a configurare una mappa degli eventi più significativi che stanno segnando lo sviluppo del design contemporaneo, all’interno della quale orientarsi e trovare di nuovo senso per l’azione progettuale, al di là della semplice registrazione dei fatti e delle tendenze.
A partire dagli anni ’70 fino a oggi, viene esplorato il tema dell’innovazione nel progetto e dell’influenza esercitata sul sociale: dal nostro rapporto con gli oggetti ai differenti comportamenti che ne scaturiscono, dal modo di vivere in casa a quello di concepire l’ambiente domestico.
Il volume fornisce una valutazione delle attuali tendenze nel settore dell’industrial design e dell’ambiente domestico in generale, in particolare alla luce di uno dei cambiamenti più significativi che riguardano l’attuale momento storico: l’influenza delle nuove tecnologie elettroniche, che porta a un rapporto sempre più intimo e disinibito con gli oggetti, i quali finiscono per essere considerati parte integrante di se stessi.
Inoltre i cambiamenti che interessano i metodi di produzione, e il conseguente moltiplicarsi delle possibilità di dare forma alle idee, sta ampliando da diversi anni la gamma di scelte del progettista. Si arriva quindi alla progettazione di materiali su misura, in vista di performance sempre più raffinate, accattivanti dal punto di vista estetico e singolari rispetto alle soluzioni funzionali adottate.
È l’universo materiale che prende vita, che ci attrae sempre più, che esercita fascino sugli sguardi.
Le varie argomentazioni si distribuiscono nel testo attraverso l’individuazione delle sperimentazioni più recenti sul modo di concepire oggetti e ambienti, in particolare attraverso l’analisi del lavoro di alcuni designer contemporanei: Philippe Starck, Droog Design, i fratelli Bouroullec, Alberto Meda, Denis Santachiara, i Valvomo. E attraverso le differenti modalità di approccio al progetto oggi è possibile individuare sintomi di innovazione reale nel magma di produzione materiale oggi presente sul mercato.
Il tempo della standardizzazione, del rigore dei linguaggi e delle visioni univoche è ormai un ricordo lontano. Il progetto, grazie a possibilità di realizzazione sempre più evolute, può essere più incisivo nei confronti dell’azione sul sociale, e i confini tra architettura e design sono sempre meno distinti, a favore di un senso di operatività diffusa a vari livelli. È così che oggi il progetto può rispondere alle esigenze del maggior numero di utenti possibile, operando in vista di una maggiore accessibilità dei luoghi, suggerendo comportamenti e stimolando all’azione.
In sintesi, l’analisi e la ricerca avanzata da Patrizia Mello in questo volume si arricchisce di numerosi esempi e di riferimenti culturali con lo scopo di proiettare lo sguardo verso il futuro, gettando le basi per una sistematizzazione di nuove teorie e per dare forma al presente, troppo spesso lasciato alla improvvisazione dei pensieri e alla superficialità delle mode.

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Biografia dell’autrice
Patrizia Mello si interessa di teoria del progetto contemporaneo, di architettura e di disegno industriale, argomenti su cui svolge attività di ricerca, con pubblicazione di numerosi articoli e saggi, organizzazione di convegni e incontri di studio. Insegna presso la Facoltà di Architettura di Firenze.
Nel 1995 ha fondato e diretto, fino alla chiusura, IDEA. (Industrial Design Electronic Address), uno dei primi siti Internet di design esistenti a livello internazionale, e il primo in Italia.
Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Philippe Starck. Progetti in movimento (Festina Lente, 1997), Spazi della patologia Patologia degli spazi (Mimesis, 1999), L’ospedale ridefinito. Soluzioni e ipotesi a confronto (Alinea, 2000), Metamorfosi dello spazio. Annotazioni sul divenire metropolitano (Bollati Boringhieri, 2002), Ito Digitale. Nuovi media, nuovo reale (Edilstampa, 2008).

Scarica la Locandina

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24 Novembre 2008

Scultura

Michelangelo Pistoletto: ripensare la monumentalità

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Michelangelo Pistoletto, Figura che si guarda, 1983-1984

La storia della scultura del Novecento può essere letta come quella di un progressivo allontanamento da ciò che la critica americana Rosalind Krauss ha definito la “logica del monumento”.1
L’artefatto plastico, diversamente da quanto è accaduto nel passato, sembra non risponde più alla necessità di caratterizzare puntualmente un luogo specifico (tomba, campo di battaglia, via cerimoniale…) attraverso una rappresentazione simbolica – ed in qualche modo solenne, grandiosa – del suo significato. E se l’arte del passato appare ricca di sculture-monumento (basti pensare alla statua del Marco Aurelio eretta al centro del Campidoglio per figurare il legame tra l’antica Roma imperiale e quella moderna; o ancora al Costantino a cavallo del Bernini (posto ai piedi della Scala Regia che collega la basilica San Pietro al Palazzo Vaticano) al contrario quella contemporanea risulta manchevole di esempi rilevanti.
Nonostante il divario tra scultura e monumento appaia oggi incolmabile, sembrano aprirsi nuovi e stimolanti orizzonti di riflessione sul tema della monumentalità da parte di alcuni artisti contemporanei, primo fra tutti Michelangelo Pistoletto.
L’artista piemontese espone così in un’intervista rilasciata a Germano Celant il rapporto che la sua opera intesse con il monumentale:

Ho assunto la scultura come monumentalità morta, inerte, per metterla in condizione di instabilità, di mancanza di controllo, di peso, di significato, quindi risuscitarla e riviverla nel taglio del presente e l’immobilità del passato. La tua domanda era: come intendo la monumentalità oggi. Diventa anti-monumentalità, perchè sblocca quell’inerzia, quel significato assolutistico tradotto in assenza di comunicazione, assunto dalla monumentalità rispetto alle nostre necessità di oggi. Era un’operazione da fare, perchè non si può lasciare niente abbandonato a se stesso. Se poi si riesce a recuperare una grande dimensione in termini di stupore, di meraviglia, così come il Genio che esce dalla lampada di Aladino diventa grande e si china su di noi per domandarci quali sono i nostri desideri, questo è un altro approccio all’idea di monumentalità. Allora le grandi forme stanno anche in rapporto con lo spazio in termini di leggerezza, attraversando un discorso completamente diverso da quello inerte della monumentalità, inteso ancor prima delle rivoluzioni moderne. 2

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Michelangelo Pistoletto, Dietrofront, 1981-1984

L’anti-monumentalità proclamata qui da Pistoletto risulta essere il nucleo concettuale fondante di alcune sculture realizzate in marmo, materiale che egli inizia ad impiegare intorno alla metà degli anni Ottanta per trasporre in grande scala gli artefatti in poliuretano rigido.
Dietrofront (1981-1984) – opera presentata per la prima volta nella personale dell’artista al Forte Belvedere ed in seguito installata permanentemente nel piazzale di Porta Romana a Firenze – consiste in due figure femminili in marmo ocra dalle grandi dimensioni, articolate tra loro in un ardito equilibrio.
L’artista non nega a questo insieme scultoreo la grandiosità propria dei monumenti del passato (le sue imponenti dimensioni lo dimostrano), ma ponendolo in condizione di stabilità precaria ne cancella ogni tipo di significato aulico e solenne.

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Michelangelo Pistoletto, Leoncini, 1993

Un’analoga riflessione sul tema dell’anti-monumentalità è ipotizzabile per l’opera Leoncini, attualmente collocata nei giardini interni al Palazzo di Giustizia di Torino. Essa è stata ricavata da un unico blocco di marmo travertino, scavato in modo tal da far emergere due piccoli leoni sistemati l’uno sull’altro e adagiati su un basamento rettangolare. Nonostante la somiglianza con le antiche statue di felini poste all’entrata di chiese o palazzi storici a simboleggiare la forza e la custodia del potere, i Leoncini di Pistoletto si muovono in una direzione diametralmente opposta.
Ai fieri leoni marmorei in posa rampante, l’artista sostituisce infatti due piccoli animali accovacciati teneramente l’uno sull’altro, tali da incarnare quell’idea di “leggerezza anti-monumentale” a cui accenna nell’intervista a Germano Celant.
Alla luce di questi due esempi scultorei (ma molte altre potrebbero essere le opere da prendere in esame) si evince come il discorso di Michelangelo Pistoletto non sia meramente distruttivo, volto a denunciare cioè la “morte del monumento”, ma bensì propositivo, pronto a rilanciare – in modo ironico e raffinato – una nuova idea di monumentalità frammentaria, lieve, instabile, e, proprio in virtù di queste caratteristiche, capace di aderire all’epoca contemporanea.

di Alessandra Acocella

(Vai al sito di Michelangelo Pistoletto)

Note
1 Rosalind Krauss, “La scultura nel campo allargato” (1978) in L’originalità dell’avanguardia e altri miti modernisti (1985), Roma, Fazi, 2007, pp. 283-297
2 Germano Celant e Michelangelo Pistoletto, “Monumentalità senza peso” in Germano Celant, Pistoletto, Milano, Fabbri Editori, 1990, p. 182

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21 Novembre 2008

News

Porfido del Trentino
dalla materia all’architettura

porfido_trentino.jpg
Clikka sull’immagine per scaricare la locandina

L’Ente Sviluppo Profido organizza il “Premio Architettura Orizzontale. Il porfido del Trentino per la riqualificazione dello spazio pubblico contemporaneo” che sviluppa il confronto tra professionisti, pubbliche amministrazioni e università. Presentare la domanda di partecipazione entro il 15 Dicembre 2008.

Vai a: E.S.P.O.
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20 Novembre 2008

Interviste

Gilles Perraudin intervistato da Mario Pisani*

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Gilles Perraudin, con Francoise Jorda, appare sulla scena architettonica europea alla metà degli anni Ottanta vincendo un concorso per la scuola di architettura a Vaulx-en-Velin nei pressi di Lione, un’opera caratterizzata da un accentuato impianto High Tech, lodata anche da Norman Foster per il budget assai ridotto ed il contrasto con il luogo in cui si insedia, mentre già in precedenza si erano caratterizzati per l’impiego dell’energia solare passiva. Alla fine degli anni Novanta realizza a Vauvert una cantina vinicola completamente realizzata in pietra, e da allora proseguono le costruzioni caratterizzate dall’impiego di questo materiale. Lo abbiamo incontrato a Verona e ciò che segue la trascrizione del dialogo con il nostro progettista.

Mario Pisani. Lei ha progettato e realizzato edifici che si esprimono in un chiaro linguaggio High Tech, come la scuola di architettura a Vaux-en-Velin, a Lione o la città scolastica, anch’essa a Lione, caratterizzate dalla ricerca tecnologica più avanzata, che rinvia con la memoria alle opere più eclatanti di Buckminster Fuller o a quelle degli altri progettisti tra i più innovativi. Quali sono le motivazioni che stanno dietro a queste costruzioni e come passa da quelle all’edificio scolastico a Vauvert, alla stessa cantina vinicola dove invece impiega unicamente la pietra?
Gilles Perraudin. Per quanto mi riguarda non esiste alcuna differenza tra le opere da lei citate ed altre ancora come l’Accademia ad Emscher Park, in Germania, e quello che sto sviluppando in questi ultimi tempi sulla pietra, perchè ho sempre impiegato dei materiali naturali per la costruzione degli edifici e per ciò che attiene al loro microclima interno. Se, per esempio, pensiamo al complesso di Herne-Sodingen che sorge in un parco urbano, questo presenta le celle fotovoltaiche ma, pur sviluppando circa 10.000 mq. sulla copertura e su parte della facciata ovest, esse rappresentano una sorta di incidente rispetto al ruolo sociale che vuol assumere su di se il progetto stesso. Infatti le cellule hanno essenzialmente il ruolo di provocare l’ombra all’interno di un edificio che altrimenti avrebbe una temperatura interna troppo elevata e ciò mi sembra molto interessante, ma la motivazione che sta alla base dei diversi progetti è l’impiego di materiali naturali. Ad esempio sto costruendo in terra…

M.P. In terra? come nei villaggi africani, in terra cruda?
G.P. Esattamente, nei pressi di Lione sto impiegando la terra battuta, compressa mentre in Germania ho impiegato il legno ed ora sto utilizzando la pietra ed ancora il legno. Credo che tutti i materiali siano utilizzabili, soprattutto quelli naturali.

M.P. Quali sono le motivazioni della sua ricerca?
G.P. Sul piano energetico hanno il più basso impatto possibile per ciò che concerne il consumo di energia. Inoltre occorre ricordare che gli edifici sono spesso responsabili dell’emissione d’anidride carbonica e di altri gas e proprio queste emissioni contribuiscono alle variazioni del clima nel nostro pianeta. Occorre invece costruire edifici che abbiano un basso consumo energetico impiegando materiali come la terra, il legno, le canne di bambù e la pietra che possiedono proprio queste qualità. In particolare impiego la pietra nel sud, nel sud della Francia e nel sud dell’Europa perchè è un materiale che più di altri è in grado di entrare in sintonia con il clima presente nei Paesi del sud, in particolare con il caldo che si manifesta in questi luoghi. Attraverso la pietra si può ottenere un ottimo clima all’interno delle costruzioni, penso in particolare alla pietra impiegata con i suoi giusti spessori, per la sua massa ed è questo il motivo per cui impiego la pietra e non certo per motivazioni che riguardano il mio linguaggio architettonico che invece vuole comprendere i processi tecnici, esprimere la qualità dei materiali e trovare forme architettoniche che presentano una relazione assai forte con le specifiche qualità dei materiali impiegati.

M.P. Vuole farci degli esempi?
G.P. Quando progetto impiegando il legno penso a strutture reticolari, a colonne articolate che le sostengono ed è il caso della scrittura presente nell’edificio in Germania. Se invece impiego la terra battuta è possibile vedere muri massicci e costruzioni ponderose che impiegano la massa, se invece costruisco impiegando il cemento si tratta di un’altra casistica e lo stesso si può dire se costruisco impiegando la pietra. Dalla scelta dei materiali scaturisce quella delle tecnologie appropriate, dei processi tecnici di costruzione e quindi della cultura necessaria per realizzare l’opera che non proviene dalla tipologia o dalla forma. In realtà mi sento di poter dire che i progetti che ho messo a punto sono sostanzialmente gli stessi mentre ciò che è variato nel corso del tempo è l’impiego dei materiali scelti e se cambiano i materiali è evidente che deve cambiare anche la forma delle costruzioni.

M.P. Qual è il suo rapporto con la storia, con le testimonianze del passato? La presenza nei pressi del collegio di Vauvert o delle cantine vinicole des Aurelles di quella magnifica costruzione che è il Pont du Gand, edificato dai Romani, ha influenzato quelle opere? Ed ancora, non le sembra che riproponendo, come fa, costruzioni in pietra massiccia quasi annulla duemila anni di storia?
G.P. No di certo. Non ho mai cercato referenze storiche eppure ho continui riferimenti con la storia. Costruire ai giorni nostri non è certo per necessità contemporanee…

M.P. E costruire in pietra è costruire per l’eternità.
G.P. Certamente, ma non significa che siamo contemporanei con i capolavori della storia. Noi stiamo costruendo oggi e non so se queste opere saranno eterne. Forse lo saranno, ma non è questa la ragione per cui impiego la pietra, la impiego certamente anche perchè dura nel tempo, ma soprattutto per i vantaggi che offre. Costruire in pietra è come far crescere un edificio attraverso una serie di elementi che si incastrano tra di loro e la pietra è sempre lì, ma ogni giorno appare sotto una nuova luce, diversa. Quindi non costruisco in pietra per innalzare una tomba ma per fare un edificio in cui si manifesta la vita.
Non ho colto alcun riferimento in particolare con il Pont du Gand ma ho impiegato la pietra perchè in quella regione, poco distante dai cantieri ci sono delle cave dalle quali è stata tratta la stessa pietra del ponte romano e del resto nella regione di Nîmes già dall’antichità vi era la consuetudine di estrarre la pietra, la stessa della Maison Carrè che sono dei monumenti che tutti conosciamo ma la differenza fondamentale tra le mie opere e queste che ho citato è che io non utilizzo l’arco, invenzione tipicamente romana, perchè sono troppo complicati e quindi la mia architettura è piuttosto vicina a quella che innalzavano gli egiziani.

M.P. Lei ci ha parlato dei vantaggi del costruire in pietra ma certamente ci saranno anche dei problemi.
G.P. Innanzi tutto vi sono problemi di regolamento edilizio e di natura giuridica. La pietra, come materiale da costruzione, non ha alcun regolamento e in un recente progetto che ho presentato le autorità predisposte al rilascio dell’autorizzazione a costruire mi hanno chiesto se la pietra è stata testata come prodotto sperimentale perchè non appare più tra i materiali da costruzione. Ai giorni nostri abbiamo perduto tutta la cultura espressa dal passato sul modo di costruire in pietra. Gli ingegneri sanno calcolare una costruzione in cemento, ma non sanno più fare la stessa operazione impiegando la pietra che è un materiale radicalmente diverso rispetto al cemento.

M.P. La pietra è morbida? Più del cemento? Si è portati a credere che la pietra sia rigida, che sollecitata da sforzi a compressione e ancor più di trazione si spacchi…
G.P. Certamente dipende da quale pietra si utilizza, ma la struttura interna dei materiali è deformabile. Del resto è proprio questa la caratteristica delle costruzioni che hanno sfidato i secoli, inoltre le costruzioni in pietra sono fatte impiegando piccoli elementi e dei pezzi che sono assemblati insieme possono fare dei movimenti mentre la struttura in pietra ripartisce gli sforzi in modo omogeneo, con una concezione strutturale che è assai diversa da quella tipica del cemento che è, al contrario, piuttosto rigido. Occorre quindi elaborare una nuova cultura a proposito.

M.P. Lei è un pioniere di questa cultura…
G.P. Certamente ma varrebbe la pena cominciare a guardare le costruzioni del passato, le grandi architetture che ci ha lasciato la storia non più con lo sguardo dello storico, ma con quello del costruttore e quindi ponendosi l’obiettivo di capire come sono state realizzate.

M.P. M’interessa molto capire quale sia l’atteggiamento della committenza e degli utenti nei confronti delle sue costruzioni in pietra. Penso ad esempio alla scuola, che dicono gli studenti?
G.P. Sono molto onorato. Ho costruito tre edifici con l’impiego della pietra utilizzata per la sua massa. Due cantine ed una grande scuola. Per quest’ultima, nel giorno dell’inaugurazione, il pubblico presente ha applaudito l’architetto ed è la prima volta che ciò avveniva.

M.P. Gilles Perraudin non ha quindi fatto l’architetto, inteso in termini dispregiativi o meglio ancora, come nel caso del palazzo di Giustizia a Bruxelles, progettato da Joseph Poelaert, non si è completamente disinteressato dei desideri dell’utenza inseguendo unicamente i suoi sogni, le sue chimere.
G.P. Nel mio caso si è trattato di un plauso spontaneo. Inoltre io ed i miei collaboratori lavoriamo in uno studio ricavato nella cantina che ho realizzato.

M.P. La vicinanza al vino stimola la vostra creatività?
G.P. No, occorre invece dire che in questa architettura si sta veramente bene. Si tratta di spazi sereni mentre l’impiego dei materiali naturali come la pietra ed il legno trasferiscono all’uomo sensazioni di serenità. Inoltre la luce che si riflette sulla pietra e varia con lo scorrere delle ore e delle stagioni rappresenta uno spettacolo ineguagliabile.

M.P. Non possiamo certo dire che l’architettura di Gilles Perraudin sia alla moda.
G.P. Non ho mai voluta fare delle architettura in grado di durare una sola stagione, come gli edifici alla moda, ma pensate per durare.

M.P. La Francia è caratterizzata per questa continua ricerca del nuovo, per una concezione della modernità legata alla continua invenzione, alla necessità di stupire e meravigliare mi chiedo cosa pensano i critici di fronte ad una architettura come questa che non è certamente pensata con questi presupposti.
G. P. In realtà i miei edifici hanno ricevuto delle critiche molto positive ed il mio lavoro incontra consensi soprattutto nelle scuole di architettura. Io insegno nella scuola di Montpellier e a Grenoble e molti giovani mi sembrano sinceramente interessati a comprendere il giusto impiego di materiali naturali come la pietra, il legno, i mattoni e che la composizione architettonica si può concepire unicamente se si conoscono a fondo i diversi materiali. In Francia abbiamo una concezione molto elevata della pedagogia ed il mio lavoro consiste essenzialmente nel fare pedagogia. È in base alle referenze che pongono in relazione i materiali e le tecnologie impiegate che può scaturire l’architettura.

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Gilles Perraudin, Cantina per il Monastero di Solan, la Bastide d’Engras, Gard, Francia, 2003-2007

*Si ringrazia Veronafiere Marmomacc per l’autorizzazione alla rieditazione

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