Notizie
23 Gennaio 2009
Letture
Memoria progetto tecnologia.
Lineamenti e strategie per l’identità della conoscenza
Emilio Faroldi (a cura di)
La memoria, intesa come deposito per la conservazione e la trasmissione del sapere, rappresenta il requisito essenziale per la nascita e lo sviluppo della cultura di un popolo. Gli archivi, le biblioteche, i musei sono dunque ambiti essenziali, veri tramiti tra
passato e futuro. Agire nella prospettiva di una valorizzazione del patrimonio
culturale è un atto dovuto e non prorogabile, in uno scenario che vede l’accesso ai beni culturali come un problema di palese democrazia e, specularmente, l’azione di custodia e di trasmissione della memoria come una risorsa strategica di una comunità. La disciplina architettonica e le scienze archivistiche e bibliotecarie, dapprima autonome e separate, si delineano come realtà funzionalmente collegate per la progettazione dei luoghi e delle tecnologie atte alla conservazione e all’utilizzo della memoria. Alla conservazione si affiancano oggi logiche tese ad ampliare il significato che qualsiasi bene di matrice culturale possiede nella società postmoderna, tracciando lineamenti e codici comportamentali atti ad attribuire un idoneo ruolo al valore materiale e immateriale di questi beni, sempre più un valore non solo di uso, ma di scambio e di relazione. L’opera raccoglie i contributi di alcuni tra i principali studiosi e operatori del mondo archivistico e bibliotecario, insieme a esponenti della cultura del progetto, al fine di tracciare linee guida operative per la conservazione, la valorizzazione e la fruizione dei beni culturali.
Dalla presentazione al libro di Antonio Padoa Schioppa
“L’esigenza di garantire la conservazione dei libri e dei documenti del passato non è certo nuova. Nasce nel mondo antico, si trasmette al medioevo delle Chiese e dei monasteri, si accentua nell’età moderna e si dilata sino al presente. Mutano i materiali, dalle tavolette d’argilla al papiro, dalla pergamena alla carta, sino ai supporti magnetici e digitali dell’oggi. E paradossalmente la durata dei documenti risulta proporzionale alla vicinanza nel tempo: tanto più recente è il documento, tanto più breve la sua “speranza di vita”. Sono ancora perfettamente leggibili la tavolette cuneiformi, le tavole bronzee e i papiri, sono intatte le superstititi pergamene medievali, appaiono freschi di stampa gli incunaboli quattrocenteschi, ma quanto deteriorabili e deteriorati sono ormai milioni di volumi a stampa del Novecento. E addirittura ormai illeggibili risultano montagne di documenti elettronici generati appena pochi anni orsono. Il volume che qui vede la luce, curato con intelligenza da Emilio Faroldi, presenta una panoramica vasta e multiforme dei tanti problemi e delle diversissime situazioni e tecnologie oggi presenti sul fronte della conservazione dei documenti librari e d’archivio. Una serie di autori per le singole materie – scelti tra i più competenti in queste materie tra i bibliotecari, gli archivisti e gli architetti – discute di problemi di portata generale legati alla conservazione alla valorizzazione dei documenti, spesso muovendo da esperienze concrete in corso, relative a singole biblioteche o sedi archivistiche. Questo approccio consente una visione ravvicinata e per così dire dal vivo delle tante difficoltà che si frappongono nell’iter che conduce al restauro e alla valorizzazione del patrimonio inestimabile di documenti e di opere librarie (per non parlare del patrimonio artistico, senza possibili paragoni al mondo) che tuttora è custodito nelle nostre città e in ogni angolo del nostro Paese. Basti considerare, riguardo alle difficoltà, quanto sia arduo contemperare l’esigenza di conservazione di un monumento architettonico antico che ospiti un archivio o una biblioteca con l’esigenza di tutela delle opere accolte nel medesimo palazzo. Non si possono toccare o alterare i muri e le strutture architettoniche, ma non è facile allora assicurare le condizioni di temperatura e di sicurezza che pure i libri, i documenti o i quadri richiedono. In ogni caso gli interventi presuppongono risorse, tanto più ingenti quanti più delicate e sofisticate sono le tecnologie individuate per rispondere al meglio ad entrambe le due divaricate esigenze della conservazione degli ambienti e di quanto in essi è contenuto. Ma gli investimenti su questi fronti non sono certo ottenibili con facilità, mentre è chiarissimo a chi vuole capire e guardare avanti che per l’Italia il futuro anche economico delle generazioni che verranno sarà in misura molto considerevole legato alla capacità di conservare, insieme con il paesaggio, il nostro patrimonio artistico, documentario e librario, facilitandone l’accesso agli studiosi e ai cittadini del mondo intero. Conservare, mantenere e valorizzare: tutto ciò esige investimenti importanti in danaro e in conoscenza. Non meno delicati sono i problemi che una moderna biblioteca pone all’architetto. I modelli nuovi di biblioteca a libero accesso e di biblioteca ibrida, nella quale il libro cartaceo e i documenti digitali – anche musicali e visivi – coesistono e interagiscono al servizi dell’utente, richiedono da parte dell’architetto strategie particolari. Perchè le attività domande di chi oggi frequenta una biblioteca sono molteplici: includono tra l’altro moduli interattivi e servizi di reference, con la necessità di modellare gli spazi in modo nuovo. Gli esempi, nel volume, di numerosi progetti ed interventi recenti e la puntualizzazione delle tante questioni da risolvere e degli ostacoli superati (o non superati) riguarda molte realtà specifiche considerate dai singoli autori, spesso protagonisti di queste stesse vicende: si vedano i contributi dedicati a Genova, a Milano, a Torino, a Venezia, a Roma, a Napoli e ad altre località italiane. Problemi più generali di impostazione e di metodo sono affrontati in diversi contributi, con riferimento alle molteplici identità della conoscenza, alla conservazione preventiva, al recupero dei documenti, alle biblioteche universitarie e ad altre questioni connesse. Il capitolo delle nuove tecnologie è particolarmente ricco in queste pagine, in considerazione dell’attualità del tema e dell’evoluzione continua e rapidissima dell’hardware e dei software legati alla conservazione e alla consultazione dei documenti. Opportuna è anche la valutazione di alcuni modelli stranieri relativi al patrimonio digitale e alla sua conservazione, quale è quello di Monaco di Baviera. Non è difficile prevedere che il volume sarà letto e utilizzato come un testo di riferimento ricco e aggiornato, anche nella bibliografia, a disposizione di chi voglia avere un panorama chiaro dei tanti problemi legati alla memoria del passato e alle strategie per la sua conservazione nell’era digitale.”
Emilio Faroldi (a cura di)
Memoria progetto tecnologia.
Lineamenti e strategie per l’identità della conoscenza
Umberto Allemandi & C.
Torino 2008.
pp. 268
30 euro
20 Gennaio 2009
English
The Centro Balear de Innovaciòn Tecnologica at Inca, Majorca (1995 – 1998)
by Alberto Campo Baeza*
Kenneth Frampton, in his work Studies in Tectonic Culture: The Poetics of Construction in Nineteenth and Twentieth Century Architecture1, in reference to the theory of Gottfried Semper, makes a clear distinction between two different constructive approaches, which may be defined as the structural and the tectonic. Campo Baeza, in his writings and, above all, in his projects, builds on these two concepts, interweaving them with the main features of his own work as an architect – based on the importance of gravity and light – in order to render them constructive ideas. The architect from Madrid writes: “Gravity gives us Space, while Light gives us Time. Hence the most important issues in architecture are our control over Gravity, and our relationship with Light.”
In this conceptually perfect architectural creation, considerable emotion is conveyed by the Beauty pursued by the architect and based upon the idea of the “secret garden”; the building’s surrounds are hidden from view by a fence that creates an “interior” of intense poetical worth, suspended between sky and earth. The competition that Campo Baeza won in 1996 envisaged that the Centro BIT would consist of offices for advanced technology research in a triangular plot of land on the industrial estate in question.
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Campo Baeza has crystallized the shape of the area into a perfect isosceles triangle, the two equal sides measuring 100 metres in length. The enclosure is raised on a podium situated at eye level. This is in homage to the precision of the podium of the Parthenon, designed by Iktinos and Kallicrates, and to the horizontal plane “hovering above ground” to be seen at Fransworth House, the work of Mies van der Rohe.
The basement, crowned by the masonry wall running along its entire perimeter, appears as a stone box open at the top; a kind of inverted podium. From the outside, however, it remains a pure, unique, anonymous form; a block of Marès stone (the same stone used by Utzon in Majorca) that constitutes the 20 cm-thick wall (of no load-bearing consequence) that clads the entire perimeter; the only exception is the entrance, where one can see the height of the podium and the nature of the materials employed.
Within the enclosure, space is organised into a 6×6 m. grid starting from the right-angle and spreading out across the entire agora. The metal columns supporting a concrete roof circumscribe the grid, while their place is taken by orange trees in the unroofed area. The extremely essential structural nature of Cordoba’s Mosque, together with the rhythm of its columns, reveal the same tectonic rigour to be seen in the case of this inner grid. The space created by the enclosure is both continuous and unified, where the differences between covered and uncovered areas, exterior and interior, are kept to a bare minimum. Campo Baeza, “fascinated” by the great frameless window in Barragan’s house, transforms walls into continuous glassed surfaces in order to guarantee the structure’s horizontal continuity.
The entire enclosure wall, which constitutes a material continuation of the paving, is clad with large 3 cm.-thick slabs of Roman travertine. The paving slabs are mounted with open joints to form a squared design in keeping with the grid pattern, while the rectangular wall slabs are twice the size and are laid in horizontal courses.
Campo Baenza’s drawings clearly show the structural and stereotomic parts of the building (reciprocally permeating one another): the tectonic part of the “secret garden” (aerated and inundated with light) is part of the stereotomic volume constituting the basement, which also takes in the lateral enclosure wall. The terraced amphitheatre in travertine underlines the “excavated” mass of the basement. The concept of emptied mass draws on the material nature of the stone, with its homogeneous, apparently joint-less, texture-less appearance.
The functional character of the architecture accurately conforms to its conceptual character: the floor inside the closed basement contains the various service areas and installations, so as to leave the upper floor completely free for the creation of a work space sub-divided by items of furniture only; the space within the secret garden is a rarefied continuum perfumed by orange blossom and the flowers of the many climbers.
Gabriele Lelli
Go to Campo Baeza web site
Note
The re-edited essay has been taken out from the volume by Alfonso Acocella, Stone architecture. Ancient and modern constructive skills, Milano, Skira-Lucense, 2006, pp. 624.
1 Kenneth Frampton, Studies in Tectonic Culture: The Poetics of Construction in Nineteenth and Twentieth Century Architecture, 1993.
20 Gennaio 2009
Opere di Architettura
Centro Balear de Innovaciòn Tecnologica a Inca,Maiorca (1995-1998)
di Alberto Campo Baeza*
Prospettiva del giardino segreto. Il muro rivestito di travertino
Kenneth Frampton, nel suo Tettonica e architettura. Poetica della forma architettonica nel XIX e XX secolo 1, in riferimento alle teorie semperiane, definisce chiaramente due distinte concezioni costruttive, identificabili con i termini stereotomico e tettonico. Campo Baeza, negli scritti e soprattutto nei progetti, dà corpo alle due concezioni, intrecciandole con le linee portanti del proprio lavoro – indirizzate alla valorizzazione di gravità e luce – fino a renderle idea costruita. Scrive l’architetto madrileno: “La Gravità costruisce lo Spazio, la Luce costruisce il Tempo. Ecco le questioni centrali dell’Architettura: il controllo della Gravità e il dialogo con la Luce”.
In questa architettura, esemplare per la sua precisione concettuale, “l’emozione della Bellezza” immaginata dall’autore incentrata sull’idea del “giardino segreto”; l’intorno dell’opera è reso visivamente inaccessibile da un recinto che “materializza” un interno, intenso e poetico, sospeso fra cielo e terra. Il programma del concorso, vinto da Campo Baeza nel 1996, prevedeva per il Centro BIT la costruzione di uffici per la ricerca e lo studio di tecnologie avanzate, nel lotto triangolare collocato all’interno del polo industriale.
Pianta del piano terreno
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Campo Baeza cristallizza la forma dell’area in un perfetto triangolo rettangolo isoscele, con i due lati uguali lunghi 100 metri. Il recinto è organizzato su un podio che innalza il suolo, rispetto all’esterno, fino all’altezza degli occhi, fisicizzando la linea dell’orizzonte. Un riferimento ed un omaggio alla precisione del podio del Partendone di Iktinos e Kallicrates, ma anche al piano orizzontale “librato a mezz’aria” della Farnsworth House di Mies van der Rohe.
Il basamento, coronato dal recinto murario lungo tutto il perimetro, si presenta come una scatola di pietra aperta verso il cielo; una sorta di podio invertito. Dall’esterno invece risulta una forma pura, unica, anonima; un blocco di pietra di Marès (la stessa pietra locale utilizzata da Utzon a Maiorca) individua un muro di spessore 20 cm, senza funzioni portante, che riveste tutto il perimetro; la sola eccezione resta la zona di accesso, dove è possibile percepire l’altezza del podio e la natura dei materiali utilizzati.
La teoria di colonne prospicienti il giardino con gli aranci
Entro il recinto lo spazio è organizzato secondo una griglia di 6×6 m impostata a partire dall’angolo retto, estesa – poi – omogeneamente a tutta l’agorà interna; le colonne di metallo, poste a sorreggere copertura in calcestruzzo, scandiscono in forma puntuale la griglia e sono sostituite da alberi di aranci nella area scoperta. La grande essenzialità strutturale e il ritmo compositivo delle colonne della Moschea di Cordoba hanno suggerito lo stesso rigore nella ripetizione degli elementi tettonici della griglia interna. L’invaso, fisicizzato dalla presenza del recinto, è uno spazio continuo ed unitario dove le differenziazioni – fra zone coperte e scoperte, fra l’interno e l’esterno – sono ridotte al minimo. Campo Baeza, “affascinato” dal vetro senza infisso della grande apertura della casa di Barragan, trasforma muri in vetrate ininterrotte per garantire la continuità orizzontale.
Tutto il recinto, che si eleva dal suolo in continuità materica rispetto al piano di calpestio, è rivestito con lastre di travertino romano di grande formato, spesse 3 cm. Nel piano orizzontale le lastre sono montate a giunto aperto, secondo una maglia quadrata in continuità con la griglia ordinatrice, mentre nelle superfici parietali assumono la forma rettangolare, di dimensione doppia, e sono disposte orizzontalmente.
Prospettiva del giardino segreto
Negli schizzi di studio di Campo Baeza ritroviamo ben identificate le parti tettoniche e stereotomiche dell’edificio, compenetrate reciprocamente. La parte tettonica del “giardino segreto” – aerea, leggera, inondata di luce – è inserita all’interno del volume stereotomico del basamento che comprende anche il recinto laterale. L’anfiteatro a gradoni in travertino sottolinea ulteriormente l’azione di scavo all’interno della massa del basamento. L’idea di massa svuotata sfrutta la matericità della pietra, d’aspetto omogeneo, senza giunti evidenti o texture particolari.
Le funzioni seguono con precisione i contenuti tematici e concettuali dell’edificio. Il piano all’interno del basamento chiuso contiene tutti i servizi e gli impianti tecnologici necessari al fine di liberare completamente il piano superiore, il luogo di lavoro, suddiviso internamente solo da mobili, nel giardino segreto trova uno spazio continuo, rarefatto, immerso nei profumi degli aranci e dei fiori dei rampicanti.
Gabriele Lelli
Vai al sito di Campo Baeza
Note
*Il saggio è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624.
1 Kenneth Frampton, Tettonica e architettura, Milano, Skira, 1999 (ed. or. Studies in Tectonic Culture: The Poetics of Construction in Nineteenth and Twentieth Century Architecture, 1993), pp. 447.
15 Gennaio 2009
Design litico
La collezione “Palladio”.
Opere per un’esposizione e non solo.
Una delle opere del designer Raffaello Galiotto esposta presso la Loggia del Capitaniato di Vicenza
Un tema rigoroso quello sviluppato dal designer Raffaello Galiotto per il Consorzio Marmisti del Chiampo. Il progetto “Palladio e il design litico” ha visto infatti un solo autore-progettista, perseguendo l’idea originaria di pensare ad un design contemporaneo d’ispirazione al Palladio in modo ampio e approfondito, estendendo la sperimentazione a quante più variazioni possibili.
La ricerca che ha portato alla realizzazione della collezione di oggetti litici qui presentata ha senza dubbio valorizzato le realtà produttrici chiampesi, dimostrando, attraverso l’applicazione delle loro specifiche tecnologie nella realizzazione delle opere prefigurate dal designer, la loro particolare versatilità e competenza. Le piccole e medie imprese partecipanti, avvicinandosi al design hanno mantenuto vivi i legami con le radici che animano le competenze del territorio del Chiampo.
Il disegno domina l’oggetto, l’osservatore è chiamato a studiare le singole opere con attenzione, cercando tra esse il simile ed il dissimile, seguendo il profilo delle fluide linee e immaginando con gli occhi della mente quale strumento ne abbia consentito la realizzazione. Le forme scultoree dei circa venti oggetti che compongono la collezione sono perlopiù ottenute da asportazione progressiva di materia da interi monoliti. La perfezione plastica, continua, della linea che li determina solo la tecnica contemporanea la può permettere. Ogni elemento della collezione rimanda a un’essenza, a un tratto d’ispirazione al Palladio e ne diviene interpretazione. Per primo gli studi di Galiotto ha poggiato su solide basi grazie agli apporti del professor Franco Barbieri e del Centro Internazionale di Studi Andrea Palladio per quanto attiene alla cultura storica e del professor Paolo Cornale geologo del C.S.G. di Vicenza per quella materica. Galiotto ha dunque proseguito con la propria visione del Palladio come proto-designer, studiando aspetti della sua attività talora ritenuti marginali e individuando in alcune opere del maestro vicentino un tratto distintivo che si ripete con continuità, il cosidetto “profilo ricorrente”.
Dallo studio e ridisegno di queste linee sono nati i principi di base per la creazione della serie di oggetti litici della collezione, legata al “classico” dunque ma anche tutta contemporanea.
Alcuni elementi della collezione esposti a Vicenza presso la Loggia del Capitaniato (dicembre 2008)
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I programmi di modellazione tridimensionale sono stati sicuro strumento d’intermediazione tra la mano dell’interprete, quindi il disegno sul piano, e gli utensili delle macchine per il taglio che lavorano sugli assi spaziali; a valle l’intelligenza e creatività del progettista a proporne le soluzioni formali.
Ogni variabile per la realizzazione di solidi tridimensionali partendo da linee e curve, è rintracciabile nella serie di oggetti palladiani.
Le figure geometriche alfabeto di questa composizione, sono divenute oggetto in tre dimensioni grazie al gioco di costruzione di solidi di differente complessità geometrica; linee e curve che dal piano si fanno volume per estrusione, raccordando sezioni lungo complessi percorsi, rivoluzionandone i profili, ma anche complessi solidi d’origine che divengono tessiture di linee sul piano. Al modello prefigurato dal progettista ha poi seguito il lavoro paziente delle macchine, dove anche gli scarti, gli elementi sottratti scavando il monolite originario, divengono parti del progetto o nuovi elementi anch’essi della collezione.
I litotipi adottati per declinare le forme del design litico d’ispirazione palladiana sono i più vari, non solo i graniti, i marmi, le arenarie e i calcari italiani, quanto le intense e policrome pietre di provenienza straniera, orientando verso nuovi orizzonti sperimentali soggetti classici, declinando ancora una volta il Palladio in lingua straniera. Anche il disegno di ciascun’opera è pensato in funzione del litotipo che l’azienda produttrice è attrezzata a lavorare, dimostrandone al meglio le competenze tecnologiche.
Durezza della materia e fluidità della linea, della piega continua della materia litica, trovano un punto d’incontro in questi elementi rivolti prevalentemente all’arredo casa e giardino – il binomio pietra-ambiente bagno trova rinnovata conferma -, funzionali in quanto “oggetti” ma soprattutto scultorei e unici, assolutamente originali.
di Veronica Dal Buono
14 Gennaio 2009
News
Ufficializzati gli Advicers e la Giuria della III edizione Medaglia d’Oro all’Architettura italiana
Advicers
Alfonso Acocella
Matteo Agnoletto
Flavio Albanese
Pio Baldi
Aaron Betsky
Stefano Boeri
Maurizio Bradaschia
Sebastiano Brandolini
Marco Brizzi
Maria Vittoria Capitanucci
Cesare Casati
Luigi Centola
Pippo Ciorra
Aldo Colonetti
Giovanni Damiani
Marco De Michelis
Cesare De Seta
Massimiliano Falsitta
Benedetto Gravagnuolo
Margherita Guccione
Giuseppe Guerrera
Richard Ingersoll
Nicola Leonardi
Giovanni Leoni
Mario Lupano
Italo Lupi
Luca Molinari
Francesco Moschini
Marco Mulazzani
Carlo Olmo
Luigi Prestinenza Puglisi
Alessandro Rocca
Livio Sacchi
Vittorio Savi
Giuria
Barry Bergdoll
Mario Botta
Luis Fernández Galiano
Fulvio Irace
Francesco Prosperetti
Leggi anche Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana 2009
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12 Gennaio 2009
Citazioni
La pietra che parla
Le pietre sonore di Pinuccio Sciola.
“Udo illustrò con grande disponibilità i misteri delle concrezioni: “Migliaia di anni di paziente gocciolamento hanno plasmato queste meravigliose formazioni di pietra. Nei tempi antichi ci sono state molte credenze sulla natura delle concrezioni: si è pensato che si trattasse di acqua solidificata, oppure di strani esseri in uno stadio intermedio fra il regno minerale e quello vegetale, nè vivi nè morti, o perfino di anime perdute condannate all’immobilità, o addirittura di demoni che stavano salendo dagli inferi. […] Oggi sappiamo che vengono depositate quando l’acqua di superficie, che filtra verso il basso, porta con sè microscopiche quantità di materiale eroso dal terreno e dalle piante, se ce ne sono. E ora noi ci troviamo proprio sotto il bosco spontaneo di Bödmeren”. […] Josef trovò l’escursione e le spiegazioni interessanti, ma allo stesso tempo dolorose, poichè era torturato dalla curiosità di penetrare più a fondo nelle grotte. […] Sotto la superficie della Terra la percezione del tempo e dei punti cardinali scomparve rapidamente, ma loro non potevano essere avanzati in modo significativo verso il fondo, ammesso che fossero avanzati.
[…] Finalmente giunsero a un punto dove il tunnel scendeva a strapiombo. […] Josef prese la lampada e cominciò ad esplorare il locale. Giunse a un laghetto dalla superficie immobile, a parte, scoprì poco dopo, un piccolo mulinello al centro. Mentre fantasticava su dove nascesse il mulinello si rese conto del silenzio, o meglio, dei rumori che lo popolavano. Lontano, nell’oscurità, si udiva un gocciolio e, ancora più lontano, un rumore di acqua che scorreva. Il mulinello produceva un sottile sibilo. Poi percepì un debole brontolio che non sembrava prodotto dal movimento dell’acqua. Era un rumore più pietroso. Si alzò d’un tratto, al pensiero che un blocco di pietra si stesse staccando sopra la sua testa, e sollevò la lampada tenendola col braccio teso, fissando il soffitto.
Il brontolio era costante, il che significava che non c’era pericolo di un crollo imminente; inoltre proveniva da un punto più lontano nell’oscurità. Respirò lentamente rimanendo in ascolto per stabilire da quale direzione proveniva il rumore. Con passi silenziosi si diresse verso la fonte del suono e si trovò davanti a un grande blocco di pietra che spuntava dal pavimento della grotta. La roccia era simile al granito, più scura della pietra calcarea che la circondava. Il brontolio, accompagnato da un crepitio, ora si percepiva chiaramente. Josef posò l’orecchio destro sulla roccia e il rumore di circa dieci giorni geologici, ovvero di centoventicinque milioni di anni di terremoti, gli investì il timpano”.
Peter Adolphsen, La pietra che parla, Roma, Fazi, 2008, pp. 19-25, (I ed. danese, 2003).
9 Gennaio 2009
English
Lithic design
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Beyond industrial design
The well-known adjective-noun combination industrial design has been dominating the scene and the recent history of objects and has created (as well as spread) a one-sided – and if possible, even tendentious – vision according to which the sole authentic features of contemporary design are those belonging to mechanization and automation together with those of the mass-production of objects in series.
In the second half of the twentieth century the well-known name of Italian design on the international scene (and possibly of products made in Italy), established itself under this idea and the consequent method which constituted its essence, confirmed a formal break with the past and consolidated a scenery dominated by materials and objects, an expression of a predominantly industrial and artificial society.
Even Italian design – a very particular version of international industrial design – is bound to the development of modern (i.e. industrial) techniques and to the reality of mass-production, thus ideologically taking its distance from the rich and varied pre-industrial tradition, the only one capable of lighting up many aspects and features of the Italian artistic, architectural and urban history. The tradition had for centuries lived on the superiority of ancient culture and its numerous revivals, which bestowed on us èlitist and original pieces of decorative art along with anonymous and yet elegant objects of everyday use, that were the result of a long time improvement in the models brought about by a widespread and varied materialism in the country.
Nowadays the rules and the conditions under which material goods (and non-material ones, at the same time) are produced have notably changed, due to the extraordinarily fluent and multiform spirit of economic globalization and by the extremely “virtualized” experiences of life which started off at the beginning of the new millennium which intermingles postfordism, new economy, flexibility and new forms of work organisation-distribution.
The typical modern axioms of industrial production related to the concept of a factory firmly rooted in a specific place and the serial production of objects, no longer represent the only and absolute conditions underlying the existing economic growth strategies.
The dichotomy itself between industrial technology and a craftsman-like approach appears nowadays to be fading behind the ideas of flexible and integrated work fostered by the tailor-made strategy. Craftsmanship and home-made products are now marching along side by side with state-of-the-art technology, large series of objects obtained through mechanization coexist with small ones, diversified ones, custom-built ones and exclusive ones.
When we look at the specific question of the relationship between production and design by taking into consideration this rearranged general framework of economic globalization, we can see that, as far as Italy is concerned, what has long been hidden by a sweetened and “partisan” vision of industrial design is now emerging, even though it is constantly feeding on these foundations.
By this we are referring to a non-material space, to the aesthetic background and taste of a country where Italian designers’ creativity has developed, supported on the production front where the artisan knowledge is spread throughout the land and has fortunately been preserved over the years up to present time.
Within this external-internal debate (Italian system-industrial design) experimental stages, which widely used prototypes able to carry out the verification of design projects, freed from the rigid conditions that came from the Fordian work model, have often come immediately after creative and prefigurative ones. Sometimes these prototypes have been forerunners of objects which were to be mass-produced, other times they were destined to remain “solitary tokens” (memory of unsuccessful attempts), or to be produced in small numbers, anticipating the limited edition design fashion which has been imposing itself in recent times.
We firmly believe, however, it is essential to trace that vital lymph sustaining the original creativity of “made-in-Italy” by going back to the historical roots and to the country’s long-time identity rather than sticking only to the contribution and craftsmanlike skills which were the basis of the successful outcome of Italian design in the second half of the twentieth century.
In our view, it is Italian taste, beauty and artistic wealth – from the “small” masterpieces (which can be admired in the countless museums or at noble residences) to the charm of the architecture and the old towns, as well as the landscape and nature– which feed and link the contemporary spirit of Italian design (including the industrial one) to its roots and to the historical continuum over the centuries, dating back from the Baroque period towards Renaissance, late-antiquity, antiquity.
If we do not understand the existing invisible thread, which has never been entirely broken, tied to the territory and to its values, which still emerge despite the vast sea of contemporary homologation, we would not be able to explain the reasons which lie behind the enormous vitality and creativity regularly expressed in Italian design; and, as we said, such vitality and creativity are fostered and enriched by the practical-manual skills of Italian craftsmen, generously transferred to the industrial production, however indirectly.
In our opinion, this special condition expresses the peculiarity of Italian design compared to other countries.
It is no coincidence if made in Italy products are still of outstanding importance on international markets – as shown by the balance on the credit side in exports for the past five years. A lot is due to products involving a high level of creativity which reflect the territorial identity and which are bound to our lifestyle (interior decoration, fashion, food and wine, etc.) as well as to the image (highly historical) of the country which is appealing and act as an experiential background (real and virtual) in the international collective imagination.
On this Italy – reinterpretable, according to the view of Kevin Roberts of Saatchi & Saatchi as “the identifying territorial lovemark” – and on its product market structure there seems recently to be a new “pressure” from the outside, which is affecting lives, experiences, tastes, materials and goods, thus influencing production cycles.
We are specifically referring to the power of the emergent countries, which are progressively strengthening and increasing the demand for luxury products and experiences – this “necessary luxury” which has recently been studied by analysts in order to highlight the significant “expansion” in the demand for high quality products and services, exclusiveness and manufacturing excellence, either artisan or industrial.
We therefore find Italy being visited again – as in Goethe’s time – by “talent scouts” of luxury (and, more generally speaking, of typical national features) who look for and discover all those things which other countries cannot offer.
Next to mass-produced objects, fruit of contemporary Italian industrial design of quality, we can see the search for niche products, often expensive and èlitist, which confirms the “long tail” theory of the exploitation of net economy in order to discover them beyond the mass market, as described by Chris Anderson in the well-known essay The long tail.
Palladio and lithic design
We would like to leave the general question and shift our attention to a more specific and relevant dimension where the term design is understood in its etymological significance freeing it from a vision which has relegated contemporary designers (“architects of small things”, as someone has called them) to turn to working solely towards the industrial world of large numbers of mass produced identical objects.
As clearly stated in A Philosophy of design by Vilèm Flusser, to design means –– ‘to concoct something’, ‘to simulate’, ‘to draft’, ‘to sketch’, ‘to fashion’, ‘to have designs on something’.
And, according to the philosopher of Prague, “this design represents a coming together of great ideas, which – being derived from art, science and economy– have cross-fertilized and creatively complemented one another.”
The exhibition Palladio and Lithic Design, conceived and arranged by Raffaello Galiotto, is a fortunate and favourable opportunity not only to enter a broader and more open concept of design but also to return to the rich national history made of different stages, of visual experiences and of that material culture to which we referred at the beginning of this essay.
In particular, in order to understand the connection with the heritage of the territory around Vicenza and the tradition of objects made of marble and pre-industrial ornamental stones, we need to know, read and interpret again some works on elements of interior decoration of Andrea Palladio, the first and greatest global architect to have widespread influence in other countries, from England to America, from France to Russia. This is the perfect occasion to reconnect contemporary design to the great tradition of ancient marble objects.
A written contribution by the Consorzio Marmisti Chiampo, proud sponsor of the exhibition, very efficiently reviews the re-reading and virtualization of Palladio’s works. Very often the anonymous and concise papers belonging to the work associations are able to set the main ideas of the projects:
“The important occasion of the celebration of the 500th anniversary of the birth of the great architect Andrea Palladio has been the incentive for the study of a project inspired by the works made by the world’s most well-known “stonecutter” and for the realization of an exhibition which pays homage to designer objects made of stone. The event has been carried out thanks to the long-established art and skill of the marble craftsmen from the Chiampo Valley.
Thanks to the detailed and original research by the designer Raffaello Galiotto, and the vital cognitive contribution of CISA, it has been possible to identify some Palladian works that can be considered the “prototypes” for a modern concept of design.
A series of recurring straight and curved lines has been recognized in these works and objects.
Starting from the analysis of these lines and from their re-elaboration, the designer Galiotto has been able to create a series of modern designer objects made of marble, stone and granite.”
Raffaello Galiotto has worked on this specific experience with great courage and outstanding creative strategy, leaving behind the somewhat stereotyped path of traditional logic that we can see in industrial design, and aiming at an ideal public of lovers of “luxury and beauty” with a classical taste ; at the same time, he has set in some prototype-works a new formal tone which enables the general project-concept to open up towards timeless horizons.
The common denominator of all the prototypes prepared by Galiotto is the intense and lively creativity aimed at the prefiguration of interior decorations or the design of surfaces, which reveal highly vibrant features as far as shape, material and taste are concerned, almost as if they were pieces of designart.
The prototypes at the exhibition clearly show how creativity and formal experimentation are fundamental and, perhaps, even more important than the purpose and the use for which the object is intended.
Some of the pieces exhibited are interesting examples of morphological innovation with great emphasis on the aesthetic element, which places Galiotto’s work between art, design, and architecture in the search for new starting points and shapes for lithic design.
A real sense of shape and material is evident in the three-dimensional lithic design which powerfully interprets the monolithicity and the varietas of colour-sign of marble, stone, granite; we believe that such features constitute the real conceptual link to the starting point, to the works by Andrea Palladio.
The shift from an ideal reality to a physical one has not been underrated in the pieces which are exhibited.
Raffaello Galiotto’s entire project is based on top-quality lithic materials, refined and different for each object, state-of-the-art technology, which enables the transformation and the moulding of the material, and the completion phase and finishing by skilled craftsmen.
The strategy of flexibility and the integration between man and machinery has been consciously adopted in order to best exploit both the ancient traditions and skills of the marble craftsmen of the Chiampo Valley, as well as the increased and extraordinary potential of the state-of-the-art machinery used by the companies belonging to the Consorzio Marmisti of Chiampo which have supported and made it possible to carry out the project “Palladio and lithic design”.
Alfonso Acocella
9 Gennaio 2009
Design litico
Il design litico
Verona. Seduta urbana (foto: Alfonso Aocella)
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Oltre l’industrial design
L’aggettivo industrial unito al sostantivo design, nell’associazione a noi tutti nota dell’industrial design, ha monopolizzato larga parte dei discorsi e la stessa storiografia recente degli oggetti, cristallizzando (e divulgando) una visione unilaterale -se non addirittura tendenziosa- indirizzata a sostenere la tesi che le tecnologie meccanizzate ed automatizzate di produzione insieme agli oggetti replicati in grande serie identici a se stessi, siano gli univoci ed autentici attributi del design contemporaneo.
Su questa idea e sulla prassi conseguente che l’ha sostanziata è cresciuta e si è affermata nella seconda metà del XX secolo la notorietà internazionale del design italiano (e, se si vuole, dello stesso “made in Italy”) sancendo una rottura formale rispetto al passato e solidificando un paesaggio materico e oggettuale espressione, prevalentemente, della civiltà industriale ed artificiale.
Anche il design italiano – versione molto peculiare dell’industrial design internazionale- lega le sue vicende allo sviluppo produttivo moderno (ovvero industriale) e all’orizzonte di una realtà oggettuale seriale di massa tagliando ideologicamente i ponti con la ricca e variegata tradizione pre-industriale, la sola capace di illuminare molti aspetti e i caratteri stessi della storia artistica, architettonica, urbana del nostro Paese; quella tradizione alimentata, per secoli, dal primato dell’Antico e dalle sue numerose Rinascenze che ci ha lasciato in dote autoriali ed elitari oggetti di arte decorativa insieme ad anonimi ma eleganti oggetti di uso comune, risultato di un perfezionamento dei tipi nella lunga durata da parte di una cultura materiale diffusa e variegata nel Paese.
Oggigiorno i paradigmi e le condizioni della produzione di beni materiali (e immateriali allo stesso tempo) si sono notevolmente modificati sotto la spinta della natura molto fluida e multiforme della globalizzazione economica e delle esperienze di vita molto “virtualizzate” in avvio di nuovo millennio che tiene oramai insieme postfordismo, new economy, flessibilità e nuova organizzazione-dislocazione del lavoro.
Gli assiomi tipicamente moderni della produzione industriale collegati all’idea di fabbrica saldamente radicata in un luogo e ai prodotti replicati in grande serie, non rappresentano più le condizioni nè uniche e nè totalizzanti all’interno delle strategie di crescita dell’economia attuale.
La stessa dicotomia fra tecnologie industriali ed artigianali di produzione sembra oggi sfumarsi all’interno della flessibilità e dell’integrazione del lavoro che ha prodotto la visione del tailor-made. L’artigianato e il fatto a mano si affiancano – oramai – con le alte tecnologie, le grandi serie dei cicli meccanizzati convivono con le piccole serie, le serie diversificate, i fuori serie, gli oggetti unici.
Riguardando all’interno di questo rimescolato quadro generale dell’economia globalizzata la problematica specifica legata al rapporto fra produzione e design si nota come, in Italia, sta riemergendo in primo piano ciò che una visione edulcorata e “partigiana” dell’industrial design ha tenuto sommerso, pur alimentandosi costantemente a tale substrato.
Ci riferiamo allo spazio immateriale, all’humus estetico e di gusto del Paese entro cui la creatività dei designer italiani si è formata, supportata sul fronte operativo dai saperi artigianali diffusi territorialmente e fortunatamente conservatisi fino ad oggi.
Entro questo quadro dialettico esterno-interno (sistema Paese-industrial design) alle fasi creative e prefigurative sono seguite spesso quelle sperimentali che hanno ampiamente utilizzato prototipi capaci di esprimere, al reale, la verifica dei progetti di design, liberati dai forti condizionamenti derivanti dalla rigidità delle organizzazioni del lavoro di stampo fordista. Prototipi a volte anticipatori di prodotti passati alla grande serie, altre volte destinati a rimanere “testimonianze solitarie” (memoria di percorsi esplorativi poco fortunati), altre volte ancora destinati a materializzarsi in piccole serie, in limited-edition design anticipatrici della moda che sembra affermarsi recentemente.
Ma ancor più dell’apporto e della maestria artigianale poste alla base dell’affermazione del design italiano lungo la seconda metà del XX secolo, ciò che costituisce all’origine la linfa vitale della creatività trasferita nel made in Italy riteniamo vada rintracciato risalendo alle radici storiche ed identitarie di lunga durata del Paese.
È la qualità estetica, la bellezza, la ricchezza dell’Italia – dalla scala del “piccolo” (gli oggetti ammirabili nei mille musei o nelle residenze patrizie) alla scala avvolgente dell’architettura e della città antica, fino a quella paesaggistica e naturalistica – ad alimentare e collegare, secondo noi, la cultura contemporanea del design italiano (anche di quello industrial) alle sue radici e al continuum storico stratificatosi nei secoli che risale – a ritroso – dal Barocco verso il Rinascimento, il Tardo Antico, l’Antico.
Senza cogliere questo filo invisibile mai completamente spezzato, legato ai valori territoriali che ancora emergono nel Paese pur nel grande mare dell’omologazione contemporanea, non si potrebbero spiegare i motivi dell’enorme vitalità e creatività espressi periodicamente dal design italiano; vitalità e creatività, come già sottolineavamo, sostenute e arricchite dalle abilità pratico-manuali dei craftsmen italiani, riversate beneficamente sulla produzione industriale, sia pur indirettamente.
Tale condizione molto particolare esprime, secondo noi, la peculiarità del design italiano rispetto a quello degli altri Paesi.
Non è un caso che, se ancora il made in Italy continua la sua affermazione sui mercati internazionali – come testimoniano i dati in attivo dell’export degli ultimi cinque anni – molto lo si deve a prodotti a forte tasso di creatività e a vocazione identitaria territoriale legati al nostro stile di vita (arredamento, moda, enogastronomia ecc.) e alla stessa immagine (eminentemente storica) del Paese che svolge il ruolo di atto di richiamo e di sfondo esperienziale (reale e virtuale) nell’immaginario collettivo internazionale.
Su questa Italia – riguardabile, sulla scia della visione di Kevin Roberts di Saatchi & Saatchi, come lovemark territoriale identitario – e sull’articolazione del mercato dei prodotti sembra recentemente agire una inedita “pressione” dall’esterno non priva di ripercussioni sull’offerta di esperienze di vita, di cultura estetica, di beni e di materiali che ne alimentano i cicli produttivi.
Ci riferiamo, in particolare, alla spinta esercitata dai Paesi emergenti che vanno progressivamente consolidando ed accrescendo la richiesta di prodotti ed esperienze di vita legati alla sfera del lusso, di quel “lusso necessario” come è stato recentemente interpretato dagli analisti per sottolinearne la significativa “espansione” della domanda indirizzata verso la gamma alta di prodotti e servizi, verso la tipicità e l’eccellenza manifatturiera sia essa artigianale o industriale.
Troviamo così l’Italia nuovamente attraversata – come all’epoca di Goethe – da “talent scout” del lusso (e, più in generale, delle qualità tipiche nazionali) impegnati nella ricerca e nella scoperta di tutto quello che gli altri Paesi non hanno.
Accanto agli oggetti in grande serie, figli dell’industrial design contemporaneo italiano di qualità, si assiste alla ricerca di prodotti di nicchia, spesso preziosi ed elitari, confermando la stessa teoria della “coda lunga” che sfrutta l’economia delle reti per una loro scoperta al di la del mercato di massa così come descritto da Chris Anderson nel noto saggio The long tail.
Palladio e il design litico
Vorremmo ora rientrare dall’orizzonte problematico generale ad una dimensione più specifica e pertinente dove il termine design è ricondotto al suo significato etimologico più appropriato liberandolo dalla visione che ha relegato i designer contemporanei (gli “architetti del piccolo”, come qualcuno li ha definiti) a lavorare unicamente nella direzione dell’industriale e del seriale, dei grandi numeri e dell’identico.
To design significa – come precisa Vilèm Flusser in Filosofia del design – “architettare qualcosa”, “simulare”, “ideare”, “abbozzare”, “organizzare”, “agire in modo strategico”. E “il design – citando sempre il filosofo praghese – rappresenta il punto in cui convergono grandi idee che, derivando dall’arte, dalla scienza e dall’economia, si sono arricchite e sovrapposte l’una con l’altra”.
Ecco allora che la mostra Palladio e il design litico, ideata e curata da Raffaello Galiotto, si offre come occasione felice e propizia, sia per approfondire una più ampia e libera concezione del design, sia per ricollegarsi ad uno dei poli del vasto palinsesto storico nazionale fatto di stratificazioni, di esperienze visive e di cultura materiale a cui finora abbiamo fatto riferimento in apertura del nostro saggio.
Nel caso specifico l’aggancio al patrimonio identitario del territorio vicentino e alla tradizione degli oggetti in marmo e pietre ornamentali pre-industriali passa attraverso la conoscenza e la rilettura-interpretazione di alcune opere alla scala di elementi d’arredo fisso di Andrea Palladio; il primo e più grande architetto globale che ha influenzato i più vasti orizzonti: dall’Inghilterra all’America, dalla Francia alla Russia. Una iniziativa ideale per riconnettere il design contemporaneo al grande filone degli oggetti marmorizzati storici.
L’operazione di rilettura e virtualizzazione delle opere di Palladio è efficacemente sintetizzata in un documento informativo del Consorzio Marmisti Chiampo promotore dell’iniziativa. Non infrequentemente questi anonimi e scarni documenti interni alle organizzazioni di lavoro fissano le idee centrali dei progetti:
“L’importante occasione della celebrazione del cinquecentenario della nascita del grande architetto Andrea Palladio, è stata stimolo ed incentivo per lo studio di un progetto ispirato alla produzione del “Tagliapietre” più conosciuto al mondo e per la realizzazione di una mostra dedicata al design lapideo, resa possibile grazie alla secolare arte ed abilità di lavorare la pietra dei marmisti della Vallata del Chiampo.
Mediante l’approfondita e originale ricerca del designer Raffaello Galiotto, con il prezioso contributo cognitivo offerto da CISA, sono state individuate alcune opere del Palladio che possono essere definite “prototipo” di una moderna concezione di design.
In questi oggetti ed opere sono state individuate una serie di linee e curve che si ripetono.
Dallo studio di queste linee e dalla loro rielaborazione, il designer Galiotto è stato in grado di creare una serie di opere in marmo, pietra e granito di design contemporaneo”.
Raffaello Galiotto ha lavorato per questa specifica esperienza con coraggio e strategia creativa inconsueta, portandosi fuori dalla logica convenzionale (e in qualche modo stereotipata) dell’industrial design, assumendo come target della sua visione un pubblico ideale di amanti del “bello lussuoso” dal sapore classicheggiante; allo stesso tempo ha fissato in alcune opere-prototipo un’intonazione formale inedita che slarga anche verso orizzonti affatto storicizzati il concept progettuale generale.
Il comune denominatore di tutti i prototipi realizzati da Galiotto è rappresentato dall’intensità ed esuberanza del lavoro creativo indirizzato alla prefigurazione di elementi d’arredo o di design di superficie, dai caratteri morfologici, materici ed estetici, fortemente vibranti quasi si trattasse di pezzi di designart.
Nei prototipi in mostra è evidente come la creatività e la sperimentazione formale appaiono fattori fondamentali, forse ancor più importanti del valore funzionale e d’uso delle opere stesse.
Alcuni degli oggetti esposti rappresentano interessanti esempi di innovazione morfologica, enfatizzati dalla fortissima componente estetica, collocando il lavoro di Galiotto ai confini fra arte, design, architettura nella ricerca di nuovi spunti e forme per il design litico.
Collezione “Palladio e il design litico” di Raffaele Galiotto
È fortemente rimarcato il senso formale, materico, tridimensionalmente espanso di un design litico che interpreta potentemente la monoliticità e la varietas colorico-segnica di marmi, pietre, graniti; tali caratteri riteniamo che sostituiscano il vero ponte concettuale rispetto al punto di partenza, allo statuto delle opere di Andrea Palladio.
Non sottovalutato – anzi tutt’altro – l’aspetto del trasferimento dei concetti (la realtà ideale) verso gli oggetti materici (la realtà fisica) nella specifica fattispecie degli artefatti da esporre in mostra.
Materiali litici ricercati, raffinati e diversi per ogni oggetto, tecnologie avanzate di trasformazione e modellazione della materia, apporto artigianale per le fasi di completamento e finitura, rappresentano i fattori peculiari su cui è imbastito tutto il progetto di Raffaello Galiotto.
La strategia della flessibilità e dell’integrazione uomo-macchina è coscientemente adottata per valorizzare al massimo le secolari maestrie ed abilità dei marmisti della Vallata del Chiampo e le accresciute e straordinarie potenzialità delle macchine d’avanguardia per la lavorazione dei lapidei in disponibilità – le une e le altre – delle aziende del Consorzio Marmisti Chiampo sostenitrici ed esecutrici del progetto “Palladio e il design litico”.
di Alfonso Acocella
Vai a: Palladio e il design litico
Vai a: Galiotto design
Vai a: Consorzio dei Marmisti della Valle del Chiampo
7 Gennaio 2009
News
Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana 2009
III edizione
Informazioni generali
La Triennale di Milano con la PARC, Direzione Generale per la qualità e la tutela del paesaggio, l’architettura e l’arte contemporanea, bandisce la terza edizione del Premio “Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana”, evento con cadenza triennale che intende promuovere e riflettere sulle nuove e più interessanti opere costruite nel Paese e sui protagonisti che le hanno rese possibili.
La Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana punta alla promozione pubblica dell’architettura contemporanea come costruttrice di qualità ambientale e civile, e insieme guarda all’architettura come prodotto di un dialogo vitale tra progettista, committenza e impresa.
La Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana si pone come riflessione attiva sul ruolo del progettista e delle sue opere puntando alla diffusione pubblica in Italia ed all’estero di un nuovo patrimonio di costruzioni e idee e insieme verificando periodicamente lo stato della produzione architettonica italiana, gli indirizzi, i problemi e i nuovi attori.
Modalità
Il Premio è così ripartito:
Medaglia d’Oro all’opera per la qualità della progettazione, l’intelligenza ambientale e contestuale, la realizzazione e la capacità d’innovazione tecnologica.
Premio Speciale all’opera prima. Il premio si riferisce a un’opera prima realizzata dal progettista entro il compimento del 40esimo anno d’età e intende porre in forte evidenza la nuova generazione che opera attivamente in Italia e all’estero.
Premio Speciale alla committenza. Il premio intende porre l’attenzione sul ruolo fondamentale che la committenza, sia pubblica che privata, ha nella costruzione di un’opera di architettura e nella definizione di una differente qualità dello spazio fisico e sociale.
Sono, inoltre, previste otto Menzioni d’Onore relative ad altrettante sezioni del costruire nel territorio:
Abitare (residenza, residenze speciali), Educazione (scuola, università, asili, istituti educativi e professionali), Sport (palestre, piscine, impianti sportivi, stadi), Attività produttive e per il pubblico (centri e spazi commerciali, uffici, impianti industriali, laboratori, aziende agricole), Cultura e il tempo libero (musei, spazi espositivi, biblioteche, cinema, teatri, discoteche, strutture per la ristorazione), Salute e benessere (ospedali, istituti speciali, centri di ricerca, cliniche,
impianti termali), Spazi ed infrastrutture pubbliche (piazze, parchi, ponti, viadotti, linee metropolitane, edifici pubblici e religiosi), Restauro del moderno.
I tre Premi verranno assegnati ad architetture progettate da professionisti italiani (architetti e ingegneri) e realizzate in Italia o all’estero nel periodo 2006 – 2008.
Sia la Medaglia d’Oro, che i Premi Speciali, che le Menzioni d’Onore verranno attribuiti da una giuria internazionale composta da cinque membri. La Giuria stabilirà la lista dei progetti finalisti, fra i quali voterà a maggioranza i vincitori della Medaglia, dei singoli Premi Speciali e delle Menzioni d’Onore. La decisione della Giuria verrà resa pubblica tramite una conferenza stampa e una cerimonia ufficiale di proclamazione, cui seguirà l’esposizione e la pubblicazione dei progetti finalisti.
Il consulente scientifico per il settore Architettura e Territorio della Triennale di Milano, prof. Fulvio Irace, svolgerà, all’interno della Giuria stessa di cui è membro, il ruolo di coordinatore.
Criteri di selezione
Sono previsti due criteri di raccolta delle candidature, i cui risultati confluiranno, senza alcuna selezione preventiva, in un unico contenitore che verrà sottoposto alla giuria.
Un gruppo di advicers (architetti, direttori di riviste e Centri per l’architettura, critici) è stato invitato dalla Triennale di Milano a segnalare le opere relative alle categorie indicate.
Contemporaneamente qualsiasi progettista (architetto e ingegnere) potrà autocandidare un proprio lavoro seguendo le indicazioni consultabili all’interno del sito web della Triennale di Milano.
La Medaglia d’Oro, i Premi Speciali e le Menzioni d’Onore verranno assegnati dalla Giuria, il cui giudizio è da considerarsi inappellabile. Non sono previsti premi ex-equo.
I progettisti selezionati per la fase finale (i finalisti) sono tenuti a fornire alla Triennale di Milano materiali grafici e illustrativi aggiuntivi, liberi da diritti d’autore.
Calendario
12 gennaio 2009
Inizio raccolta delle segnalazioni di opere architettoniche da parte degli esperti e delle autocandidature da parte di singoli architetti/ingegneri o di gruppi di progettisti.
1 marzo 2009
Termine ultimo di presentazione del materiale per la partecipazione al Premio.
marzo 2009
Riunione della Giuria.
maggio 2009
Dichiarazione pubblica dei vincitori tramite conferenza stampa e apertura della mostra dedicata ai progetti finalisti e vincitori.
Per informazioni contattare la Segreteria Organizzativa del Premio:
tel 02 72434210/238
fax 02 72434248
www.triennale.it
medaglia.architettura@triennale.it
Autocandidature
Gli architetti, gli ingegneri, le committenze pubbliche e private possono partecipare al Premio Medaglia d’Oro per l’Architettura Italiana inviando alla Triennale di Milano la documentazione formato Power Point (redatta secondo le specifiche indicate) dei lavori realizzati in Italia tra il 2006 e il 2008, e relativi alle sezioni sopra indicate. Per procedere alla registrazione e al successivo caricamento dei materiali, dal 12 gennaio al 1 marzo 2009 si potrà utilizzare l’apposito form sul sito
www.triennale.it.
Il documento in Power Point richiederà:
1. dati generali dell’opera e dei progettisti;
2. elaborati grafici del progetto in formato JPG (piante, sezioni e prospetti);
3. immagini in formato JPG risoluzione 72 dpi (max 10), in bianco e nero o a colori, dell’intero progetto, che includa interni, esterni, dettagli ed eventuali immagini di plastici di studio dell’opera in concorso. Tutte le immagini fornite dovranno essere libere da diritti d’autore;
4. testo descrittivo in cui vengano spiegate le motivazioni, le scelte tecniche ed estetiche relative all’opera in concorso (max 2 cartelle);
5. curriculum vitae degli autori dell’opera in concorso (max 2 cartelle).
Non verranno ammessi al Premio elaborati trasmessi in altra forma.
La documentazione suddetta dovrà essere caricata sul sito della Triennale di Milano entro e non oltre il 1 marzo 2009 ed entrerà a fare parte di un archivio permanente.
La documentazione relativa ai progetti finalisti e a quelli premiati sarà inclusa in un’apposita pubblicazione.
Ai sensi del Testo Unico sulla Privacy D.lgs n 196/2003, in ordine al procedimento instaurato da questo avviso si informa che la Triennale di Milano è soggetto attivo nella raccolta dei dati. I dati richiesti sono raccolti per le finalità del Premio. Le modalità del trattamento sono relative alle attestazioni indicate e ai requisiti stabiliti dalla legge necessari per la partecipazione al Premio da parte dei soggetti aventi titolo.