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ARCHI DELLA LESSINIA: LE STALLE FIENILE

Costruzioni con strutture ad arco nell’architettura rurale di montagna


Lo spaccato della ottocentesca casara di malga Fittanze di Erbezzo, dovuto al crollo della parte anteriore dell’edificio, permette una lettura in sezione dell’arco a sesto acuto. © Sauro

“Tede” della Lessinia centro-orientale
In continuità, esclusivamente tecnica, con gli essiccatoi per il tabacco della pianura veronese, ricerca pubblicata su AV 97, si delinea il tema degli edifici per la essicazione degli alimenti vegetali per gli animali nelle aree montuose del territorio veronese.
Le “tede” (o tezze) tradizionali stalle-fienile della montagna veronese, oltre a costituire una straordinaria ed inedita tipologia di architettura rurale, oppongono alla destinazione inoppugnabilmente voluttuaria delle costruzioni trattate nel precedente itinerario, una finalità utilitaria che non è retorico definire basilare per la vita degli uomini. Le erbe essiccate e trasformate in fieno costituivano, prima dell’immissione sul mercato dei moderni mangimi industriali, l’unico alimento che permetteva nelle stagioni fredde la sopravvivenza degli animali, dai quali dipendeva – e ancora dipende – quella degli umani.
Per una serie di fattori, dalla geologia alle varietà vegetali del luogo, dal sistema di produzione agricola alla cultura costruttiva, la Lessinia ha dato luogo ad una singolare tipologia di edifici che rappresenta in modo incisivo la sintesi tra le culture costruttive di due materiali, il legno e la pietra. La presenza diffusa sul territorio di materiali a struttura lasteolare, il Rosso Ammonitico e Scaglia Rossa Veneta o Pietra di Prun, è all’origine di una straordinaria architettura litica, senza confronti con quella delle altre aree alpine. Pur svolgendo identiche funzioni, le principali tipologie che compongono gli insediamenti umani, le abitazioni e gli edifici rustici, hanno però assunto connotazioni morfologico – costruttive diverse nelle due aree principali in cui si è soliti classificare l’architettura rurale del territorio lessinico.


Stalla-fienile isolata con tetto a doppia pendenza presso la contrada Stander di Roverè Veronese e manto di copertura vegetale ancora intatto in una stalla-fienile con tetto a doppia pendenza presso contrada Fontani di Velo Veronese. © Pavan

Pur mantenendo il tradizionale assetto, che vede universalmente diffuso il sistema della stalla a livello di terra e il fienile sovrapposto, come serbatoio di foraggio a essa collegato, le stalle-fienile hanno assunto un carattere integralmente litico nel settore occidentale, che fa riferimento ai comuni di Fumane, Sant’Anna d’Alfaedo ed Erbezzo, mentre nell’area centro orientale comprendente i comuni di Boscochiesanuova, Roverè, Velo e Selva di Progno, è assai diffuso per gli stessi edifici rurali un sistema costruttivo ove il legno e la pietra si integrano in modelli costruttivi assai originali.
Le ragioni di tale diversa connotazione va cercata marginalmente nella minore disponibilità di lastame offerta dal territorio centro orientale, ma soprattutto in una diversa cultura costruttiva legata alla storia del popolamento di quest’area della montagna veronese, oggetto nei secoli XIII e XIV di successive ondate di “migrazioni programmate” di coloni germanici, bavaro-tirolesi chiamati teutonici e in seguito cimbri, portatori di proprie culture costruttive e colturali. Trovano infatti radice nella cultura lignea tedesca le “tede” dell’area lessinica orientale, caratterizzate dalla muratura in pietra e dal tetto a doppia pendenza, coperto parzialmente fino all’inizio del ‘900 con paglia e canna palustre, e oggi con lamiere metalliche.
Le due diverse inclinazioni delle falde del tetto sono dovute all’impiego dei due materiali. La parte in lastre di pietra calcarea ha una funzione di copertura e riparo della muratura e la sua inclinazione leggera è dovuta al contenimento dello scivolamento delle lastre. Il manto vegetale, che caratterizza la parte cuspidale del tetto, ha invece una pendenza più accentuata per favorire lo scorrimento veloce delle acque meteoriche, impedendone l’infiltrazione all’interno del fienile.
Completamente culturale, o meglio colturale, è la motivazione della scelta di adottare fino all’epoca moderna la copertura di paglia o di canna palustre, come appare evidente dall’esiguità di superficie del manto vegetale impiegato in molte “tede”. L’uso della costruzione lignea come “cesta traspirante” per migliorare la maturazione e la fermentazione del fieno è caratteristico delle stalle-fienile di numerosi territori alpini dove il legno è il materiale costruttivo prevalente. In Lessinia, dove invece domina il materiale litico, si è conservata la tradizione “traspirante” del manto vegetale solo nei rustici di area cimbra.


Malga malga Lavacchietto di Ala: Interno della casara settecentesca con archi a tutto sesto; esterno con in evidenza i contrafforti di controspinta degli archi interni. © Pavan

Gli “stalloni” ad archi della Lessinia centrale
Il crescente sviluppo dell’imprenditoria agricola e dell’allevamento bovino tra la fine del ‘700 e la prima metà dell’‘800 nell’area lessinica ha portato ad una consistente espansione dimensionale e volumetrica delle stalle-fienile di contrada, che ha modificato anche la consuetudine di coprire questi edifici con un manto vegetale, sostituendolo con una più duratura copertura di lastame calcareo (com’era progressivamente avvenuto nei secoli precedenti per gli edifici abitativi).
Lo sviluppo dimensionale della scatola muraria avrebbe però richiesto per il tetto l’impiego di strutture lignee di dimensioni ben maggiori di quelle in uso fino allora, in grado di reggere il peso della copertura di grandi tavole di pietra. La scelta, evidentemente più conveniente, fu invece di dividere la struttura trabeata del tetto in due parti con un arco di pietra avente funzione di muro di spina svuotato o di rompitratta di pietra, certamente più solido (e forse meno costoso) di una grande capriata di legno.
Dagli inizi dell’800 fino alla metà del secolo furono costruiti in numerose contrade lessiniche degli “stalloni” con arco rompitratta capaci di ospitare fino a 20 bovini, mentre le “tede” tradizionali ne contenevano al massimo 10. Questa tecnica strutturale fu trasferita negli stessi anni anche nell’altopiano settentrionale lessinico nelle aree di alpeggio estivo, dove alcune malghe si dotarono di “stalloni” con tetto in lastre retto da archi, privi però di fienile, con funzione esclusiva di ricovero degli animali nei casi di emergenze climatiche.
L’uso di tali strutture ad arco si diffuse assai più estesamente nello stesso periodo, fino alla fine dell’800, nell’alta Lessinia nella costruzione dei “baiti” (caseifici di malga) in muratura, che sostituirono i vecchi “casoni” in legno coperti di paglia e canna palustre, in dotazione da secoli sulle malghe dell’altopiano.


Arco a sesto acuto dello stallone di contrada Falz di Roverè Veronese. © Tosi

L’evoluzione dell’arco lessinico
Vera anomalia costruttiva rispetto agli edifici rurali delle altre aree alpine, l’arco strutturale lessinico ha trovato la sua ragione logica nel particolarissimo materiale litico locale, il lastame calcareo reperibile in forma tabulare, facile da estrarre e lavorare; ottima alternativa al legname più diffuso, il faggio, poco adatto alla costruzione lignea e principalmente usato come legna da ardere.
Anche se frutto dell’ingegno e del sapere di abili maestranze locali, l’arco lessinico ha avuto una sua evoluzione tecnico-stilistica che mette in dubbio la “spontaneità” che in genere viene attribuita ai linguaggi dell’architettura rurale, specie delle aree di montagna.
Il primo esempio di arco strutturale di questo territorio appartiene ad una tipologia edilizia completamente diversa da quella considerata nel presente studio: la “casara” di malga. Sui pascoli dell’altopiano settentrionale, dove si praticava fin dal medioevo una intensa attività di alpeggio, ebbe inizio nel XVI secolo la costruzione delle “casare”, edifici in muratura, forse inizialmente coperti di paglia, destinati alla conservazione e stagionatura dei derivati del latte, formaggi, ricotte e burro, prodotti nelle malghe. La loro produzione avveniva invece nei “casoni”, in seguito chiamati “baiti”, edifici interamente costruiti in legno e coperti di paglia, idonei ad essere smontati e spostati in aree diverse dei pascoli della malga, per sfruttare un sistema di concimazione “al naturale” ritenuto conveniente per fertilizzare i magri terreni dell’alta Lessinia.


Archi a sesto acuto all’interno del baito di malga Brancon di Bosco Chiesanuova, della prima metà dell’Ottocento. © Pavan

A partire dal XVII secolo queste casare risultano essere tutte coperte di lastre di pietra il cui peso sommato a quello della neve in inverno, spesso era retto da archi rinforzati da contrafforti all’esterno del perimetro murario. Gli archi delle casare fino alla fine del ‘700 erano a tutto sesto o a sesto ribassato, con una luce mediamente di 5 metri, disposti in sequenza in modo che le lastre poggiassero scalarmente su due archi, eliminando così l’uso di capriate in legno.
Ma la particolarità di questi archi è il sistema dei conci che li compone, ricavati da bacchette di pietra longitudinali, tagliate ricurve e montate a formare archi completi, analoghi a quelli dei portali cittadini della seconda metà del ‘400. Una tecnica che, in assenza di molti elementi conoscitivi, ci appare stranamente poco efficiente per il peso che l’arco doveva sostenere, essendo la superficie d’attrito tra un concio e l’altro assai ridotta. La cosa farebbe pensare ad un’eredità stilistica – ipotesi azzardata ma da approfondire – opera si direbbe di maestranze locali di discendenza della scuola di lapicidi della Valpolicella che dalla seconda metà del ‘400 alla prima del ‘500 avevano lavorato ai progetti dei grandi architetti del primo Rinascimento a Venezia, Ferrara e in Lombardia, nei quali troviamo con frequenza questo tipo di arco. Oltre metà delle casare degli alti pascoli della Lessinia testimoniano nelle loro strutture interne la diffusione, durata alcuni secoli, di questo particolare sistema costruttivo.
Un radicale mutamento nella concezione dell’arco strutturale lessinico si registra all’inizio dell’ ‘800. Nelle nuove grandi stalle di contrada, “stalloni”, vengono costruite strutture ad arco di grande dimensione con una tecnica affatto diversa: l’arco a sesto acuto. La loro cronologia è regolarmente scandita dalle date incise a partire dal 1814 per circa un cinquantennio. La loro caratteristica, determinata dalla costruzione geometrica, non consisteva solo nel tracciato dei due archi congiungentisi – che già nei documenti d’epoca erano definiti con termine stilistico “arco gotico” – ma anche dal sistema dei conci “a mattone” disposti radialmente secondo il lato lungo per sfruttare in modo ottimale l’attrito fra i conci lapidei, impedendone lo slittamento come avveniva frequentemente negli archi a tutto sesto delle casare. Con questa tecnica, peraltro antica, l’efficienza accresciuta degli archi consentiva una luce variabile tra i 9 e i 16 metri ed un’altezza equivalente, anch’essa variabile a seconda della loro apertura.


Interno dello stallone della prima metà dell’Ottocento di malga Campo Retratto di Erbezzo con la sequenza di coppie di archi a sesto acuto che dividono lo spazio in due navate. © Savorelli

La configurazione completa dell’arco seguiva sull’esterno dell’edificio il diagramma delle spinte attraverso la fuoriuscita dalle pareti laterali di queste costruzioni di due possenti contrafforti a inclinazione piramidale.
Mentre per gli archi a tutto sesto delle casare è documentato l’intervento di piccole imprese guidate da mastri scalpellini della bassa collina o del fondovalle, le tecniche più sofisticate dell’arco ottocentesco a sesto acuto richiedevano l’apporto di tecnici, disegnatori, periti ed ingegneri in grado di redigere un progetto da affidare all’impresa, di cui sono reperibili ancora progetti, disegni e capitolati.
La funzione di rompitratta degli archi lessinici a cui abbiamo accennato all’inizio del presente scritto, è stata utilizzata anche in “stalloni” di contrada in cui si è mantenuto il manto di copertura in paglia o in canna di palude, in alcuni casi utilizzando porzioni di arco forniti di contrafforti esterni come appoggio o mensole di capriate, dando vita in tal modo a strutture ibride, lignee e litiche.
Sono circa una quindicina gli “stalloni” con arco strutturale a sesto acuto censiti nelle contrade della Lessinia centro orientale, incluse alcune eccezioni nell’area occidentale ad essa confinante.
Esempi molto interessanti dell’applicazione di questo tipo di arco sono visibili anche in alcuni rari “stalloni” di malga, strutture sorte nella prima metà del XIX secolo come ricovero temporaneo del bestiame al pascolo nel caso di maltempo, quindi privi di fienile. In queste stalle-ricovero dalla forma allungata, oltre 20 metri, gli archi ogivali formano sequenze che ricordano navate di chiese medievali.
Gli “stalloni” con archi strutturali diffusi nelle contrade dell’area lessinica e nell’altipiano settentrionale costituiscono una forma originale di ingegno e creatività costruttiva in aree alpine che amplia e arricchisce il patrimonio delle strutture agroindustriali del paesaggio costruito italiano.


Interno dello stallone del 1950 di malga Scortigara di Cima di Ala, con coppie di archi a tutto sesto. © Pavan

La diffusione di tali tipologie edilizie, l’alta qualità tecnica delle costruzioni, il ruolo determinante da esse assunto nel paesaggio ci pone urgenti interrogativi sulla sorte di questi edifici in seguito alla loro dismissione ormai generalizzata, sia che si tratti della loro scomparsa per effetto dell’abbandono o per demolizione programmata, sia nei casi più frequenti, di alterazioni irreversibili dovute ad interventi di trasformazione spesso totalmente inconsapevoli della qualità delle costruzioni in oggetto.
Da questo sintetico studio nasce la necessità di mettere in atto una serie di iniziative finalizzate a studiare, indagare e conoscere approfonditamente le suddette tipologie; discutere e proporre adeguate metodologie di intervento e strumenti di tutela; individuare orientamenti e politiche di sviluppo del territorio capaci di valorizzare lo straordinario patrimonio architettonico della tradizione costruttiva lessinica.

di Vincenzo Pavan

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