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23 Novembre 2015

Design litico

Glomus, parametro di sfida tecnica


Glomus, l’installazione nell’Italian Stone Theatre di Marmomacc (Ph. Erika Pisa)

Lo spazio è buio e lascia illuminate le installazioni, che in questo modo permettono di avere con loro un rapporto personale. Questo in una delle mostre all’interno del Padiglione 1 della Fiera annuale di Verona, nell’importante edizione che festeggia il suo cinquantesimo anniversario, Marmomacc – Mostra Internazionale di Pietre Design e Tecnologie.
La rassegna è Digital Lithic Design e mostra undici opere in materia litica sulla ricerca di un nuovo rinascimento per i materiali lapidei, progettate tutte con un alto grado di sperimentazione. Il designer Raffaello Galiotto in collaborazione con diverse aziende, specializzate nella trasformazione di questi materiali e nella costruzione di macchine a controllo numerico, è riuscito ad ampliare l’ottica delle finiture che oltrepassano il classico utilizzo. Ponendosi come obiettivo del proprio studio il trattamento delle superfici in subordinazione alle capacità di una macchina e dei software che le controlla, in una sorta di esplorazione tra le impervie vie della robotica, si è chiesto: cosa riesce a fare la macchina che noi non sappiamo? Errori, ripetizioni, texture e codici inutilizzati sono alla base di scoperte effettuate in campo pratico passando per fasi teoriche.


Il lavoro di fresatura nel laboratorio artigianale di Aceto Marmi (Ph. Erika Pisa)

La casa madre di queste tecnologie, la Helios Automazioni insieme ad Aceto Marmi, un laboratorio di trasformazione attivo da quasi un secolo sul territorio abruzzese, ha accolto il progetto facendosi carico di un’esperienza responsabile portata a termine in settembre, tempo in cui l’esposizione ha avuto luogo a Verona, in sede di Fiera. La volontà progettuale espressa dal designer era quella di evitare la manualità dell’artigiano, il quale doveva limitarsi ad assistere la macchina tramite il suo software, apportando un livello superiore di autonomia alla realizzazione dei prodotti appartenenti a questo specifico settore e affidando la massima responsabilità di buon esito al dispositivo macchina, che oggi necessariamente deve essere in possesso dei requisiti utili alla previsione di ogni fase di lavoro, dalla sgrossatura del pezzo all’ultimo grado di finitura.
L’idea, rappresentata attraverso i disegni e i video presentati in loco, indica una serie di gomitoli di lana impilati l’uno sull’altro legati da un unico filo corrente lungo i loro mantelli, lavorati da una fresa a palla la quale, per sottrazione lascia vedere un solco di sezione curva. Con lo scopo di raggiungere una finitura risultante da un percorso continuo, il blocco originario in pietra di Apricena alto poco meno di 3 metri è stato bloccato su un tornio e lavorato senza mai fermarne il movimento. Il volume allo stato grezzo ha dovuto cercare soluzioni di movimentazione e di fissaggio a causa del suo peso, gravoso per operazioni di montaggio, smontaggio e lavorazione, soprattutto laddove la pietra si assottiglia per le strozzature in prossimità dei cambi di gomitolo.


Particolare dell’installazione in Pietra di Apricena (Ph. Erika Pisa)

La manualità di un artigiano, o di uno scalpellino, oggi è tradotta in altri sensi tanto da dover concepire questo mestiere come cambiato, mutato per i tempi in cui siamo e per quelli che verranno. L’evoluzione ha condotto le aziende portatrici di innovazioni a cercare, oltre ciò che è stato già inventato, nuovi sistemi di impiego delle loro potenti di capacità. Il panorama italiano, se non per qualche minimo cenno dato in alcuni casi di collaborazione mirata, non è certamente paragonabile a quelli americani o dell’estrema Asia nei quali contesti la ricerca è cosa accertata tramite uffici interamente dedicati all’annullamento del limite. Le difficoltà odierne legate a questioni di questa natura sono raccontate argutamente dalla voce critica di Christian Pongratz, grande sperimentatore dello studio Pongratz Perbellini Architects e docente negli Stati Uniti, che sta oggi cercando attivamente di semplificare le interfacce di utilizzo dei suddetti dispositivi mediante l’università americana che gli sta dando fiducia, inseguendo un dialogo tra fruitori e prodotto finito, sperando in un dialogo possibile tra designer e le aziende coinvolte.
Gli esempi riportati dalle antologie industriali e creative dimostrano come in molti casi è premiato molto più chi cerca, che chi trova.

di Nicola Violano

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