7 Settembre 2015
Opere di Architettura
Morphosis
La copertina del libro.
Quello che si intraprende avvicinandosi alla lettura del libro dedicato ai Morphosis, edito da Edilstampa è un viaggio architettonico e storico che sì, raccoglie le sensazioni trasmesse negli ultimi anni dalla produzione dello studio americano, ma anche racconta un processo evolutivo che eredita il suo dinamismo dalle suggestioni dell’architettura americana della West Coast. L’autore ci accompagna nell’andare verso la comprensione del processo progettuale di Thom Mayne e del suo studio preparando il necessario sostrato, raccogliendo appunti in quello che diventa un indispensabile taccuino di viaggio. Da questa premessa si parte, e si viene guidati, per capire il cambio di scala a cui dobbiamo prepararci e a quello in cui ci imbatteremo durante il viaggio.
La prima parte di questa antologia è dedicata al contesto da cui l’architettura dei Morphosis eredita lo spirito e deriva la sua filosofia. Anche questo è un approccio che avviene progressivamente, quasi per tappe, come accade quando ci si prepara ad un intenso cammino. Si delinea dapprima il contesto. Scenario è la tumultuosa città di Los Angeles che ne diventa anche emblematicamente simbolo; strumenti interpretativi sono il lavoro di Frank Lyold Wright, le quattro ecologie di Banham, la SCI-arc e la generazione di architetti californiani che ne fanno parte. Essi “Come tre punti uniti da una retta […] trovano precisa collocazione nella storia dell’architettura. Le opere di questi ultimi progettisti costituiscono esse stesse uno specifico filone dell’architettura contemporanea, confinando in modo definitivo le facili etichettature di chi le consideri esempi di spavalderia californiana”.
Hypo Alpe Adria di Udine. La dinamicità dei collegamenti. I calpestii di piano terra in pietra piasentina. Fotografie di Alberto Ferraresi.
Si procede guardando al mondo di Thom Mayne attraverso le chiavi di lettura fornite dal suo ultimo libro Combinatory Urbanism. Se è vero che il manifesto scritto da Mayne raccoglie il vocabolario utile a leggere l’architettura dei Morphosis, possiamo spingerci oltre dicendo che con questo volume se ne riassumono quei tratti tipici che ci permettono di affrontarne l’analisi sintattica. Si percorre così, attraverso un arco temporale di 20 anni, un processo evolutivo che, pur mantenendo salde le idee cardine della progettazione dello studio, segue i progressi della tecnologia diventandone dichiarata manifestazione. La parola greca morphosis, da cui è derivato il nome dello studio, significa “formare” o “essere in formazione”. La forma, in questa espressione architettonica, nasce come conseguenza del paesaggio circostante, tanto nel Diamond Ranch High School in California, dove “le basse colline di Los Angeles e la topografia del terreno permettono di creare un sistema esteso dove il paesaggio e il costruito potrebbero essere intercambiabili”, quanto nelle sedi della Hypo Alpe Adria o nel Giant Interactive Group. La forma è sempre dichiarata esplicitazione dell’idea progettuale nel Clyde Frazier Wine and Dine o nel Cahill Center a Pasadina. In tutti i casi il mezzo espressivo è la pelle esterna, la facciata che si articola o disarticola, si spezza, si estende o contrae, per esprimere la potenza e la forza dell’edificio.
Questo viaggio diventa ancor più interessante a mano a mano che si procede, nel momento in cui la lettura diventa il mezzo di comprensione dell’approccio progettuale e le immagini raccolte ne concretizzano il risultato. È vero, come dichiara lo stesso Mayne nello scambio di battute con Joe Day, che non interessa più “where the silver goes”, avendo lo studio trovato la più adatta dimensione interpretativa nella grande scala, ma ciò non porta a tralasciare il significato profondo che l’architettura si propone, ossia l’organizzazione di uno spazio tutto dedicato alla dimensione umana. Da un lato quindi gli aspetti macroscopici che dal contesto portano alla forma, dall’altro l’attenzione per l’uso dell’architettura nel suo vivere quotidiano, sono trattati come aspetti paritari. Gli elementi costanti della progettazione, gli spazi flessibili, gli ambienti fluidi, i concetti di scambio e adattabilità, si trovano tanto nella pelle stratificata del Perot Museum, quanto nel sistema di oscuramento del rivestimento metallico del Caltrans Disctrict. La fluidità e il dinamismo dello schema progettuale della Wayne Lyman Courthouse sono gli stessi caratteri che, nei rapporti fra i fruitori, nascono con lo scambio giornaliero e involontario generato dal sistema skip-top proposto all’University of Toronto. Il fruitore non è più il singolo committente ma la comunità stessa e l’architettura dello studio ne diventa critico interprete e portavoce. In questo senso forse si possono interpretare le parole di Mayne e la necessità del salto di scala, l’esigenza cioè di avere un interlocutore in grado di assorbire un processo architettonico più complesso, una base più larga su cui impostare le proprie ricerche. Comunità e ambiente sono elementi fondanti della struttura sia concettualmente, sia fisicamente, in una relazione semi nascosta o ambigua, che trova interpretazione piena nel tetto verde del Rose Garden al Dr. Theodore Alexander Science Center School o nel suo giardino di bambù.
Si chiude il libro con la voglia di ripartire e con la sensazione che, al di là della ricerca tecnologica, della perfezione formale, della flessibilità funzionale, l’architettura non si riduca a semplice interpretazione parametrica dello spazio, ma raccolga le più piccole sfaccettature quotidiane, le molteplici tipicità dei luoghi e ne dia espressione piena, attraverso il risultato di una raccolta di strumenti durata oltre quarant’anni.
Hypo Alpe Adria di Udine. L’interno di uno spazio ricettivo e le volumetrie esterne. I calpestii di piano terra in pietra piasentina. Fotografie di Alberto Ferraresi.
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di Federica Poini
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7 Settembre 2015, 19:30
damiano.s
Cari,
sembra che l’edificio qui raccontato sia didascalico delle tristi vicende della Hypo Bank…