20 Giugno 2005
Interviste Pietre dell'identità
Intervista all’architetto Augusto Romano Burelli. Palazzo Bernardini, Lucca, 18 marzo 2005
Augusto Romano Burelli Ordinario di Progettazione architettonica, Iuav, Venezia
Il Professor Augusto Romano Burelli, eloquente progettista, attento conoscitore dell’architettura contemporanea e delle sue tecniche, instancabile ricercatore della classicità, nel rispondere alle nostre domande si rivela nuovamente penetrante critico.
Veronica Dal Buono: Come fondale alla nostra conversazione l’ultima opera a stampa di Alfonso Acocella. “Antichi e nuovi magisteri costruttivi” è il sottotitolo che accompagna “L’Architettura di pietra” ed anche la sua chiave di lettura; racchiusa in questa proposizione è l’intenzione di rilanciare la cultura progettuale e costruttiva della tecnologia lapidea. Quale a Suo giudizio l’apporto che l’opera offre più di altre al soggetto pietra e tecnologie?
Augusto Romano Burelli: innanzitutto il libro di Acocella rappresenta a mio avviso un modo nuovo di costruire il rapporto tra la storia del costruire in pietra ed i problemi del progetto architettonico oggi, assediato com’è dalle tecniche.
È evidente che “L’Architettura di pietra” non è stato scritto con l’intenzione di trattare della storia come storia del passato ma come storia necessaria a cambiare la condizione odierna del progetto di architettura.
È diffuso oggi da parte degli architetti un atteggiamento talvolta idolatra talvolta sottomesso nei confronti delle tecnologie contemporanee, ciò pensando di non poter più esercitare controllo sulle loro continue evoluzioni.
“Gettare la spugna dell’architetto davanti alla tecnica “: ho dato provocatoriamente questa definizione in un articolo per la rivista Bauwelt riferendomi alle tendenze nelle quali rifuggono le nuove generazioni come quella della “de-costruzione”, invocando una architettura lontana dalla produzione edilizia e dall’industria, autonoma dal “costruire” .
L’opera di Acocella vuole entrare in questa dicotomia, da una parte la concezione diffusa tra i giovani architetti che la storia non abbia più nulla da suggerire ed invece dall’altra una storia che lavora sul presente divenendo contemporanea.
V.D.B.: come potrà figurarsi secondo Lei il futuro dei materiali della tradizione costruttiva come la pietra? O meglio, vi è un futuro oltre che nella ricerca del materiale anche nella sua tecnologia applicativa e nella cultura di progetto?
A.R.B.: un futuro certo esiste ma di esso bisogna saper anticipare i caratteri; se si va a rimorchio delle convenzioni costruttive e delle esperienze del mondo non europeo, comunicateci tramite le riviste di settore ed imposteci dal mercato, è chiaro che questo futuro non lo sapremo nè usare nè dominare.
Una questione è necessario metter subito in campo, un grave problema deve precedere qualunque tipo di argomentazione sull’arte del costruire in pietra.
Prendo per esempio il caso del legno: noi italiani ne siamo importatori puri, non inventiamo le macchine che lo lavorano comprandole all’estero, le tecnologie specifiche le impariamo ed imitiamo sempre dai paesi stranieri.
Per quanto riguarda la pietra invece siamo nella situazione opposta: siamo i primi produttori europei, la importiamo addirittura dall’estero come unica testa di ponte in Europa, siamo i primi ed unici a realizzare le macchine utensili intelligenti per la lavorazione della pietra che esportiamo, gli unici che hanno sperimentato nelle aziende le pietre artificiali, i nuovi collanti e le nuove vernici.
Tuttavia non facciamo quel passo ulteriore che è la tecnologia dell’applicazione della pietra nell’architettura, lasciamo che siano gli altri paesi europei a precederci.
“Testa di Zeus”, “Il sonno della memoria”, disegni di studio di A.R.Burelli
V.D.B.: è quindi nel progetto che deve trovare sintesi la ricerca nel mondo dei lapidei. Quali lezioni si possono ancora apprendere dal passato? Facendo riferimento alle Sue opere il riferimento al “classico” è chiaramente denunciato, tuttavia non posso fare a meno di chiederLe di raccontarci quali siano stati i Suoi riferimenti, chi abbia considerato “maestri”.
A.R.B.: i modelli ideali hanno radici nel passato, lontanissime. Sto conducendo ricerche da più di vent’anni sull’architettura greca che è inizio e fine di tutte le architetture perchè in essa sono già presenti le malattie che di tempo in tempo sconvolgono, mettendo in crisi alcuni statuti dell’architettura stessa. L’architettura greca ha lavorato la pietra facendo di essa qualcosa che nessuno di noi riesce ancora a percepire: la perfezione ed il grado di necessità filosofico-tecnico-scientifico- matematico che essi hanno raggiunto.
Io amo ripetere sempre in Germania, nelle lezioni che tengo presso l’Università tedesca “i Greci sono avanti a noi come una promessa”; e parafrasando Nietzsche, “reggono come aurighi le nostre qualsivoglia culture, ne hanno in mano le briglie, ma purtroppo i cocchi, i cavalli sono inadeguati a tali aurighi”.
Per quanto riguarda l’attualità del costruire in pietra, il progetto è stato sconvolto e assediato da molteplici fatti.
Pensiamo all’architettura in pietra dallo stupefacente risultato tecnico-scientifico che è ad esempio il Didymaion, tempio di Apollo a Didima in Asia minore; un grande tempio oracolare non finito, con fughe perfette da un millimetro lunghe cinquecento metri, esatte. Pensiamo alle grandi maestranze che lavoravano la pietra e con cui l’architetto lavorava fianco a fianco; ancora per esempio Palladio, strepitoso, Bernini e Borromini sconvolgenti, il mio prediletto Francesco di Giorgio Martini.
Le esperienze del passato sono inevitabilmente decapitate da ciò che sta avvenendo nel cantiere contemporaneo, ovvero la progressiva sparizione degli artigiani. Già a fine ottocento cessano di esistere quelli che riuscivano a realizzare due superfici che venivano a contatto in modo esatto come nell’Atene periclea; dalla fine della guerra in poi, nel secolo che si è appena concluso spariscono gli artigiani banali, comuni. Quindi cosa accade nel mondo tedesco, che è quello che più conosco? Non essendoci più l’artigiano e essendo dunque il cantiere in mano a manodopera senza formazione specializzata, si costruiscono i pezzi in stabilimento ed il cantiere si sta trasformando in opera di puro montaggio da parte dei montatori specializzati delle ditte fornitrici dei componenti. Questa è la grande differenza, il pensiero pratico che scompone il tutto in semplici elementi.
V.D.B.: cosa pensa invece dell’architettura contemporanea italiana?
A.R.B.: l’architettura italiana contemporanea ha un deficit di credibilità politecnica, per non dire tecnico scientifica. Le scuole di architettura erano in principio una gemmazione delle Écoles des Beaux-Arts, con una piccola iniezione di carattere tecnico-scientifico. Ma in Italia anche le materie tecnico scientifiche insegnate nelle scuole di ingegneria non sono affatto “tecnico-tecnologiche”.
Questo deficit esiste, rimaniamo abbagliati dalle applicazioni delle tecnologie che chiamo “fini” dell’architettura non europea, le applichiamo in modo puro-visibilista, guardando solo al fenomeno finale e quindi, inevitabilmente, non in tutti i settori ma in molti siamo alle dipendenze di conoscenze altre, non propriamente fatte “nostre”.
V.D.B.: quali strumenti per sostenere, rivalutare, insegnare l’architettura?
Mostre, riviste, concorsi d’architettura, premi, fiere… il web, sono strumenti che possono dare considerazione e ausilio al progetto d’architettura?
A.R.B.: qualunque strumento può essere utile se usato in modo critico. Quello che manca in Italia è la critica. Noi non sappiamo correggere i nostri difetti perchè non li critichiamo; qualunque strumento è buono ma qualunque cosa di particolare succeda, progetti male o ben riusciti, nessuno lo riporta. Talvolta persino la pubblicistica di settore riporta errori nel descrivere tecnicamente i progetti, ma cosa ancor peggiore, non ne è neppure consapevole. Questo perchè non si può comprendere l’opera di architettura se non ne si è capita la tecnica.
Noi non facciamo critica e non facendola non capiamo a che stadio di arretratezza ci troviamo, illudendoci poi che il talento naturale che indubbiamente abbiamo rispetto agli stranieri, cresciamo infatti nella placenta nutritiva che sono le città storiche d’Italia, sia sufficiente a colmare il vuoto che ci distanzia da loro.
“Il progetto e l’assedio delle tecniche”, disegno di A.R.Burelli