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26 Gennaio 2015

Design litico

I dispositivi costruttivi del travertino: Rivestimenti


Centro direzionale del Monte dei Paschi (1996-99) a Siena, di Augusto Mazzini.Scorci dei rivestimenti in lastre di travertino rapolanese.

Il motivo per il quale storicamente il muro in opera isodoma lascia spazio a soluzioni composite ed ibride, oltre a valutazioni di puro costo e reperibilità delle materie prime, risiede in gran parte nell’avanzamento tecnico e nello sviluppo di talune tecnologie. Le possibilità plastiche e tutto sommato anche di resistenza caratteristica del materiale, quando l’architettura cerchi estensioni dimensionali inusitate e superamenti agli orizzonti disciplinari, portano il mondo romano ad esperire le tecniche dei muri compositi, particolarmente di quelli a sacco, che trovano alleato principe nelle applicazioni di riempimento cementizio. Il ruolo prettamente funzionale delle pareti di contenimento di questa pratica muraria ed il conseguente ridotto interesse alla loro resa esteriore, apre all’opposto il campo alla variegata possibilità di rivestimento delle pareti stesse.
L’architettura romana è inoltre disciplina di spazi continui tra loro legati, senza soluzioni od interruzioni; è opera di sviluppi plastici ben raccordati. Il trilite, quando necessario per aspetti tecnici, è frequentemente celato e sormontato dal rivestimento, poiché inadatto al racconto spaziale prescelto.


Rivestimenti tradizionali in travertino posati con malta. Soluzione con liste a spessore e dispositivo a lastre sottili.

Alcuno di questi argomenti impone quale materiale per il rivestimento la pietra; ma rispetto ad esempio ad un intonaco essa è preferita, poiché tecnicamente offre maggiore resistenza meccanica alle intemperie in esterno e comunque pure all’umidità ed all’usura negli interni. Fra le grandi opere pubbliche romane ci riferiamo specialmente alle terme; venendo ai giorni nostri pensiamo alla minuziosa attenzione lapidea testimoniata invece negli spazi per la cura del corpo ed il bagno.
Il passaggio fondamentale nella storia del rivestimento lapideo costituito dall’opus sectile, determina nel tempo commistioni con la pittura, ottenendone in cambio l’accoglimento della sfida rappresentativa di figure di foggia pittorica, eseguite mediante la pratica dell’intarsio. Ed è l’affinamento stesso della tecnica per la messa in opera dei decori lapidei alle pareti costruite, a presentarci i primi casi di commistione fra applicazione tradizionale ed applicazione mediante inserti metallici, con ammorsature vincolate alla parete ospitante, a migliore supporto dell’azione delle malte cementizie.


Il “Muro della memoria” nel monastero di Santa Gemma Galgani (2007) a Lucca, di Pietro Carlo Pellegrini. Viste parziali dell’opera realizzata in travertino senese.

Non ci siamo davvero spostati di molto da qui, in talune applicazioni odierne: in funzione della dimensione in termini di superficie della lastra decorativa e del suo spessore, ancora oggi frequentemente la posa verticale avviene mediante colle o malte, cui eventualmente si associa l’inserimento di aggrappaggi metallici per la maggior tenuta. Appena oltre quest’applicazione ibrida, si aprono i due mondi ancora contemporanei della posa tradizionale mediante sole malte, a render tutt’uno il rivestimento con la superficie di supporto, od al contrario l’applicazione mediante fissaggi meccanici, tipicamente metallici.
La diffusione quasi smodata del rivestimento lapideo sottile d’età romana antica, coincide con la fase storica in cui forse più che in tutte le altre l’apparato decorativo assurge a strumento di determinazione dello status sociale del committente. Secondo l’esempio più classico si mostra in questo modo appieno la natura linguistica e comunicativa del fatto architettonico.


Rivestimento in lastre quadrate di travertino posato a secco; prospetto, sezione schematica e abaco delle diverse lavorazioni delle coste per il fissaggio degli agganci metallici.

Lontanissimi nel tempo, ma accomunati alla fase storica romana dal condiviso interesse agli apparati superficiali, Adolf Loos prima e Robert Venturi poi, seppur con visioni contrapposte riguardo le strategie d’approccio progettuale rivolte agli interni ovvero agli esterni, si fanno interpreti primari e teorizzatori dei vari dispositivi, autonomi, applicati in superficie di costruzione.
«Se in Complexity and Contradiction in Architecture Venturi tentava di unire in un tutto le preoccupazioni per gli effetti della facciata e la tensione dello spazio interno, durante gli anni Settanta passa a difendere una nuova opzione. Secondo Venturi ci sono due vie per fare in modo che un edificio sia comunicativo: che nella sua forma esprima una funzione – come fa una cattedrale gotica o un ristorante a forma di papero – o che sia semplicemente un decorated shed (riparo decorato), un edificio funzionale con un cartello gigantesco» 1. Stiamo dunque ad altra scala parlando del distacco e dell’autonomia concettuale di ciò che si mostra, rispetto a ciò che sta oltre e lo sostiene. Alla scala del dettaglio ci stiamo riferendo all’indipendenza acquisita ed all’autodeterminazione raggiunta dalla veste, ora lapidea e particolarmente calcarea, rispetto al muro che la supporta, qualunque ne sia la natura.


Il “Muro della memoria” nel monastero di Santa Gemma Galgani (2007) a Lucca, di Pietro Carlo Pellegrini. Viste parziali dell’opera realizzata in travertino senese.

In un’applicazione in cui la pietra – il travertino – è chiamata ad essere sottile, il tema della profondità assume rilevanza speciale. A metterla in risalto – o a metterla a nudo – sono ad esempio le soluzioni d’angolo, le dimensioni della fuga fra elementi, l’eventualità superficiale dell’incisione e dei rilievi, oltre a quella dell’assenza di un concio a sfondare visivamente un piano diversamente bidimensionale. Quando così non fosse ci occuperemmo di sola superficie.
Ed appunto: «Se il tema è quello della superficie litica, lo svolgimento si snoda attraverso il percorso interpretativo della sua restituzione in forma di rivestimento, di ricoprimento di altre materie, di altri elementi dell’organismo costruttivo».2

di Alberto Ferraresi

Leggi anche I dispositivi costruttivi del travertino: Muri

Note
1 Josep Maria Montaner, Dopo il Movimento Moderno, pag. 167, Bari, Laterza, 1996, pp. 308.
2 Alfonso Acocella, “Superfici di pietra”, Vincenzo Pavan (a cura di), Nuova estetica delle superfici, pag. 8, Faenza, Faenza Editrice, 2005, pp. 160.

Il presente saggio è tratto dal volume Travertino di Siena a cura di Alfonso Acocella e Davide Turrini

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