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23 Dicembre 2014

Pietre d`Italia

I dispositivi costruttivi del travertino: Muri


Muro tradizionale in conci squadrati di travertino rapolanese.

Il travertino può costituire materia prima per ogni famiglia nota di elementi costruttivi: può essere infatti impilato in massi a contenere le spinte orizzontali del terreno, polverizzato a costituire graniglia per intonaci, tagliato in blocchi a sostenere forti compressioni, oppure in lastre a protezione epidermica di qualsivoglia contenuto costruito.
Tecnicamente si rende disponibile a questo compito con le distintive sue caratteristiche di resistenza e durata, da sempre.
È facile per il travertino il rimando al mondo romano, così come è facile da qui il richiamo alle pagine tecniche dei manuali di Vitruvio. Il senso di durata è allora forse il tema più presente dietro le parole vitruviane del secondo libro del De Architectura: «Queste pietre hanno caratteristiche svariatissime e opposte. Alcune sono molli, come presso Roma le Rubre, le Pallensi, le Fidenti, le Albane; le altre mediane come le Tiburtine (travertini), le Amiternine, le Sorattine e simili; alcune dure come le silicee. (…) I travertini invece e le pietre consimili resistono bene al carico e alle ingiurie atmosferiche…». Che l’interesse di Vitruvio sia qualitativo e non a quantificare le resistenze caratteristiche con fare scientifico, lo si percepisce poco dopo – nel medesimo libro al paragrafo VIII, 8 – dove si raccomanda nelle stime per la valutazione di opere in muratura lapidea, in considerazione del tempo di vita della pietra a risentire degli agenti atmosferici, l’applicazione di coefficienti di detrazione al valore economico totale in funzione degli anni di vita del muro. La prima distinzione fra pietre molli, medie e dure è dunque eseguita in funzione delle loro caratteristiche di durata.


Muro tradizionale in conci squadrati di travertino rapolanese.

A sua volta per Vitruvio, il collegamento logico fra pietra e muro risulta immediato, naturale, senza necessità di spiegazioni ulteriori. Il motivo è forse quello della maggiore vicinanza di Vitruvio rispetto a noi, al tempo d’origine della stessa parola “muro”, imparentata nella sua radice a quanto indichi opere di rafforzamento e consolidamento delle fortificazioni; o forse il motivo consta più semplicemente nell’accostamento visivo diretto al mondo naturale, al materiale delle prime costruzioni per l’uomo in pareti di roccia e mobilio di frasche.
Dal punto di vista di una sua possibile definizione, il muro singolarmente si rivela come una sorta di “numero primo” matematico: per spiegarlo non si riesce quasi mai a semplificarne il concetto per scomposizione, ma si deve invece in ogni occasione raccontarlo avvalendosi di argomenti a loro volta affacciati su altre realtà. Tipicamente infatti lo si descrive come una struttura di forma prismatica con le due dimensioni parallele e verticali prevalenti rispetto a quella dello spessore.


Blocchi di travertino in una cava di Rapolano Terme.

Sia la presenza della struttura, sia quella della forma prismatica sottendono la componente umana. Entra dunque in campo la volontarietà o l’intenzionalità, capace d’intervenire criticamente ad operare scelte sul tipo di struttura e sul tipo di forma. Il primo dei due mondi afferisce all’ambito delle scelte tecnico costruttive, mentre il secondo all’ambito delle scelte estetico espressive; ma pure, esse s’intrecciano, fissando rapporti di forza ogni volta differenti, tanto da rendere talvolta sottile o nascosto il confine fra i due.
Ripartendo sempre dal significato delle parole, parete, muro ed opera muraria individuano allora tre entità ben distinte. Se la prima presenta accezioni legate alla sfera abitativa e particolarmente degli spazi interni, così da valere anche come sola superficie di un divisorio, la seconda, lo si è visto, si riferisce in prima battuta alle strutturazioni solide del mondo della guerra. L’ultima delle tre espressioni però, conferisce in aggiunta all’oggetto cui si rivolge un sicuro spessore in senso etico ed estetico: essa infatti intende di per sé una struttura ben riconoscibile nella sua superficie e nello stesso tempo costruttivamente efficace, in virtù dei medesimi elementi – i conci – affioranti in affaccio. Come il diverso spessore del filo e la specifica scelta dell’intreccio caratterizzano il tessuto, così le peculiarità del concio lapideo e l’individuazione della concatenazione fra elementi delineano l’opera muraria. Nasce pertanto un connubio, per così dire, fra tessitura e stereotomia: esso rivive ogni qualvolta la scorza esterna e la struttura muraria portante non siano separate, ma anzi mostrate sinceramente in affaccio nel vivo della loro reciproca dipendenza.


Muri di contenimento in elementi ciclopici di travertino senese: sezioni tipo e vista d’insieme.

Gli esempi applicativi a seguire scelgono e rappresentano alcune materializzazioni di questo connubio, in cui il travertino entra con la ricchezza delle sue possibilità di colore, di vena e di finitura superficiale. Il percorso parallelo allo sfogliare delle pagine può esser letto in progressivo assottigliamento di spessore dei conci, ovvero in costante allentamento dell’impenetrabilità delle frontiere murarie. Il muro infatti, dapprima propaggine naturale dell’anfratto roccioso, poi barriera massiccia di fortificazione, quindi opera più pacificamente urbana ed abitativa, ha da sempre individuato nello spazio a qualche titolo l’entro e l’oltre. Le scelte dunque di tessitura e di stereotomia del confine murario sempre palesano, o così dovrebbero fare, il rapporto emozionale cercato fra i due ambiti.

di Alberto Ferraresi

Il presente saggio è tratto dal volume Travertino di Siena a cura di Alfonso Acocella e Davide Turrini

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