4 Agosto 2014
Pietre Artificiali
Tessere laterizie pavimentali
Lacerto di pavimentazione di domus romana in piccoli esagoni (con inserti litici) e rombi laterizi (I sec. d. C.). Museo archeologico nazionale di Sarsina. (foto di Alfonso Acocella)
Le origini delle pavimentazioni in laterizio sono da ricercare nella tradizione ellenistico-romana.16
Oltre alla tipologia dei pavimenti continui in cocciopesto – l’opus signinum – e quella, ben nota e diffusa sul territorio nazionale, dell’opus spicatum è da evidenziare come in ambito romano, già in epoca repubblicana, viene codificato un più variegato repertorio di elementi laterizi in forma di tessere, dalle forme geometriche modulari, combinabili fra loro.Si tratta di classi pavimentali numericamente esigue, ma molto interessanti e poco conosciute, realizzate attraverso la giustapposizione e la replicazione di posa di elementi di forma triangolare, romboidale, esagonale, ottagonale, cubica, mandorlata (o “lunata”) ecc. Tali formati, oltre ad un uso ripetuto in stesure omogenee, sono in alcuni casi combinati in scritture pavimentali geometricamente più articolate o impiegati a contrasto cromatico.
Pavimentazione in tessere laterizie di reimpiego (I sec. a. C). Museo della città, Rimini. (foto di Alfonso Acocella)
Più che nell’ambito della città di Roma (e nell’area geografica centro-meridionale di più specifica influenza della capitale) la serie più numerosa di pavimentazioni a tessere geometriche di terracotta appartiene all’Italia settentrionale (alla regione della Cisalpina, in particolare), con una concentrazione dei ritrovamenti soprattutto nell’area dell’Emilia Romagna e diramazioni nelle Marche e nella Toscana costiera.
Benché siano trascorsi oltre settant’anni dalla ricognizione pionieristica di Marion Elisabeth Blake sulle pavimentazioni romane che già evidenziava lo scarso interesse della ricerca archeologica e la mancanza di studi di sistematizzazione17, ancora oggi non sembra essere stato realizzato un repertorio che cataloghi le variegate tipologie degli elementi in cotto emersi nei siti archeologici in forma di lacerti di diversa morfologia e fattezza. Il materiale di scavo è, inoltre, tutt’ora poco fruibile in quanto risulta prevalentemente conservato nei depositi degli enti preposti alla tutela del patrimonio storico (Musei e Soprintendenze, in particolare) e – spesso – di difficoltosa consultazione.
Sezione stratigrafica di pavimento romano ad esagonette scoperto nel vicolo del Riccio a Bologna. Da BRIZIO (1892)
«Nell’Italia settentrionale – come rileva Maria Luisa Morricone che redige, nel 1970, la voce “Pavimento” dell’Enciclopedia dell’Arte Antica Classica e Orientale posta ad aggiornare il quadro delineato dalla Blake – sono relativamente numerosi i pavimenti di mattoni di questo tipo: a Bologna, Modena, Imola, Galeata, Ravenna, Faenza, Sarsina, Reggio Emilia, sono frequenti i trovamenti di pavimenti di mattonelle esagonali talora associate a mattonelle romboidali.
Ordito pavimentale di tessere ad esagonette. Museo nazionale etrusco di Marzabotto. (foto di Alfonso Acocella)
La data di questi pavimenti non è sempre precisabile ma si possono ritenere datati con sufficiente sicurezza l’esemplare di Imola, associato a mosaici databili al I secolo a. C. (le cui mattonelle recano al centro una tessera bianca), un pavimento di Faenza, recentemente venuto in luce, a esagoni e losanghe, che rimonta allo stesso periodo, i due pavimenti a esagoni tornati in luce a Bologna (Via Ca’ Selvatica) che sono certamente del I sec. a. C., anzi uno di essi potrebbe essere ancora più antico; anche l’esemplare di Sarsina, che fu trovato sotto un mosaico in bianco e nero con decorazione geometrica, è con ogni verosimiglianza ancora di età repubblicana.»18
Tessere pavimentali della Cisalpina a forma di pelta e di cubetti regolari. Da BERGONZONI (1972).
Gli elementi in cotto si presentano, frequentemente, con caratteristiche di elevata qualità quanto a omogeneità e compattezza, ben rispondendo ai requisiti di resistenza e durata richiesti dalle pavimentazioni; questo è evidente soprattutto negli elementi di piccolo formato della Cisalpina. Molto probabilmente viene perfezionato un processo di produzione che prevede una colatura in stampi, proseguendo la tradizione delle terrecotte architettoniche, attraverso l’impiego di un impasto semiliquido di argilla molto selezionata e miscelata, anziché seguire il più usuale procedimento di formatura dei laterizi per pressatura manuale.
Villa dell’Aia Nova (I sec. a. C.) a Scansano (GR). Pavimento del calidarium delle terme con elementi fusiformi ed elementi quadrati a lati concavi (con inserti di tessere di calcare) che ripropongono, nel loro insieme, una composizione a cerchi allacciati. (foto di Alfonso Acocella)
Non mancano, comunque, fuori dall’area dell’Italia settentrionale, rinvenimenti pavimentali in cotto di disegno geometrico particolare come nel caso dei resti recuperati a Bolsena formati con piastrelle in forma di triangoli curvilinei e di fusi, disposti in modo da formare il noto motivo della rete di fiori a sei petali. Lo stesso accade nella villa dell’Aia Nova (I sec. a.C.) a Scansano (GR) con il motivo compositivo a cerchi allacciati.
Villa dell’Aia Nova (I sec. a. C.) a Scansano (GR). Pavimento del tepidarium a tessere romboidali. (foto di Alfonso Acocella)
Agli inizi del I sec. d. C., quando il laterizio cotto inizia la sua grande diffusione nell’architettura imperiale romana, molti ambienti dell’edilizia domestica, insieme a spazi a destinazione pubblica, sono pavimentati con elementi laterizi di diversa dimensione e morfologia.
Tessere laterizie a forma di pelta (Museo storico archeologico di Sant’Arcangelo), di rombi e di pelta a due elementi binati. Museo della citta, Rimini. (foto di Alfonso Acocella)
Con grandi mattoni quadrati o rettangolari (pedales, bipedales, sesquipedales) si allestiscono le superfici di calpestio di botteghe e grandi magazzini, ma anche ambienti a servizio di terme e di anfiteatri; con piccoli mattoncini posati “di coltello” a spina pesce (il ben noto opus spicatum) si pavimentano, porticati, anditi, cortili e spazi pubblici.
Pavimento bicromatico con elementi regolari a forma di cubetti e parallelepipedi (II sec. d. C.). Museo archeologico nazionale di Cividale. (foto di Alfonso Acocella)
Un unicum nel mondo romano è rappresentato dal Foro di Scolacium in Calabria dove un’intera grande area pubblica – pavimentata con elementi laterizi quadrati a forte spessore (40x40x8 cm) – è stata scavata recentemente e restituita nella sua totale integrità di fruizione all’interno del parco archeologico.
Pavimento romano in opus spicatum (II sec. d. C.). Museo archeologico nazionale di Cividale. (foto di Alfonso Acocella)
In epoca imperiale, prevalentemente, le pavimentazioni in cotto danno testimonianza di un repertorio di tessiture attestato su stesure omogenee, con superfici a campo uniforme e monocromatico, più raramente a formati variati e restituzioni bicromatiche.
Casa dei triclini (120 d. C.) ad Ostia con pavimentazioni in opus spicatum. (foto di Alfonso Acocella)
Le basi di quella tradizione che, per oltre due millenni di storia si costituirà come cifra pavimentale tipicamente italiana sono state poste così – al pari di molte altre – dai romani.
Pavimentazioni bicromatiche in opus spicatum. Dalle Grandi terme della Villa Adriana (118-138 d. C.) a Tivoli e dal Museo nazionale etrusco di Marzabotto. (foto di Alfonso Acocella)
di Alfonso Acocella
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Lacerti di pavimentazioni in opus spicatum in cui è evidente la modalità di posa. Dagli scavi di Ostia antica e dalla Villa di Catullo (I sec. a. C.) a Sirmione. (foto di Alfonso Acocella)
Note
16 La trattazione propone una sintesi della sezione tematica contenuta in Alfonso Acocella e Giovanni Maria Masucci, “Alle origini dei pavimenti in laterizio”, pp.17-29 in Alfonso Acocella e Davide Turrini (a cura di), Rossoitaliano, Firenze, Alinea, 2006, pp. 240
17 Marion Elizabeth Blake, The pavements of the Roman building of the Republic and early Empire, Rome, American Academy, 1930, pp. 158.
18 Maria Luisa Morricone Matini, “Pavimento” p. 605 in Enciclopedia dell’Arte antica Classica e Orientale, Roma, Poligrafico dello Stato, 1973, pp. 601-605.
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