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21 Novembre 2013

Appunti di viaggio

Libyan Desert Glass – LDG
(Vetro del deserto libico)


Frammenti di Vetro del Deserto Libico (LDG)

Quando si vuole scavalcare una catenaria di dune l’accelerazione del fuoristrada ed il rumore sono forti, molto forti, quasi stonati nel silenzio del deserto rotto solo dal vento che talvolta fischia. L’orizzonte si alza. Poi il cielo. Non si vede altro che il cielo. Solitamente azzurro. Nessuna nuvola. Poi, quando sembra che il passo successivo sia quello di spiccare il volo, giù, giù da quelle dune bianche un po’ slittando accompagnati da una massa di sabbia che trasporta il fuoristrada verso il basso. Il respiro si affievolisce, il cuore sembra voler salire fino in gola ed un urlo liberatorio ti accompagna fino a quando sai per certo che è fatta, sei in fondo. Dune alte, dune basse.
Nel Gran Mare di Sabbia le dune non sono molto alte, molto lontane dai 200-300 metri di altri deserti, ma talvolta riservano sorprese interessanti, come quella volta in cui, ancora nella parte settentrionale del deserto nella regione di Bruq proprio alla fine di una duna si palesò un grande anello. Strano. Circa una ventina di metri di diametro l’anello interno e qualche metro la fascia circostante costituita da rocce giallastre dure, dall’aspetto vetroso, localmente quasi a pelle di coccodrillo, francamente un po’ impressionanti. Ovviamente ne raccolsi. Ovviamente ne regalai. E finirono nel contenitore dei sassi della Libia. Beata ignoranza! Fu solo anni dopo, quando iniziai ad occuparmi dei lapidei anche dal punto di vista archeo-gemmologico che sentii parlare del Vetro del Deserto Libico….Maddai…giallo, vetroso….vuoi mai che ne abbia qualche frammento nel vassoio sul davanzale della finestra? E tutto ebbe inizio.


Il Gran Mare di Sabbia, Libia


Le dune del Gran Mare di Sabbia, Libia

Il vetro del deserto libico è una incognita in fase di studio che ha fatto la sua comparsa nel mondo scientifico nel 1932 quando Patrick Clayton geologo, esperto di deserti e nel Gran Mare di Sabbia come responsabile di una spedizione per il “Desert Surveys Department” egiziano, si trovò casualmente (nel deserto funziona così) su una distesa di questo materiale. Egli lo campionò e ne relazionò assieme a Leonard James Spencer, presidente della Società Mineralogica di Gran Bretagna ed Irlanda e in Africa per conto del British Museum, nel 1933.
Già citato da Fresnel nel 1848 e specialmente già utilizzato come vedremo agli albori della civiltà umana, di questo materiale si ebbe conferma essere vetro amorfo di colore prevalentemente giallo verdastro anche se può essere rossastro, bruno fino a grigio blu, dall’aspetto di plastica se non fosse che è durissimo con durezza 6÷6,5 della scala di Mohs (la scala di riferimento per esprimere la durezza dei minerali che ha come massimo valore 10 per il diamante), composto da Silice in percentuale tra 98-99% più un certo tenore di elementi variabili tra cui Ti, Al, Fe e Terre Rare (REE), oltrechè talvolta elementi di chiara natura extraterrestre come l’Iridio. La sua età è stata calcolata essere di circa 26÷29 milioni di anni e la sua origine assolutamente dibattuta, essendo stato riconosciuto come prodotto di fusione di quarzo.
Si è stimato che i frammenti di questo materiale siano diffusi su un’area maggiore di 6500 km2 principalmente nel deserto egiziano sud occidentale al confine con la Libia per un peso di 1400 tonnellate disseminate in questa parte di deserto, e se il nome datogli direttamente da Clayton parrebbe essere in realtà non molto corretto, dobbiamo ricordare che esso- Libyan Desert Glass con acronimo LDG- è stato mutuato da quello storico del Gran Mare di Sabbia, conosciuto fin dai tempi di Erodoto come Deserto Libico, e a tutt’oggi diviso tra Libia ed Egitto da un confine per la cui elaborazione più che altro potè carta e righello.
Su alcuni articoli scientifici addirittura c’è chi afferma che esso sia presente soltanto nella parte egiziana del deserto del Gran Mare di Sabbia. A scanso di equivoci, comunque, i campioni fotografati e per tanti anni facenti bella mostra di sé sul davanzale della mia finestra sono assolutamente libici, provenendo dalla parte più settentrionale del Gran Mare di Sabbia, dalla regione di BRUQ, evidenziata nella immagine del viaggio geo-referenziato in tutte le sue tappe.
Per quanto riguarda questo incredibile materiale, vari sono gli studi effettuati e, fatta eccezione per una teoria che lo considera formatosi per deposizione di silica gel colloidale deposto da microrganismi silicei lacustri di acque basse – teoria peraltro rigettata dal mondo accademico scientifico – gli studiosi concorderebbero su una sua origine in qualche modo extraterrestre. Il Vetro del Deserto Libico, sarebbe il prodotto di interazione di corpi meteoritici con il suolo terrestre che a causa delle altissime temperature raggiunte, paragonabili a quelle di eventi nucleari, ne sarebbe rimasto fuso e in tempi brevi si sarebbe successivamente ri-consolidato mantenendo un composizione estremamente rappresentativa della roccia originaria più o meno inquinata da materiali extraterrestri. Grossomodo in sintesi, ma anche questo scatena ridde di ipotesi, congetture, tesi ed antitesi.

Secondo alcuni studiosi il Libyan Desert Glass sarebbe una tipologia di rocce generate dal passaggio radente di meteoriti, ed il calore sprigionato da questi corpi celesti per impatti obliqui a piccoli angoli sarebbe sufficiente a provocare la fusione delle rocce in affioramento – sabbie, arenarie principalmente – anche per spessori relativamente elevati (svariati centimetri). Tali frammenti vetrosi hanno una composizione in silice, ferro, alluminio, terre rare, tali da giustificare la trasformazione del sedimentario locale, dopo il raggiungimento del melting point, in vetro a causa del rapido raffreddamento. Per aumento della durata del calore si potrebbe avere la perdita di maggior quantità di volatili dal fuso con la formazione di strutture simili alle tectiti, frammenti vetrosi di incerta origine. Chi invoca questa teoria di aumento di temperatura senza impatto fa riferimento all’evento di Tunguska in Siberia quando il 30 giugno 1908 un meteoroide di circa 30 metri di diametro esplose a circa 10 km dal suolo producendo una potenza stimata tra i 5 e i 10 megatoni, che abbatté circa 80 milioni di alberi e fu percepita anche a 1000 km di distanza.
Non tutti i frammenti del Vetro del Deserto Libico, però, hanno composizioni chimiche così uguali alle rocce circostanti – in questo caso alle rocce sedimentarie della formazione geologica della Nubian Sandstone (Arenarie nubiane) – poiché in alcuni casi tali vetri hanno tenori elevati di Iridio ed altri elementi di origine extraterrestre o comunque tenori anomali di REE o Ferro ed altro. Questa variazione sarebbe giustificata, secondo altri scienziati, da un contatto fisico avvenuto per impatto tra il corpo extraterrestre e il suolo, e la maggior parte degli studiosi opterebbe prevalentemente per la teoria dell’impatto anche a causa della presenza nel vetro di microscopiche strutture di flusso delle dimensioni di pochi micron (schlieren) e di fasi mineralogiche più o meno riassorbite e trasformate in minerali di fusione del quarzo o dello zircone ma di temperatura molto alta. Questi minerali sono la Lechatelierite, nome dato alla sabbia silicatica fusa generata dalla prima fissione nucleare in Nuovo Messico, a Trinità, e la Baddeleyte anche esso minerale di alta temperatura che deriva dallo Zircone oltre ad elementi delle Terre Rare (REE) abbondanti ed elementi radioattivi tipici per presenza nei corpi extraterrestri. Il fatto poi che siano Quarzo e Zirconi i costituenti più abbondanti di questo vetro è strettamente connesso alla loro naturale grande abbondanza nelle sabbie più antiche e mature in quanto tutti gli altri minerali più fragili ed alterabili sono stati nel tempo disgregati ed allontanati. Indagini del Vetro del Deserto Libico con catodoluminescenza hanno inoltre rivelato spettacolari strutture di flusso.
Questi modelli di formazione sarebbero in stretta connessione secondo alcuni autori – e tra questi anche Koeber, con due crateri di impatto rinvenuti in Libia vicini al confine con l’Egitto a Nord di Al Kufrah e denominati B.P. ed Oasis.
BP – dal nome della BP Exploration Company- consiste in due anelli più o meno erosi con dimensioni valutate attorno ai 3,2 km di diametro (25° 19’N e 24°20’E) mentre la struttura di impatto Oasis (25°35’N e 24°24’E) – dalla Oasis Oil Company – ha un diametro stimato di 18 km anche essa articolata in aree concentriche più o meno parossisticamente erose.


Viaggio georeferenziato sviluppatosi per parte nel Gran Mare di Sabbia dal lato libico. Cerchiato in rosso la zona di raccolta del vetro del deserto libico (LDG)


Tratto da Koeberl C.(1997) – Libyan Desert Glass: geochemical composition and origin –
Posizione dei crateri di contatto B.P. e Oasis. Dall’Egitto invece (LDG), proviene la maggior parte dei frammenti di vetro. Secondo Koeber in generale non si trovano frammenti di vetro in Libia. In rosso l’area di provenienza dei campioni di cui si parla nel contributo.


È nella parte più meridionale, al confine con l’Egitto che si trovano i crateri meteorici di impatto. Nella foto l’area al confine tra Libia, Egitto e Sudan.

I campioni della scrivente, sicuramente paragonabili a quelli presentati in svariati contributi scientifici per aspetto e caratteristiche fisico-meccaniche, sono interessanti perché assolutamente borderline rispetto quelli scientificamente prospettati e ci parlano di eventi e tempi differenti che hanno avuto una costanza di accadimento nel tempo, ed inoltre che hanno interessato aree ampie del Gran Mare di Sabbia, sicuramente molto maggiori rispetto quanto evidenziato da Clayton e da altri studiosi che si sono occupati del LDG. Inoltre i campioni raccolti nelle parte settentrionale del Gran Mare di Sabbia erano ascrivibili a strutture circolari di qualche decina di metri (fosse stata un po’ più grande forse non l’avrei notata) con un anello composto da rocce vetrose di qualche metro. Se qualche porzione più esterna di queste strutture circolari fosse per qualche motivo coperto da sabbia francamente non lo so, ma ricordo per certo di averne viste svariate durante il viaggio nel deserto.
Forse tutta questa fascia di caduta asteroidi interessa una zona che è molto ampia anche se di difficile rilevamento in quanto, come precedentemente osservato, nei deserti si arriva su affioramenti e zone particolari in maniera assolutamente casuale a meno che non si abbiano punti georeferenziati che per altro servono a poco se si è in un deserto sabbioso dove basta un po’ di vento per modificare e coprire le tracce presenti. E c’è comunque anche un altro aspetto. Mentre nel Gran Mare di Sabbia è abbastanza raro trovare manufatti, è nel Murzuq, deserto nella Libia sud occidentale che si ha la più massiccia presenza di attrezzi litici di lavorazione umana preistorica. Anche i due strumenti nelle foto 5 non fanno eccezione provenendo da qualche parte in centro al Murzuq. Come ci sono arrivati? Anche qui si possono trovare frammenti di vetro? Oppure sono stati portati nei gassi dell’attuale deserto ma una volta splendidi giardini abitati, già lavorati (commercio d’antan)?


Fascia di presenza del vetro del deserto libico

Pare inoltre da varie fonti che fino al 10000 B.C. questo materiale fosse una delle poche tipologie di lapideo ad essere utilizzato per realizzare strumenti litici, e che quindi fosse molto ricercato per questo fine. E di certo ne aveva tutte le peculiarità migliori in quanto il vetro è un materiale duro, resistente, perfetto per essere impiegato come attrezzo, e la struttura così fine favoriva la realizzazione di strumenti esili, precisi, eleganti, ben lontani dalla grossolanità di forma a cui costringono i lapidei dalla granulometria maggiore, anche solo arenacea.


Due strumenti litici realizzati in Vetro del Deserto. Come si nota il loro colore tende ad essere molto più rossastro rispetto i frammenti del Gran Mare di Sabbia. Essi sono stati campionati nel Murzuq, nella parte occidentale della Libia. Ciò che viene spontaneo chiedersi è se tale materiale vetroso si sia formato nel Murzuq direttamente (ipotesi francamente più verosimile) o se tale materiale o manufatti siano il frutto di antichi commerci tra persone che vivevano in aree differenti.


Spettacolare la trasparenza di questi strumenti se osservati controluce

Queste pietre ebbero comunque un ampio significato simbolico connesso al culto del sole e al suo dio. È del terzo millennio B.C. che emerge il titolo di Figlio di Ra, durante la 4° dinastia dei Faraoni e pare che questa pietra dall’ampio spettro cromatico dei gialli solari ne fosse strettamente connesso. Tale collegamento si protrasse nei secoli, e secondo studi interpretativi, nella 18° dinastia se ne sarebbe esplicitamente parlato anche nei geroglifici tracciati sui Colossi di Memnon.
E che fosse un materiale importante dal punto di vista gemmologico per le dinastie egiziane risultò fuori discussione quando nel 1996 i mineralogisti italiani di Michele e Negro in visita al museo egizio del Cairo si resero conto che la pietra che costituiva lo scarabeo nella parte centrale del pettorale di Tutankhamen era stata realizzata con un frammento puro e trasparente di vetro del deserto libico. Lo scarabeo alato era l’immagine del dio Khepri, il sole del mattino che lo scarabeo spingeva fuori dall’oltretomba della notte.


Nel centro del pettorale di Tutankhamun lo splendido scarabeo alato, immagine del dio Khepri in vetro del deserto libico nella varietà gemmologia (Jon Bodsworth, Wikimedia Commons)

E sicuramente anche allora come oggi trovare un frammento di questo materiale splendido per colore e caratteristiche era un evento importante ed unico. Raro per bellezza – ancora oggi esso è molto ben quotato tra i collezionisti- ma anche raro per la sua storia genetica, al punto che anche la NASA se ne occupa. La splendida pietra del Sole. E tant’è al dio RA e all’imperatore Tutankhamun, forse, solo questo bastava.


Frammento di vetro del deserto libico con una finitura superficiale assolutamente irregolare e dall’aspetto quasi a pelle di animale.


Aspetto superficiale di un frammento di LDG particolarmente levigato. (Stereomicroscopio, 7 ingrandimenti)


Il materiale ha generalmente una colorazione giallo verde. (Stereomicroscopio, 7 ingrandimenti)


Secondo i più recenti studi i frammenti di materiale più scuro sono legati ad un inquinamento extraterrestre per contatto fisico con qualche meteorite. (Stereomicroscopio, 7 ingrandimenti)


Un frammento di dimensioni di circa 20 cm di colore particolarmente scuro.

di Anna Maria Ferrari

Bibliografia
Clayton P.A., Spencer L.J. (1933) – Silica-glass from the Libyan Desert – silica glass from the lybian desert.pdf
Koeberl C.(1997) – Libyan Desert Glass: geochemical composition and origin – Proceedings “Silica’96”, Meeting on Libyan Desert Glass and related desert events. Pyramids Publ, Milan, Italy-132.pdf
Seebaugh W.R., Strauss A.M. – Libyan Desert Glass: remnants of an impact melt sheet.– Lunar and Planetary Institute. Provided by the NASA Astrophysics Data System-1377.pdf
Murali A.V., Zolensky M.E., Underwood J.R., Giegengack R.F.- Formation of Libyan Desert Glass.– Lunar and Planetary Institute. Provided by the NASA Astrophysics Data System-1413.pdf
Svetsov V.V., Wasson J.T. (2007) – Melting of soil rich in quartz by radiation from aerial bursts – A possible cause of formation of Libyan Desert Glass and layered Tektites. Lunar and Planetary Science XXXVIII.-1499.pdf
Koeberl C., Rampino M.R., Jalufka D.A., Winiarski D.H. (2003) – A 2003 expedition into the Libyan Desert Glass Strewn Field, Great Sand Sea, Western Egypt – 4079.pdf
Brandstätter F., Ponahlo J. (2009) – On some micro-textural features of Libyan Desert Glass with dark schlieren – 72nd Annual Meteoritical Society Meeting – 5124.pdf
Abate B., Koeberl C., Underwood J.R., Fisk E.P., Giegengack R.F. – BP and Oasis impact structures, Libya, and their relation to Libyan Desert Glass: petrography, geochemistry, and geochronology
R. De Nul (2010-2012)- Libyan Silica Glass Libyan Desert, Great Sand Sea Western Desert, Egypt – Libyan_Silica_Glass.pdf
Africa praehistorica ; 14 – Tides of the Desert: contributions to the archaeology and environmental history of Africa in honour of Rudolph Kuper – Heinrich-Barth-Institut. Ed. By Jennerstrasse 8. – Köln: Heinrich-Barth-Inst., 2002 –
http://it.wikipedia.org
www.geologymatter.org.uk
http://www.digital-university.org/planetary-sciences-earth-mysteries

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