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2 Gennaio 2012

Elementi di Pietra

Dall’elemento di facciata all’arredo urbano
La pietra serena compone il volto della città


Particolare di finestra al piano terreno di Palazzo Bartolommei, Firenze (foto: Sara Benzi)

Nel passaggio da città medievale a città rinascimentale per eccellenza, Firenze elegge la pietra fiesolana a materia di prim’ordine anche per la creazione del proprio spazio urbano, riconoscendola come materia capace di modellarsi negli elementi architettonici e di design nuovamente definiti a partire da quel repertorio classico che proprio attraverso di essi subirà un sostanziale sconvolgimento nell’arco di circa un secolo e mezzo.
Se i conci lapidei che vanno a lastricare strade e piazze della città1, oltre a crearne un volto nuovo, aprono la strada a quella cultura del decoro e dell’igiene urbana che conquisterà il centro dell’attenzione pubblica nel corso dell’Ottocento, sedute, fontane, balaustre, ma ancor più portali e finestre diventano gradualmente l’oggetto di quella sperimentazione volta alla rottura dei canoni tradizionali che caratterizzerà la fine del Rinascimento e lo sviluppo del Manierismo cinquecentesco. Una serie di elementi, questi, che se nel Quattrocento si presentano con quella linearità e austerità rispondente alla lezione brunelleschiana, dall’inizio del secolo successivo mostrano una singolare evoluzione che si sviluppa essenzialmente grazie alla modellazione dei conci lapidei che ne costituiscono la struttura.


Pavimentazioni in pietra serena di Piazza Santa Maria Novella e di Piazza Pitti (foto: Sara Benzi)

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La finestra come elemento di innovazione
Le grandi lastre di pietra che si susseguono, affiancandosi, a coprire quella polvere terrosa che ha caratterizzato per secoli la superficie stradale della città, e le sedute lapidee, lineari e formate da possenti lastre monolitiche poggianti su elementi di sostegno dello stesso materiale non sembrano aver subito, dal Rinascimento a oggi, una sostanziale evoluzione. Sono piuttosto gli elementi che disegnano le quinte urbane a offrire lo spazio a quella trasformazione materica ma ancor più formale che, gradualmente, accompagna l’elemento architettonico al di fuori del rigore del Rinascimento quattrocentesco per avvicinarsi, attraverso il Cinquecento, al Seicento barocco.
Oltre agli interessanti esempi di portali e mensoloni che sorreggono balconi o parti aggettanti delle facciate, è interessante porre l’attenzione sul fatto che la permanenza medievale al piano terra del palazzo fiorentino che vede l’apertura di scarse e piccole finestre poste ad una quota tale da impedire ogni contatto, fisico e visivo, con l’esterno2 lascia il passo, a partire dagli anni Venti e Trenta del Cinquecento, a nuovi affacci del livello stradale che richiamano le più ampie dimensioni delle aperture dei piani nobili. In tale evoluzione, senza dubbio legittimata da un cambiamento politico che accompagna la città alla pace del periodo granducale, la finestra conquista un proprio valore autonomo circondandosi di tutti gli elementi plastici più importanti della facciata.


Finestre ai piani terra di Palazzo Pandolfini e di Palazzo Medici Riccardi, Firenze (foto: Sara Benzi)

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In Palazzo Pandolfini, in via San Gallo, forse progettato da Raffaello intorno al 1513, è possibile riconoscere uno dei primi esempi di edificio residenziale dove il piano terreno si apre con grandi finestre in pietra serena simili, seppur più piccole, a quelle del piano nobile. L’influsso dell’architettura romana si riconosce nell’abbandono della finestra centinata rinascimentale che lascia spazio a una cornice architravata sovrastata da timpani3; al primo piano queste sono dotate anche di balaustra oltre ad essere affiancate da semicolonne. La pietra serena, affiancata dalla pietra bigia e contrastata dall’intonaco color ocra, si riconosce nel disegno dell’intera facciata: gli spigoli dell’edificio sono evidenziati da un bugnato simile a quello che circonda il portone di ingresso, il piano terra e quello nobile sono divisi da una cornice marcapiano ornata a bassorilievo che assume anche il ruolo di appoggio delle finestre. Superiormente un fregio, senza soluzione di continuità, corre all’altezza degli architravi delle finestre e un maestoso cornicione al di sotto della copertura offre lo spazio per un’incisione a caratteri cubitali dell’iscrizione: Iannoctius Pandolfinius. Eps. Troianus Leonis X et Clementis VII Pont. Max. Beneficiis Auctus a Fundamentis Erexit An. Sal. M.D.XX..
La pietra si modella in elementi plastici autonomi.

Risale presumibilmente al 1517 la proposta di Michelangelo Buonarroti di chiudere la loggia d’angolo di Palazzo Medici Riccardi con quelle finestre in pietra forte che verranno dette da Giorgio Vasari “inginocchiate”. L’aggetto della grata di ferro che obbliga timpano superiore e davanzale ad una notevole sporgenza induce l’architetto ad inserire due coppie di mensole per sorreggerne il peso. Sono i due elementi inferiori a richiamare il termine di “inginocchiata”, a causa della scelta di Michelangelo di allungarle oltre il necessario conferendo loro la forma di gamba seduta o, appunto, inginocchiata.
La rivoluzionaria opera michelangiolesca apre la strada a una serie di sperimentazioni che coloreranno l’architettura del Cinquecento fiorentino di un’interessante variazione formale. Nel corso di circa trent’anni la finestra inginocchiata diventa di uso comune e viene costruita spesse volte proprio in pietra serena4.


Finestra al piano terreno di Palazzo Pitti, Firenze (foto: Sara Benzi)

La serie emergente di tale tipologia di finestra è avviata, ancora una volta con la pietra forte, da Bartolomeo Ammannati attorno al 1560 con l’introduzione di due possenti finestre inginocchiate nei fornici laterali all’ingresso principale di Palazzo Pitti. Il riferimento è la finestra michelangiolesca, il cui ritmo formale viene arricchito da Ammannati da un’accentuazione plastica derivante da un nuovo movimento del davanzale, la cui parte centrale diventa aggettante rispetto agli elementi laterali. Le due mensole che lo sorreggono fuoriescono dall’asse delle lesene superiori per avvicinarsi a quello centrale.
Negli anni successivi, la finestra inginocchiata in pietra serena sarà protagonista anche delle facciate di altri palazzi fiorentini. Maggiore o minore ricchezza plastica dell’elemento architettonico risulta spesso la risposta alla necessità di rapportarsi con la superficie parietale circostante.
Vediamo così gli architetti protagonisti del Cinquecento fiorentino, Bernardo Buontalenti e Bartolomeo Ammannati, alternasi nello studiare ricche aperture lapidee. Palazzo Grifoni (oggi Budini-Gattai in piazza S.S. Annunziata), dove Ammannati lavora tra il 1563 e il 1573, mostra un’insolita superficie in laterizio dialogare con elementi in arenaria che inquadrano aperture che rompono qualsiasi canone classico. Ce lo dimostrano i timpani spezzati da cartigli, i davanzali nuovamente caratterizzati dalle parti centrali in aggetto e i mensoloni scolpiti quasi in forma di cuscini.


Finestra al piano terreno di Palazzo Budini-Gattai, Firenze (foto: Sara Benzi)

La semplicità superficiale della facciata di Palazzo Giugni (1565-1577), in via Alfani, a differenza del possente bugnato di Palazzo Pitti e della forte caratterizzazione, almeno per Firenze, della superficie muraria di Palazzo Grifoni, invita l’Ammannati a progettare aperture più semplici, seppure ormai disegnate sull’orma della finestra inginocchiata. La modellazione dell’elemento lapideo formante la finestra in rapporto al muro laterale è ancora più evidente pensando che, negli stessi anni, Ammannati progetta ricche finestre decorate a motivi zoomorfi per palazzo Ramirez Montalvo, in Borgo degli Albizi, dove la superficie lascia spazio a un ricchissimo sgraffito monocromo.
È altresì interessante notare come l’innovazione cinquecentesca sviluppata attraverso la modellazione plastica della pietra vada ad esaurirsi attraverso i decenni che introducono al XVII secolo. Esemplificative risultano le grandi finestre inginocchiate progettate nel 1570 da Bernardo Buontalenti per la casa di Bianca Cappello in via Maggio, sorprendentemente riproposte dall’architetto Gherardo Silvani nel corso del secolo successivo in Palazzo Bartolommei, collocato nell’attuale via Cavour.

Fontane in arenaria grigia


Fontana in pietra serena del cortile di Palazzo Nonfinito, Firenze (foto: Sara Benzi)

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Nel corso del Cinquecento, a Firenze, la pietra serena si modella anche nelle nicchie di contenimento e nelle parti basamentali di eleganti fontane che spesso ospitano possenti sculture in marmo. I virtuosismi manieristi del Cinquecento aprono la strada agli esempi neoclassici dei secoli successivi.
La fontana ospitata al centro della parete di fondo del cortile di Palazzo Nonfinito, progettato da Bernardo Buontalenti negli anni Novanta del Cinquecento su committenza Strozzi, proviene da Palazzo Salviati-Cepparello e risale probabilmente al 1572. La figura marmorea del Perseo, scolpita da Giovanbattista Lorenzi per Iacopo Salviati, poggia su un piedistallo lapideo al di sopra di una grande vasca in marmo posizionata al vertice di una breve scalinata. Il gruppo scultoreo si inserisce all’interno di un’elegante nicchia in pietra serena arricchita con motivi geometrici incisi e delimitata da una cornice in forma di arco a tutto sesto ornata con scanalature e volute.
La fontana addossata alla parete intesa come insieme scenografico composto da elementi architettonici e scultorei in pietra si arricchisce, talvolta, di particolari grotteschi che dialogano in sorprendenti accostamenti con elementi derivati dalla tradizione classica. È possibile osservarlo nella fontana del cortile di Palazzo Orlandini del Beccuto, quasi un arco di trionfo che racchiude una nicchia lavorata con concrezioni calcaree ospitante una vasca e un mascherone centrale, oltre che in quella della Venere e dei Tritoni del giardino di Palazzo Grifoni o in quella del Gigante nel giardino di Palazzo Giugni.


Fontana in pietra serena del lungarno Benvenuto Cellini, Firenze (foto: Sara Benzi)

Nel corso dei secoli successivi l’arte neoclassica vince sui giochi manieristi, i conci lapidei assumono forme più lineari pur derivando ancora dagli esempi precedenti. Vediamo quindi il palazzo progettato nel 1878 dall’architetto Giacomo Roster per il lotto trapezoidale formato dalla confluenza di via della Fornace con lungarno Benvenuto Cellini, ospitare un arco a tutto sesto delimitante una nicchia completamente foderata con lastre in pietra serena levigate. Una statua marmorea di Bacco si staglia davanti al fondale, poggiandosi su un alto piedistallo ancora in arenaria grigia dal quale aggetta una testa di leone che versa acqua all’interno della vasca sottostante.

Ma questa epoca, più tarda, la affronteremo attraverso altri itinerari, dove la pietra riacquisirà dapprima una semplicità di lavorazione precorritrice dell’architettura novecentesca per poi offrirsi, nel corso di un breve periodo, alla libera modellazione organica dell’elemento plastico Art Nouveau.

di Sara Benzi

Note
1 Non ultimi quelli che delimitavano i grandi rettangoli in laterizio che caratterizzavano l’ormai lontana piazza della Signoria, come è possibile osservare nelle innumerevoli raffigurazioni del rogo che ha visto ardere il corpo di Girolamo Savonarola il 23 maggio 1498.
2 Ne vediamo due esempi in Palazzo Strozzi e Palazzo Rucellai.
3 Cfr. Giovanni Klaus Koenig, “Finestre fiorentine della seconda metà del Cinquecento”, in Quaderno dell’Istituto di Elementi di Architettura e Rilievo dei Monumenti, Libreria editrice fiorentina, n. 2/3, 1963, pp. 17-71.
4 Per un approfondimento sul tema si veda anche: Giuseppe Marchini, “Le finestre ‘inginocchiate’”, in Antichità viva, n.1, 1976, pp. 24-31.

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