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9 Novembre 2011

Marmi Antichi

PORFIDO ROSSO ANTICO


Maestranze cosmatesche, Ambone per la lettura del Vangelo con lastre in porfido rosso d’Egitto e rotae in porfido verde di Grecia, XIII secolo. Roma, basilica di San Lorenzo fuori le Mura.

“Gaius Cominius Leugas, che ha scoperto le cave di porfido e di knekites e di porfido nero e pietre variopinte, ha dedicato un tempio a Pan e Serapide, potenti dei, per la salute dei suoi figli. Anno IV di Tiberio Cesare Augusto”.

Ostrakon 1615, 18 d.C.

Il materiale
L’immaginario collettivo ha un potere incredibile nel creare simboli… ed il “marketing”, quello d’antan, vecchio di centinaia e centinaia di anni, è riuscito a trasformare il porfido rosso d’Egitto in una quintessenza simbolica, epitome di divinità, potere e coraggio. Un materiale, per quanto bellissimo, di difficilissima lavorabilità a causa della sua durezza, e con cave ubicate nel nulla più assoluto del Deserto Orientale egiziano, nel centro delle vie carovaniere che collegavano i poli commerciali della valle del Nilo e Coptos con i porti di Myos Hormos e Berenice, verso la via per le indie e l’Arabia.
Cave che erano talmente impervie e remote da finire per essere completamente dimenticate per molti secoli. Poi una lenta ricerca del passato grazie al toscano Jacopo d’Angelo che nel XV secolo ha tradotto dal greco al latino “Geografia” di Tolomeo, ed ancora Francesco Berlinghieri nella sua libera traduzione del medesimo testo in italiano (Firenze, 1482). Entrambi hanno il merito di parlare, anche se in forma vaga e imprecisa delle cave da cui proviene quel materiale che continua ad essere considerato tra i più preziosi ed importanti – il Porfido rosso Antico – per posizionarne l’area estrattiva là, in qualche parte del Deserto Egiziano Occidentale, in quella ipotetica metà strada tra i porti sul Mar Rosso e la valle del Nilo:

“Vedi monti distesi per istilo
dallo oriente del prefato fiume [Nilo]/
Lun dietro allaltro quasi posti affilo/
Questo vocare et vetusto chostume
Monte di pietra Troigo & il sequente
Alabastren che luce rende & lume.
Porphirito quell’altro dir si sente.
L’altro di Paragone & pietra nera
Monte si chiama: & piu uerso oriente
Quel Monte quivi di pietra decto era
Sebasanito anchor che la sia rude
Piace per degnita della matera…”

Le cave, riscoperte ed esplorate da Burton e Wilkinson solo tra il 1882 e il 1883, erano talmente importanti nell’antichità da essere gestite direttamente dall’entourage imperiale: non era pensabile l’uso routinario del porfido rosso antico in quanto esso era il materiale simbolo della casa imperiale e degli dei, diventato successivamente il materiale simbolo della cristianità e del martirio di Cristo.
L’imperatore veniva incoronato su un trono in porfido rosso antico; “porphyrog&eacuto;nntos” – latinizzato in Porphyrogenitus (“nato nella porpora”) – era il titolo che si dava ad un principe o una principessa se e solo se – oltre ad altre circostanze imposte – nascevano nella Phorphyra, la Camera di Porpora del Gran Palazzo di Costantinopoli che si affacciava sul mar di Marmara che era interamente rivestita di Porfido imperiale. Nella Roma imperiale le rotae in porfido potevano essere usate solo come espressione di Dio, Cristo o dei concetti ed espressioni relative la cristianità: sì quindi alle rotae in porfido rosso antico all’ingresso di una chiesa, in coincidenza dell’altare, o dove venivano posti i paramenti sacri, no invece, al loro uso come commemorazione del singolo prelato pur se di alta caratura. Solo più tardi, col tempo, il materiale divenne anche simbolo di opulenza diffusa nell’uso di politici e ricchi che erano in grado di sostenerne il costo proibitivo: 250 dracme stando all’editto di Diocleziano del 301, anche se c’è chi pensa che tale prezzo sia riferibile a materiale di riuso piuttosto che a materiale proveniente direttamente dalle cave.


Stereomicroscopio 7 I. Materiale a spacco. Il materiale presenta una colorazione bordeaux con locali plaghe che virano al verde, ed è macchiettato da individui bianchi, bianco-rosati. In bianco i feldspati.

Descrizione macroscopica
Il Porfido Rosso Antico è un litotipo magmatico effusivo di colore di insieme rosso bordeaux costituito da una massa di fondo crtiptocristallina non distinguibile ad occhio nudo in cui sono flottanti fenocristalli di colore bianco debolmente rosati, tendenzialmente isoorientati ove allungati e con dimensioni massime pari a 5 millimetri. Talora si presentano in associazioni glomeroporfiriche. Localmente sono presenti microcristalli scuri identificabili però solo tramite l’analisi con stereomicroscopio. Il materiale è molto compatto, mostra frattura vagamente concoide, ed è privo di porosità superficiale.

Descrizione microscopica
Litotipo ipocristallino – costituito sia da cristalli e sia da vetro – faneritico in quanto costituito da una massa di fondo afanitica in cui sono presenti fenocristalli inequigranulari riconoscibili ad occhio nudo di forma generalmente euedrale. La tessitura è porfirica localmente glomerofirica con tessitura direttiva trachitica.
I costituenti fondamentali sono: feldspati, presenti sia come micro/cripto cristalli diffusi nella massa di fondo trachitica dove hanno generalmente una disposizione isoorientata sub parallela e sia come fenocristalli, nel qual caso sono geminati, zonati, abbondantemente intorbiditi da ematite ed in fase di alterazione più o meno spinta. A causa della loro scarsa limpidezza non è molto facile trovare dei plagioclasi sui quali effettuare il calcolo della percentuale di molecola anortitica presente, un paio di individui hanno permesso di verificare una loro composizione andesinica. Verosimile anche la presenza di K-feldspato, anche se non identificabile a causa dell’alterazione del materiale.


Microscopio a luce riflessa, s.s., 10I. Localmente la massa di fondo presenta una colorazione rossastra per la presenza di microgranulazioni ematitiche diffuse.

[photogallery]porfido_antico_album_1[/photogallery]

La roccia è sottoscorsa ad una intensa condizione di alterazione, tale per cui le fasi mineralogiche anteriori generalmente non sono identificabili.
Sono presenti fenocristalli sub millimetrici con tessitura coronitica in fase di alterazione e sostituzione molto spinta in cui il minerale costituente il protolito risulta essere non più riconoscibile. La loro forma è comunque compatibile con l’esistenza pregressa di inosilicati.
Tra le fasi cristalline presenti sono riconoscibili epidoti con dimensioni massime pari a 500 micron spesso in microgranuli. Essi sono verosimilmente di due tipologie differenti, epidoti s.s. spesso con strutture coronitiche molto spesse o in fase di parziale sostituzione, ma, prevalentemente, come piemontite, uno dei prodotti derivanti dal processo di alterazione idrotermale che ha interessato per parte l’area del Deserto Orientale Egiziano da cui proviene il Porfido Imperiale.
Abbondanti i minerali opachi, presenti sia come magnetite ma anche come ematite prevalentemente in microgranuli diffusi. Sono presenti zirconi anche essi con strutture coronitiche e fillosilicati in rare lacinie biotitiche e muscovite di alterazione dei feldspati. Rara la calcite anche essa di alterazione.
La roccia mostra una alto livello di alterazione che la rende poco leggibile anche a causa delle esigue dimensioni dei costituenti medesimi. La caratteristica della roccia lascia ipotizzare si tratti di un materiale magmatico di composizione andesitico, anche se la composizione mineralogica a piemontite lascia chiaramente intendere come il materiale sia sottoscorso ad un leggero metasomatismo manganesifero.
La roccia quindi può essere definita META ANDESITE.

Analisi diffrattometrica ai raggi X

Scarica l’analisi completa

L’analisi diffrattometrica del Porfido Rosso Antico è stata gentilmente eseguita dal Dott. Gianfranco Brignoli (Panalytical)

Provenienza e geologia
L’Eastern Desert va ad incunearsi nei rilievi più importanti dell’Egitto denominati Red Sea Hills e si allunga nell’area impervia ed invivibile che si trova tra l’ampia fascia del Nilo ed il Mar Rosso. Lo scudo Arabo-Nubiano, un tempo unito a formare un’unica area, si è smembrato con la messa in posto di crosta oceanica durante l’apertura del mar Rosso. Questa orogenesi Pan Africana ha influito e influenzato in maniera molto intensa l’evoluzione dei rilievi dai quali proviene il materiale in analisi: la regione dell’Eastern Desert egiziano .
Questa area è ipoteticamente divisibile in tre aree differenziate per chimismo, struttura ed età: l’area nord est – la più giovane – caratterizzata da prevalenti graniti e sienograniti e con una generale mancanza di ofioliti in affioramento, contrapposta all’area sud dove affiorano le rocce più vecchie con una maggior concentrazione di gabbri, tonaliti, granodioriti e litotipi gneissici. Queste due zone sono separate da una area centrale che si contraddistingue per l’alta concentrazione di litotipi vulcanici – Dokhan Volcanics attorno a Gebel Dokhan – ed è associata alle maggiori sequenze clastico-sedimentarie (Hammamat Group).
Le rocce vulcaniche di Dokhan formano un affioramento spesso fino a 1200 m con chimismo variabile da andesite a dacite, localmente riolite, e presentano strutture laviche, localmente tufitiche o agglomerati eterogenei nello spessore e nelle strutture. Esse infatti possono presentare struttura variabile da porfirica a non porfirica e colori mutevoli da grigio scuro a verdastro a rosso, come accade proprio nel caso del Porfido Rosso Antico, o Porfido Imperiale che fa parte del gruppo di rocce di età più recente.


Francesco Ferrucci del Tadda, ritratto in porfido rosso del Granduca Cosimo I de’Medici, 1570 circa. Firenze, Palazzo Medici Riccardi.

La loro origine è strettamente connessa all’apertura del Mar Rosso, evento geologico associato ad una importante fase vulcanica che evolve e si modifica chimicamente di pari passo all’apertura del bacino oceanico lasciando in eredità materiali molto duri dal punto di vista della lavorazione, ma estremamente importanti e preziosi nella storia estrattiva dell’antico Egitto.
Il porfido Rosso Antico proviene dal Mons Porphyrites, e trae origine da un vulcanesimo vecchio di circa 630 milioni di anni di composizione dacitico-andesitico che ha portato alla formazione di grandi strati di materiale effusivo, ma anche di tufi ed ignimbriti. Il numero di cave rilevate, compatibili con questa tipologia di materiale sono sei, tutte posizionate sul lato orientale del monte e a quote differenti rispetto lo Uadi Abu Maamel che ne interseca l’area; basta comunque solo la breve distanza esistente tra una cava e l’altra per garantire al litotipo in questione una grande variabilità di aspetto e caratteristiche. Ad esempio la massa di fondo è generalmente caratterizzata da fenocristalli di colore più o meno intensamente rosati, ma nella cava situata a Nord ovest rispetto lo Uadi Abu Maamel i feldspati presentano colorazione bianca. Localmente si apprezza una varietà brecciata, mentre a nord est l’andesite, è di colore nero in quanto non ancora sottoposta ad un processo di alterazione così intenso come quello dell’andesite denominata Porfido Rosso Antico e privo quindi di quella rilevante quantità di ematite e piemontite che ne causano l’intensa colorazione rossa.
Secondo alcuni studiosi la colorazione rossa è imputabile alla presenza di piemontite diffusa nella roccia e localmente a sostituzione dei feldspati e dell’orneblenda, mentre secondo altri è invece più accreditata, quale causa cromatica, l’elevata concentrazione di ossidi di ferro.
L’affioramento maggiore è spesso 50 metri e, ad occidente rispetto lo Wadi Abu Maamel, il materiale affiora per una estensione di circa 200 per 300 metri.


Antiche cave egiziane, area di provenienza del Porfido rosso antico (da James A. Harrel and Storemyr, Ancient Egyptian quarries. An illustrated overview).

Le cave
Secondo quanto abbiamo letto nell’ostrakon a cappello introduttivo di questo studio, sembra che le cave del Mons Porfirites – attualmente denominate Dokhan volcanics -furono scoperte da Gaius Cominius Leugas nel 18 d.C. Inizialmente questo materiale – durissimo – veniva estratto con magli e mortai in pietra (dapprima doleritici, ma successivamente anche con graniti a grana fine e arenarie silicizzate) senza disdegnare, durante il periodo Dinastico, l’uso del fuoco per indebolirne la parte corticale del materiale prima di iniziarne la lavorazione con strumenti a percussione lapidei, ma anche con punciotti in rame, bronzo o legno per allargare le fessure esistenti.
Strumenti in ferro (martelli, picconi, scalpelli, cunei) furono usati dagli egiziani durante la 30° Dinastia dell’Ultimo Periodo, mentre un’altra innovazione risalente all’epoca Tolemaica consisteva nel preparare l’area di estrazione con una serie di fori allineati che consentono di diramare le forze impresse nell’atto del distacco lungo piani preselezionati al fine di ottenere forme squadrate.
Le condizioni di lavoro all’interno di queste cave possono essere definite, senza tema di smentita – assolutamente infernali: lontano da ogni forma di vita, (150 km dalle rive del Nilo) in una terra di deserto roccioso arido e polveroso, tanto che, al contrario di altre cave più vicine alla zona nilotica dove verosimilmente erano presenti figure professionali indipendenti, in queste cave, erano presenti sembra – con periodiche punte massime di 900 presenze – schiavi e “damnati ad metalla”. persone condannate senza reale speranza di sopravvivenza.
La difficoltà oggettiva che caratterizzava la lavorazione di tale materiale ha provocato nel corso dei secoli una ricerca sempre più spasmodica di nuovi strumenti idonei a facilitare la trasformazione di materiali così duri. Al punto da creare miti e leggende peraltro non sempre verificabili. Ad esempio ciò accade con la storia dei Quattro Santi Coronati, i santi protettori degli scalpellini. Esiste infatti una leggenda abbastanza particolare rispetto il loro martirio: sembra che i Quattro Santi Coronati, scalpellini provenienti dalla Pannonia lavorassero per Diocleziano proprio nelle cave del Porfido Imperiale, e che possedessero degli scalpelli “temperati” da Cristo, il che consentiva loro – votati alla religione cristiana – di realizzare opere incredibili altrimenti non ottenibili con gli strumenti ordinari. E sembra anche che, rifiutando un lavoro all’imperatore Diocleziano adducendo motivi religiosi, fossero poi mandati al martirio.
Ma non solo! Nel 1568 il Vasari informa che già nel 1555 il duca Cosimo de’ Medici, desideroso di possedere una fontana in Porfido Rosso Antico, curò personalmente la distillazione di un liquore d’erbe col quale temprare gli attrezzi per la sua lavorazione, che poi il Tadda, abile scalpellino e scultore, usò per realizzare la fontana su disegno del Vasari medesimo…Vero? Falso? Sono seguiti studi e ricerche sulla paternità di questa invenzione senza arrivare a capo della notizia….e chissà, forse già gli stessi Quattro Santi Coronati conoscevano una qualche forma di tempratura che si guardavano bene dal condividere con gli altri scalpellini del loro tempo.


Aspetto di un campione di Porfido Rosso Antico, levigato e lucidato.

[photogallery]porfido_antico_album_2[/photogallery]

Impieghi del materiale
Parlare del Porfido Imperiale significa parlare di un simbolo come, ai giorni nostri, parlare di Ferrari, Bulgari, Armani….ma con una valenza molto maggiore, perchè prima di diventare emblema del lusso incarnava l’alto simbolismo del potere divino prima ancora di quello umano. Esso tra tutti i materiali antichi è forse quello che in assoluto trasuda maggiormente di simbolismo. Difficile da lavorare a causa della sua durezza – sembra fosse tutto sommato poco usato al tempo dei faraoni proprio a causa di questo problema – ma sicuramente la pietra più importante e costosa, e da sempre preso a simbolo del potere divino e come raffigurazione di nobiltà, prestigio e ricchezza.
E proprio a causa del suo significato intrinseco esso è stato utilizzato – e riutilizzato – prevalentemente per realizzare opere che già di per sè dovevano fungere da propaganda culturale: colonne quindi a supporto di rappresentazioni di divinità o di imperatori, basi di busti, piccole statue votive, dipinti sia realizzati direttamente su lastrine di porfido, ma anche porfido riprodotto tout-court nei dipinti, come si nota nel refettorio di Santa Apollinare a Firenze dove nell’Ultima cena di A. del Castagno (1421-1457) si può vedere una specchiatura ad imitazione del Porfido Rosso Antico. E ancora vasi, piccoli recipienti, vasche, sarcofaghi. Colonne per templi o per edifici di grande rilevanza storica.
Col Porfido Rosso Antico si sono realizzati rivestimenti interni di stanze – la Camera di Porpora del Gran Palazzo di Costantinopoli ne era interamente rivestita – ma anche pavimenti generalmente secondo l’arte cosmatesca, e rotae che potevano essere usate a rappresentanza di un potere ed una grandezza divina, mai umana la qual cosa sarebbe apparsa inappropriata e di cattivo gusto se usata con significato non liturgico: al loro posto lastre quadrate, rettangolari od ovali o addirittura marmi differenti trattati e colorati al fine di renderli i più simili possibili a tale materiale.

di Anna Maria Ferrari
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