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4 Gennaio 2005

PostScriptum

Alfonso Acocella Post Scriptum

Scrittura e immagini

Con la stesura de “L’architettura di pietra” è come si fosse materializzata la possibilità – divenuta ben presto una necessità interiore – di ricostruire un viaggio iniziato trent’anni fa; il viaggio nel cuore della disciplina sulle orme dell’architettura di pietra e del suo statuto ineguagliato. La lettura, la fruizione diretta delle opere, la produzione di foto hanno sempre scandito le tappe di tale viaggio. Ma ci siamo accorti solo redigendo questo libro di quante volte abbiamo ripetuto quel gesto semplice (apparentemente passivo, per certi versi "distrattivo") di guardare l’architettura attraverso l’obiettivo di una reflex per scattare una foto e portare a casa con sè un frammento, più o meno significativo, del mondo che osservavamo.
E se raramente abbiamo avuto la sensazione di trovarci nell’istante decisivo in cui – secondo la celebre definizione di Henri Cartier Bresson – "l’occhio, la mente e il cuore vengono messi sulla stessa linea di mira", oggi solo prendiamo coscienza del valore delle immagini selezionate e acquisite alla nostra memoria, lungamente, con spirito di semplice documentazione. Ci siamo resi conto alla fine del nostro lavoro che esiste un filo sottile e diretto che unisce la scrittura alle idee, la mano – che traccia i segni sulle pagine bianche – all’occhio e allo sguardo gettato sulle cose del mondo. Se la scrittura, da un lato, è guidata ed alimentata dalla mente, dall’altro – come ci ricorda Roland Barthes – si ricollega all’occho che partecipa all’azione dello scrivere in modo complesso ben al di là del controllo e dell’indirizzo della mano stessa. L’atto della scrittura, nel suo avanzare, ha bisogno della visualizzazione delle idee, della successione – spesso veloce e sequenziale – di figure da richiamare alla mente, da rammemorare. Ecco allora venire in superficie, e disvelarsi in forma chiara il rapporto con le immagini numerose, variegate, "concatenate" de L’architettura di pietra trovate a volte per caso, altre cercate ostinatamente nell’archivio della memoria e riproposte all’attenzione del lettore nella struttura narrativa del libro. D’altronde l’opera a stampa non è solo "parola stampata" ma anche "foto stampata", "disegno stampato".
Ci siamo interrogati, ad un certo punto del nostro lavoro, sui modi attraverso cui abbiamo alimentato la scrittura de L’architettura di pietra sfruttando le immagini interiori, fatte venire in superficie dall’archivio della memoria per indagarne il loro significato, facendole scorrere lentamente sotto i nostri occhi, a costruire possibili associazioni e tessiture all’interno del nostro racconto. Contemporanemente abbiamo ripercorso la nostra vita, i tanti viaggi effettuati sotto la luce fredda e breve degli inverni o quella calda dei mesi estivi. Sia pur per frazioni di secondi, ogni itinerario è riaffiorato alla mente, ogni tappa è riemersa, ogni dettaglio è sembrato degno di offrire un piccolo tassello alla costruzione del racconto visivo dell’opera. Abbiamo rivisto quello che avevamo già visto ma anche scoperto cose nuove, nessi costruttivi, dettagli fissati sulla pellicola che ci erano sfuggiti nel momento della ripresa, quasi un risarcimento dei nostri ricordi, della nostra fallace memoria. L’architettura di pietra , quindi, come racconto di molteplici e concatenate immagini che delineano una sorta di stenografia visiva del tema, strutturato come in una sequenza filmica; un libro che si offre anche come album da sfogliare, con lentezza, per il piacere della visione.
Un libro sul guardare. L’occhio può, così, scorrere con azione contemplativa e forza interrogativa nelle pieghe dello spazio e del tempo, sul paesaggio di pietra, sulle opere, sui dettagli che ne imbasticono il palinsesto narrativo. Selezionare porzioni di realtà, ricercando e seguendo anche il racconto dei ruderi; non pietre banali sull’abisso dell’oblio, ma reperti vivi indagati quali accumulo di lavoro umano, di sapienze costruttive, di idee architettoniche; parti di un discorso architettonico mutilato dal tempo ma custodi di valori, di insegnamenti concreti. Nè deterministico è mai apparrso il rapporto fra parole ed immagini. Nella costruzione dell’opera a stampa, a volte sono state cercate le parole adatte a descrivere le immagini "recuperarate", per commentarle, per sostenerle; altre volte le parole e i concetti che le articolavano hanno atteso le immagini per avere una testimonianza, una presenza e una risonanza visiva. Ogni opera è il tentativo di comprensione della realtà delle cose che lo alimenta e, allo stesso tempo, nuovo racconto. Nel nostro caso immagini e parole – inscindibilmente legate fra loro – quali mezzi della costruzione narrativa dell’opera a stampa.

di Alfonso Acocella

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