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28 Dicembre 2004

PostScriptum

Alfonso Acocella Post Scriptum

Per una "nuova architettura" del libro (Tratto dal testo)
È sempre una grande perdita per ogni opera non trasmettere la memoria delle occasioni che l’hanno generata insieme ai momenti creativi che ne hanno delineato in abbozzo la sua struttura. Abbiamo imparato che il concepimento di un’idea ha, congiuntamente, sempre una componente di contemplazione e una di visione; chi concepisce un’idea vede, sia pur per un attimo, la luce, il disegno delle cose là dove appare ai più solo confusa massa. Saremmo soddisfatti del nostro libro se solo riuscisse ad emanare un bagliore nella "luccicante oscurità" del nostro presente.
Eccoci, allora, a rammemorare da questa insolita prospettiva il kairos (l’attimo propizio dell’annuncio all’azione), le domande interiori quale campo di preparazione all’ideazione de L’architettura di pietra e gli atti del "dopo-idea" legati alla realizzazione dell’opera stessa.


Terme a Vals di Peter Zumthor (foto A.Acocella)

Agosto 1999. Le immagini di rovine immote dell’assolata acropoli di Velia, a pochi chilometri di Poseidonia, ci circondano scorrendo davanti allo sguardo che guida le inquadrature della vecchia reflex meccanica, prolungamento oramai naturale del corpo e della visione interiore sulle cose del mondo; siamo, sotto il cielo turchino del Mediterraneo, sulle tracce delle origini dello "stile laterizio", e Velia si sta dimostrando, in questa prospettiva di lavoro, uno scrigno ricco di sorprese.
Il trillo del cellulare rompe il silenzio e la magia del luogo. La voce inaspettata e amichevole di Enrico Fontana, a nome della LUCENSE di Lucca, reca un invito, un’opportunità. È l’annuncio della messa a disposizione di risorse e conoscenze adeguate all’impresa, alla ri-progettazione di un viaggio già delineato, tracciato sulla carta e nella memoria: l’esplorazione dell’orizzonte vasto dell’architettura di pietra.
La decisione è subito presa.
La lenta preparazione all’impresa coinvolge, dagli inizi, la riflessione sulla natura dei dispositivi indagativi e comunicativi dell’opera. Si ricercano le soluzioni più appropriate.
È stato sottolineato più volte come, da almeno un secolo, s’è interrotta la tradizione dei trattati di architettura. Ogni profonda e sistematica opera di riflessione, ogni tentativo di sintesi generale e di attualizzazione dei fondamenti teorici della disciplina, è risultato sempre più impraticabile e, conseguentemente, bandito dall’agenda degli architetti.
Insieme al trattato, la stessa produzione di manuali di progettazione (siano essi tipologici o tecnologici) è apparsa offuscata nei modelli elaborati e messi a disposizione dei progettisti negli ultimi decenni.
Nè lo stato di salute degli altri generi della letteratura contemporanea di settore – monografie di architetti, repertori di architetture, libri di critica e di storia – si presenta nel complesso incoraggiante; si assiste qui all’azione svolta alla "periferia" dei temi della disciplina da parte di scritti di architettura che guardano, generalmente, in modo elusivo o agiografico, il mondo delle trasformazioni e il valore del reale contemporaneo al punto da essere valutati – dai più – invisibili, se non inesistenti.
A fronte di questo stato di incertezze, se non di crisi, dove ancorare le nostre attese? Potrebbe aver senso – ci siamo chiesti ad un certo punto del processo mentale che prepara il terreno ad ogni idea – tentare di ricomporre quanto vi è di più peculiare, e strettamente vitale, nei vari generi letterari della nostra disciplina tentando la progettazione di una "nuova architettura" del libro di architettura? Nuova nella individuazione e nella strutturazione dei contenuti, nuova nello sguardo portato sul tema attraverso i diversi apparati iconografici, nuova nell’articolazione e gerarchizzazione dei livelli di informazione, nuova – infine – nella progettazione grafica e nella comunicazione del tema.
Nè trattato, nè manuale, nè libro di critica o di storia, nè repertorio di exempla, ma libro a cavallo dei vari generi. Un’opera a stampa quale risultato di fusioni, di associazioni, di elementi nuovi integrati da "materiali di spoglio".
Ci piace presentare il nostro libro come "luogo archeologico" che ha tentato di mantenere in vita la memoria di generi diversi. Se ci applicassimo nell’analisi e nello smontaggio dell’opera vi troveremmo dispositivi comunicativi, frammenti di idee e di pensieri, segni "sradicati", con una certa violenza, da contesti che abbiamo imparato a conoscere, ad apprezzare, ad amare e che, forse, proprio per questo, abbiamo voluto far rinascere istintivamente nel nostro lavoro con l’auspicio di gettare nuova luce sul mistero delle cose del mondo e sulla stessa vita del libro di architettura.
L’obiettivo sotteso a L’architettura di pietra non è quello della ri-definizione di un linguaggio universale dello "stile litico" ricalcato sulle impronte secolari del linguaggio classico – che pure abbiamo guardato ed indagato con partecipazione – o sulle declinazioni formali attualizzate delle opere contemporanee, bensì la ricerca di un luogo convergente ed unitario di riflessione utile alla riconsiderazione e all’azione di riabilitazione di uno dei modi di costruzione più antichi e rappresentativi dell’architettura.
I contenuti del volume, pur indirizzati mediante processi associativi verso la delineazione di un corpus unitario, si presentano all’attenzione del lettore disaggregabili ed enucleabili attraverso tre principali ambiti tematici: i fondamenti (o, se si vuole, la cultura di progetto, quale sedimentazione di idee e di concetti basilari dell’architettura di pietra), i modi e le prassi esecutive che delineano nel loro complesso lo stile tecnologico nei suoi tratti essenziali e canonici, infine le opere contemporanee – singolari, precise, autoriali – che con la loro azione di attualizzazione dello "stile litico" arricchiscono, spostano, modificano l’equilibrio raggiunto dalla cultura di progetto nell’ultimo presente.
A questa tripartizione del tema di studio corrisponde, simmetricamente, una specifica articolazione di visualizzazione degli elementi comunicativi (testi, foto, disegni) nell’innovativo progetto grafico del libro, caratterizzata da una differenziata composizione ed impaginazione.
Siamo così ritornati al medium, al dispositivo narrativo che sin dall’avvio della ricerca abbiamo ricercato (e alla fine trovato grazie al talento creativo di Massimo Pucci) per valorizzare i diversi contenuti de L’architettura di pietra. Riteniamo che "pensare" e "comunicare architettura" – al pari di "progettare architettura" – significhi associare, connettere fra loro elementi di diversa origine, carattere, importanza; creare gerarchie ed intessere strutture concettuali per portare alla coscienza una memoria fatta di immagini che possa essere "consultata", "esplorata" ogni volta con calma anche da prospettive diverse.
Settembre 2004. L’opera a stampa è pronta, confezionata; mancano solo queste brevi note per la "bandella" della sovraccoperta, con funzione di "avvicinamento", di "ingresso" al volume che, a breve, incontrerà i suoi lettori. Ci chiediamo – in questo momento finale e fuggente – se abbiamo scritto per loro o anche per loro.
Non siamo pronti alla risposta. Un Post scriptum potrebbe rappresentare una sorta di mappa per ripercorrere a ritroso il nostro viaggio e, anche, per rispondere a questa domanda sopraggiunta in chiusura del nostro lavoro.

Alfonso Acocella

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