novembre 2024
L M M G V S D
« Dic    
 123
45678910
11121314151617
18192021222324
252627282930  

Ultimi articoli

Ultimi commenti

Rubriche

Pubblico dei lettori

 

rss

 

 

18 Marzo 2011

Opere Murarie

Le tipologie dell’opera muraria quadrata*

English version


Mura urbiche ellenistiche di Capo Soprano a Gela (ph. Alfonso Acocella)

Opera quadrata “irregolare”
Il procedere per graduali e progressive acquisizioni accompagna generalemnte l’evoluzione delle tecniche costruttive; tale fenomeno può essere anche rilevato nelle vicende dell’opera muraria quadrata prima che si pervenga alla sua fase matura con le apparecchiature perfettamente regolari quali possono considerarsi l’isodoma e la pseudoisodoma. Nella fase d’avvio il lavoro si spinge verso la preparazione di cava e la disposizione in opera di blocchi lapidei solo parzialmente regolarizzati, sia pur con una spinta tendenza alla geometrizzazione, alla configurazione sostanzialmente parallelepipeda dei conci litici.
In questi casi, rispetto ai modi dell’opera muraria ad elementi irregolari, è presente, in generale, una più onerosa lavorazione iniziale di cava dove i singoli blocchi di pietra estratti sono ricondotti, più o meno rigorosamente, configurazioni rettificate sotto il profilo geometrico. A parziale recupero del lavoro dei lapicidi corrisponde – in fase realizzativa del muro – una maggiore velocità e semplicità di posa essendo necessari adattamenti minori che investono la volumetria complessiva dei conci o addirittura solo la finitura delle facce a vista dei blocchi, spesso eseguita in situ a costruzione ultimata.
L’uso dell’opera quadrangolare irregolare, per certi versi “imperfetta” rispetto ai canoni a cui ci hanno abituato i capolavori di epoca classica, caratterizza frequentemente le realizzazioni della fase arcaica durante la quale si assiste al lento processo di litizzazione dell’architettura monumentale. Il dispositivo più antico e rudimentale, sia pur già dotato di un controllo geometrico generale, è quello ottenuto mediante blocchi parallelepipedi accuratamente pareggiati ma contrassegnati da altezze e proporzioni differenti che, messi in opera all’interno delle diverse assise, danno vita ad assestamenti con giunti orizzontali e paralleli frequentemente interrotti.
Un più accurato lavoro di preparazione dei conci da impiegarsi nella costruzione muraria procede, invece, con la predisposizione di ricorsi costanti ma differenziati in altezza; tale procedimento porta alla realizzazione di un disegno variato del paramento a vista.


Teatro di Segesta. Muro perimetrale (ph. Alfonso Acocella)

Un ulteriore e più preciso impegno dei lapicidi, posto nella preparazione dei conci configurati tutti con uguale altezza (ma con lunghezza diversificata al fine di ottenere la massima valorizzazione delle risorse di cava), conduce spesso nella fase dell’arcaismo – ma con una permanenza anche nelle epoche successive – a soluzioni murarie in opera quadrata irregolare contrassegnati da giunti orizzontali paralleli continui e da una texture ricca di differenziazioni interne dovute soprattutto alla non corrispondenza dei giunti nei vari ricorsi di cui risulta composta la muratura.
Tale apparecchiatura dell’opera quadrata irregolare è frequentemente rintracciabile nelle fortificazioni delle poleis elleniche contendendo, spesso, alla tecnica poligonale il primato nell’allestimento delle mura urbiche riguardabili come il “volto” offerto dalle città al visitatore che vi giunge dall’esterno. In Grecia, nella Magna Grecia, in Sicilia si trovano realizzazioni esemplari di tale tipologia costruttiva molto prossima a quella isodoma.

Opera quadrata isodoma
A fronte di muri in opera quadrata irregolare, in cui vengono utilizzati blocchi lapidei parallelepipedi di volumetria e proporzioni differenti, si sviluppano sin dall’età arcaica, soprattutto nelle celle dei templi, soluzioni più raffinate con elementi perfettamente regolari da leggersi quali contributi canonici della tecnica costruttiva greca. Per antonomasia, all’interno dell’opera quadrata regolare, l’apparecchiatura cosiddetta isodoma ne rappresenta uno dei tipi più rappresentativi e perfetti; i blocchi, in questo caso, di unico modulo sono disposti in corsi rigorosamente uguali semplicemente sfalsati reciprocamente.
In particolare gli elementi lapidei di forma parallelepipeda, tutti identici fra loro per ciò che riguarda profondità, altezza e lunghezza (con una lunghezza, in genere, doppia dell’altezza nella faccia lasciata a vista), vengono posti in opera con giunti verticali, a corsi alterni, attestati in mezzeria dei conci delle assise contigue. Tale condizione di organizzazione della rete dei giunti è costantemente rispettata; indubbiamente oltre che soddisfare un’aspettativa estetica di regolarità tale disposizione è motivata anche dalla migliore sollecitazione dei blocchi lapidei caricati baricentricamente in modo da distribuire i carichi su tutta la faccia di posa degli elementi componenti il muro.
L’apparecchiatura isodoma diventa lo stile costruttivo caratteristico della Grecia classica, particolarmente dei programmi monumentali delle città dell’Attica dove viene impiegata nelle raffinate architetture in marmo bianco (come nei sontuosi edifici dell’Acropoli ateniese). Si diffonde, comunque, anche nella Sicilia e, poi, più tardi, soprattutto nelle città ellenistiche (Pergamo, Priene ecc.)
Il classico disegno a vista del sistema isodomo, impostato su una composizione muraria molto regolare ed autoequilibrata, viene anche ottenuto a partire dall’utilizzo di blocchi lapidei che presentano proporzioni diverse rispetto a quelle descritte precedentemente.
Una prima variante esecutiva è quella che impiega, a ricorsi alterni, conci di pietra differenziati, ma tali da risultare dimensionalmente gli uni doppi degli altri. Tutti i blocchi da utilizzare nella predisposizione del muro hanno in comune, comunque, una faccia dalle identiche dimensioni in modo da poterla lasciare in vista riproducendo, conseguentemente, il classico disegno dell’opera isodoma. L’obiettivo di questa apparecchiatura è valorizzare maggiormente le risorse del materiale di cava, riducendo al cinquanta per cento le necessità di grandi blocchi, senza rinunciare al carattere estremamente regolare dell’opera isodoma canonica.


Vista generale e dettaglio murario dei Propilei dell’Acropoli di Atene (ph. Alfonso Acocella)

Una seconda variante esecutiva è quella che utilizza blocchi lapidei con le stesse caratteristiche geometriche della precedente apparecchiatura ma in diversi rapporti quantitativi d’impiego. I conci più piccoli formano file di due o tre ricorsi per volta affidando ai blocchi maggiori – doppi, nelle dimensioni, rispetto ai primi – il ruolo di concatenamento e di solidarizzazione della muratura che mantiene in vista lo schema geometrico canonico dell’opera isodoma. In questa apparecchiatura la quantità di blocchi che coprono, con il loro spessore, l’intera sezione muraria si riduce ulteriormente favorendo un più evidente risparmio di materiale lapideo di grandi dimensioni; sotto il profilo statico, chiaramente, tale soluzione appare più critica, quanto a stabilità e distribuzione dei carichi, rispetto alle precedenti.
Esempi paradigmatici, per le qualità di lavorazione dei blocchi, fra i numerosissimi che potremmo citare al fine di evocare soluzioni eccellenti dell’apparecchiatura isodoma, sono tutti gli edifici classici di età periclea della seconda metà del V sec. a.C. costruiti in marmo sull’Acropoli di Atene.

Opera quadrata pseudoisodoma
L’opera isodoma, perfetta nella sua partitura geometrica egualitaria dell’impaginato murario, sarà apparsa in un certo qual modo “monotona” visto che, parallelamente alla sua affermazione, sono introdotti dai costruttori greci altri tipi di apparecchi indirizzati alla ricerca di un più articolato disegno tessiturale.
È il caso della soluzione definita pseudoisodoma nella quale si utilizzano conci regolari, perfettamente squadrati, di uguale lunghezza e profondità ma contrassegnati da una differenziata altezza (in genere doppia l’una rispetto all’altra). La veicolazione di tale dispositivo non è stata, ancora, esattamente accertata e la sua stessa introduzione, sotto il profilo cronologico, presenta ancora un quadro non definito. Attestazioni archeologiche di età classica ne fanno ascrivere, verosimilmente, a questa fase storica la sua codificazione; ma vi è chi la ricollega al tardoarcaismo.


Ricostruzione del Bouleuterion di Mileto

La soluzione prevede l’alternanza delle assise, contrassegnate dalla differente altezza, disposte ad individuare un ritmo costante come nell’apparecchiatura isodoma ma, in questo caso, con una gerarchia dei moduli conferita dalla diversa altezza dei conci che ne restituiscono, sul piano della figuratività dell’opera muraria, un ritmo più variato.
La necessità di una razionalizzazione dell’impiego di manodopera che normalmente contraddistingue la messa in esecuzione dei programmi edilizi – anche di quelli monumentali – suggerisce agli architetti, con molta probabilità, di variare ingegnosamente la configurazione dei conci dell’opera pseudoisodoma pur senza rinunciare alle aspettative formali di partenza.
Una prima variante costruttiva è quella che prevede la realizzazione dei filari di maggiore altezza non più mediante blocchi monolitici pari all’intero spessore del muro bensì attraverso due conci (adeguatamente ridotti dimensionalmente) posati di costa che lasciano fra loro dello spazio vuoto. Il disegno dell’apparecchiatura muraria è quello canonico dell’opera pseudoisodoma con alternanza continua di un’assise alta rispetto ad una bassa e con giunti verticali allineati (in sequenza discontinua) che cadono in mezzeria.
A volte, nella ricerca di una più accentuata variazione della tessitura a vista, sono alternati due o più ricorsi di blocchi a maggiore altezza. In questa ultima soluzione aumenta ulteriormente la distanza fra le assise di minore altezza che scandiscono, con più debole forza figurativa, il disegno dell’apparecchiatura muraria. Ai blocchi sottili si assegnano, in genere, le dimensioni dell’intera profondità del muro in modo da far assumere loro il ruolo di concatenamento trasversale della muratura – ad altezze programmate – in funzione delle specifiche esigenze statiche.


Acropoli di Velia (antica Elea). Muro di sostruzione del Tempio di Atena (ph. Alfonso Acocella)

Opera quadrata “per testa e per taglio”
La ricerca di modi costruttivi capaci di introdurre, all’interno della regolarità geometrica del disegno dell’opera quadrata, una variazione della tessitura a vista porta i costruttori greci a mettere in campo – oltre l’apparecchiatura pseudoisodoma – altre soluzioni come quella comunemente definita “per testa e per taglio” si diffonde soprattutto in epoca tardoclassica e poi ellenistica.
Il dispositivo aggregativo è formato da blocchi di uguali dimensioni posti – a file alterne – “per testa e per taglio”; l’apparecchiatura si presenta, costruttivamente, molto contrastata e resistente lasciando in vista, per alcuni ricorsi, le facce minori degli elementi lapidei; varia invece il modo di configurare le assise impostate con blocchi disposti per taglio.
Nei casi canonici le assise con i conci posati di testa si alternano regolarmente a quelle realizzate con blocchi disposti di taglio. Questa apparecchiatura appare molto razionale sotto il profilo dell’economia edilizia in quanto utilizza blocchi di identica configurazione e dimensione eliminando i grossi conci dell’opera isodoma o pseudoisodoma. La previsione di un rapporto che assegna alle facce dei conci da lasciare a vista una superficie doppia dell’altra consente di ottenere una maglia del paramento molto regolare alimentata dal disegno a “croce” che si forma nella sovrapposizione dei blocchi lapidei.
In casi di murature meno accurate, non indirizzate a conseguire paramenti estremamente regolari, vengono alternate singole assise formate da conci di testa ad altre in cui gli elementi sono disposti di taglio. Non frequente nella prassi costruttiva greca, ma comunque attestata archeologicamente, è la disposizione alternata di blocchi per testa e per taglio all’interno di un medesimo corso.

Alfonso Acocella

Note:
* Il saggio è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624.

commenti ( 0 )

stampa

torna su